472°-I FATTI SALIENTI ACCADUTI AD ACTINA

Riguardo ai fatti avvenuti nell’Edelcadia, incominciamo a parlare di quelli che si erano avuti nella città di Actina, dove era venuta meno anche la presenza del dio Matarum, che era la somma divinità dell’Edelcadia. La sacerdotessa Retinia lo aveva scoperto, quando le era stato domandato dalla ex regina della Città Santa se il futuro della loro città si prevedeva buono, precario o addirittura pessimo. Allora la religiosa prediletta del dio del cielo, al fine di accontentarla, aveva dovuto farsi ispirare da lui nel modo che abbiamo già conosciuto almeno in due altre circostanze. Infatti, senza indugio ella si era data a concentrarsi, assumendo la solita posizione, la quale la faceva scorgere in ginocchi e con le braccia aperte protese verso l’alto. In quel preciso istante, si era vista la sacerdotessa diventare pallida in volto, intanto che storceva le labbra azzurrognole. Ma erano stati il suo contorcersi e il suo dimenarsi ad impressionare maggiormente quelli che la seguivano. Tali suoi atteggiamenti, uniti al rizzamento dei capelli, l’avevano presentata come un essere irreale e terrificante. Comunque, c’erano voluti cinque minuti, prima che ella ritornasse ad essere una persona sul cui viso era cominciato ad intravedersi un irraggiamento di calma e di beatitudine, il quale la predisponeva all’ispirazione divina. A quel punto, però, anziché seguire il momento ispiratore e divinatorio, ella si era resa conto che non esisteva più il dio che avrebbe dovuto dipanare davanti ai suoi occhi il futuro della loro città, come le era stato richiesto dall’amica nobildonna Talinda. Allora l’assenza del dio da Actina l’aveva terrorizzata, poiché le aveva fatto temere che qualche divinità malefica più potente di lui lo avesse costretto a darsi alla fuga e ad abbandonare la Città Santa, come già era avvenuto qualche tempo prima. Perciò Retinia si era data ad urlare:

«Mia grande amica Talinda, ancora una volta è venuta meno la presenza del nostro dio dal tempio, per cui sono impossibilitata a farmi ispirare da lui. Perciò mi domando perché mai egli è venuto a mancarci di nuovo. Se è stato costretto a lasciare la nostra città da qualche dio malefico più potente di lui, ciò mi preoccupa molto. Spero che ancora una volta interverrà in suo aiuto lo straordinario eroe, come lui stesso ci ebbe a raccontare dopo, sottraendolo al suo avversario divino! Invece noi sappiamo che il protetto delle due eccelse divinità è impegnato in una missione abbastanza difficile e s’ignora quando ci sarà il suo ritorno.»

«Se davvero la somma divinità dell’Edelcadia non protegge più la nostra Actina, preoccupata Retinia, sappi che qualcosa di sicuro gli sarà successo, di cui non possiamo venire a conoscenza. Noi esseri umani siamo impotenti ad approfondire i misteri che riguardano le divinità. Ma devi aver fede perché, da un momento all’altro, potrebbe presentarsi a noi l’amico fraterno di mio figlio, il quale non avrebbe difficoltà a venire a conoscenza di ciò che è accaduto al divino Matarum. Allora prenderebbe le sue difese, se qualche dio più potente di lui lo avesse fatto trovare di nuovo in guai abbastanza seri. Perciò cerca di tranquillizzarti!»

La ex regina della Città Santa aveva appena terminato di pronunciare le sue parole d’incoraggiamento alla sua ospite religiosa, allorché il figlio aveva fatto la sua improvvisa apparizione nel soggiorno privato di colei che lo aveva fatto nascere. Subito dopo esservi entrato ed aver salutato le due donne che discutevano appartate, aveva iniziato a dire:

«Se non sbaglio, madre mia, ti ho sentito fare il nome del mio amico Iveonte. Saresti così gentile, da riferirmi a che proposito stavate parlando di lui? Attendo, quindi, la tua risposta.»

