480°-L'ESPEDIENTE CHE PERMETTE AD IVEONTE DI AVERE UN FIGLIO

Era trascorso già un anno, da quando i regnanti di Dorinda si erano sposati, senza che a loro due fosse ancora nato un figlio. Se da un lato il re Iveonte si mostrava un po’ preoccupato, temendo che non ci sarebbe stato alcun bambino ad allietare la loro famiglia; dall’altro, la regina Lerinda appariva più pensierosa del consorte. Temendo che fosse lei la causa del mancato concepimento nel proprio grembo di una creatura da dare al marito, non si dava pace e stava in ansia per quell’imprevisto, che non riusciva a spiegarsi in alcun modo. Da parte sua, il re Iveonte cercava di darle coraggio, dicendole che quanto prima anche per lei sarebbe arrivata la gestazione, la quale avrebbe dato a loro due il tanto atteso primogenito. Ella, però, lo stesso non si tranquillizzava e guardava al futuro con profondo pessimismo. Per cui iniziarono a perseguitarla notti insonni e giornate tremendamente ansiose, andando spesso incontro ad uno stato di forte agitazione.

Un giorno, non essendo in grado di restarsene calma, mentre il consorte usciva dal loro reparto per andare ad assolvere i propri impegni, lo fermò e gli parlò in questo modo:

«Possibile, mio caro Iveonte, che con il tuo anello sei stato capace di resuscitare i morti e di restituire la vista ai ciechi, adesso non sai rendere me, che sono la tua cara moglie, feconda e capace di procreare il nostro primo bambino? Mi sai spiegare perché ciò accade? Eppure esso una volta non esitò a miracolarmi, come dovresti sapere!»

«In verità, mia dolce Lerinda, questa tua domanda me la faccio anch’io, ma sono impotente a darmi una risposta. Vuol dire che dobbiamo ancora attendere, prima che tu abbia la gravidanza che stai aspettando. Ti prometto che, trascorso un altro mese di attesa, essa ci sarà anche per te. Così ritornerai a sorridere alla vita, come hai sempre fatto!»

«Se non mi sbaglio, Iveonte, oltre all’anello, hai anche una diva protettrice a proteggerti. Ebbene, non puoi chiedere un aiuto a lei, perché ci consigli cosa dobbiamo fare per avere un bambino?»

«In questo momento, Lerinda, non mi è possibile rivolgermi a lei. Ella è impegnata altrove, a moltissime miglia lontano da qui. È andata a trovare il fratello Luciel, il quale protegge il popolo dei Lutros. Ma quando si rifarà viva da queste parti e mi apparirà nel modo che è solita fare, ti prometto che il mio discorso con lei verterà sulla tua mancata gravidanza, nonostante i nostri numerosi rapporti intimi.»

«Grazie, amore mio, per esserti preso a cuore il mio permanente stato di sterilità, per cui cercherai di trovare la soluzione al caso. Adesso puoi andare ad assolvere i tuoi doveri di re, i quali non sono pochi. Ma prima stringimi a te e dammi un grosso bacio!»

Una volta che ebbe soddisfatto il desiderio della consorte, il re Iveonte abbandonò il suo alloggio. Dopo egli si mostrava alquanto rasserenato, avendovi lasciato la sua amata regina soggiogata da un dolce sorriso, che le irradiava il volto di viva ed intensa gioia.

Qualche giorno dopo, il giovane sovrano di Dorinda passeggiava da solo nel patio, dandosi a rimuginare i fatti che stavano investendo la sua nuova vita da re, allorché sentì alle sue spalle una voce dal tono prettamente femminile, la quale gli diceva:

«Ehi, mio eroe, come mai te ne vai in giro senza la compagnia di nessuno, permettendo alla mente di spaziare in varie riflessioni?»

A quelle parole, il re Iveonte riconobbe subito la divina Kronel, la quale gli parlava con il solito tono suadente. Allora, senza indugio, egli si voltò indietro, bramando di vederla e di parlarle. Quando poi l’ebbe scorta nel suo costume adamitico, si affrettò a risponderle:

«Finalmente ti fai rivedere, Kronel! Era da tempo che attendevo una tua visita! Se adesso mi vedi aggirare solitario e meditabondo in questo patio, è perché un assillante pensiero mi turba. Anzi, esso inquieta ancora più di me la poveretta mia moglie!»

