466°-IVEONTE CONQUISTA LA PARTE DI POTERE COSMICO DI PESSUN

Una volta che ebbe erudito il suo ospite anche sul quarto Guardiano del Potere Cosmico, Tupok non si astenne dal fargli la solita domanda di rito, anche se ogni volta si presentava in una forma diversa.

«Ora che hai appreso ogni cosa su Pessun,» si diede a dirgli «mi dici, Iveonte, se sei intenzionato a gettargli il guanto, come hai fatto con i precedenti tre guardiani? Anche se non escludo che lo farai, ugualmente voglio ascoltare la tua risposta ed apprenderla con soddisfazione. Senza meno anche il tuo nuovo avversario è un guerriero di alto livello, che non ha da invidiare niente agli altri quattro guardiani. Ma mi piacerebbe che tu mi spiegassi come farai a neutralizzare la sua prodigiosa facoltà, che gli consente di trasformarsi nell’animale che egli desidera, anche se poi tale sua trasformazione ha una durata limitata.»

«Lo sai, Signore di Potenzior, che nessuno e niente potrà mai distogliermi dall’andare fino in fondo, in questa mia missione, la quale ha come obiettivo la conquista dell’intero Potere Cosmico. Per cui come potrei non sfidare anche Pessun, pur essendo un guerriero che ha in sé infinite capacità combattive e, per giunta, la prerogativa di potersi trasformare in un qualsiasi animale? Quanto a quest’ultimo suo privilegio, per il momento non so dirti in che modo riuscirò a superarlo; ma sono sicuro che ne troverò qualcuno che sarà in grado di neutralizzarlo.»

«Dopo aver ascoltato la tua risposta, eroico Terrestre, non mi resta che lasciarti andare ed augurarti un’altra splendida vittoria nel combattere contro l’eroe di Lokrat. Nel frattempo, starò qui ad attendere che tu ritorni orgoglioso del tuo nuovo successo. In bocca al lupo, campione!»

A quel punto, Iveonte chiamò Russet, perché lo raggiungesse e lo conducesse nel luogo dove si trovava Pessun, il quale era il suo nuovo avversario da abbattere e da privarlo della sua parte di Potere Cosmico. Allora il cavallo alato subito gli si presentò e gli permise di saltargli in groppa per portarlo via con sé. Intrapresa poi la sua rapida volata, si diede ad attraversare senza mai fermarsi lo spazio celeste, che era azzurro e nitido ovunque. L’animale arrestò la sua corsa, soltanto quando raggiunse colui che tre secoli prima era stato l’osannato eroe di Lokrat, per aver liberato la sua città dai mostruosi Kroep e per aver riportato in essa la serenità e la felicità che godevano un tempo.

Quando Pessun si vide davanti Russet, il quale gli nitrì come se avesse voluto salutarlo, attese che chi lo cavalcava scendesse dalla sua groppa e gli si presentasse. Intanto, non avendo ravvisato in lui nessuno degli altri Guardiani del Potere Cosmico, non poté fare a meno di stupirsi, anche perché era stato il cavallo alato a servizio di Tupok a condurlo in sua presenza. Comunque, aspettò che lo sconosciuto gli si rivolgesse e gli facesse pure le proprie presentazioni. Iveonte, da parte sua, non lo deluse. Infatti, dopo che gli si fu avvicinato, incominciò a dirgli:

«Non sei forse tu Pessun, l’eroe di Lokrat? Lo sarai senza meno, se Russet mi ha condotto davanti a te. Invece il mio nome è Iveonte e sono venuto da te non senza una ragione.»

«Allora, Iveonte, sei pregato di riferirmi cosa ti ha spinto a venire da me, siccome sono tutto orecchi ad ascoltarti.»

«Pessun, probabilmente la mia risposta non ti risulterà gradita, dopo che ne sarai venuto a conoscenza. Ma non ci posso far niente, se ciò che sto per comunicarti giustamente non sarà di tuo gradimento.»