Dopo avergli raccontato ogni cosa della sua conversazione con la religiosa, facendogli presenti i vari particolari, la nobildonna Talinda, aveva aggiunto al giovane sovrano:

«Ecco, figlio mio, il motivo che mi aveva spinto a tirare in ballo l’insuperabile tuo amico. In riferimento a lui, Francide, puoi anticiparmi qualcosa circa il suo ritorno tra noi? La sua presenza ci risolleverebbe!»

«Madre mia, non è semplice darti una simile risposta, poiché non si sa neppure in quale luogo Iveonte si farà rivedere prima di un altro, una volta che avrà portato a termine la sua missione. Ma penso che vorrà incontrarsi innanzitutto con la sua Lerinda, che si trova a Dorinda. Inoltre, se intesi bene, quando egli me ne parlò, i divini eccelsi gemelli gli avevano affidato una missione assai delicata, dalla cui riuscita sarebbero dipese le sorti dell’intero universo. Ad ogni modo, non so dirti quale fosse il vero scopo della sua missione; però sono certo che il mio amico saprà farsi valere e salverà chissà quante vite umane nell’intero creato!»

Rivolgendosi poi all’amica della madre, che si presentava molto abbacchiata, aveva voluto rassicurarla con le seguenti parole:

«Quanto al tuo stato di ansia e d’inquietudine, sacerdotessa Retinia, esso deve cessare di esserci, perché per il dio Matarum non potranno farsi presenti insidie e minacce. Il mio amico fraterno, come fece già l’altra volta, eviterà che le une e le altre lo soggioghino per un tempo infinito. Inoltre, ammesso che esse già abbiano avuto su di lui il sopravvento, egli correrà in suo aiuto e lo affrancherà dalle medesime, non appena gli sarà possibile. Così lo farà ritornare alla sua amata Actina.»

«Per te è facile, re Francide, esprimerti in questa maniera. Le tue parole, però, giammai potranno tranquillizzarmi, fino a quando non avvertirò la presenza del dio nella nostra città. Adesso la sua assenza mi priva di ogni serenità e mi riduce l’esistenza in un qualcosa che non riesco neppure ad esprimere, a causa della mia turbolenza spirituale. La quale va innescando nel mio animo ciò che gli provoca il turbamento più tenebroso e disastroso della mia vita.»

«Ti comprendo, prediletta amica della mia genitrice; ma, nello stesso tempo, disapprovo questo tuo atteggiamento pessimistico nei confronti della nostra divinità. Se ti attesto che essa non corre pericolo alcuno, tu devi avere fiducia in me, dal momento che la mia affermazione può essere soltanto veritiera. Tu stessa puoi convincertene, visto che il dio Matarum ti ha dotata di spirito profetico. Infatti, se indaghi nel futuro, senza meno verrai a conoscenza che il nostro dio taumaturgico si trova ad esistere altrove, dove è del tutto scevro di rischi e di qualsiasi altro accidente. Ne sono più che convinto!»

«Hai dimenticato, mio sovrano, che il mio divino ispiratore non è presente in Actina e non può guidarmi nella mia ricerca nell’avvenire? Perciò adesso la mia ispirazione farebbe solo un buco nell’acqua, non trovando ad accompagnarmi nel mio viaggio nel futuro colui che è l’unico a poterlo fare, poiché da lui mi proviene la verità assoluta in tale circostanza.»

«Come avrei potuto scordarlo, sacerdotessa Retinia? Ma io sono persuaso che possiedi il potere d’ispirarti, indipendentemente da se il dio Matarum si trova o meno nella Città Santa. Per questo esso ti appartiene per l’intera tua esistenza e puoi farne uso ogni volta che lo desideri. In passato e attualmente, anziché procedere nella tua ispirazione anche senza la sua presenza in Actina, invece, facendoti influenzare da essa, te ne sei spaventata ed hai smesso d’ispirarti. Allora vuoi soddisfare il desiderio di mia madre, prima immergendoti nel nostro futuro e poi relazionandola su tutto quanto avrai appreso sulla nostra città? Te ne sarei molto grato, se tu accogliessi la mia richiesta, la quale è diretta in primo luogo a vedere soddisfatta la tua amica. Io ti consiglio di seguire quel detto che afferma: “Tentare non nuoce.”»

