475°-LA KOSMIVORA RAGGIUNGE LACTICA E DISINTEGRA IL PIANETA GEO

Nel frattempo che il dio Buziur, sotto le spoglie della Deivora, in Kosmos si dava a fare strage di corpi celesti appartenenti alle galassie che incontrava, i divini eccelsi gemelli avevano avvertito la necessità d’incontrarsi di nuovo, dopo che avevano inviato a tutte le divinità positive il messaggio di rifugiarsi in Luxan. Questa volta era stato il dio Kron a condursi nella dimora del dio dello spazio, volendo abboccarsi con lui e discutere su quanto stava accadendo nel Regno della Materia e del Tempo. Ve lo aveva trovato, mentre conversava con la moglie Seles, la quale era la dea della concordia. Ma poi si era appartato con il proprio gemello nel suo appart ed insieme avevano intrapreso un colloquio fitto di domande e risposte. Era stato il dio del tempo a rivolgersi a lui per primo, facendogli presente:

«Quel perverso di Buziur, fratello, sta esagerando nel devastare una parte di Kosmos, intanto che vi avanza senza farsi scrupolo di alcunché. Approfitta del fatto che noi adesso non possiamo contrastare la sua avanzata sconsiderata e rigettarlo in Tenebrun. Si vede chiaramente che egli è cieco d’ira ed è spinto da un odio profondo ad agire come sta facendo, come se si stesse vendicando di un torto da noi subito. Non pensi anche tu la medesima cosa, mentre è intento alle sue devastazioni, travolgendo le galassie, una dopo l’altra, con tutto il loro materiale astrale? A me dà proprio questa impressione!»

«Ne sono convinto anch’io, Kron. A mio avviso, il dio della superbia si sta proprio vendicando di noi, dopo che gli condannasti il figlio quartogenito Furor alla pena che conosciamo. Per sua fortuna, egli ha pure trovato il modo di attuare la sua vendetta, per cui si sta vendicando di noi senza correre alcun pericolo. Ma ora che le cose si sono messe come egli ha desiderato, oltre all’espediente che ci ha permesso di mettere in salvo la maggioranza delle divinità positive residenti in Kosmos, mi dici cos’altro ci è possibile fare, che possa risultargli avverso e punitivo?»

«A quanto sembra, Locus, non ci possiamo muovere in alcun modo, al fine di nuocergli. Per questo noi speravamo che l’umano Iveonte riuscisse ad impossessarsi del Potere Cosmico e ci togliesse così le castagne dal fuoco. Invece, a tutt’oggi, egli non ha dato notizie di sé. Non ha saputo dirmi niente di lui neppure Iveon, quando mi sono messo a contatto con lui. Mi ha risposto che l’eroe umano non era ancora rientrato da Potenzior, da quando gli era stato consentito di entrarvi. Perciò non ci resta che vedercela da noi, tentando quel minimo che ci è permesso per rallentare la sua avanzata annientatrice.»

«Allora, fratello Kron, diamoci ad una elaborazione di un piano, il quale ci dia almeno la soddisfazione di frenare la sua stizza e di provocargli il massimo rallentamento. Così facendo, limiteremo i danni che la Kosmivora sta provocando in tante galassie e le ritarderemo l’arrivo a quella di Lactica, visto che il pupillo di tua figlia non si è ancora fatto presente in Kosmos per salvarla dalla sua minaccia. Se l’invincibile bestia vi giungesse prima, non gli farebbe trovare più Elios, che è la stella che illumina e riscalda il suo pianeta Geo. Ovviamente, anche quest’ultimo, con tutte quante le persone che abitano sulla sua superficie, verrebbe disintegrato, divenendo un grande ammasso d’infiniti asteroidi in giro senza fine per la realtà cosmica.»

«Non è facile, quanto proponi, Locus. Il nostro intervento risulterebbe zero. L’Imperatore delle Tenebre oramai, dopo che ha assunto il ruolo di Kosmivora, in Kosmos è libera di fare tutto ciò a cui agogna, poiché non può essere più fermato da nessuno, compresi noi due. La nostra speranza si fondava esclusivamente sull’eroico Iveonte, dopo essere diventato il nuovo padrone del Potere Cosmico. Ma siccome egli tarda a ritornare da Potenzior vittorioso e in possesso del prodigioso potere, non possiamo che assistere impotenti alla disastrosa avanzata della mostruosa creatura. Dobbiamo prenderne atto!»