«Mi riferisci, mio pupillo, cos’è che vi preoccupa così disperatamente, da privarvi della beata serenità e dell’intima felicità?»

«La mia Lerinda, dopo più di un anno che siamo sposati, non riesce a restare incinta. Per questo la sua inettitudine ad essere fecondata da me la sta spossando, le fa vivere le giornate nel peggiore pessimismo. Aggiungo che le nottate non sono meno catastrofiche.»

«Eppure, Iveonte, tu e tua moglie dovevate sapere che non potevate avere figli, dopo che i vostri tanti rapporti sessuali notturni, con il primo dei quali l’avevi privata anche della verginità, non erano riusciti a rendere gravida la tua ragazza. Forse allora non avete fatto caso a tale particolare oppure non ve ne siete preoccupati per niente!»

«Hai ragione, Kronel. A quel tempo, era soltanto la passione amorosa a tenerci impegnati e a non farci pensare ad altro. Ma ora non comprendo come mai l’anello di tuo padre, pur essendoci noi data la mano tantissime volte, non ha corretto l’anomalia che ostacola la gravidanza nella mia Lerinda, dando il via alla guarigione. Eppure già l’aveva guarita una volta, quando la sua condizione era di grave deperimento organico ed esso glielo fece sparire. Non parliamo poi di tutte le altre persone verso le quali l’anello si è prodigato, senza che io neppure glielo chiedessi! Ricordi Speon, che era diventato un rottame della società, ma bastò una mia stretta di mano a guarirlo? Ricordi anche Elkes e Nolup, l’una uccisa dal padre e l’altro morto suicida per il gran dolore? Anche ad entrambi bastò una mia stretta di mano a riportarli in vita! Che dire poi di Tusco, che periodicamente si trasformava nel Grande Lupo, il quale pure fu guarito dall’anello, dopo avergli stretto la mano? Non ti sembra che una malattia del genere sia più grave della sterilità? Quindi, tu come giustifichi questa sua incongruenza, per essere venuto meno, proprio adesso che la mia donna ha bisogno del suo aiuto? Chiedo a te la spiegazione di questa sua impotenza, a svantaggio di mia moglie!»

«Iveonte, in un certo senso, neppure io capisco l’atteggiamento dell’anello che ti fu regalato da mio padre e da mio zio Locus. Tu dovresti essere il primo a godere dei suoi portenti, anche se in questo caso si tratterebbe di una tua familiare. Allora, dal momento che non riesco a spiegarmelo, sono costretta a rivolgermi al mio eccelso genitore per averne una spiegazione esauriente. Per farlo, però, ho bisogno che tu m’impugni, non appena sarò ritornata ad essere la tua spada. Così dopo mi metterò a contatto con lui. Conosci bene ciò che dovrai fare, essendoci state anche altre occasioni del genere. Sai pure che ti segnalerò il mio ritorno a te con una nuvoletta biancastra, che uscirà dalla punta della tua spada. A quel punto, ti apparirò e riprenderemo il nostro discorso. Ci siamo intesi? Stanne certo che riuscirò a sapere qualcosa su questa vicenda che non convince neppure me!»

Il re Iveonte annuì alle parole della figlia del dio Kron, mentre spariva alla sua vista. Subito dopo si diede ad aspettare che ella si facesse scorgere di nuovo davanti a lui, per apprendere da lei qualcosa sulla consorte, circa le cause che le vietavano di rimanere incinta di lui. Intanto che egli attendeva il suo ritorno, la diva si diede ad intraprendere il suo colloquio con il divino genitore. Siccome i loro contatti avvenivano come se si parlassero stando l’uno di fronte all’altra, ella incominciò a dirgli:

«Padre mio, se ho voluto contattarti, è perché io e il mio pupillo abbiamo un problema da risolvere, di cui stranamente neppure l’anello messo a disposizione del re Iveonte da te e dallo zio Locus è riuscito a trovare la soluzione. Perciò adesso dovrai pensarci tu a dirmi se esso è risolvibile e, in caso affermativo, cosa è possibile fare per risolverlo.»