«Ebbene, mio re, voglio darti ascolto ed avere fiducia nella tua supposizione, secondo la quale io sarei dotata di uno spirito profetico che mi permette di darmi a divinazioni, tutte le volte che lo desidero, indipendentemente della presenza del dio Matarum in Actina. Perciò adesso mi affretto a sondare il futuro per avere una risposta sicura, circa quanto intende conoscere la nobildonna tua madre, che è l’amata mia amica.»

Qualche attimo più tardi, la zelante sacerdotessa, dopo avere assunto un atteggiamento ieratico, si era immersa in una meditazione profonda. Questa volta il suo viso non era apparso come quando si faceva ispirare dal dio. Nelle due precedenti circostanze, alle quali abbiamo avuto modo di assistere, esso si era trasformato in un qualcosa di orripilante. Adesso, invece, era stato scorto dai suoi due unici testimoni, che erano il re Francide e sua madre, in un rasserenamento che lo presentava in preda al massimo gaudio. Per la ex regina e per il figlio, era stato chiaro che la sacerdotessa loro ospite si stava immedesimando con una realtà ultraterrena, per cui non avevano osato interrompere tale suo gioire transitorio, il quale destava in lei una sovrumana pacatezza. Invece l’avevano lasciata insinuarsi in quella serenità, che stava vivendo e godendo in quell’istante. In seguito, invece, quando non erano trascorsi neppure un paio di minuti, la sacerdotessa era stata vista inorridire a causa di qualcosa che si era dato a svolgersi davanti ai suoi occhi. Anzi, i due congiunti regali avevano notato che ella si era perfino sbiancata in viso, su cui avevano iniziato a manifestarsi dei segni preoccupanti, che la presentavano atterrita e sconvolta. Infine, durante una pausa di minore spossatezza, la religiosa aveva avuto la forza di mettersi a gridare con l’amarezza e il terrore negli occhi. I quali adesso sembravano uscirle dalle orbite, quasi fossero due carboni ardenti:

“O voi che mi ascoltate, o voi che non pensereste mai che possa accadere quanto si sta svolgendo davanti ai miei occhi, state bene attenti a ciò che vi sto trasmettendo. Dovunque intravedo stelle che esplodono, la cui luce sfolgorante mi acceca la vista; assisto alla folla dei pianeti che vanno alla deriva. Parlo di quelli che sono sfuggiti agli immensi falò degli astri esplosi, poiché gli altri, che ne sono stati coinvolti, hanno smesso di esistere nell’universo. Ebbene, gli scampati al pericolo vagano per lo spazio tenebroso senza una meta preciso e verso un futuro aleatorio. Esso per loro è diventato incerto e può riservargli un destino soltanto disastroso, il quale è quello di un impatto catastrofico con gli altri pianeti o satelliti. Ma non riesco ancora ad intravedere la forza immane che provoca un simile sfacelo nello spazio. Ahimè, inizio ad avvistare stuoli di divinità benefiche, che si precipitano all’impazzata e si dirigono verso mete che non mi è dato di conoscere. Mentre avanzano per lo spazio cosmico nel loro abito candido, si mostrano disorientate ed in preda all’ansia, intanto che le inseguono schiere di divinità malefiche, che appaiono come larve nerastre. In verità, non capisco perché le prime non si oppongono alle seconde, lottando contro di loro con determinazione e con forza. Di certo pure il nostro dio Matarum è fra loro, senza reagire e guardandosi bene dal dare battaglia alle divinità loro inseguitrici. Secondo me, anche se non ne comprendo il motivo, esse sono dirette alla loro divina dimora. Ma perché vi si vanno a rifugiare e non si oppongono alle divinità malefiche, le quali seguitano ad inseguirle?

