65-I rapporti fra ambiente naturale e materia organica

In principio la materia organica, per germinare e sopravvivere, si era dovuta sottoporre all’intransigenza dei molteplici ambienti naturali che esistevano sopra un astro spento conciliabile con la vita. Essa, inoltre, si era adattata a quest'ultimo con una tale compenetrazione, che alla fine si era sentita di appartenere allo stesso in modo da non potere più farne a meno. Per questo, dal punto di vista della conciliabilità con l’ambiente, ne era derivata una materia organica non più unica ed omogenea, ma eterogenea e multiforme. Anzi, la si poteva considerare la più opportuna a ciascuno degli ambienti, nei quali essa si era trovata ad effettuarsi in forma e modo germinali. Sotto quell’aspetto, l’ambiente naturale, con i suoi molteplici modi di manifestarsi e di esprimersi, era da ritenersi il primo responsabile di quel rapporto non sempre felice del momento. Infatti, esso poggiava su evidenti compromessi, che erano stati pretesi da entrambe le parti in causa. All’inizio, perciò, tale ambiente aveva costretto la materia organica ad uniformarsi alle proprie estrinsecazioni locali sia terrestri che marine. Se invece essa si fosse opposta, avrebbe anche rinunciato all’esistenza in una qualsivoglia forma e manifestazione.

In seguito, la stessa materia organica, dopo avere raggiunto le sue forme più evolute, aveva inteso quelle sue disparate esigenze come un prodotto non più dell’azione coatta del suo rivale ambiente, ma di una propria libertà di scelta. Per cui aveva accondisceso ad accogliere la mano che generosamente le tendeva il suo partner, il quale era costituito dall'ambiente. Ma quell’ammorbidimento da parte della sua natura c’era stato, a condizione che a ciascuna delle sue varie forme evolutive fosse stata garantita la coesistenza con l’habitat che le risultava più congeniale. In caso contrario, essa si sarebbe opposta ad ogni prepotenza che l’ambiente naturale, ignaro o incurante di tutte le sue vitali esigenze, avesse voluto usarle con sprezzante dispotismo. A costo anche di rinunciare alla propria stessa esistenza! Stando così le cose, all’origine dell’instaurarsi dei relativismi di positività per la vita, anche la materia organica non si presentava affatto scevra della sua parte di colpe. La sua corresponsabilità o correità nell’instaurazione di tali relativismi veniva dimostrata dalle sue pretese di potere dettare anch’essa delle condizioni all’ambiente che doveva risultare suo condizionatore. Ma restava pur sempre da verificare fino a che punto quelle pretese della materia organica avessero un senso e un peso tale, da permetterle di avere voce in capitolo!

Giunto a quelle considerazioni, mi si proponeva ancora il quesito riguardante il perché del mancato intervento, da parte della psiche universale, a sanare i vari contrasti e i profondi squilibri che esistevano tra ambiente naturale e materia organica, risolvendo positivamente il caso. Prima l’avevo lasciato in sospeso, in attesa che l'individuazione del vero responsabile di simili contrasti mi permettesse una sua più corretta valutazione e formulazione. Ma, constatata la corresponsabilità di entrambe le parti in causa, non aveva più alcuna importanza per me il formulare in un modo o in un altro la domanda, a seconda se si indicava come colpevole la materia organica o l’ambiente naturale. Adesso mi bastava solo una sua generica formulazione che mi facesse domandare quali erano stati i veri motivi, per cui la psiche universale aveva lasciato che sorgessero fra l’una e l’altro i tanti dissidi, alcuni dei quali si dimostravano insanabili e trasgressori di alcune sue direttive. Oppure, formulando diversamente la mia domanda, era sufficiente chiedermi in base a quali suoi reconditi disegni, essa aveva voluto che ciò accadesse. Al riguardo, mi auguravo vivamente che, da parte della psiche universale, non mi venisse sottaciuta la verità. In modo molto generico, quindi, la formulazione della mia domanda era intesa ad ottenere una risposta che mi facesse luce sui reali fini della psiche universale, quando aveva voluto che non ci fosse tra ambiente naturale e materia organica una perfetta sintonia. La quale, dopotutto, mi appariva come la cosa più logica e più giusta che si potesse auspicare, in quel gioco fantasioso di equilibri ecologici. Senza dubbio, anche la psiche universale la vedeva alla mia stessa maniera. Solo che, nella sua opera creativa, quella perfetta sintonia non poteva essere un fine, ma soltanto un semplice mezzo. Inoltre, se la logica dei fini, quando si basava sulla vera perfezione, non poteva risultare imperfetta, quella dei mezzi poteva pure non presentare tutti i crismi dell’integra perfezione. In modo particolare, quando il conseguimento di taluni fini doveva appunto poggiare sulla discordanza dei mezzi!

