477°-IVEONTE DEBELLA LA KOSMIVORA E SI DÀ AL RIPRISTINO DI KOSMOS

Dopo aver sgomberato davanti a sé la massa soverchiante della Kosmivora, la quale era costituita dalla sua parte tentacolata, Iveonte cercò di tenere in pugno la situazione, senza perderne il controllo. Ma perché non gli sfuggisse un fatto del genere, bisognava prima di tutto avere chiaro davanti a sé l’intero campo che si apprestava a diventare il teatro di battaglia, la quale si sarebbe dimostrata insostenibile da entrambe le parti. Perciò chiese al Potere Cosmico, ottenendolo all’istante, di poter disporre di una vista eccezionale, la quale gli facesse avvistare la sua avversaria dal posto in cui si trovava, riuscendo così a coprire una distanza pari ad un quadrilione di chilometri. Una volta avuto il campo libero nelle sue parti vicine e remote, per cui il suo sguardo poté spaziare per l’intera galassia di Paren, il giovane eroe terrestre fu in grado di scorgere la Kosmivora, benché si trovasse alla sterminata distanza che abbiamo riportata. Allora non ebbe più difficoltà a rendersi conto della sua grandezza sproporzionata e della sua avanzata apocalittica. Con la quale andava disseminando lo spazio galattico di scenari che impressionavano per il terrore e l’orrore che causavano. Inoltre, vi apportava uno sconquasso spaventevole, che toglieva la pace ai vari astri celesti.

La terribile creatura non dava la visione di una bestia smisurata con una propria foggia da poterla individuare, mentr’era in cerca di stelle, di pianeti, di satelliti e di quant’altro ci fosse in Kosmos, allo scopo di spazzarveli via tutti. Invece essa appariva come una fornace sempre ardente di attività, le quali producevano energie distruttrici intenzionate a fare di ogni spazio galattico da loro percorso un delirio di devastazioni senza fine. Nel medesimo tempo, quelle stesse energie, intanto che guizzavano da quella fonte di forze endogene che non smettevano di lievitarvi con rinnovata recrudescenza, davano uno spettacolo acustico e visivo di una espressione inimmaginabile. I rumori, a cui esse davano origine e che risultavano assordanti per l’orecchio di un Materiade, erano molteplici: a volte si esprimevano simili ad esplosioni vulcaniche; altre volte provocavano scoppi e rimbombi, che si disperdevano ovunque, dando luogo ad echi minacciosi e disturbatori. Ma se le si consideravano visivamente, potevano notarsi lampeggiamenti accecanti e sventagliate di rosseggianti fiamme, che apparivano scomposte ed azzannanti nella loro vorace volubilità. In pari tempo, formavano un groviglio di rivoli energetici, che avevano teste mostruose dalle fauci ingorde e profonde, in ognuna delle quali poteva essere fagocitato un’intera stella.

Adesso anche il dio Buziur, nelle vesti della Kosmivora, si era accorto di avere un rivale, la cui foggia era quella di un essere umano che presentava dimensioni gigantesche. Ma il Materiade appartenente al ceppo androide, più che impressionarlo, lo fece solo meravigliare; anzi, riteneva ridicolo il suo atteggiamento, poiché esso gli faceva intendere che si preparava ad affrontarlo. Egli credette che tale essere, da lui valutato insignificante al suo confronto, gli fosse stato inviato contro dagli eccelsi gemelli. La qual cosa, però, ugualmente non gli provocò né timore né disagio, siccome era convinto che la Kosmivora, che adesso lo rappresentava, non era pane per i suoi denti, a causa della sua insolita durezza, che era disposta a spezzare anziché farsi tritare. Poco dopo, però, ripensandoci, l’Imperatore delle Tenebre fece marcia indietro e non credette più che il suo sfidante fosse un inviato dei divini gemelli Locus e Kron; invece si persuase che si trattava di qualcuno che agiva in autonomia. A suo parere, le due eccelse divinità erano consapevoli che, se non potevano affrontarlo direttamente; a maggior ragione, non avrebbero potuto fare affidamento su creature da loro stesse generate, impegnandosi in modo indiretto contro di lui. Per il qual motivo, il suo pensiero a tale proposito per il momento andava indirizzato verso tutt’altra direzione.