«Non ti riconosco più, fratello Kron. Non avrei mai immaginato una tua arrendevolezza di fronte ad un ostacolo, avendoti sempre considerato il dio dalle mille risorse, che non dà mai partita vinta a nessuno, fatta eccezione dell’onnisciente Splendor. Dunque, dove è andato a finire quel tuo spirito irriducibile e pervaso di ardore combattivo? Un tempo giammai si sarebbe potuto pensare ad una sua resa, davanti ad uno scoglio che fosse venuto a trovarsi sulla sua strada. Fosse esso anche di una difficoltà insormontabile!»

«Quello spirito, a cui ti sei riferito, Locus, è rimasto sempre in me, come vi esiste tuttora, e giammai potrai scorgerlo sbiadito, poiché la vitalità non smette mai di padroneggiarlo. Purtroppo, sebbene continui a rimanervi lo stesso, esso si mostra impotente a combattere contro la Kosmivora, almeno se mi propongo di prenderlo di petto.»

«Ma io, Kron, non ti chiedevo di avere un confronto diretto con essa, essendo sicuro che non avresti retto ad esso. Invece ti invitavo a ricorrere ad un diversivo capace di rallentare la sua avanzata in Kosmos, facendogli così destabilizzare il meno possibile ogni suo contenuto astrale, come le stelle, i pianeti, i satelliti e gli altri astri. In un certo senso, il tuo dovrebbe essere un escamotage diretto a limitare i suoi danni catastrofici nella realtà cosmica, almeno fino al ritorno in essa del pupillo di tua figlia. Mi hai compreso, fratello? Tu hai il dominio del tempo e puoi giostrare con esso come vuoi, senza che il dio della superbia possa avere qualche profitto nel cimentarsi con la qualità temporale. Non è forse vero che non mi sbaglio, a pensarla in questa maniera? Perciò impégnati a fondo in tal senso e cerca di raccogliere almeno qualche successo!»

«Adesso che ci medito sopra, fratello Locus, il tuo suggerimento mi spinge a ricorrere ad un espediente di alto livello, come quello che già un tempo ho avuto modo d’inventare e di sperimentare. Allora si trattò di fare viaggiare Iveon attraverso l’Impero dell’Ottaedro, precisamente nella circoscrizione del kapius Brust, travisando il tempo per le sole divinità che vi risiedevano. Queste ultime, infatti, riuscivano a scorgere le vicende che erano accadute il giorno prima; invece ignoravano completamente quelle che avvenivano nel loro presente.»

«Come constato, Kron, ora finalmente sei riuscito a ritrovare il vero te stesso avente la medesima combattività di un tempo. Per questo mettiti in azione e fai vedere a quel presuntuoso dell’Imperatore delle Tenebre chi sei e che anche tu puoi creare a lui dei seri problemi, se proprio sei costretto a dargliela vinta. Orsù, datti da fare, fratello mio!»

«Fammi prima impostare il mio piano strategico a regola d’arte, Locus; altrimenti il mio intervento si rivelerà una bolla di sapone, la quale farà soltanto sghignazzare il nostro antipatico nemico!»

Prima di cominciare a seguire lo stratagemma del dio del tempo, mentre si effettua nella sua concretezza, occorre conoscere come esso si manifesterà nella sua reale esplicazione e renderci così conto del modo in cui esso funzionerà in Kosmos. In effetti, bisogna cercare di comprendere in cosa consisterà l'intervento del dio Kron, anche se già prevediamo che il suo obiettivo sarà la trasformazione del tempo da presente a passato, per il numero di volte da lui desiderato. Ma essa coinvolgerà la sola Kosmivora, mentre sarà intenta ad annientare intere galassie. A tale proposito, conviene rinfrescarci le idee sulle prerogative del dio del tempo. Di norma, il tempo e lo spazio procedevano di pari passo, in una corrispondenza biunivoca. Essi, quindi, formavano un connubio indissolubile, nel quale ogni sezione dell’uno era in rapporto con una sezione corrispondente dell’altro e con nessun’altra. Ne derivava che voler visionare una sezione spaziale, senza trovarsi anche nella sua correlativa sezione temporale, era come pretendere l'impossibile. Soltanto il divino Kron, in quanto suo dominatore, poteva produrre nel tempo un effetto ritardante od accelerante, in modo da dare ad una determinata circostanza dello spazio una rappresentazione distorta, ossia difforme da quella reale. In una situazione del genere, gli avvenimenti, susseguendosi gli uni agli altri, sarebbero accaduti prima o dopo il loro tempo. Per questo ogni fatto sarebbe risultato impercettibile a chi si trovava a visionare lo spazio da una sezione temporale differente. In quel caso, esso sarebbe stato captato da un tempo diverso. Quest’ultimo poteva essere passato, se lo si voleva ritardante; oppure futuro, se lo si voleva accelerante. L’uno e l’altro, però, non si mostravano per niente consoni al loro presente reale.

