32-Il conscio

Il conscio era la parte più interna dell’istinto e doveva essere considerato il faro rischiaratore di ogni rappresentazione empirica che sorgeva e si attuava nel senso. Ma, al fine di comprendere con la dovuta competenza quella sua funzione illuminante ed apportatrice di consapevolezza nei confronti delle percezioni, occorreva che passassi a studiarlo con particolare attenzione. Così, quando intrapresi lo studio della seconda parte dell'istinto, esso si preoccupò di dare grande risalto alla sua sapiente opera coordinatrice e dirigenziale. Il conscio costituiva l’essenza primaria dell’istinto; anzi, ne era l’elemento dominante, essendo investito del potere decisionale, per quanto riguardava la sua attività. Esso, infatti, decideva su tutto ciò che concerneva l’istinto: dall’accoglienza o dall’emarginazione di talune percezioni alla stessa attività che veniva intesa come integrazione e selezione di quelle accettate. Inoltre, sempre in seno all'istinto, la sua attività spaziava dalla problematizzazione di eventi e di circostanze alla scelta dell'armamentario più idoneo ad affrontare e a superare la loro opposizione più incisiva. Insomma, rappresentava un facsimile della coscienza dell’intimo degli animali, rispetto alla quale ovviamente presentava prerogative molto più limitate.

Nel confrontare la sua azione con quella della coscienza dell'intimo animale, anche se essa risultava parzialmente perfetta, non bisognava dimenticare che il conscio era e restava pur sempre una sua imitazione imperfetta. Anzi, considerati i suoi trionfanti risultati raggiunti in seno al mondo vegetale, essa era da considerarsi fin troppo efficace ed affidabile nell’esercizio delle diverse sue funzioni. La rigogliosa e lussureggiante vegetazione, per essere attecchita maestosamente in ogni angolo della superficie terrestre, nonché su parte della materia inerte e senza vita, ne era senza meno una dimostrazione più che eloquente, oltre che significarne un indiscusso trionfo eclatante. Il conscio si ritrovava a gestire all’interno dell’istinto una natura alquanto speciale, grazie alla quale esso veniva a disporre di requisiti eccezionali. Inoltre, in certe situazioni particolari, poteva ricorrere a poteri, i quali andavano anche al di là dell’eccezionalità. In riferimento alle motivazioni, si possono citare le due seguenti: 1) il conscio si trovava a far fronte a problemi non sempre di facile risolvibilità e ad una materia spesso di difficile malleabilità; 2), esso era obbligato a volte ad avere rapporti con ambienti poco trattabili.

La specialità di una natura simile consisteva esattamente in quella sua idoneità a garantire, in ogni circostanza e in ogni istante, un decorso evolutivo che risultasse abbastanza positivo per tutta la specie vegetale. Nel contempo, il medesimo decorso presentava il conscio come la parte dell'istinto vegetale più particolarmente privilegiata per molti aspetti. Difatti esso, come constatavo, dopo avere ereditato direttamente dall’energia psichica universale quella sua natura posseditrice di straordinarie capacità espressive, faceva del proprio meglio nel sollecitarla assai intelligentemente a profondere i suoi interventi prodigiosi a favore della totale realtà dei vegetali. Tali sue intenzioni, però, sarebbero rimaste per sempre nella loro fase progettuale e mai si sarebbero realizzate, se fosse mancata loro la collaborazione del senso. Il quale integrava di fatto l’opera del conscio e rendeva realizzabile tutto quanto esso si riprometteva di conseguire e di attuare. Tra il conscio e il senso, quindi, esisteva un rapporto di collaborazione, avendo essi bisogno l’uno dell’altro, sia per produrre i prototipi vegetali sia per ricavarne le sottospecie. In questo modo, essi riuscivano ad arricchire il vasto suolo terrestre delle loro strabilianti opere, le quali tendevano unicamente a dar vita ai tantissimi e straordinari scenari floreali. Ma un rapporto di quel tipo faceva presupporre anche l’esistenza di mezzi idonei a rendere praticabile la cooperazione. Quest’ultima, in verità, poteva essere esclusivamente il risultato di un apporto scambievole di contributi che perseguivano fini comuni. Un apporto simile era da intendersi concretizzabile, solo se imperniato su un valido sistema di comunicazioni che si intercettassero a vicenda e si scambiassero le rispettive esperienze. Era quanto si stava verificando appunto nella premurosa opera di collaborazione tra il senso e il conscio, nell’intento di attuare il loro grandioso progetto comune.