Solamente ora mi rendo conto della verità. Le divinità positive non temono quelle negative; ma scappano da chi le comanda. Si tratta di una mostruosa creatura, la quale, nella sua natura immateriale e spirituale, giganteggia nell’universo ed è capace d’indurre le divinità positive alla propria attrazione fatale. Per farlo, però, ha bisogno di avvicinarsi a loro ad una certa distanza, quella che le consente di manovrare secondo i suoi scopi deleteri. La sua avanzata si presenta come uno sconvolgimento apocalittico della parte di universo da essa attraversata. Al suo passaggio, le galassie fibrillano, le stelle a volte esplodono altre volte implodono, mettendo sottosopra la cosmica armonia. Quanto ai pianeti, ai satelliti e agli altri corpi celesti appartenenti all’universale famiglia, essi vengono inglobati dal fenomeno distruttore della forza oscura. La quale non smette di frammentarli, di demolirli e di farli sparire dallo spazio in cui facevano avvertire la loro armonica presenza. Anche il nostro mondo presto subirà la stessa sorte di quelli già scomparsi, per cui per tutti gli esseri della Terra sta per sopraggiungere la fine della loro esistenza. Essa non avverrà, senza che ci siano prima sulla sua superficie dei fenomeni scombussolanti, i quali costringeranno i monti a sfaldarsi e i mari ad invadere la terraferma, provocandovi distruzioni incredibili e morti a non finire. Assisteremo alla nostra morte, dopo averla temuta fino al parossismo, poiché essa s’insedierà nel nostro animo e ci procurerà il terrore più tremendo. A causa del quale, prima che la medesima ci giunga, l’avvertiremo, la vivremo e ci faremo accoppare da essa. Anzi, ci faremo strapazzare dalla morte nella maniera più crudele e barbara, quando in noi non si è ancora stabilita, allo scopo di condannarci all’inesistenza e di farci diventare suoi ospiti graditi per l’eternità.”

Quando infine si era riavuta dal trambusto che gli era stato provocato dalla sua ispirazione ed aveva riacquistato in parte la precedente normalità corporea, la sacerdotessa Retinia, non sapendo da dove cominciare, si era messa a parlare con i suoi due interlocutori. Non nascondendo il suo stato d’ambascia, gli si era data a dire:

«Re Francide e mia amica Talinda, altro che fuga della nostra eminente divinità da Actina e dall’intera Edelcadia! Nell’universo sta succedendo qualcosa di sommamente grave e di rovinosamente esiziale. Mi sono resa conto che si sta scatenando il finimondo. Ma voi, che siete venuti a conoscenza di ogni cosa che si appresta a scatenarsi nel nostro mondo, avendo io parlato ad alta voce, quando mi sono ispirata senza l’aiuto del dio Matarum, sapete dirmi cosa si fa adesso?»

«Io non credo, Retinia,» le aveva risposto per prima la madre del sovrano «che possano scatenarsi simili sventure contro tutti noi, le quali ci priveranno della vita. Anzi, cerca pure tu di non metterti a fare l’uccello del malaugurio! Ho vissuto per tanti anni nell’angoscia e in una situazione di malinconia che non puoi immaginare, per cui non voglio assolutamente pensare a cose tristi, ora che ho ritrovato mio figlio e sto vivendo insieme con lui dei giorni d’immensa gioia. Perciò pretendo che, da questo momento, tu cambi discorso e lasci vivere al mio cuore la sua felicità ritrovata! Nella nostra Edelcadia non si avvererà niente di quanto ci hai preconizzato e la tua predizione dovrà andare a farsi friggere. Sei stata attenta a ciò che ti ho detto oppure no?»

«Nobildonna Talinda, non possiamo cancellare dal nostro destino gli eventi futuri, semplicemente ignorandoli. Essi, purtroppo, già si stanno verificando sul sentiero della nostra esistenza e, in un tempo che non ti so quantificare, ci raggiungeranno e ci avvolgeranno nella loro disastrosa presenza. Allora non ci resta che accettare il nostro ingrato destino, il quale viene a coglierci in un momento della nostra vita che non vorremmo venisse disturbato da esso. Né ci potrà risultare utile qualche nostra reazione alla fine dell’universo intero in arrivo!»

«Se posso dire anche la mia su tale argomento, reverenda sacerdotessa,» era intervenuto anche il re Francide, «mia madre fa bene a mettere in dubbio la tua profezia di qualche istante fa, siccome neppure io ne sono convinto. Pur ammettendo che nell’universo sta succedendo quanto ci hai riferito, sono certo che i fenomeni a te apparsi non raggiungeranno noi terrestri, per cui la faremo franca. Te ne posso spiegare il motivo, allo scopo di rasserenarti.»