«Allora parlami del vostro problema, Kronel, che il mio anello è stato impotente a risolvere. Anche se, francamente, la cosa mi appare non credibile. Comunque, questo lo accerteremo dopo. Per intanto mettimi a conoscenza di esso per studiarlo con attenzione.»

«Come già dovresti sapere, padre, il re Iveonte è più di un anno che ha sposato la sua Lerinda e costei non è riuscita ancora a dargli un figlio, che doveva essere il loro primogenito. Ebbene, pur imputando alla moglie del mio pupillo il mancato concepimento, come mai proprio in questo caso l’anello non ha fatto il suo dovere, rendendo feconda la sterile regina di Dorinda? In precedenza, esso aveva resuscitato perfino tre persone estinte, una delle quali morta addirittura duemila anni prima! Perciò attendo delle spiegazioni in merito su tale argomento.»

«Quindi, il problema tuo e dell’eroico Iveonte concerne la sterilità della regina Lerinda. Ebbene, a tale riguardo, ti faccio subito presente che esso è irrisolvibile, per cui si spiega anche perché il nostro anello non è riuscito a risolverlo. Pensa che nemmeno io avrei potuto privare la moglie del tuo protetto della sua infecondità, poiché essa in lei non si presenta come una malattia. In tal caso, la cosa sarebbe stata ben diversa, poiché ella ne sarebbe stata guarita subito.»

«Allora, padre, mi dici a cosa è dovuta la sua sterilità, che da te non viene riconosciuta come un normale morbo? Visto che ci sei, potresti anche dirmi di cosa si tratta, volendo convincermene anch’io per metterci una pietra sopra. Ma poi non sarà lo stesso farlo comprendere al mio pupillo e a sua moglie, dei quali già prevedo la reazione! È possibile che doveva succedere un fatto del genere proprio alle due persone che meno lo meritavano? Ammetti che il fato è stato molto crudele nei confronti di colui che ha recato tanto bene a tutti i Materiadi di Kosmos, salvandoli dalla loro distruzione totale!»

«Quanto affermi è vero, figlia mia, poiché l’eroico tuo pupillo non si meritava tale sorte avversa. adesso, però, ti chiarisco a cosa è dovuta l’infertilità della regina Lerinda. Se vogliamo essere obiettivi, senza volerlo, tu ne sei stata la vera causa. Vedo che la mia asserzione ti ha stravolta; ma la verità è proprio questa, che tu lo voglia o meno!»

«In che maniera, padre, io avrei causato nella regina Lerinda l’impossibilità a procreare? Vorrei saperne di più su quanto da te udito.»

«Ricordi i sogni di natura sessuale che un tempo hai inviato in contemporaneità al tuo pupillo e alla sua fidanzata, facendo in modo che risultassero reali ad entrambi, senza che la ragazza uscisse incinta? Ebbene, quella sterilità, che volesti che si verificasse in lei nei loro sogni, in seguito vi è rimasta e vi rimarrà per tutto il tempo avvenire. Allora si trattò di un evento, che si era innestato nel tortuoso sentiero del fato, divenendo alla fine una sua legge irrevocabile.»

«Dunque, padre, sarei io la vera causa della grave sciagura capitata alla regina Lerinda, che indirettamente sta subendo anche il marito, il quale si vede condannato a non avere figli ed una propria stirpe. Ora come farò a riferire al mio pupillo che la sciagura, a cui sta andando incontro, fu causata da me, per cui ne sono la responsabile? Tu, padre mio, hai qualche espediente da suggerirmi per evitarlo?»

«Tutto dipende da cosa vorrà decidere il re Iveonte, Kronel. Toccherà a lui stabilire la scelta che vorrà fare, se intende assicurarsi nel proprio matrimonio dei discendenti che ne perpetuino il casato.»

«Secondo te, padre, quante e quali scelte egli avrebbe a sua disposizione per evitare di restare senza prole e senza eredi?»

«In questo caso, figlia mia, la procedura abituale è quella di ripudiare la propria moglie, a causa della sua impotenza a generare, e passare così a seconde nozze. È la prassi che seguono quasi tutti i sovrani appartenenti al genere umano. Se invece il re Iveonte fosse contrario a rinunciare alla sua attuale consorte, potrebbe sempre tenersi a corte una concubina ed avere dei figli da lei, per poi farli risultare figli legittimi della regina Lerinda. Che te ne pare, Kronel, di queste sue due possibilità, grazie alle quali egli avrebbe una propria discendenza?»

