42-L'energia e la materia

Ultimato lo studio dello spazio e del tempo, mi diedi a quello dell’energia. Esso doveva certamente risultarmi di grande interesse e più gratificante, dal momento che non avrei più dovuto analizzare un vuoto infinito ed intangibile, fosse esso spaziale oppure temporale. Anzi, mi sarei dedicato a qualcosa di attivo e di vivificante, di cui lo spazio era il contenitore e il tempo si mostrava l’osservatore. Di preciso, mi sarei trovato a studiare quella forza che, elaborata dalla psiche universale e balzata fuori dal microcosmo, aveva prima creato la materia e poi l’aveva permeata di movimento e di vitalità. Ebbene, considerata a sé stante, la comune energia appariva invisibile ed inesistente. Invece, quando veniva esaminata ed analizzata all'interno della materia, essa dava di sé una impressione ben differente. Ciò, perché era solo in seno all'elemento materiale che l’energia si scatenava in milioni di modi di essere ed attraverso svariati effetti, vitalizzandola nel modo più insperato e procurandole a volte trasformazioni straordinarie. Così, nell’imprimere alla materia il movimento e la vita, essa usciva dall’anonimato e dalla sua invisibilità, comprovando senza ombra di dubbio la sua effettiva esistenza.

Quelle mie prime considerazioni sull’energia abbastanza presto mi rivelarono una grande verità. Era impossibile portare avanti il discorso sull’energia, senza anche applicarmi in pari tempo a quello sulla materia, rappresentando quest’ultima il suo effettivo campo d’azione. Naturalmente, non poteva essere che così. L’energia e la materia andavano studiate di pari passo, dal momento che lo studio di ciascuna presa individualmente implicava per necessità lo studio pure dell’altra, per la sua impossibilità ad essere avviato in forma autonoma. Per cui, parlare di energia significava pure parlare di materia; viceversa, parlare di materia voleva dire anche parlare di energia. Inoltre, studiando l’energia, non si poteva fare a meno di vederla agire nella o sulla materia; mentre, studiando la materia, era impossibile fare a meno di vederla manovrata dall’energia. Per la quale ragione, mi si imponeva, in simultaneità, lo studio sia dell'una che dell'altra.

Nel macrocosmo, dal punto di vista della materia, esistevano due energie differenti: una trascendente alla materia e un’altra immanente ad essa. Oltre a quell’energia particolare, la quale racchiudeva i vari cosmi a guisa di uno schermo protettivo, erano da considerarsi analogamente energie trascendenti sia quella magnetica delle barriere galattiche e stellari sia quella esistente all’interno delle stesse barriere cosmiche. Ma l'energia trascendente, perché assolvesse in tempo e nel modo migliore i suoi tanti compiti specifici, nel trasferirsi nel macrocosmo, aveva dovuto precedere la materia, risultando perciò anteriore a quest'ultima. Quanto all’energia immanente, da chiamarsi semplicemente energia, nel macrocosmo essa era coeva alla materia stessa, poiché vi erano state lanciate insieme dalla psiche universale, dopo averle rese parti integranti ed indivisibili di un unico corpo composto. Si andava delineando in quel modo, fin dai miei primi approcci con il loro studio, la vera relazione esistente tra la materia e l’energia. Si trattava di un rapporto che era fondato sul seguente binomio: coesistenza ed inscindibilità. Espresso in questi termini, lo si poteva definire anche un rapporto di interdipendenza, nel senso che né all’una né all’altra veniva concessa una propria autonomia di esistenza. Ciò voleva dire che nessuna delle due poteva trascorrere un solo attimo, senza influenzare l’altra o venirne influenzata; mentre l’azione dell’una era anche effettuazione di moto da parte dell’altra o trasformazione simultanea della medesima. Ne derivava che la molteplicità degli atteggiamenti, che potevano assumere l’energia e la materia, andavano considerati senza mai dimenticare che un determinato atteggiamento assunto dalla materia significava sempre una risposta immediata ad una variazione qualitativa o quantitativa della propria energia. Tale variazione poteva anche essere causata o promossa dall’energia insita in un’altra materia. Così pure un determinato atteggiamento dell’energia era sempre da ritenersi una risposta immediata ad una variazione quantitativa o qualitativa della propria materia. Ma questa il più delle volte era costretta a subire l’influenza di un’altra materia, la quale era del tutto differente.