In realtà, il dio Kron aveva deciso d’imporre al tempo un’azione ritardante, facendo in modo che la Kosmivora, senza che se ne accorgesse, si desse a distruggere più volte una stessa galassia, pur avendola già distrutta totalmente nel passato. Difatti egli intendeva assoggettarla ad un fenomeno ripetitivo, che doveva tenerla impegnata a determinate azioni, che in effetti già aveva espresse in un tempo precedente. Il quale sarebbe risultato l’inizio di quello in cui l’aveva vista darsi a devastarla per la prima volta. In quella maniera, le distruzioni della Kosmivora, pur risultandogli reali, non facevano altro che ripetersi nella medesima galassia. Per cui, a sua insaputa, questa veniva sconquassata più volte, risparmiando così ad altre galassie le sue rovinose manifestazioni. Bisognava solo vedere in quale misura il dio del tempo sarebbe riuscito ad ingannare il dio Buziur, prima che egli se ne avvedesse e trovasse lì per lì un ripiego valido ad ovviare all’inganno dell’astuto avversario.

Il divino Kron era intervenuto ad agire nei confronti della Kosmivora, quando essa aveva quasi scompaginato interamente la galassia Trasev ed era pronta a bissare le sue devastazioni scompiglianti nell’attigua galassia Lactica. Era stato a quel punto che egli, con una manovra temporale, aveva sottratto alla Kosmivora la successiva galassia, quella che era in procinto di diventare la sua nuova preda. L’aveva riportata al tempo in cui si era appena data a scatenarsi con furia destabilizzante contro la galassia Trasev, senza che essa se ne rendesse conto. Per cui la medesima aveva iniziato a dilagarvi, provocandovi mutilazioni astrali su larga scala, coinvolgendovi un’infinità di stelle con o prive di un proprio sistema. Il quale coinvolgimento, per forza di cose, portava alla rovina comete, pianeti e satelliti, suscitandovi impatti apocalittici d’inaudita catastroficità. Essi avvenivano fra i vari astri sistemati in diversi settori galattici. Durante il suo controllo, allo scopo di rendersi conto che il suo sotterfugio non destava sospetti nell’Imperatore delle Tenebre, il dio Kron prendeva coscienza dell’enorme danno che la malvagia creatura che lo rappresentava procurava alla galassia da essa bersagliata. Le stelle avevano perso la loro stabilità, quella che permetteva ad esse di restare in un punto fisso della loro galassia, per cui adesso si davano a percorrerla, senza freno e senza una meta precisa. Anzi, non erano rare le volte che esse si scontravano con una violenza spaventosa, originando dei falò sterminati. I quali poi finivano per trasformarsi in strati estesi di fiamme e fiammelle prossime a spegnersi e a cangiarsi in un pulviscolo galattico dal colore argenteo.

Naturalmente, se le stelle formavano una famiglia astrale, allora tutti i suoi elementi costitutivi vivevano anch’essi il loro dramma disperato, ma ognuno aveva una propria destinazione. C’erano alcuni pianeti e satelliti che venivano inglobati nell’immenso falò, a cui davano origine le due stelle impattate, dissolvendosi come fuscelli nella vampa colossale del loro fuoco impazzito. Altri, essendo sfuggiti a tale indeprecabile destino, seguivano una rotta diversa, la quale sovente era quella di collisione con astri della stessa specie. In quel caso, non era bello a vedersi il calamitoso risultato che ne derivava, poiché l’impatto provocava sulla superficie di entrambi i corpi celesti spenti qualcosa d’indescrivibile, data l’inimmaginabile disastrosità dell’evento. Il quale, alla fine, non interessava soltanto la loro parte superficiale; ma coinvolgeva altresì le loro intere masse. Per cui esse andavano incontro ad uno sgretolamento generale, che ne riduceva i corpi in frantumi di differente grandezza. Allora questi ultimi intraprendevano un vagabondaggio senza fine e senza meta; invece molti di loro, appena possibile, preferivano fare sosta sopra un altro pianeta, raggiungendolo sotto forma di stelle cadenti.