«Invece, padre, sono da escludersi entrambe le cose. Il mio pupillo, avendo un carattere integerrimo, non farebbe mai un torto così grave alla sua donna. Perciò bisognerà percorrere un’altra strada, la quale dovrà tenere all’oscuro la regina Lerinda del malfatto compiuto alle sue spalle, affinché non la faccia apparire scornata.»

«Se intendi perseguire un tale scopo, mia quartogenita, ci sarebbe un nuovo percorso da seguire per fare avere al tuo pupillo il suo erede al trono. Esso avrebbe tre modi diversi di concretizzarlo. Ma siccome due sono difficili da realizzare, ti spiego il terzo, che è quello fattibile.»

«Allora spiegamelo, padre mio, perché sto attenta ad ascoltarti.»

«Esso sarebbe quello a cui ricorsi io, quando tua madre Lux ti concepì, senza la sua volontà. Allora, con due altre compenetrazioni di natura sessuale, prima con la tua genitrice e poi con la mia consorte, trasferii il tuo feto allo stato embrionale dall’utero di Lux in quello di Ebla. Così fu quest’ultima a metterti alla luce. Nel suo caso, invece, Iveonte dovrà avere un rapporto intimo con un’altra donna. Avvenuta la fecondazione di uno dei suoi ovuli, si richiederà da lui un nuovo coito con lei. Questa volta, però, sarà necessario che il tuo pupillo si compenetri prima con te per renderti partecipe di esso. Mentre poi il re Iveonte la possiede, tu ne approfitterai per prelevare l’ovulo dalla sua placenta. Nell’arco della giornata, quando ci sarà lo stesso tipo di coito fra lei e suo marito, lo deporrai nell’utero della regina Lerinda. Così il bambino nascerà da lei, senza esserne la madre. Comunque, a te non mancano i mezzi perché ciò avvenga senza problemi.»

«Padre, ti ringrazio per la lezione che mi hai data. Spero solo che Iveonte accetti di collaborare, se ci tiene ad avere un erede! A mio avviso, questo modo di fargli avere un discendente dovrebbe garbargli, poiché esso eviterebbe alla consorte il grave disagio e lo scorno. Ora ti lascio, padre; però prima promettimi che mi saluterai la mamma.»

«Te lo prometto, figlia mia. Ma siccome non mi hai chiarito quale delle due, vorrà dire che te le saluterò entrambe.»

«Fai pure come hai detto, caro babbo, visto che hai ragionato bene, sopperendo al mio mancato chiarimento nel chiederti il favore!»

Rispondendogli in quel modo, Kronel sparì alla vista del divino genitore e riapparve al suo pupillo. Scorgendola di nuovo, Iveonte, senza darle neppure il tempo di prendere fiato, si affrettò a domandarle:

«Allora come è andato il colloquio che hai avuto con tuo padre, l’eccelso dio Kron? Spero che esso ti abbia permesso di raggranellare qualche notizia utile a me e alla mia disperata Lerinda.»

«In verità, Iveonte, riguardo alla sterilità di tua moglie, non c’è niente da fare. Ecco perché neppure il tuo anello non ha potuto fare niente per guarirla da essa. Altrimenti lo avrebbe fatto.»

«Quanto mi stai dicendo, Kronel, significa che in avvenire non potrò avere dei miei discendenti e che la stirpe dei miei progenitori si esaurirà con la mia persona? Possibile che dovrà accadere ciò? Già un fatto del genere succedette alla famiglia di mio zio Eminto, per cui, alla sua morte, rimase senza discendenti. Se succedesse anche a me, un fatto del genere, la nostra razza si estinguerebbe per sempre! Perciò, Kronel, dammi una speranza che ciò può essere evitato.»

«Tutto dipende da te, mio pupillo. Se vuoi seguire il corso degli eventi, come quelli che stai vivendo con tua moglie, restando legato a lei, non devi fare niente. Ti toccherà, quindi, rinunciare ai figli.»

«Cos’altro potrei fare, Kronel, per diventare padre? Io non scorgo davanti a me un’altra strada da seguire per cambiare le cose.»