Completata quella mia prima valutazione dell’energia e della materia, che mi aveva permesso di conoscerle e comprenderle nel migliore dei modi nel loro imprescindibile rapporto di coesistenza e di interdipendenza, in seguito passai a considerare i loro molteplici atteggiamenti. Questi scaturivano dalla loro duplice esistenza, cioè quella spaziale e quella temporale. Perciò il binomio spazio-tempo non poteva essere assolutamente tralasciato o ignorato nello studio di tali atteggiamenti, non potendo essi esistere senza uno spazio che li contenesse e senza un tempo che li osservasse o li riflettesse. A dire il vero, era solo in virtù di un binomio del genere che quegli atteggiamenti potevano essere seguiti e valutati nelle loro diverse fasi evolutive o regressive. Specialmente se si considerava il fatto che ogni loro trasformazione rispondeva a determinate leggi, le quali, se le si esaminavano in circostanze e luoghi differenti, si presentavano totalmente dissimili.


A livello di galassia, si avevano due tipi di energia: la prima riguardava la materia cosmica attiva, detta pure energia stellare; la seconda riguardava la materia cosmica spenta, detta anche energia planetaria. Quest’ultima, naturalmente, non concerneva soltanto i pianeti e i satelliti, bensì anche qualunque altro corpo celeste spento che non fosse attivo, come le comete e gli asteroidi. L’energia planetaria, pur non essendo potente in modo straordinario, come lo era l’energia stellare, si presentava senz’altro qualitativamente più complessa, più multiforme, più domabile e, in un certo senso, più interessante. L’energia stellare, che era più o meno identica per qualità in ogni stella, era una unica potentissima energia bipolare. Essa trasformava l’immensa quantità di materia, che la ospitava, in una enorme massa incandescente, permettendole di sprigionare tutt’intorno a sé luce e calore, fino a distanze inimmaginabili. Si poteva affermare che tale energia era rimasta la stessa che un tempo si era trovata ad esistere nel microcosmo, per non aver subito alterazione alcuna durante il suo passaggio nel macrocosmo. Ma non era toccata la medesima sorte alla materia, la quale, una volta fatto il suo ingresso nel macrocosmo, non era stata più in grado di autorigenerarsi. Inoltre, sollecitata dall’energia, essa andava incontro a continue trasformazioni di ogni genere, senza subire alcuna forzatura verso l’autodistruzione. Ciò poteva essere operato solamente dall’antimateria dello spazio negativo.

L’energia stellare risultava formata da due tipi di particelle: le une cariche di elettricità positiva e le altre cariche di elettricità negativa. Esse, scontrandosi senza sosta in seno alla materia, davano origine a delle reazioni a catena, le quali si concretizzavano in continue esplosioni termonucleari. All’interno di una massa stellare, quindi, una simile energia poteva vivere solo momenti di ridda turbolenta ininterrotta. Nella sua conflittualità, però, essa veniva a coinvolgere anche i vari elementi materiali che erano presenti nella massa solo allo stato gassoso, forzandoli così verso una immane e terribile combustione. Quest'ultima si mostrava capace di generare una tale luce e un tale calore, da riuscire a farne sentire gli effetti nel vuoto circostante fino a milioni e milioni di chilometri di distanza. Dunque, l’energia della materia attiva si presentava come una forza incontrollata, la quale spingeva la stessa materia che ospitava a trasformarsi in luce e calore. La combustione della materia significava unicamente un progressivo esaurimento dell’energia sua ospite e non anche di sé medesima, poiché essa era soggetta a deterioramento oppure a trasformazione, ma non a distruzione. Semmai si assisteva ad uno stravolgimento della sua massa, in quanto grandezza della proprietà intrinseca della materia. A livello di macrocosmo, due caratteristiche della materia erano la trasformabilità e l’indistruttibilità; invece due caratteristiche dell’energia erano l'esauribilità e la capacità di provocare nella materia il moto e la trasformazione.