Nello studio del senso, già avevo avuto modo di apprezzare i suoi efficaci strumenti che si prendevano cura delle informazioni. Si trattava del fascio dei recettori, il quale le captava e le codificava; nonché del reticolo di elaborazione, che le selezionava e le avviava verso la destinazione più consona. In quell’occasione, ero venuto pure a conoscenza che certe attività espletate dal senso avevano bisogno di una supervisione da parte del conscio. Il quale avocava a sé anche il diritto di poter decidere sulla loro prosecuzione a termine, attestando al riguardo il proprio assenso oppure il proprio dissenso. Perciò, ogniqualvolta affioravano dal processo alcune discrepanze anche minime tra il senso e il conscio, quest'ultimo dirimeva personalmente la controversia mediante l’apporto di proprie modifiche, le quali rivestivano sempre un carattere di definitività.

Dopo aver chiarito anche il rapporto conscio-senso, finalmente ritenni che i tempi erano maturati per permettermi una conoscenza più ravvicinata e diretta dei mezzi, dei quali si serviva il conscio. Esso li usava, allo scopo di comunicare con il senso e di avere nei suoi confronti dei rapporti di collaborazione e di supremazia allo stesso tempo. Di preciso, con il mio nuovo studio mi apprestavo a conoscere tali mezzi e la loro consistenza; ma intendevo anche rendermi conto del modo in cui essi facevano prevalere i diritti che il conscio vantava sul senso.

Il conscio esplicava la propria esistenza costruttiva attraverso due funzioni, le quali erano denominate funzione giudicante e funzione agente. La prima, ossia quella che giudicava, ne occupava la parte centrale; mentre la seconda, che era quella che agiva, risultava sistemata nella zona circostante. Nella funzione giudicante risiedeva una speciale essenza che, se proprio non era un pensiero dalla caratteristica estimativa, di sicuro esprimeva ed attuava qualcosa di abbastanza somigliante. Essa, infatti, riusciva a portare avanti con rigore un certo tipo di discorso, in cui il vaglio, la selezione e il controllo si dimostravano basilari ed imprescindibili. Invece nella funzione agente operava una forza prodigiosa, in virtù della quale perfino il senso riusciva a diventare una situazione possibile e collimante con l’opera istintiva. Era esattamente essa che presiedeva alla penetrazione profonda; anzi, ne era la diretta responsabile, anche se le venivano affidati altri compiti di altro genere, comunque pure di notevole importanza.

Conosciute le generalità e le attribuzioni delle due funzioni del conscio, mi restava da inquadrarle nella giusta ottica della loro rigorosa applicazione. In questo modo, avrei focalizzato distintamente la sequenza delle singole fasi costituenti l’intero loro processo operativo. Ma in essa veniva incluso l’indefettibile monitoraggio da parte delle medesime dell’intera gamma di attività ad esso connesse, la quale si presentava abbastanza vasta e varia.


L’operatività del conscio si metteva in moto contemporaneamente all’intraprendenza del senso. Questo non poteva restare immoto neanche per un istante, per cui esso era da considerarsi l’intraprendente per eccellenza. Infatti, la sua attività percettiva procedeva assidua ed indefessa, poiché doveva permettere all’istinto di ossigenarsi e di dirugginirsi. Quando poi il senso non subiva l’assedio del mondo extravegetale, era esso stesso a valicarne i confini. La sua intenzione, in un caso simile, era quella di attingervi le informazioni che si mostravano essenziali per un decorso evolutivo del regno vegetale che non fosse affatto traumatizzante. Il senso, quindi, percepiva attraverso due canali: quello captativo e quello esplorativo. I recettori del canale captativo subivano la ressa delle percezioni che premevano dall’esterno oppure stazionavano nelle loro adiacenze. Invece quelli del canale esplorativo sconfinavano e si addentravano profondamente nel mondo extravegetale, allo scopo di operarvi il loro prelievo di informazioni. Ad ogni modo, sia le percezioni degli uni che le informazioni degli altri raggiungevano la stessa meta, venendo le une e le altre conglobate dal reticolo di elaborazione.

Da quel momento in poi, ciascuna loro successiva manipolazione veniva effettuata sotto la supervisione e l’inappuntabile monitoraggio del conscio. Nel quale, non appena la folla delle percezioni e delle informazioni facevano la loro comparsa nel reticolo di elaborazione del senso, cominciava a rivoltarsi e a fermentare una strana forma comportamentale. Essa allora lo metteva interamente in subbuglio e vi fomentava una infinità di attività impazzanti. Sembrava come se in esso una fucina di livide e virulente energie si fosse messa a vibrare e a sfavillare in un turbinio di trascoloranti lampeggiamenti. Nello stesso tempo, le sue due vigili funzioni manifestavano uno stato conclamato di iperattività e denunciavano la loro cooperazione con un fervido slancio di sinergismo creativo. Era precisamente quella l’atmosfera del conscio, quando si attivava e procedeva in sintonia con il senso, tra elargizioni di utili strumenti, di validi suggerimenti e di opportune tecniche.