«Invece ti sbagli, sovrano di Dorinda. Se lo vuoi sapere, gli altri re, che si sono trovati nella tua stessa situazione, pur di avere degli eredi, hanno ripudiato la loro consorte e si sono risposati. Un simile rimedio, come puoi renderti conto, risolverebbe il tuo triste problema.»

«Questo non accadrà mai, Kronel! Giammai me la sentirei di fare un torto del genere alla mia Lerinda! Piuttosto vorrei morire io, anziché rinunciare a lei con un ripudio vile ed esecrando! Perciò non se ne parli neppure per scherzo, se non voglio intossicarmi l’esistenza!»

«Ci sarebbe anche un modo diverso di avere dei tuoi figli, Iveonte. Esso, però, dovrebbe essere accettato da te e dalla tua Lerinda. Dubito però che ci sarà la disponibilità ad accettarlo da entrambi. Con il consenso di tua moglie, dovresti prenderti una concubina a corte, unicamente per farle procreare i tuoi figli. Ogni volta, dopo averti dato un figlio, ella non dovrebbe contare più niente per te. Ma lo consegneresti alla regina dopo il puerperio della madre.»

«Nonostante quest’altra tua proposta si presenti abbastanza lusinghiera, Kronel, ma solo per la mia persona, non posso che scartarla. Essa mi farebbe apparire agli occhi di mia moglie un marito infedele, anche se sono convinto che ella non si mostrerebbe contraria; però soltanto per vedermi divenire padre e rendermi felice. Quindi, ritenendo che anche così la metterei di fronte ad una realtà amara, mi vedo costretto a rinunciare pure alla tua seconda proposta.»

«Allora, Iveonte, non ci resta l’ultima possibilità di farti avere un figlio. Strano a dirsi, questa volta proprio dal grembo di tua moglie! Ma l’espediente, che le consentirebbe di avere una gravidanza, non dovrebbe essere svelato a lei; altrimenti la metteresti, come negli altri due casi, in una situazione di grande disagio.»

«Ebbene, Kronel, fammi sentire anche quest’altra tua proposta. Essa, come sembra, dovrebbe risultarmi meno traumatica, anche perché la mia Lerinda ne resterebbe all’oscuro. Non è vero, forse?»

«Certo che sarà così, mio pupillo! Adesso te la faccio ascoltare. Dopo sarai tu a decidere se accettarla oppure no.»

Così la diva Kronel si diede a fargli conoscere quanto aveva appreso dal padre circa la terza proposta. La quale, per la sua riuscita, prevedeva la collaborazione anche di lei e di un’altra donna. Quando poi il re Iveonte l’ebbe interamente appresa, pur considerandola immorale sotto un certo punto di vista, si vide obbligato ad accettarla. Anche perché si convinse che essa, senza arrecare traumi a nessuno, risolveva il loro problema. A tale proposito, egli chiese alla diva:

«Dato che sarà tua premura combinare il fattaccio, Kronel, posso sapere quale donna dovrà concedersi a me per permettermi d’inseminarla? Inoltre, ella conoscerà l’identità di chi dovrà possederla?»

«Ti premetto, Iveonte, alcune cose che devi sapere. Prima, ella non sarà una donna qualsiasi, ma un’autentica principessa già sposata. Seconda, la medesima sarà convinta di consumare un rapporto intimo con il proprio marito, poiché ti farò assumere le sue sembianze. Terza, non appena sarà avvenuta la fecondazione di un suo ovulo, dovrà esserci un tuo nuovo rapporto intimo con lei. Questa volta, però, prima del coito, dovrai compenetrarti con me perché vi prenda parte anch’io. Solo così potrò prelevare dal suo utero l’ovulo fecondato dal tuo seme. Quarta, nell’arco della giornata, dovrai avere un rapporto coitale con tua moglie, facendolo ancora precedere da una compenetrazione con me. In questo modo, potrò deporle nell’utero l’ovulo fecondato dell’altra donna.»

«Come constato, Kronel, la nascita di mio figlio avverrà, senza che l’onore di nessuna delle due donne verrà compromesso. Ma mi riferisci anche come farai ad estromettere il marito di lei dalla nostra occasionale relazione? Sono interessato a saperlo.»