Ricorrendo al suo ingegnoso espediente, il dio Kron, con il compiacimento anche del fratello Locus, per tre volte consecutive era riuscito a far distruggere dalla Kosmivora tutti gli astri della galassia Trasev, senza che essa si accorgesse dell’inganno. Ma poi il dio del tempo aveva dovuto porre fine al suo stratagemma, avendo superato il numero di volte a cui gli era consentito di ricorrere. Così il dio Buziur non aveva perduto tempo ad assalire anche la galassia Lactica per ottenere in essa gl’identici risultati apocalittici che aveva conseguito nelle altre galassie, nonostante sulla superficie di un suo pianeta, che era Geo, vi fosse vissuto il suo quartogenito Furor. Allora, con l’arrivo della Kosmivora nella galassia Lactica, erano cominciati ad aversi in tutto il suo spazio dei fenomeni niente affatto tranquillizzanti sulla superficie della totalità dei pianeti e dei loro satelliti. Essi erano dovuti ad una sorta di fibrillazione, la quale era venuta ad impadronirsi di ogni area facente parte della galassia, arrecando ai vari astri instabilità nei loro moti di rotazione e di rivoluzione. Nel medesimo tempo, le stelle, l’una dopo l’altra, avevano iniziato a registrare dei cali del loro materiale gassoso, mostrandosi pronte a collassare. Di conseguenza, avevano perso ogni forza di gravità nei confronti delle loro famiglie astrali, privandole del loro stabile posizionamento nello spazio. Ma man mano che il depauperamento di gas era accresciuto in esse, si era andato anche acuendo nell’intera massa galattica quel fenomeno che tendeva alla destabilizzazione di ogni suo elemento.

In effetti, cosa stava succedendo sulla superficie di ogni pianeta? Per venirne a conoscenza, ci basta andare a controllare ciò che si verificava sul pianeta Geo. Ma lo faremo inserendoci nella vita quotidiana di alcuni personaggi a noi noti, che ci sono molto cari.


Nella reggia di Dorinda non si viveva di certo nel migliore dei modi, dopo che Lucebio aveva messo tutti quanti a conoscenza di ciò che aveva appreso dalla divina Kronel. Se qualcuno, a cominciare dalla compagna Madissa, gli aveva dichiarato che si era trattato soltanto di una visione onirica, gli altri erano rimasti scioccati dal suo racconto, per cui avevano cominciato a preoccuparsene seriamente. C’erano stati anche di quelli che, essendosi rassegnati ad esso, avevano deciso di non interessarsi più a niente, visto che a momenti si sarebbe presentata per tutti loro la morte e la fine di ogni cosa nell’intero creato. Comunque, non senza averne un timore panico! A tale riguardo, un giorno quanti vivevano nella reggia si erano radunati nella sala del trono per commentare i fatti annunciati dalla divina protettrice di Iveonte. Alla riunione di corte, per la componente femminile, erano presenti la regina Elinnia, Madissa, la principessa Lerinda e la sua nutrice Telda; per la componente maschile, erano presenti il re Cloronte, Lucebio, Solcio, Zipro, Polen e Liciut. Ebbene, la decina di persone che vi stavano partecipando intendeva discutere sul catastrofico, evento che molto presto avrebbe troncato le loro vite, intanto che si dava a scombussolare e a distruggere il loro pianeta. In verità, più che una discussione vera e propria, c’era stata una batteria di domande tutte rivolte al solo Lucebio, poiché la maggior parte dei presenti volevano apprendere da lui cose che neppure il saggio uomo poteva conoscere. Alle quali, però, egli aveva dovuto trovare delle risposte rappezzate alla meglio oppure date per sommi capi.

La prima a fargli la sua domanda era stata la regina Elinnia, la quale si era premurata di domandargli con una certa apprensione:

«Se fra non molto sul nostro pianeta tutto finirà e noi moriremo con esso, davvero dopo ci saranno sia il ritorno all’esistenza del nostro mondo sia la nostra resurrezione, grazie a mio figlio Iveonte?»