Così si andava rivolgendo delle specifiche domande sulla presenza nella galassia Paren della nuova identità, la quale, a prima vista, era un essere la cui natura non era né spirituale né immateriale. Addirittura tale essere risultava di natura umana, per cui era da considerarsi un’infima essenza, anche se si presentava ragionevole e dotato d’intelligenza. Chi gli aveva dato l’esistenza? Da dove era sbucato fuori? Perché cercava d’intralciargli il percorso, mentr’era intento ad avanzare nella nuova galassia, lasciando dietro di sé scie di scombussolamento e di distruzione a tappeto? Come aveva fatto ad averla vinta contro i suoi tentacoli, che erano deputati ad attrarre nel proprio nucleo le divinità positive e svolgevano mansioni destabilizzanti contro qualsiasi specie di astri celesti? Comunque, le sue erano domande, a cui non era semplice improvvisare delle risposte più o meno giuste. Difatti alcune cose inerenti ad esse non facevano parte di Kosmos. Per cui il dio della superbia non poteva concedersele per proprio volere, pur ricorrendo ai suoi iperpoteri secondari. Ciò, perché era all’oscuro da sempre di alcuni eventi, che si erano svolti da poco dietro le quinte e che soltanto un esiguo numero di divinità conoscevano. E il lettore sa a quali fatti ci si riferisce, avendo essi coinvolto in prima persona Iveonte. In verità, vi avevano agito in maniera secondaria gli eccelsi gemelli e il dio Iveon, perché l’eroe umano ne prendesse consapevolezza ed avesse la loro collaborazione nel superare i passi iniziali della vicenda. La diva Kronel non era stata di nessun aiuto al suo pupillo; ma ne era stata messa al corrente dal divino genitore.

Stando così le cose, il dio Buziur dovette arrendersi ed evitò di porsi altre domande relative all’essere, che si affrettava a scontrarsi con lui. Allora decise di prepararsi a riceverlo come meritava, poiché si mostrava uno sfrontato Materiade, il quale si atteggiava a vincitore dell’incombente combattimento, quando invece non lo aveva ancora vinto. Anche Iveonte si stimava pronto per la lotta contro la Kosmivora, che in realtà aveva già iniziata, quando l’aveva privata della sua parte tentacolata. Questa volta, però, essa si sarebbe dimostrata ben altra cosa, poiché la si sarebbe vista acuirsi ed inferocirsi all’ennesima potenza, essendo a confronto due poteri dalle illimitate risorse. I quali se ne sarebbero serviti senza farsi scrupolo alcuno e con l’intenzione di far capitolare l’avversario, dopo averlo messo a duro cimento ed avergli dato il benservito.

Il primo a tirare fuori le unghie fu l’Imperatore delle Tenebre, che decise di far pervenire al suo sfidante una massa nebulosa bluastra, la quale era anche pregna di energie avvinghianti. Essa aveva due obiettivi: con il primo, intendeva avvolgerlo in una fitta nebbia; con il secondo, mirava ad immobilizzarlo, precludendogli ogni sua azione ostile. A parere del dio della superbia, dopo averlo costretto all’immobilità, avrebbe potuto fare del suo avversario ciò che più gradiva. Da parte sua, Iveonte, all’arrivo di quella immensa massa, la quale si mostrava voluminosa quanto la più grande delle stelle, Iveonte, senza perdere tempo, si preoccupò di fare intervenire contro di essa il suo potere, dandosi a gridargli: “Potere Cosmico, procedi contro tale massa energetica come ritieni più opportuno, siccome si tratta di un prodotto del male.”