«Lo terrò bloccato in un luogo qualsiasi, Iveonte, per tutto il tempo che la moglie si concederà a te, credendo che tu sia lui. Ma mi toccherà farlo solo due volte, senza che la moglie lo tradisca.»

«Brava, Kronel! Grazie a te, Lerinda ed io riusciremo a risolvere il nostro problema e ci ritroveremo presto ad avere un nostro figlio.»

Le cose andarono proprio come le aveva predisposte la diva Kronel, per cui, al termine del nono mese, la regina Lerinda partorì il suo primogenito, al quale fu dato il nome di Urdo. Il padre lo aveva ricavato dalle quattro lettere centrali dei nomi dei suoi eroici nonni, che erano Nurdok e Kodrun, ma prendendole al contrario in quello del nonno paterno. Allora in tutta Dorinda il popolo festeggiò la sua nascita. Naturalmente, furono i suoi genitori quelli che ne gioirono maggiormente. Ma siccome il lettore vorrà sapere anche con quale principessa Iveonte aveva fatto due volte l’amore, senza neppure conoscerla, ebbene, ella era stata la regina Eder, la sorella di Burov, il re di Statta. Dopo la nascita del loro primogenito, siccome ella non sapeva che quello sarebbe stato per sempre il suo unigenito, la regina Lerinda fu invasa da una gioia incommensurabile, specialmente perché il pargoletto avrebbe appagato il massimo desiderio del marito.

A quel tempo, i bambini venivano fasciati per quasi un anno, poiché si era convinti che così la fasciatura gli avrebbe raddrizzato le gambe, non potendole egli muovere dove e quando voleva. Dunque, anche il piccolo Urdo cresceva sano e salvo, ma sempre all’interno del suo lenzuolino e della sua copertina, che lo tenevano ben stretto e al caldo. Logicamente, lo si liberava da tali indumenti, ogni volta che bisognava provvedere alla sua igiene personale e privarlo all’occorrenza dei suoi rifiuti organici liquidi e solidi. Il giorno dopo che Urdo aveva compiuto il suo primo anno di vita, la regina Lerinda, dopo aver fatto una breve visita a Madissa, che ora viveva nella reggia con il marito Lucebio, se ne ritornò nella sua camera da letto, dove stava sistemata anche la culla del bambino. A dire il vero, c’era andata appunto per controllarlo ed assicurarsi che in quel luogo tutto procedeva tranquillo.

Quando vi giunse, si accorse che nella camera non tutto era rimasto come prima. Il bambino, dopo essersi sfasciato da solo, si era buttato giù dalla culla, anche se i suoi bordi erano alti circa un metro e mezzo. Adesso invece, completamente nudo, se la saltellava sul lettone dei suoi genitori. Ma appena scorse la madre, egli spiccò subito un salto, il quale lo fece trovare sul fasciatoio. Restando lì sopra, si diede a dire alla sua genitrice: “Madre, ho molta fame e voglio mangiare!”

A quell’incredibile prodigio, la regina Lerinda si meravigliò a non dirsi. Allora, dopo averlo ricoperto alla meglio, lo portò dai suoi suoceri, ai quali raccontò ciò a cui aveva assistito nella loro camera, concludendo:

«Non avrei mai immaginato che potesse verificarsi un fatto del genere! Voi, che siete i suoi nonni, come ve lo spiegate?»

Mostrando di non essersi stupita per niente, a proposito del bambino, fu la suocera Elinnia a risponderle, adoperando queste parole:

«Mia cara nuora, hai forse dimenticato che egli è il figlio dell’eroe più grande di tutti i tempi e il protetto di divinità potenti? Perciò da lui ci si può aspettare qualunque cosa, diversamente dagli altri bambini che, avendo dei genitori comuni, possono solo mostrarsi normali. Adesso, al più presto, occorre fargli indossare una casacchina che lo copra per bene, prima che il padre rientri a corte.»

«Già, mia cara suocera, l’avevo proprio dimenticato. Quindi, dovrò cominciare ad abituarmici, se non voglio stupirmi ogni volta che mio figlio darà un saggio delle sue infinite capacità, come il genitore!»

Congedatasi da loro, la prima cosa che fece la regina fu quella di mandare a chiamare il sarto di corte, perché approntasse qualche indumento per vestire suo figlio, come avvenne prima del tramonto.