«Mi farebbe molto piacere, mio sovrano, apprendere perché dovrebbe avverarsi ciò di cui sei convinto, considerato che esso recherebbe un grande gaudio al mio animo. Allora raccontami ogni cosa!»

«Era stato già previsto qualcosa del genere, che avrebbe riguardato una lotta accanita su larga scala tra le divinità benefiche e quelle malefiche, la quale avrebbe preso una brutta piega per le prime. Ma ci sarebbe stato pure l’intervento del mio amico fraterno a far sì che le divinità positive avessero la meglio su quelle negative. Ad ogni modo, si è sempre ignorato con quali mezzi egli avrebbe ottenuto un simile miracolo, visto che neppure l’anello ricevuto dall’eccelso dio Kron sarebbe bastato a renderlo vittorioso. Questo grande evento, il quale ci sarebbe stato nell’intero universo, me lo riferì lo stesso Iveonte, che lo aveva appreso da alcune divinità che lo proteggevano allora e continuano a proteggerlo tuttora. Adesso comprendi perché mi è difficile credere alla tua recente profezia? Perciò la nostra fiducia in Iveonte non deve abbandonarci, siccome è previsto che egli sconfiggerà il male.»

«Mio re, se davvero un giorno il prodigioso Iveonte ti ha fatto tale confidenza, sono sicura anch’io che almeno una parte del mio vaticinio, ossia quella attinente al nostro mondo, non riuscirà ad avverarsi. Per questo rallegriamoci per essa e restiamo sereni.»

«Sono altrettanto contenta,» aveva aggiunto l’ex regina «della bella notizia che ci ha data mio figlio, la quale mi ha risollevata moltissimo. Ma non essendoci stata ancora la sua vittoria sulle forze del male, ci tocca augurarci che Iveonte ce la metta tutta e alla fine esca vincitore assoluto dalla lotta, che è in procinto di affrontare.»

La nobildonna Talinda si era appena espressa in quel modo, allorquando avevano fatto il loro ingresso nel soggiorno anche la regina Rindella e la principessa Godesia. La prima delle due non aveva perso tempo a domandare alla suocera a cosa si stavano riferendo le sue parole, siccome in quel luogo esse erano state le ultime ad essere pronunciate, mentre ella e sua cognata vi entravano. Allora la risposta della madre del sovrano era stata la seguente:

«Rindella mia cara, per favore astieniti dal volere apprendere da me cose, le quali non ti giungerebbero gradite; anzi, esse finirebbero soltanto per intossicarti l’esistenza.»

«Invece le tue parole, suocera mia carissima, mi spingono a conoscere ancora di più quanto stavi dicendo, nel momento stesso che c’è stato nel tuo soggiorno privato il mio ingresso e quello di mia cognata. Voglia il cielo che esso non si stesse riferendo a mio fratello Iveonte, poiché le attuali tue parole mi portano a credere che qualcosa sia successo a qualcuno che mi è tanto caro. Il quale non è mio marito, visto che egli è qui presente.»

A quel punto, era intervenuto il re Francide a rispondere alla consorte, disimpegnando la madre da un compito che le sarebbe risultato molto increscioso. Così le aveva detto:

«Rindella amata mia, non si tratta affatto di tuo fratello, del quale oggi non sappiamo assolutamente nulla. Anzi, l’argomento, che stavamo trattando, non concerneva nessuna persona; invece era riferito a fatti che stanno accadendo nell’universo intero. Essi potrebbero coinvolgere anche il nostro mondo, distruggendolo e facendoci morire tutti.»

«Dici davvero, Francide? Mi racconti come ne siete venuti a conoscenza? Non ti sembra che nessuna persona, a parte Iveonte, che è anche il tuo amico fraterno, possa trovarsi nel suo spazio infinito e conoscere quanto vi sta avvenendo? Ciò è irrefutabile!»