Allora il portentoso potere all’istante fece partire dalla fronte del suo possessore una fascia rossastra. Questa, dopo essersi srotolata per migliaia di chilometri, se ne staccò e si diresse verso la massa che si avvicinava. Dopo averla raggiunta, si affrettò a cingerla, formandole intorno numerose spire. Le quali, ad un certo momento, prima ne frenarono la corsa e poi iniziarono a serrarla all’interno di azioni costrittive, che non concedevano via di scampo. Anzi, esse si davano a racchiuderla in uno spazio sempre più ristretto, fino a quando non la videro ridotta a niente, facendola così sparire. A quella nuova dimostrazione messa in mostra dal suo rivale, la quale aveva reso la sua massa nebulosa qualcosa d’inesistente, il dio Buziur, oltre ad adirarsi, si era sentito parecchio scornato. Nel frattempo non si capacitava del fatto che un essere umano potesse possedere un potere del genere. Anzi, esso era in grado perfino di azzerare un suo prodotto energetico, dopo averlo fronteggiato ed arrestato. Perciò si chiedeva da cosa egli riuscisse ad attingere quella straordinaria potenza, la quale gli permetteva di aver ragione di ciò che egli andava mettendo in campo, pur di liberarsene al più presto.

Ma ogni suo tentativo di venirne a conoscenza era frustrato dalla propria impotenza, poiché si ritrovava a gestire una situazione che, come notava, per un caso strano esorbitava dalle proprie possibilità. Eppure avrebbe giurato che in Kosmos, dopo essersi trasformato in Kosmivora, nessuna divinità sarebbe stata all’altezza di misurarsi con lui; tantomeno avrebbe potuto farlo un Materiade della specie umana. Al contrario, esattamente quest’ultimo gli stava dimostrando con i fatti che si era sbagliato a pensarla in quel modo, non avendo previsto una circostanza di quel tipo, che lo stava mettendo con le spalle al muro. Allora bisognava cambiare tattica, se voleva aver ragione del suo sfidante e dominarlo nella giusta misura per distruggerlo e per far disperdere ogni sua minima traccia, come se in Kosmos non ci fosse mai stato. A suo parere, non gli sarebbero mancati i mezzi per farlo, avendo ora a sua disposizione un potere illimitato, il quale non lo avrebbe fatto fallire in qualunque decisione avesse voluto prendere e non lo avrebbe deluso in qualsiasi impresa avesse voluto imbarcarsi. Perciò non doveva attardarsi ad esprimersi contro il suo rivale con quelle forze necessarie per sconfiggerlo e polverizzarlo, affinché nessuno potesse vantarsi di averla avuta vinta contro di lui. Alla parte avversa, invece, erano ben altre le intenzioni che frullavano per il capo, le quali miravano a conseguire degli obiettivi che erano diametralmente opposti ai suoi.

Iveonte si era prefissa una meta molto differente ed intendeva tagliarne il traguardo a tutti i costi, poiché la considerava una nobile missione, che egli non poteva fallire. Anche perché, soltanto per potere intraprenderla, aveva dovuto affrontare e battere cinque supereroi, che erano stati i guerrieri più straordinari di Kosmos. I quali gli erano costati non pochi sacrifici per riuscire a domarli e a conquistare la parte di Potere Cosmico in loro possesso. Adesso che ne era diventato lui l’unico possessore, egli non poteva permettere alla Kosmivora di continuare a scompigliare l’universo, come appunto stava facendo. Per la verità, essa si dava alle più sadiche mutilazioni che provocava nell’intero creato, facendoci andare di mezzo tutti i diversi tipi di astri e le miriadi di Materiadi che vivevano sulla superficie di alcuni di essi, privandoli dell’esistenza. Prima, però, li immetteva in un tunnel, nel quale ansie, paure, sgomenti potevano durare da pochi secondi a delle ore intere, a seconda del tempo che ci metteva a morire l’astro spento su cui essi conducevano la loro vita in pericolo. Difatti quest’ultimo, in seguito ad un impatto con un altro astro oppure ad un inglobamento da parte di una stella, poteva andare incontro ad un destino di durata maggiore nel primo caso oppure di durata minore nel secondo caso.