A dire il vero, all’inizio all'istante ritenni un’affermazione del genere un autentico paradosso. In seguito, però, ossia quando mi fu permesso di disporre di quelle sufficienti e valide ragioni che ne suffragavano la veridicità, smisi di interpretare una simile deduzione come un'assurdità. Le ragioni, le quali giustificavano quell’apparente paradosso, ben presto mi furono rivelate dal fine ultimo a cui era destinato l’uomo. Come era stato previsto, egli sarebbe pervenuto ad esso dopo millenni e millenni di lotte e di ricerche, affrontando e superando una infinità di ostacoli e di insidie. Gli uni e le altre, infatti, non gli sarebbero mai mancati sia nel suo ambiente naturale sia negli altri ambienti non compatibili con la sua esistenza a tutti i livelli.

Occorreva sapere che l’universo non era stato creato dalla psiche universale per puro passatempo. La sua creazione era stata voluta unicamente perché assolvesse un compito preminente, il quale era appunto quello di rappresentare lo strumento chiave, tramite cui l’uomo avrebbe conseguito il suo più alto autoperfezionamento. Per tale ragione, essa, fin dalla sua prima concezione, era stata subordinata a quella dell’essere che più di ogni altro vi avrebbe preso parte attiva. Anzi, egli vi avrebbe svolto il ruolo dell’unico vero protagonista. Ecco perché la creazione dell’universo non doveva risultare un qualcosa di facile conquista da parte dell’uomo, se si volevano ottenere dalla sua intelligenza il massimo impegno e il migliore rendimento possibile nel campo della sua perfezione. Si sapeva che erano le ardue imprese ad affinare l’umano ingegno, nonché a plasmarlo secondo un modello ideale sempre più corrispondente a quello che già era stato programmato dalla solerte psiche universale.

Quindi, il suo ambiente naturale, con tutti i suoi componenti organici ed inorganici, doveva rivelarsi all’uomo come qualcosa di faticosa conquista e, nello stesso tempo, di utile e prezioso. Comunque, sebbene egli fosse il predestinato a conquistarlo e a dominarlo, l’uomo avrebbe fatto tesoro della utilità e della preziosità dell’ambiente, esattamente dopo che egli avesse imparato a conoscerlo e a soggiogarlo nelle sue infinite risorse. Soltanto in quella maniera egli avrebbe potuto sfruttare le sue prodigiose forze e controllare i suoi svariati fenomeni sia esogeni che endogeni. Ma era esplicito che l'ingegno umano doveva essere messo a dura prova dallo stesso rapporto esistente tra i suoi diversi componenti. Il quale era basato il più delle volte su compromessi incomprensibili, che ne denotavano l’assenza di qualsiasi logica perfettiva. Alla fine, però, il medesimo lo avrebbe invogliato a correggerlo, mediante un esorbitante lavoro fisico ed intellettuale, che sarebbe durato un tempo incalcolabile. Infatti, era per tale ragione che la psiche universale aveva voluto mettere a disposizione dell’uomo un universo molto intricato e difficile da domarsi, oltre che degli ingredienti molto complessi. Essa era consapevole che soltanto il superamento da parte sua di ogni genere di difficoltà lo avrebbe guidato ed innalzato alla sua più eccellente forma di perfezione e di rigenerazione. In seguito, avrei pure appreso i motivi che avrebbero spinto di continuo l’uomo a perseguire per sé mete di perfezione sempre più sublimi. Le quali avrebbero costituito la sua ragion d’essere e perciò si sarebbero imposte alla sua coscienza come un dovere impreteribile, a cui mai si sarebbe potuta sottrarre.

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