Per la verità, sia la funzione giudicante che quella agente giungevano nel senso in contemporaneità e si mettevano subito all’opera per offrirgli il loro migliore aiuto. Da solo, il senso era impossibilitato a sostenere tanto oneroso lavoro, a cui lo sottoponeva il delicato compito di selezionare l’ingente materiale percettivo ed informativo proveniente dal mondo extravegetale. Specialmente poi se si teneva conto del fatto che la selezione doveva avere come coronamento la presa di coscienza dell’evolversi del processo percettivo. Il quale andava guidato, affinché divenisse una esperienza appercettiva non solo utile al momento, ma anche riutilizzabile a distanza nel tempo. Ecco perché l’intervento delle funzioni del conscio si rivelava assai significativo e provvidenziale per l’impotente e disorientato senso. Anche se andava ribadire che esso si dimostrava un eccellente strumento di ricognizione e di prelevamento, a totale servizio del conscio. Il reticolo di elaborazione del senso si immetteva nella fase operativa, allorché le funzioni del conscio vi si trasferivano e ne attivavano le tecniche selettive. Era quello il momento in cui iniziava ad attuarsi la penetrazione profonda. La quale, in tale operazione, si presentava come una fusione di forze e di mezzi, di attività e di programmi, che miravano a tradurre in atto intenti e finalità che rincorrevano ideali prototipi vegetali. Questi, in un certo senso, già erano stati delineati e definiti dall’energia psichica, nonché proposti dalla stessa in una vasta campionatura riccamente assortita.

C’era da precisare che il trasferimento non era da considerarsi una operazione in grande stile, ma esclusivamente un provvedimento di portata limitata, essendo già bastevole in quelle sue modeste dimensioni. Comunque, era da immaginarselo che il conscio non avrebbe potuto trasferirsi in toto nel senso, anche se lo avesse voluto. Essendo esso il caposaldo dell’intera attività istintiva, la sua dimora in nessuna circostanza poteva essere lasciata priva della sua presenza. Quando mi riferivo alla sua traslazione nel senso, assolutamente non bisognava pensare ad una intera massa traslocante, visto che era quanto di più errato ci potesse essere. Tra il conscio e il senso, veniva a formarsi una specie di circolo chiuso, il quale veniva percorso da un flusso continuo di forze dilaganti. Attraverso tale circolo, le due funzioni del conscio si immettevano nel senso e facevano poi ritorno al loro sito per ritemprarsi e rifarsi del deficit energetico subìto nel reticolo di elaborazione. In quella maniera, si veniva a schivare il pericolo di una possibile stagnazione delle forze energetiche che provenivano dal conscio e di una loro conseguente perdita di capacità operativa.

Le forze energetiche, infatti, proprio in quel loro continuo ritorno al conscio, che le accoglieva con la sua azione depuratrice e rigeneratrice, avevano modo di rifarsi di ogni depauperamento, a cui erano andate incontro nel senso. L’ininterrotto circolo delle fluenti energie indennizzava ampiamente le stesse di ogni impoverimento da loro accusato nel reticolo di elaborazione, poiché il conscio, quando esse vi transitavano, le irrorava di novelli e corroboranti vigori. Ma quello stesso circolo di energie si prestava con efficacia anche al trasporto delle percezioni sensoriali che provenivano dal senso ed erano dirette al conscio per convertirle in appercezioni, per una loro lettura in chiave di interpretazione corretta e consapevole. Ciò che è stato espresso poco fa era di preludio alla summenzionata penetrazione profonda, poiché, lungi dal farla apparire un fenomeno inesplicabile, dava una anticipazione degli strumenti attivatori del suo processo esplicativo. I quali operavano in seno ad un apparato magistralmente predisposto dal conscio per conseguire quello ed altri scopi. Perciò tutto lasciava prevedere imminente una loro diretta conoscenza da parte mia.

In seguito, le mie previsioni al riguardo non registrarono alcuna smentita, venendo a rivelarsi esatte nel giro di poco tempo. Infatti, appena pochi attimi dopo, la mia mente era già alle prese con quello strabiliante processo che veniva chiamato penetrazione profonda. Per mezzo della quale, il conscio riusciva davvero a realizzarsi come supremo valore, ossia come rigenerazione di sé medesimo nell’atto di autodeterminarsi come coscienza nell’ambito dell’istinto. Così esso ne diveniva la legge, la guida ed ogni altra cosa che le integrasse, al fine di vedersi assurgere al massimo potere e alla massima gloria. Logicamente, tutto ciò non si aveva in base alle sue estrosità oppure ai suoi eccessi di megalomania; bensì si attuava conformemente ai divini decreti che operavano da sempre, sebbene fossero rimasti in incognito nella loro applicazione ordinaria e straordinaria. Tali decreti vincolavano lo stesso istinto, in modo che esso vi si attenesse in ogni tempo e non prendesse mai delle proprie iniziative, senza previa loro autorizzazione. Essi esistevano per l’esistenza stessa dell'istinto che, dando loro la massima applicazione, edificava il proprio futuro. Invece promuoveva in quello dei vegetali ogni tipo di prosperità, siccome era da loro che gli provenivano prestigio e potenza.