Quindi, tirando le somme, dopo tutto quanto aveva fatto per trovarsi in quella situazione, gli era giocoforza intervenire contro il superbo Imperatore delle Tenebre per costringerlo alla resa dei conti e per forzarlo ad intraprendere l’unico viaggio che gli si prospettava davanti, ossia quello che gli faceva raggiungere direttamente Tenebrun. Perciò Iveonte, consapevole di una tale realtà, adesso volava in direzione della Kosmivora, al fine di arrestare la sua corsa demolitrice di ogni prodotto cosmico. Essa continuava a perseguirla con una perfidia così ignobile, da non poter essercene un’altra peggiore. Intanto poi che era lanciato contro la mostruosa creatura, superando milioni e milioni di chilometri, si riprometteva di portare a termine assai presto l’opera di salvamento che aveva appena iniziata in Kosmos, allo scopo di restituirgli l’integrità di prima. La quale gli era stata portata via dalla malefica e pestifera bestia rappresentata dal dio della superbia.

Per un sesto senso, il divino Buziur aveva presentito che da quell’essere umano, il quale lo stava sfidando, poteva attendersi qualche pericolo che neppure gli eccelsi gemelli avrebbero potuto costituire per lui. Anche perché egli non aveva una psiche che si lasciava attrarre dal suo influsso irresistibile, come avveniva con le divinità positive. Perciò doveva darsi da fare e macchinare contro il proprio rivale le insidie più perniciose ed ingannevoli, che fossero capaci di procurare la sua rovina, sperando così di uscire vincitore dal conflitto in atto. Come secondo espediente, quindi, dopo che la massa nebulosa aveva fallito, per non aver funzionato secondo le sue aspettative, l’Imperatore delle Tenebre stabilì di ricorrere ad un cordone energetico spiraleggiante. Il quale, attorcigliandosi intorno al suo rivale, avrebbe dovuto sfibrarlo ed ottundergli l’ingegno. Nello stesso tempo, gli avrebbe dato anche l’impressione di stare a volare in uno spazio brumoso che gli offuscava la vista, oltre che svigorirne la mente. Ma egli era all’oscuro che esisteva un Potere Cosmico e che in esso era riposta la forza energetica numero uno, a cui nessun’altra poteva opporsi in maniera vittoriosa; al contrario, era essa a dettare legge ad ogni altra energia esistente in Kosmos. Inoltre, una forza di quel tipo in tale momento veniva addirittura gestita da chi gli si anteponeva come sfidante irriducibile.

Il nuovo intervento della Kosmivora, almeno all’inizio, fece trovare Iveonte spiazzato e in una situazione precaria, poiché lo attraversò lungo l’intero suo corpo all’interno di una forza a forma di spirale. La quale non smetteva di dare alle sue spire un movimento sfuggevole, intanto che sgusciavano con una rapidità inverosimile l’una dietro l’altra, come se si stessero rincorrendo. Così facendo, esse lasciavano sprigionare lungo il loro moto rotatorio energie di alto potere, che avevano lo scopo di rintronargli il cervello e di asservirlo al massimo disorientamento. Non si astenevano neppure dal farlo ritrovare in una specie di coltre fumosa, che gli annebbiava la vista e lo tormentava con sensazioni deprimenti e disgustose. Ma il giovane eroe, essendo stato preso alla sprovvista, fu costretto a sorbirsi quel nuovo stato di cose affatto confortevole. Infatti, esso gli suscitava intorno mille difficoltà e l’obbligava a condurre un’esistenza vacillante, siccome veniva ad imprigionarlo in una ragnatela di frastuoni assordanti e di sinistre folgori accecanti. Per cui, anziché lanciarsi con spirito combattivo contro la parte avversa, cercava di sbrogliarsi da quella assurda situazione in cui risultava impelagato.