«Parli, Iveonte, come se tu fossi giunto da me per annunciarmi che sei venuto a prendere il mio posto, sostituendomi nel possedere una parte del Potere Cosmico. Ad ogni modo, sentiamo la vera ragione che ti ha condotto da me, considerato che una ce ne sarà senz’altro!»

«In un certo senso, Pessun, qualcosa di vero c’è in ciò che hai detto. Comunque, non sono venuto a sostituirti nell’importante compito che hai. Invece la mia venuta da te ha solo lo scopo d’impossessarmi della tua parte di Potere Cosmico. Essa, una volta che te ne priverò, sarà la quarta per me, dal momento che già altri tre guardiani si sono dovuti piegare al mio volere. Infatti, li ho sconfitti, quando si sono opposti alla mia richiesta forzata. Per il momento, essi sono stati Arkust, Furiek e Serpul, i quali adesso si ritrovano privi della loro parte del prezioso potere. Ma tra poco toccherà anche a te seguirli sia nella sconfitta che nella privazione del Potere Cosmico!»

«Davvero, Iveonte, sei convinto che io ti cederò la mia parte di Potere Cosmico, senza cercare d’impedirti d’impadronirtene? Al posto tuo, non ci farei affidamento e me ne guarderei dal provarci con tanta facilità!»

«Questo lo vedremo tra poco, Pessun. Ad ogni modo, già da adesso ti garantisco che ogni tua iniziativa, che è diretta a rendermi impossibile quanto mi sono proposto, ti risulterà vana, essendo io il più forte.»

«Sentirti parlare così, Iveonte, mi spingi solo a considerarti un presuntuoso. Per questo mi toccherà spegnere questa tua presunzione con provvedimenti concreti. I quali presto seguiranno da parte mia, dovendo dimostrarti che non sono il tipo che parla a vanvera, come fai tu!»

A quelle ultime sue parole, Pessun, smettendo di parlare, cercò di far seguire solo fatti. Perciò ricorse alla sua spada, con la quale armò il suo braccio sinistro, essendo egli affetto da mancinismo. Così la impugnò con presa sicura e si diede a mulinarla, facendole compiere dei moti vorticosi, come se volesse confondere l’avversario, senza dargli ad intendere dove avrebbe vibrato il suo primo colpo. Nello stesso tempo, tenendo i talloni appena divaricati, che gli consentivano una maggiore stabilità negli spostamenti, mostrava le gambe flesse e il busto profilato leggermente inclinato in avanti. Non c’era dubbio che quella sua posizione era da considerarsi abbastanza naturale e rilassata. Invece i suoi occhi apparivano estremamente guardinghi e cercavano di rendersi conto delle parti del rivale più vulnerabili, volendo sferrare lì i suoi fendenti e i suoi montanti. Difatti gli uni e gli altri a breve sarebbero seguiti, come una valanga di fulmini e tuoni, nonché lo avrebbero tempestato di colpi che avrebbero manifestato una inaudita irruenza. Dal canto suo, Iveonte non lo lasciò fare, senza prendere delle precauzioni adeguate, che avrebbero difeso la propria persona dalle minacce che stavano per provenirgli dall’avversario, consapevole che esse sarebbero sopraggiunte a momenti e con aspra violenza. Perciò egli si preparò a tener testa sia alle sue imbroccate che alle sue stoccate, le quali non sarebbero risultate carezze, ma colpi poderosi tendenti a tagliuzzargli il corpo, com’era nelle previsioni di Pessun. Il quale, in fatti d’armi, aveva un’esperienza temibile, che non andava sottovalutata; al contrario, bisognava studiarla nei minimi particolari. Soltanto così ne avrebbe ricavato contromisure capaci di neutralizzarla e di fargli avere il sopravvento sulla medesima, fino a farla soccombere mediante contromosse efficaci e lesive al massimo.