«Non hai torto in questo, Rindella, e nessuno dei presenti lo mette in dubbio. Ma devi sapere che, se io, mia madre e la reverenda Retinia ne siamo venuti a conoscenza, è per il motivo che ora ti spiego. Tua suocera, volendo apprendere quale sarà l’avvenire della sua città, ha pregato la sua amica di lasciarsi ispirare dal dio Matarum a tale scopo. In verità, non c’è stato alcun intervento divino, solo perché in Actina non si trova più la nostra somma divinità. Allora io, ipotizzando che in lei lo spirito profetico ci fosse indipendentemente dal dio, ho proposto alla sacerdotessa d’immergersi nel suo spirito presago e tentare di tirare fuori da esso il presagio che le aveva richiesto mia madre sulla nostra città.»

«Quindi, mio amato consorte, è stato in questa maniera che avete appreso il collasso che sta investendo l’universo e coinvolgerà tutti gli astri che vi risiedono, scombussolando la loro armonia e mandando in malora le folle di gente che abitano sulla loro superficie. Io, però, sono aliena dal credere che ci possa capitare una simile sventura, scomparendo per sempre dalla faccia del nostro mondo. Come vedo, vi è sfuggito il fatto che a difenderci da tutti e da tutto c’è mio fratello Iveonte, il quale non permetterà che ciò si avveri. Nelle sue mani sano stati riposti dalle divinità dei poteri immensi, attraverso i quali egli può ottenere ogni cosa che vuole, sconfiggendo perfino le divinità malefiche più potenti.»

«Questo lo so anch’io, Rindella. Perciò ho voluto farlo presente anche alla sacerdotessa Retinia e a mia madre, per spingerle ad avere più fiducia nel mio amico. Gliel’ho detto che nelle sue mani sono state poste le nostre sorti, perché le preservi da sventure e da calamità, evitando di farle divenire succubi di forze divine dotate di nocivo maleficio.»

«Hai fatto bene, Francide, a rassicurarle che, siccome siamo sotto l’egida di mio fratello Iveonte, mai nessuna minaccia potrà arrecarci del male. In sostanza, è come trovarci in una vera botte di ferro, dove i malanni giammai potranno avere accesso per squassarvi la pace e la serenità. Non la pensi anche tu, mio dolce marito, allo stesso modo mio, circa quanto ho dichiarato sul mio caro Iveonte, il quale è l’unico fratello che mi è rimasto in questo mondo?»

«Riferendoci ad Iveonte, come potrei non essere d’accordo con te, mia cara Rindella? Egli è diventato colui che tutto può e si serve del suo prodigioso potere per favorire l’umanità, naturalmente quella votata ad ogni forma di bene e di giustizia. Ma adesso è giunto il tempo che io vi lasci, poiché mi attendono varie incombenze da assolvere in giornata.»

Andato via il re Francide dal soggiorno privato della madre, vi erano rimaste solo le donne, che erano la nobildonna Talinda, la regina Rindella, la principessa Godesia e la religiosa Retinia. Costei era stata quella che aveva aperto la nuova discussione a quattro, la quale questa volta era finita col vertere in primo piano intorno all’eroe Iveonte. Del quartetto femminile, era stata la nobildonna Talinda a chiedersi ad alta voce:

«Vorrei proprio sapere quale missione le potenti divinità benefiche che lo proteggono hanno assegnato all’eroico fratello di mia nuora, al fine di farsi togliere le castagne dal fuoco. Sono convinta che è stato proprio così, o voi che mi ascoltate, altrimenti ci avrebbero pensato loro stessi a liberarci dalla loro potentissima avversaria divina. La quale, a quanto pare, sta dando scaccomatto pure a loro due. Ma non so immaginare come stiano usando l’amico fraterno di mio figlio. Non riesco ad ipotizzare neppure un modo qualsiasi che me lo faccia considerare nel suo attuale incarico. Senza dubbio, dovrà trattarsi di una missione della massima segretezza e di un certo spessore umano non da poco. Vi chiedo se qualcuna di voi saprebbe avanzarmi in merito una propria teoria.»