Una circostanza del genere, però, non durò a lungo, visto che, ad un certo punto, Iveonte prese coscienza che non era lui che doveva far fronte a tale strano fenomeno acustico e visivo, per cui non stava a lui districarsene con un intervento efficace, il quale gli avrebbe anche comportato una perdita di tempo. Invece doveva demandare al Potere Cosmico l’abbattimento di quella sporca faccenda che la Kosmivora gli aveva affibbiata, appunto per distrarlo dalla sua azione punitiva. Allora, senza indugiare oltre, Iveonte si rivolse al prodigioso potere, che adesso era riposto nelle sue mani, e gli gridò forte: “Potere Cosmico, pensaci tu a mettere fuori combattimento le avverse forze della mia nemica, la quale mi sta frastornando con il suo comportamento sleale, pur di non consentirmi uno scontro fisico bilaterale fondato sulla lealtà. Ciò, solo perché esso la costringerebbe ad avere la peggio e a darsi alla fuga verso le tetre regioni di Tenebrun.” Dopo che il giovane ebbe formulato quel desiderio, si scorse un flusso di energia venir fuori dalla sua fronte, sotto forma di una miriade di pallini rossi, che subito si diedero a spargersi nello spazio circostante. Solo quando ne uscì fuori la quantità necessaria, essi si diedero ad inserirsi nella spirale emessa dalla Kosmivora, arrestando prima il suo moto e poi sgretolandola in infiniti pezzi energetici. Alla fine li sollecitarono a sparpagliarsi per lo spazio galattico e a perdersi per sempre in un tempo che aveva già smesso di esistere.

A quel punto, Iveonte si ritrovò ad essere fisicamente, psichicamente e spiritualmente sano, senza più subire l’influsso malefico del dio Buziur. Allora, determinato al massimo, egli riprese la sua volata in direzione della mostruosa creatura rappresentata dal dio Buziur, avendo intenzione d’impartirle la punizione che si meritava. Ma questa volta non ci sarebbero stati più, da parte della sua avversaria, vari marchingegni aventi lo scopo di eludere oppure di ritardare lo scontro, che il giovane intendeva imporle ad ogni costo. Il Potere Cosmico, per espresso volere del suo possessore, non glieli avrebbe più permessi, poiché li avrebbe neutralizzati sul nascere e fatti restare inattivi in lei stessa, quando ancora restavano desideri di disegni da attuarsi.

Messo alle strette, il dio della superbia appariva disorientato; anzi, si andava chiedendo qual era la vera natura del suo antagonista e quale potere ci fosse in lui, poiché entrambe le cose gli erano ignote. Era possibile che egli fosse dotato di un potere superiore al suo, che neppure i due eccelsi gemelli erano riusciti ad annientare? Ad ogni modo, sebbene ne dubitasse, doveva evitare di escluderlo a priori, se non voleva ritrovarsi con l’acqua alla gola. Anche perché il giovane gli aveva dimostrato l’indubbia sua validità in due diverse circostanze, ossia quando aveva fatto svanire la massa nebulosa e la spirale energetica da lui messe in atto contro chi lo stava affrontando. Poco dopo dovette soprassedere a tali sue domande, poiché doveva badare a ricevere il suo sfidante, dal momento che costui si avvicinava con una rapidità incredibile. Era sua intenzione, infatti, preparargli una trappola coi fiocchi, da cui egli difficilmente sarebbe riuscito a districarsi e a salvarsi, dovendogli risultare un’insidia deleteria. Ma se l’Imperatore delle Tenebre era convinto d’intrappolare Iveonte con una propria tagliola annientatrice, l’eroe umano non la pensava alla sua stessa maniera, visto che era lui a voler procedere in tal senso, tendendogli un agguato che non si sarebbe mai aspettato. Con esso, una volta che ci fosse caduto, non gli avrebbe dato modo neppure di ricorrere ad una scappatoia che gli consentisse di uscirne.

Così, quando lo scontro apparve inevitabile e si presentava irrimandabile, fu la Kosmivora a fare la prima mossa, con la quale essa tese a tentare il tutto per tutto contro il suo ardito avversario. A suo parere, giocandosi l’ultima carta, indubbiamente egli avrebbe dovuto metterlo in ginocchio, senza avere più la forza di rialzarsi. Ma, in effetti, come intendeva agire nei suoi confronti, se voleva portare avanti la sua battaglia in modo vittorioso? Lo sapremo ben presto.