Il re Iveonte rientrò nella reggia poco prima di sera. Quando raggiunse la moglie, non si attendeva di vedere il piccolo Urdo andarsene in giro per il loro ambiente senza fasciatura, ma indossando una piccola casacca. Perciò, non appena lo scorse che camminava e faceva tutto quello che voleva, non sapeva se rallegrarsene oppure darsi pensiero per quanto gli capitava di osservare. Ma poi, ad evitare d’impensierire la consorte, ad un certo punto, abbozzando un sorriso, si diede ad esclamare: “Che bravo ometto abbiamo adesso in casa! Scommetto che fra qualche anno egli saprà anche andare a cavallo!”

Una volta che i due regnanti si furono messi a letto per il loro riposo notturno, la regina Lerinda, mentre il figlioletto dormiva nella sua culla, fece le seguenti domande al consorte:

«Posso sapere, Iveonte, da dove ci è provenuto questo figlio prodigioso? Tu te lo saresti aspettato dalla gravidanza di una donna normale, anche se si tratta di una vera regina?»

«Francamente, no, Lerinda! Ma appena mi capiterà, ti prometto che chiederò spiegazioni al riguardo alla sola persona che potrà darmi delle risposte giuste alle domande che mi hai rivolte.»

Fu tre giorni dopo che il re Iveonte rivide Kronel. Anzi, fu la diva a riapparigli all’improvviso, dopo che aveva trascorso un altro soggiorno presso il fratellastro Luciel. Dopo essergli apparso, gli domandò:

«Allora, mio prode Iveonte, come trascorri la vita attuale con la tua consorte e con tuo figlio? Secondo me, non dovreste avere alcun problema, adesso che c’è a rallegrarla il vostro marmocchio!»

«A proposito di lui, Kronel, io e Lerinda vorremmo chiederti perché egli non cresce come tutti gli altri bambini, con i suoi difetti e i suoi pregi umani. A mia moglie non ho fatto presente ancora che Urdo non è suo figlio. Come pure le ho tenuto nascosto che egli non è interamente umano. Ecco: questa è la mia convinzione! Altrimenti non riuscirebbe a fare ciò che agli altri bambini non è consentito.»

«In che senso, mio pupillo? Adesso non riesco a seguirti. Per favore vorresti palesarmi il tuo pensiero in modo che io non possa fraintenderlo? Sappi che il nostro espediente ha dato il risultato che ci aspettavamo, ossia la nascita di un tuo figlio del tutto umano.»

«Invece ti sbagli, Kronel. Sono sicuro che Urdo può essere solo figlio di noi due, ossia mio e tuo. Per cui egli è nato semidio. Lo dimostrano le sue doti speciali, che mette in mostra già adesso, pur essendo molto piccolo. Eppure si era parlato di un figlio normale, che avrebbe dovuto darmi un’altra donna! Quindi, non comprendo perché si è voluto trarre nel tranello una principessa estranea al nostro complotto, se poi la poveretta nemmeno me lo ha dato!»

«Davvero, dici, Iveonte? Mi meraviglio anch’io del fatto che ciò sia avvenuto. Si vede che in quel momento, avendomi tu eccitata sessualmente, non ci avrò capito più niente ed avrò cominciato a muovere le pedine sbagliate, quelle che ti hanno condotto ad inseminare me anziché la principessa di Statta. Comunque, quel che è fatto è fatto!»

«Ah, era di tale città la donna che ho dovuto possedere con nessun compiacimento e senza che fosse lei la madre di mio figlio! Ma ora come la risolviamo la faccenda? Rifacendo tutto daccapo? Allora mi rifiuto di avere un altro rapporto con la principessa stattese. Per cui ci teniamo il nostro Urdo. Ma vuoi dirmi qualcosa di più su un semidio ed integrare così la mia conoscenza che lo riguarda?»