Se l’energia era esauribile, ciò non voleva dire che le miriadi di stelle correvano il rischio di spegnersi per esaurimento della loro scorta di energia, cessando così per sempre la loro attività. Esse, poiché venivano rifornite in continuazione di nuova efficiente energia dalla barriera elettromagnetica della loro galassia, erano destinate a non spegnersi mai e a restare per sempre in vita. Riguardo alla esauribilità dell’energia, bisognava precisare che essa aveva un senso, soltanto se considerata in rapporto con la materia. Ciò, perché l’energia, uscendo dalla sua virtualità, si trovava ad operare esclusivamente in quest’ultima, dove sembrava quasi esaurirsi e cessare di esistere. A ogni modo, il fatto che la nuova materia trasformata pareva che ne restasse priva in nessun caso doveva spingere qualcuno a considerare la vecchia energia definitivamente consunta e finita, poiché in un cosmo l’una e l’altra risultavano inesauribili. Al pari della materia, l’energia poteva soltanto subire delle trasformazioni, le quali facevano variare ogni volta l’esponente della sua potenzialità. Esso poteva sia accrescere che decrescere, ad ogni sua nuova trasformazione. Come la materia era soggetta ad assumere vari abiti, ciascuno dei quali irripetibile; così pure l’energia, sulla scia del suo processo evolutivo od involutivo, era costretta a modificare il suo essere qualitativo o modo di essere. La qual cosa era possibile, appunto perché si uniformasse meglio alla nuova materia e la fornisse dell’energia ad essa più confacente. Insomma, il solito binomio materia-energia non cessava di esistere neppure dopo la prima trasformazione dei suoi componenti; ma continuava per sempre, anche se con potenzialità differenti. Inoltre, la trasformazione di una delle due significava pure trasformazione adeguata dell’altra, visto che esse erano state destinate ad un connubio multiforme ed indissolubile, fino al loro ultimo attimo di esistenza.

Ne conseguiva che nell’energia non si aveva alcun esaurimento, ma si assisteva soltanto alla morte dei suoi vari modi di essere. Per cui le due caratteristiche della materia, cioè la trasformabilità e l’indistruttibilità, diventavano automaticamente anche sue, poiché non poteva essere altrimenti. Infatti, ogni tipo di materia, indipendentemente dai diversi aspetti che andava assumendo in seguito ad ogni sua nuova attività, risultava sempre dotata di una propria energia, ovviamente diversa da quella di prima. Ciò, perché l’energia seguiva un altrettanto mutamento al pari di essa, vigendo nel comportamento di entrambe un autentico parallelismo. In conseguenza di quanto appena riportato, andava da me ritrattata la mia precedente affermazione sul binomio materia-energia, secondo cui l'energia della materia era esauribile. In merito, dovevo ammettere che essa era stata fatta in modo veloce nella fase iniziale della mia dissertazione.

Bruciando senza interruzioni, la materia stellare, oltre a consumare quella energia che la elevava alla sublime incandescenza, si andava via via trasformando in una cenere minutissima e leggera. Questa era destinata ad essere spinta dai caldi venti della medesima stella verso il profondo spazio circostante per divenirne, sotto forma di pulviscolo cosmico, la stabile abitatrice. Dal canto suo, l’energia stellare, insieme con la provocazione in essa di giganteschi moti di spinta, imponeva all’enorme massa attiva della stella anche un moto rotatorio non uniforme. La velocità del quale era proporzionale alla massa stessa e alle sue diverse distanze dal centro. Inoltre, come avevo appreso poco prima, l’energia e la materia di una stella, attraverso il fenomeno della combustione, davano origine alla luce e al calore. Ebbene, nella mia indagine speculativa, né l’una né l’altro potevano passare inosservati, né tanto meno potevano essere accantonati ed abbandonati in qualche angolo buio. Al contrario, l’identico interesse, che essi avevano suscitato in me ancor prima che venissi a conoscenza della loro esistenza, adesso mi imponeva di approfondirli con la debita considerazione. Perciò il loro approfondimento mi si presentava come un qualcosa, di cui assolutamente non potevo fare a meno. Anzi, lo ritenevo un problema ineludibile, dal momento che dalla sua soluzione dipendeva un altro dei miei intimi appagamenti. Ad essere coerente con me stesso, come potevo non interessarmi ad un simile problema, se sapevo che, grazie alla luce e al calore delle stelle, l’universo intero poteva ritenersi una creazione tanto valida e perfetta quanto attraente?