In un passato molto recente, abbiamo appreso che il dio Buziur, con l’intento di trasformarsi in una nuova Deivora, che poi sarebbe stata soprannominata Kosmivora dai due illustri gemelli di Luxan, si era trasferito in Parakosm, dove aveva incontrato il suo unico abitante, di nome Fust. Da lui era venuto a conoscenza dell’esistenza di un’acqua speciale, detta Acqua Doppiante, la quale sgorgava da una polla che si scorgeva ad un paio di metri di distanza da lui, di preciso sul suo lato destro. Tale acqua dotava chi l’attraversava di una sua copia conforme avente le seguenti prerogative: la trasferibilità, la dissolvenza progressiva sfuggente, l’azione proliferativa. Allora l’autorevole dio negativo non aveva esitato a farsi bagnare dall’Acqua Doppiante, per cui aveva acquisito all’istante una copia di sé stesso, che avrebbe potuto orchestrare in seguito a suo piacimento, tenendo conto delle sue speciali prerogative. La prima delle quali, avrebbe potuto farla trovare in qualunque posto avesse voluto; la seconda, invece, l’avrebbe dissolta, se fosse stato necessario; la terza, infine, ne avrebbe ottenuto un’infinità di copie, che sarebbero andate a sistemarsi nei più svariati luoghi di Kosmos.

Il dio Buziur, però, adesso era propenso ad approfittare della sua azione proliferativa, che era la sua terza prerogativa, poiché in questo modo avrebbe messo in difficoltà il suo sfidante, non sapendo egli quale delle infinite Kosmivore fosse quella reale per colpirla e chiudere così la partita con essa. In virtù di tale sua possibilità di avere una copia di sé stesso e di poterne ricavare un’infinità di copie per farle trovare nei luoghi più disparati, il dio della superbia non perse tempo a sdoppiarsi, dando luogo ad una coppia di Kosmivore, delle quali una sola era quella reale. Dalla copia irreale aveva poi ottenuto un consistente numero di copie, collocandole in vari punti della galassia, che erano molto distanti tra loro. Così agendo, egli era sicuro di aver messo in grande difficoltà chi era sul punto di attaccarlo con un suo primo lancio di forze energetiche dotate della massima distruzione, facendolo trovare nella situazione di non capirci più niente. Dopo, mentre il suo nemico se ne restava sorpreso e confuso, con il dubbio che gli si leggeva negli occhi, si diede a scagliare contro di lui un’intera stella, volendo vederlo liquefatto nella sua massa incandescente. Una volta che la ebbe lanciata, il dio della superbia, nel posto dove c’era la Kosmivora originale, fece trovare una sua copia. Invece lui si defilò al tiro di risposta dell’avversario, il quale risultò nullo, per aver colpito una copia della sua mostruosa creatura. Quando poi si fu convinto che quel suo espediente rappresentava una vera trappola per il suo sfidante, egli seguitò a ricorrere ad esso. Per cui anche gli altri lanci di stelle iniziarono a susseguirsi, a breve distanza di tempo l’uno dall’altro.

Intanto che esse avanzavano vorticose per la sterminata galassia, quest’ultima si trasformò in un qualcosa di raccapricciante, poiché i tanti corpi stellari che l’attraversavano l’avevano ridotta in una ridda di giganteschi falò. Alcune volte essi si scontravano e davano luogo a degli spettacoli terribilmente agghiaccianti. Anzi, al termine del loro impatto disastroso, da smisurate masse avvampanti, finivano per diventare miriadi e miriadi di faville. Le quali si diffondevano in ogni angolo dello spazio galattico, dove si spegnevano e cessavano di esistere, almeno nelle sembianze di piccoli luccicori. In tutto quel soqquadro di devastanti esplosioni, nel quale dominavano luci sinistre ed abbarbaglianti, ad un certo momento, l’eroe terrestre si trovò nella situazione di non essere più in grado di reggere all’attacco della Kosmivora dai mille volti. La quale non si faceva individuare nel punto esatto della galassia dov’essa si collocava realmente, per cui rendeva impossibile alla sua parte avversaria di colpirla e di metterla fuori gioco. Perciò essa adesso si sentiva di stare in una botte di ferro, dove nessun pericolo poteva raggiungerla ed inferirle il colpo mortale, il quale le avrebbe così provocato due effetti sommamente negativi. Con il primo, avrebbe privato l’Imperatore delle Tenebre del suo abito mostruoso ed invincibile; con il secondo, invece, lo avrebbe costretto a ritornarsene in Tenebrun, privato del tutto della possibilità di un suo futuro rientro in Kosmos.