«Nobile regina, non sono io ad assicurarvelo; invece è stata la dea, che protegge il tuo primogenito, a garantircelo. Perciò, se le divinità non sbagliano o non sono mendaci, senza meno l’eroico tuo figlio rimetterà le cose a posto ovunque saranno state destabilizzate e farà risorgere gli esseri umani che sono stati travolti ed uccisi. Inoltre, dopo l’universale restaurazione, egli finalmente farà ritorno fra noi, diventando l’eletto sovrano del suo popolo. Ciò, grazie anche all’abdicazione a suo favore da parte di tuo marito, il mio amico re Cloronte.»

Subito dopo era intervenuto a parlargli il sovrano di Dorinda, il quale era stato lieto di confermargli:

«Certo che mio figlio, per mio volere, siederà sul trono della Città Invitta, non appena si farà vivo a corte, perché nessun sovrano è più degno di lui di sedervi con tutti gli onori. Lo aveva perfino decretato il destino, ancor prima che egli nascesse e diventasse l’eroe che si ritrova ad essere. Quindi, che ben si goda egli il suo regno con la consorte e con la sua numerosa prole, per tutto il tempo della restante sua vita!»

Anche la principessa Lerinda aveva voluto rivolgere una domanda a colui che Iveonte considerava suo padre spirituale, chiedendogli:

«Mi dici, Lucebio, come farà il mio Iveonte ad intervenire contro la potente divinità malefica, che sarà la responsabile della fine sia del nostro mondo che di noi stessi, se le medesime divinità benefiche si sono affrettate ad evitarla, rifugiandosi nel loro regno spirituale?»

«La tua domanda, amata del nostro Iveonte, non è semplice, non avendo io avuto notizie inerenti a tale particolare. Ma sono sicuro che, quando ciò accadrà, egli sarà in possesso di un potere superiore a quello che gestirà la sua divina avversaria. Esso, essendo precluso alle divinità, potrà essere usato solamente da un essere umano.»

«Possibile, Lucebio,» aveva chiesto Solcio «che il mio ex maestro riuscirà a ricomporre alla perfezione quanto la prossima calamità che sta per colpirci avrà ridotto ogni cosa in polvere, compresi i nostri corpi?»

«Un fatto del genere, Solcio, ci potrebbe sembrare un’assurdità, a causa dei nostri limiti umani. Ma chi di noi può rendersi conto di quale potere prodigioso tra poco verrà a disporre il nostro Iveonte? Sono convinto che egli, in virtù di esso, potrà ottenere ogni cosa che desidera, perfino creare interi mondi e il reintegro dell’alito della vita nei defunti, anche di quelli morti da molto tempo.»

Zipro aveva desiderato fare l’ultima domanda allo stesso destinatario. Egli, rivolgendosi a lui, aveva domandato:

«Ti sei ancora immaginato, Lucebio, come avverrà il nostro risveglio dalla morte, dopo che Iveonte avrà ordinato al suo potere miracoloso di agire in tal senso sui nostri corpi deceduti da tempo?»

«In verità non l’ho fatto, Zipro. Ma mi dici perché avrei dovuto prefigurarmi qualcosa del genere? Una volta ritornato ad essere vivo, per me sarà come svegliarmi dal solito sonno notturno, poiché ritroverò tutto al posto suo, come adesso. La medesima cosa avverrà per i miei amici, siccome ognuno di loro, allo stesso modo mio, si ritroverà a svolgere gli stessi compiti che svolgeva prima. Almeno è quanto mi ha fatto intendere la divina Kronel. Ora evitiamo di soffermarci su tale argomento. Esso potrebbe farci venire i brividi, se c’interessassimo ancora ad esso!»