«Non ricordo, mio pupillo, se in passato te ne abbia già parlato. Ad ogni modo, ora passo a riferirti su di lui in modo esaustivo. Ebbene, il semidio è un essere costituito da due componenti, una umana e un’altra divina. Per certi aspetti, la prima non è diversa dalla vostra, per cui può anche avvertire determinate esigenze proprie dell’uomo. Esse, però, al contrario dell’essere umano, non necessariamente devono essere soddisfatte, poiché il semidio può sopravvivere anche senza mangiare e senza bere; mentre, in relazione al sonno, esso, pur non essendo necessario, gli risulta molto giovevole. Quanto alla sua attività sessuale, essa si presenta uguale a quella dell’uomo; però egli risulta infecondo. Il suo corpo, invece, anche se è invulnerabile, invecchia e muore come quello di un essere umano. Solo che il suo invecchiamento avviene più lentamente, cioè le sue cellule impiegano un tempo quadruplo di quello delle cellule umane, prima che la morte le deteriori e le sopprima definitivamente. Perciò la sua esistenza si presenta più longeva.»

«Visto che non me ne hai parlato, Kronel, vorrei anche apprendere da te come la parte divina si comporta in lui.»

«Essa non muore, Iveonte; invece sopravvive al corpo materiale, anche dopo che questo è perito in una qualsiasi maniera. Ma non avendo più un corpo che la possa sorreggere, tale essenza è costretta a rinunciare ad un'esistenza attiva. Allora essa vaga nell’aria senza avere più una forma ed una coscienza; né può ritornare a far parte della divinità che l’ha generata. La natura di un semidio, come ti rendi conto, non ha niente a che vedere con quella di un dio, perché essa continua a restare un'entità indistruttibile, la quale non può smettere di essere cosciente e pensante per l’eternità. Penso che, a questo punto, tu abbia compreso ogni cosa sull’essere semidivino.»

«Hai ragione, mia diva protettrice. Oltre a rinfrescarle, hai anche ampliato le conoscenze che avevo sul semidio. Ma per un genitore qualunque non deve essere facile vivere con un figlio del genere, dopo averlo avuto da una divinità malefica, poiché egli, consapevole della sua natura speciale, può anche imporre al proprio padre ogni suo ordine che vuole. Può perfino costringerlo con la forza a fare ciò che è contrario ai suoi principi morali e religiosi. Non è vero forse che ho ragione?»

«Questo è vero, Iveonte; ma nel vostro caso non dovete preoccuparmene, risultando io la madre di tuo figlio. Ma se il genitore di un semidio perverso fossi tu, potrebbe mai egli avere ragione di te? Certamente no, visto che sei anche dotato dell’anello di mio padre.»

«Kronel, figlio o non figlio, io lo farei sparire per sempre dalla circolazione, senza perdere il mio tempo a contrastare con lui.»

«Sai cosa ti dico, mio pupillo? Perché non ci trasferiamo nel futuro per mettere un po’ di ordine fra i tanti popoli civilizzati, in mezzo ai quali regna un sacco di marciume? Una volta in mezzo a loro, sradicheremmo la piaga sociale e la corruzione politica, le quali vi sguazzano come se fossero in una vera cloaca.»

«Non se ne parli neppure, Kronel! Oramai ho deciso di trascorrere il resto della mia esistenza sul mio adorato pianeta Geo, dove potrò godere la compagnia di mio figlio e di mia moglie, che rappresentano gli esseri più preziosi della mia vita. Inoltre, vivendomi accanto, il mio Urdo crescerà sano fisicamente, moralmente, intellettualmente e spiritualmente. Così dopo la mia morte, succedendomi, governerà con saggezza sul popolo dorindano, rendendolo molto felice.»

«Se hai preso questa decisione, mio eroe insuperabile, allora mi toccherà ritornarmene in Luxan, dove renderò felici mio padre e le mie due madri. Che la tua vita, da oggi in avanti, cominci ad essere un fiume in piena di benessere e di serenità! Quanto alla mia spada, essa continuerà ad essere tua e ti consento di donarla al tuo figlio unigenito negli ultimi istanti della tua esistenza, prima che avvenga il tuo trapasso nel regno dei defunti. Addio, mio insuperabile eroe!»

«Addio, Kronel, mia indimenticabile diva protettrice! Che la tua esistenza nel Regno della Luce, accanto ai tuoi genitori e ai tuoi fratelli, ritrovi finalmente la serenità di un tempo!»

Dopo essersi lasciati con un malinconico addio, Kronel ed Iveonte si separarono, l’una per avviarsi verso Luxan e l’altro per raggiungere i suoi due familiari. I quali lo stavano aspettando con ansia per abbracciarselo e riempirlo di baci affettuosi.

FINE