Venuto ad essere in quel suo stato disagiato, Iveonte stabilì di rinunciare al suo scontro diretto con la Kosmivora e di demandare al suo prezioso potere la soluzione della loro controversia. Per questo gli impartì la seguente direttiva: “Potere Cosmico, avendo essa rinunciato a scontrarsi con me direttamente e avendo anche scelto di non essere leale nel nostro combattimento, voglio che sia tu a vedertela con lei, dandoti mandato di distruggere ogni forza malefica situata entro i confini di questa galassia!” A quella disposizione impartita da Iveonte, il Potere Cosmico si mise subito all’opera per soddisfare il suo volere nel modo migliore. Così fece partire dalla fronte del suo possessore una specie di bruma giallognola trasparente, la quale, in un attimo, si espanse per l’intera galassia, che era quella di Paren, dove il contrasto era in atto. Dopo che la ebbe presa sotto il suo dominio, fece pervenire alla Kosmivora una massa nerastra, che si affrettò ad avvolgerla e a neutralizzarne ogni obiettivo perverso. Infine la fece esplodere in miliardi di pezzi, che presero il volo verso tutte le parti circostanti, fino a sparire totalmente.

Per ovvie ragioni, il dio Buziur, in qualità di essere divino, rimase illeso dall’esplosione; ma ne uscì ben conciato, poiché la sua psiche si ritrovò ad essere inadatta ad esistere in Kosmos. Per tale motivo, fu costretto a riparare al più presto in Tenebrun, se non voleva vivere fra grandi disagi, che gli avrebbero scombussolato l’esistenza. In verità, la sua nuova psiche sarebbe restata tale per sempre e non sarebbe stato mai più possibile per il dio negativo rifarsi una nuova psiche capace di fargli affrontare un viaggio cosmico per niente disagiato. Ne conseguiva che gli eccelsi gemelli non erano più tenuti a controllare perché non avvenisse mai il suo ingresso in Kosmos. Infatti, il Potere Cosmico lo aveva privato di una simile prospettiva per la parte restante della sua eternità.

A proposito di un particolare del genere, essi ne stavano parlando con grande soddisfazione, visto che avrebbero smesso, una volta per tutte, di fare da guardiani all’Imperatore delle Tenebre, perché egli non venisse tentato di lasciare Tenebrun e di avventurarsi in Kosmos. In quel caso, avrebbero avuto il dovere di fargli passare un brutto quarto d’ora. Adesso che ci riportiamo a loro due, era il dio dello spazio ad esprimersi al gemello in questo modo:

«Hai visto, Kron, come è stato bravo l’eroe terrestre nell’aspra sua disputa con il dio della superbia? Sebbene costui abbia cercato di metterlo alle corde, dopo che è ricorso alla sua azione proliferativa ed ha cercato perfino di colpirlo a tradimento, Iveonte se l’è cavata piuttosto bene. Da una parte, ha retto egregiamente al suo atteggiamento sleale; dall’altra, egli è riuscito a trovare la strada giusta per venirne fuori con acume e con successo, facendo agire al posto suo il Potere Cosmico. Il quale, riducendo malissimo Buziur e facendolo scappare nel Regno delle Tenebre, ha reso un grande favore pure a noi, poiché non dobbiamo più darci a controllarlo ad ogni istante.»

«È tutto vero quello che dici, fratello Locus. Il pupillo di mia figlia Kronel si è battuto in maniera elogiativa e può soltanto meritarsi la nostra stima, oltre che la nostra gratitudine, per il suo comportamento assunto durante la sua difficile prova. La sua vittoria, in un certo senso, è risultata anche a nostro vantaggio. Ma ora bisognerà vedere come saprà cavarsela, quando metterà mano al ristabilimento dell’intero Kosmos danneggiato, riportandolo all’originario suo stato. Anche perché, dopo che ciò sarà avvenuto, grazie specialmente all’intervento del Potere Cosmico, le divinità positive che vi vivevano faranno ritorno nel Regno della Materia e del Tempo. Tra loro ci sarà anche la mia quartogenita, la quale non vede l’ora d’incontrarsi con il suo eroe terrestre e di abbracciarselo, essendo stata costretta a stargli lontana. Esse tutte non aspettano altro che venga ridata a Kosmos l’integrità fisica di un tempo, essendo desiderose di ritornare sull’astro spento da loro abitato.»