Il fascino della luce e la carezza del calore senza dubbio risultavano i veri artefici di tutte le varie opere viventi disseminate per le galassie profonde; nonché arricchivano queste ultime di spettacoli seducenti e meravigliosi. Dunque, l’accostarmi quanto più possibile al problema della luce e del calore, nonché l’adoperarmi con tutte le mie forze per risolverlo, rappresentavano per me due atti dovuti. Comunque, andava chiarito che ero spinto alla soluzione di un problema simile, sia in conformità al mio impegno preso fin dall’inizio di quella mia tanto desiderata indagine scientifico-cognitiva, sia per un senso di rispetto e di gratitudine verso tali importantissimi ed utili fenomeni. Ma prima mi interessava sapere in quale maniera una massa tanto enorme quanto quella di una stella, ovviamente quando ne era provvista, riuscisse a condizionare o ad influenzare i vari corpi celesti che le orbitavano intorno. Come pure intendevo rendermi conto se questi ultimi significavano per essa un maggior dispendio di energia. Cioè, volevo pervenire alla conoscenza della varia attività di un sistema stellare, alla cui base, se non andavo errato, doveva esserci il vario moto promosso dall’energia della stella. Era fuori discussione che l’attività della stella, dopo quella che permetteva la creazione e il catapultamento nel macrocosmo di interi cosmi in lievitazione, poteva considerarsi la più avente diritto ad un trattamento di favore, da parte della mia ricerca. Tale privilegio poteva essere concretizzato con l’esprimerle i sensi del mio deferente ossequio e col riservare a tale attività stellare determinati diritti, come quelli di priorità e di esclusività nella trattazione dei suoi argomenti.

Non tutte le stelle costituivano un sistema stellare, ma solamente quelle intorno alle quali si trovavano ad orbitare i diversi tipi di astri. Le stelle, che non lo formavano, prendevano il nome di stelle libere o disimpegnate. Esse, rispetto alle altre, accusavano un minore consumo di energia. Infatti, non avendo astri sui quali esercitare la loro influenza, non dovevano impegnarsi quasi per niente a creare un campo di forza gravitazionale, appunto per contrastare e limitare la loro forza di fuga. La qual cosa faceva evitare ad esse di andare incontro a un più celere esaurimento della loro energia. Anche se poi quel tipo di depauperamento energetico non avrebbe dovuto costituire per le stesse un serio problema, siccome c’era chi sopperiva a tale loro calo, piccolo o grande che si dimostrasse. In seguito avrei avuto più ampi ragguagli sia su chi facesse fronte a tale continuo consumo di energia sia sul come venisse effettuato il reintegro di essa. In quel modo mi sarei reso conto del perché anche le stelle libere, sia pure in minima parte, erano obbligate a creare un campo di forza gravitazionale. Il cui scopo non era quello di catturare; ma, al contrario, quello di non lasciarsi catturare.

Le stelle, che formavano un sistema stellare, prendevano il nome di stelle vincolate o impegnate. Esse, a differenza delle altre, erano obbligate ad assolvere determinati doveri verso tutte le specie di astri orbitanti intorno a loro, primo fra tutti l’attivazione di un campo di forza magnetica, che costringesse tali astri a rimanere sotto la loro perpetua influenza, come se fossero dei loro prigionieri. Ma riflettendoci bene, la loro prigionia, ammesso che così la si potesse considerare, risultava indubbiamente molto salutare e vantaggiosa proprio a quelli che erano costretti a subirla, in quanto li riforniva di molti benefici. Inoltre, sottraeva tali cosiddetti prigionieri ad una probabile disintegrazione, che qualche fortuito impatto reciproco avrebbe potuto causare loro in modo catastrofico.

A quel punto, di un sistema stellare conoscevo tutto e niente, poiché lo avevo appreso nelle sue generalità, senza averlo prima analizzato nella sua specificità. Conoscevo la sua genesi e le sue parti costitutive, compreso il rapporto esistente tra la stella e i suoi astri spenti. Invece ignoravo totalmente le leggi cosmiche che regolavano i suoi moti e li presentavano sempre ed immutabilmente armonici nel corso dei millenni. Quindi, soltanto studiando pure la natura e l’effettuazione di simili leggi, la mia conoscenza di un sistema stellare avrebbe potuto considerarsi integralmente raggiunta. Inoltre, conoscere quelle leggi significava allo stesso tempo essere consapevole delle diverse energie che le rendevano applicabili all’interno dello spazio cosmico, in quanto operavano essenzialmente a questo scopo. Per spazio cosmico, comunque, si intendeva l’insieme sia dei vari corpi celesti che vi caracollavano sia delle loro differenti dimore, senza tralasciare le barriere elettromagnetiche che le racchiudevano e i campi di forza a cui esse davano origine.

homepage.htm