Analizzando l’atto penetrativo profondo, ne risultava che i momenti più significativi della sua esplicazione erano due: l’uno faceva capo alla funzione agente del conscio, mentre l’altro alla sua funzione giudicante. Durante il primo momento, il groviglio di forze, che costituivano la funzione agente, sembravano assumere uno stato liquescente, proprio come se esse volessero dissolversi e dare luogo a rivoli energetici. Subito dopo si assisteva al loro scorrimento nel circolo chiuso nel quale si erano immesse, non appena si era concluso per intero il loro processo di disaggregazione. Una volta poi che si era attuato il loro veicolamento nel reticolo di elaborazione ad opera del circolo chiuso, tali forze, capeggiando le quattro tecniche selettive del senso, entravano nel merito della selezione oculata delle percezioni e delle informazioni. Così ne conducevano la supervisione ma non l’accettazione definitiva, poiché essa spettava alla funzione giudicante.

All’interno del reticolo di elaborazione del senso, i dati percettivi ed informativi, abbordati e penetrati dalle forze suddette, finivano per diventare delle essenze trasparenti che manifestavano le qualità della loro natura intrinseca. Soltanto in quello stato, essi potevano facilmente essere elaborati dalle tecniche selettive, le quali ne ricavavano dei prodotti finiti, finalmente portatori di significato. Ma, nonostante quella loro situazione di perfezionamento soddisfatto, in tali prodotti continuava a perdurare l’assenza del diritto ad essere, considerato il fatto che essi non disponevano ancora del beneplacito della funzione giudicante. Perciò, fino a quando esso non veniva accordato, perdurava il suo veto sulla loro estrinsecazione. Il momento successivo riguardava appunto le manovre tendenti a risolvere la questione di quel veto appena accennato, perché esse si sarebbero adoperate per il suo rientro presso la funzione giudicante del conscio. Le singole percezioni ed informazioni, infatti, una volta selezionate con tutti i crismi della norma disposta dall’energia psichica, fluitando sull’onda della corrente delle forze in movimento nel circolo chiuso, venivano traslate al cospetto della funzione giudicante. Questa, allora, dopo averle bene impresse nella sua capacità di intendere e di volere, ne avallava e ne formalizzava ogni impulso ad essere. Tanto l’avallo quanto la formalizzazione del via dato all’impiego e all’utilizzo di tali percezioni ed informazioni, dapprima richiedevano dalla stessa accurate puntualizzazioni, quelle che erano volte a scandagliarne i margini di sicurezza e di affidabilità. Soltanto dopo tale revisione, la funzione giudicante emetteva il suo verdetto definitivo, con cui ufficializzava la sua presa di posizione verso i contenuti percettivi ed informativi. In pari tempo, essa operava la loro presa di coscienza, innalzandoli al grado di appercezioni. Così, suffragata dal potere giudicante del conscio, ciascuna percezione usciva dal sonno ninfale e prendeva il volo verso la destinazione ad essa assegnata.

A questo punto, potevo ritenere concluso il mio studio riguardante l'arcana penetrazione profonda. Senz’altro, si trattava del processo più significativo e più interessante, del quale il conscio poteva andare fiero. Esso doveva essere considerato il nocciolo della sua vasta attività agente e giudicante, su cui si andava imperniando l’intera opera istintiva del regno vegetale. Ma, oltre alla penetrazione profonda, il conscio portava avanti altri compiti di significato marginale, che esso andava svolgendo con altrettanta meticolosità e bravura, perché la sua attività svolta uniformemente nei suoi vari compiti non scadesse neppure minimamente nel merito e nel credito. Agendo in quella maniera, esso si dimostrava consapevole che un iter metodologico, qualunque processo si trovasse ad affrontare, doveva essere spinto sempre dallo stesso impegno e dallo stesso rigore scientifico, evitando parzialità, discriminazioni ed arbitrarietà del tutto gratuite. Tali difetti e tali inopportunità si rivelavano quasi sempre il frutto di una valutazione non equamente attribuita ai singoli problemi di un tessuto vario e molteplice dal punto di vista dell’organizzazione. Per questo, onestamente parlando, essi non potevano che condurre verso il fallimento e l’insuccesso.

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