Se la principessa Godesia non aveva osato esporsi alle altre donne del gruppo con una propria supposizione, la religiosa Retinia e la regina Rindella si erano dichiarate disponibili a fare le loro congetture, ritenendole attendibili. Allora la genitrice del sovrano della Città Santa, come coordinatrice della discussione, si era affrettata a dire ad entrambe:

«Non essendo possibile che voi due mi esponiate insieme quanto avete congetturato ciascuna per proprio conto, allora propongo che sia la mia amica, in quanto mia ospite, ad esporci per prima la sua teoria. Invece la mia nuora Rindella lo farà, dopo che la reverenda Retinia avrà terminato di riferirci su ciò che ho domandato a voi tre.»

«Secondo me, nobildonna Talinda, la divina bestia malefica, che ha stabilito di mettere sottosopra l’universo, coinvolgendo perfino tutte le divinità benefiche che vi trascorrono la loro esistenza, per qualche ragione particolare che non possiamo conoscere, è riuscita a diventare più forte di ciascuna di loro. Per questo quelle più potenti, che sono anche le protettrici del nostro Iveonte, hanno ravvisato che soltanto in lui ci sono le premesse per annientarla. Ma non sappiamo in base a che cosa esse sono state preferite.»

«In un certo senso, Retinia, potrebbe anche essere accettata la tua supposizione; però non conduce a nulla di concreto. Il motivo? I fatti principali, i quali dovrebbero farla poggiare su autentiche concretezze, vengono sfaldati dalla loro impossibilità a manifestarsi noti o possibili. Ne sono esempi sia il motivo per cui la divinità malefica è diventata più agguerrita di qualunque divinità benefica sia l’altro che ha indotto le più potenti divinità positive a ricorrere ad un essere umano per sconfiggerla. Ma adesso ascoltiamo ciò che ha da dirci la mia regale nuora in merito allo stesso argomento. Così dopo lo vaglieremo nel suo reale contenuto, affinché lo si possa tenere nella considerazione che si merita.»

«Nelle sue linee essenziali,» la regina Rindella si era data a dire «concordo con la teoria della sacerdotessa Retinia. A differenza di lei, mi permetto di chiarire i due dettagli, che ella non ha saputo spiegarci. Mi riferisco all’impotenza delle divinità positive di fronte all’entità divina che si è presentata nell’universo a dettare la sua legge agli dèi positivi, agli esseri umani ed animali, oltre che agli astri e ad ogni singola loro parte rappresentata dalla materia. A tale riguardo, azzardo la seguente congettura: La divina creatura, di cui ci stiamo occupando, non è uguale alle altre, poiché è fatta di una natura diversa che la rende refrattaria ai poteri delle divinità positive. Invece queste ultime vengono rese loro stesse attaccabili da essa, senza che ci siano problemi da parte sua.»

«Probabilmente, mia dolce nuora, la tua versione inerente al primo particolare non è errata, per cui la si potrebbe accettare come giusta. Ma in relazione alla scelta di tuo fratello da parte delle più potenti divinità benefiche, ci dici come l’argomenti in modo credibile? Esso sarebbe il secondo nodo, che la mia amica non è stata in grado di sciogliere.»

«Anche questo particolare, mia intelligente suocera, può essere giustificato nella maniera che ora vi spiego. Sono assai certa che, in qualche parte dell’universo, esiste una forza straordinaria capace di aver ragione di quella posseduta dalla divinità malefica, la quale si è data a fare tabula rasa nello spazio cosmico. Essa, però, si lascia possedere soltanto da un essere umano, che abbia le doti necessarie per conquistarla. Ecco perché tali divinità benefiche si stanno servendo di Iveonte per farlo impossessare di tale formidabile potere, con il quale egli poi affronterà la sua divina nemica e l’annienterà.»

«Anche questa volta, consorte di mio figlio, hai dato una giustificazione plausibile, circa le ragioni che hanno spinto le potenti divinità benefiche ad inviare Iveonte perché s’impadronisca dello speciale potere che lo renderà idoneo ad averla vinta sulla loro invincibile avversaria. Esso dopo permetterà a tuoi fratello di distruggere la terribile bestia divina e di salvare infiniti mondi, insieme a numerose vite umane ed animali. A questo punto, però, sono obbligata a congedarvi, siccome mi attendono delle faccende di altro tipo, avendole tralasciate per diversi giorni. Perciò possiamo anche salutarci e lasciarci.»