Dopo che l’incontrastabile potere ebbe fatto sparire dallo spazio cosmico la Kosmivora e tutte le sue copie, Iveonte si trovò ad essere il solo a spaziarvi con la sua enorme potenza. Allora la sua foggia ritornò ad essere quella naturale, mentre sfrecciava attraverso l’infinità cosmica e si mostrava soddisfatto dell’operazione condotta a termine dal suo potere straordinario. Nello stesso tempo, si rendeva conto di quante galassie erano state private dei loro astri, per cui in esse regnava il vuoto assoluto. Anche la sua Lactica non si riconosceva più, non avendo più a renderla spettacolare le sue stelle, le sue comete, i suoi pianeti, i suoi satelliti e i suoi asteroidi, tutti dediti alle loro rotazioni e rivoluzioni oppure ai loro moti erranti senza fine. Quando poi prese coscienza che all’universo occorreva una spinta miracolosa che lo riportasse al suo stato di origine, Iveonte, in relazione tanto allo stato degli astri quanto a quello degli esseri animali e vegetali che vi erano esistiti, si adoperò perché venisse recuperata la folla dei corpi celesti andati perduti e vi ritornassero alla vita ogni cosa ed ogni essere vivente che un tempo vi esistevano. Ma perché in Kosmos si avesse un prodigio del genere, egli dovette rivolgersi di nuovo al suo potere e dettargli il seguente ordine: “Potere Cosmico, siccome non esorbita dalle tue facoltà di ottenere il prodigio che sto per invitarti a compiere, innanzitutto desidero che in Kosmos ogni astro ed ogni cosa su di esso, perfino il più piccolo granello di sabbia, ritornino ad esistere nello stesso posto che prima li ospitava. Esaudito tale mio desiderio, seguirà il mio secondo ordine.”

Allora dalla fronte di Iveonte venne fuori una energia prodigiosa, sotto forma di un velo trasparente di colore verde pallido, la quale, in un attimo, si propagò per l’intero universo. Da tale energia, poco dopo, scaturì una moltitudine immensa di bolle rosa, le quali, dopo essersi congiunte, formarono un’unica massa infinita, che ebbe vita breve. Ma quando ogni chiazza di tale colore venne meno, non esistevano più nello spazio cosmico le amputazioni e le imperfezioni di un tempo, poiché vi era avvenuta la restitutio in integrum.

A quel punto, Iveonte passò ad impartire al medesimo potere il successivo ordine, il quale fu il seguente: “Potere Cosmico, adesso voglio che su ogni pianeta tagliato per la vita, gli esseri vegetali ed animali, compresi i Materiadi, vi ritornino ad essere gli stessi di prima, quando il cataclisma cosmico non c’era ancora stato per tutti loro e l’armonia vi regnava sovrana.” Questa volta dalla fronte di Iveonte uscì una diversa energia portentosa di colore rosso, anch’essa trasparente, la quale invase l’universo ed andò avvolgendo i pianeti e i satelliti che vi esistevano. Quando infine si ritrasse da tali astri spenti, sulla loro superficie la vita aveva ripreso il suo ritmo di sempre, come se nulla fosse accaduto prima di allora. Allora l’eroe terrestre ne fu molto lieto. Poi, ringraziando il Potere Cosmico per la sua stupenda opera effettuata nel Regno della Materia e del Tempo, gli si espresse così: “Ora, Potere Cosmico, riportami a Dorinda, prima che ti consenta di congedarti da me!”

Da parte sua, l’insuperabile potere subito assecondò il suo desiderio; però lo fece ritrovare all’esterno delle mura di Dorinda. In quel posto, Iveonte subito prese coscienza di essere privo sia di un cavallo che della sua spada. Inoltre, non avendo più l’anello del dio Kron, non poteva neppure volare per raggiungere celermente i suoi genitori, la sua ragazza e i suoi amici. Quindi, gli occorreva procedere a piedi, se voleva incontrarli ed abbracciarli tutti, come appunto fece.