Alla risposta ricevuta dal saggio uomo, il giovane aveva deciso di fargli presente che la propria domanda era stata inopportuna ed anche superflua, quando un fenomeno strano glielo aveva impedito. Infatti, in pieno giorno, si era abbattuto sulla città il buio più pesto, il quale aveva obbligato la servitù di corte ad accendere le varie torciere murali, perché diffondessero la loro luce nei vari reparti della reggia. Dopo che ogni locale era stato bene illuminato, il gruppo delle persone che stavano discutendo nella sala del trono, subito aveva interrotto la discussione e aveva deciso di trasferirsi sul belvedere. Di lassù esse intendevano rendersi conto di ciò che stava avvenendo, ritendendo del tutto improbabile un’eclissi eliosina, la quale non era prevista in quel periodo. Una volta che lo avevano raggiunto, non avevano tardato ad accorgersi che il loro sole era sparito dalla sfera celeste; invece al suo posto restavano strati di cielo punteggiati di fuoco morente, che si andavano sbiadendo all’occhio dell’osservatore. Ma prima c’era stata un’esplosione grandissima nella stella, la quale l’aveva squarciata e ridotta in filoni di fiamme, lanciandoli poi in ogni zona circostante. Adesso non si scorgeva in nessuna parte neppure la luminosa luna, sebbene l’indomani ci sarebbe dovuto essere il plenilunio. Allora, da parte di tutti, ci si era resi conto che la loro stella non c’era più, per cui l’annunciata calamità aveva iniziato a dar luogo ovunque alla fine del mondo, a livello sia universale che planetario. Perciò si erano precipitati a raggiungere il patio, poiché avevano deciso di restare uniti, mentre andavano incontro alla morte del loro pianeta e di sé stessi.

Venuto meno il loro folgorante sole, tutti i pianeti che prima gli orbitavano intorno e ne subivano una continua attrazione, avevano abbandonato le loro traiettorie ellittiche e si erano dati ad un viaggio erratico nella sconfinata galassia. Il quale presto li avrebbe portati in rotta di collisione con altri astri spenti di varia natura. A dire il vero, sarebbero stati i loro stessi satelliti ad impattare sulla loro superficie, provocando la reciproca distruzione. Nel frattempo, però, in attesa del loro disfacimento totale, gli uni e gli altri andavano incontro a diversi cataclismi interni e superficiali, i quali ne dissestavano la compattezza ed acuivano la reazione dei vari fenomeni naturali.

Prendendo in considerazione quanto stava succedendo sul pianeta Geo, a parte l’oscurità che aveva trovato fissa dimora in qualunque parte della sua superficie, le forze della natura avevano iniziato a scatenarsi su di essa con irruenza e tempestosità. Così i terremoti, i maremoti e gli aeromoti si erano dati alle loro azioni sconvolgenti e demolitrici. Esse, mostrandosi della massima disastrosità, ovunque davano origine a sfaceli, ad estese alluvioni, ad aperture profonde di voragini; nonché a raffiche assordanti, le quali imperversavano con tutta la loro veemenza ciclonica. Agendo in quel modo, non smettevano di cambiare in continuazione la geografia di vaste zone. A quelle azioni devastatrici che avvenivano nel sottosuolo, in superficie e nell’atmosfera, nelle città e nei villaggi della terra la gente non si dava pace. Correva senza una meta: a volte impazzita, a volte atterrita, altre volte disperata. Spesso si dava a pregare le benefiche divinità, perché facessero cessare quei calamitosi perturbamenti e permettessero il ritorno della luce in ogni luogo. Ma non mancavano i momenti in cui le persone preferivano abbracciarsi e consolarsi in quella maniera, cancellando il terrore dai loro animi e far finta che l’imminente futuro della peggiore specie non ci sarebbe mai stato per tutte loro. Invece, non molto tempo dopo, ritornava in mezzo a loro il burrascoso presente, che si dava a bersagliarle impietoso.

A quel punto, i pianti dirotti e i lamenti inconsolabili di tutti gli abitanti del pianeta contribuivano a rendere i loro cuori macerati al massimo. Comunque, non si poteva tentare con la mente di evadere da quella orribile situazione, la quale iniziava ad essere per loro un’atroce tortura, che faceva invidia perfino alla morte. Anche gli animali, senza esserci affatto in loro la volontà d’imitare i loro padroni, non si astenevano dal palesare con sofferenza il loro spavento più tremendo. Essi lo manifestavano, attraverso i loro piagnucolosi versi e i loro movimenti, i quali stavano a significare unicamente il riverbero di un’esistenza disastrata. Infine il dolore universale, che veniva espresso dalle persone e da ogni tipo di bestie, era stato risucchiato dalle fenditure immani che si erano create nella massa del pianeta, dopo il suo impatto apocalittico con il proprio satellite. Allora ogni pianto, ogni lamento, ogni dolore, ogni fobia, ogni preoccupazione ed ogni apprensione vi erano precipitati dentro nella loro totalità ed avevano posto termine anche all’ultima goccia della loro vita desolata. La quale, non avendo più uno scopo di esistere, era stato meglio che fosse finita dove il destino era abituato a tarpare le ali alle gioie e alle speranze dei tanti sognatori.