In un primo momento, Pessun tentò di sbilanciare il suo contendente con una finta, cambiando subito dopo il colpo in sede di attacco. Con tale sua simulazione, mirò a provocare la sua reazione e a colpirlo in una sua parte scoperta. Ma il suo tentativo non fu in grado di ottenere dei risultati positivi, dal momento che aveva contro Iveonte, la cui preparazione nelle armi e nelle arti marziali era da considerarsi efficiente al cento per cento e giammai avrebbe accusato qualche scricchiolamento sia nella difesa che nell’offesa. Perciò senza difficoltà, più volte egli dovette deviare la lama dell’avversario, che aveva cercato di crearsi un varco e colpirlo, oppure svincolarsi da essa, mentre effettuava un tentativo di legamento. Così convinse la controparte di essere un par suo e di stare bene all’erta, se non voleva lasciarci le cuoia. Allora Pessun, essendosene reso conto, decise di esprimersi contro l’avversario con azioni più avvedute e studiate. Ma prima ci tenne a fargli presente:

«Come vedo, Iveonte, sei un tipo tosto da non sottovalutare, se sei stato in grado di uscire indenne dal mio primo assalto. Comunque, la partita è ancora all’inizio e non sai a cosa dovrai ancora andare incontro, prima di vederne la fine. Tu non immagini neppure con chi hai a che fare, in questo combattimento. Presto ti convincerai che sarà un’impresa pressoché impossibile il cercare di carpirmi la mia parte di Potere Cosmico. In me sono riposte le migliori garanzie che mai nessuno potrà affrontarmi, senza venirne battuto ed ucciso.»

«Dicevi a me di peccare di presunzione, Pessun! Allora cosa devo dire di te, che ti senti già il vincitore dell’incontro, quando lo abbiamo appena iniziato? Molto presto ti farò venir meno questa effimera sicurezza, costringendoti a mangiare la polvere, come è già avvenuto con gli altri guardiani che ti hanno preceduto, i quali, similmente a te, pure si credevano invincibili. Come vedi, nessuno di noi può considerarsi insuperabile, poiché c’è sempre qualcuno capace di darci la lezione che non ci saremmo mai sognata. Ebbene, per tua sfortuna, oggi sono io colui che t’impartirà la lezione che non ti aspetti!»

«Se ne sei persuaso, Iveonte, alla stessa mia maniera, ci conviene riprendere il nostro combattimento, in modo che ciascuno di noi dimostri quanto ha affermato senza ombra di dubbio. Questa volta, però, faremo sul serio e daremo sfogo all’intera nostra bravura.»

Terminate le ultime parole di Pessun, subentrò fra i due campioni un clima di silenzio esasperante, poiché ognuno adesso andava studiando quelle mosse tattiche confacenti alla situazione e che avrebbero dovuto permettergli di aver successo sull’ostico avversario. Ma esso non li tenne impegnati a lungo nella loro attenta ponderazione, siccome questa scemò poco dopo nei due campioni, che preferirono così venire coinvolti in un conflitto tremendo. A quel punto, lo scontro divenne incandescente, poiché entrambe le controparti si diedero a dare il meglio di sé in quella lotta nella quale ciascuna non intendeva subire le imposizioni dell’altra. Perciò s’impegnava al massimo, metteva in campo le migliori strategie schermistiche e di arti marziali in suo possesso, pur di avere il sopravvento sull’intrepido rivale. Pessun allora dovette rivedere la sua stima fatta sul proprio contendente, essendosi accorto che aveva sottovalutato le sue capacità. Le quali ora, mentre la contesa infuriava accanita, glielo facevano ritenere al suo stesso livello, se non proprio superiore. Perciò era obbligato ad assumere un differente atteggiamento nell’offesa e nella difesa. Ma anche Iveonte non tardò a capacitarsi che aveva di fronte un tenace e pericoloso avversario, che non gli consentiva di prenderlo sottogamba. Per cui si vedeva costretto ad impegnarsi seriamente in quella tenzone per far fronte alle esuberanze aggreditrici del rivale. Il quale impegno doveva esserci in special modo, quando Pessun lo attaccava con la spada oppure lo assaliva con una serie di evoluzioni che esprimevano il meglio delle arti marziali. Egli, però, non era da meno nel reagire ad esse, allo scopo di difendersi e d’improvvisare contromosse adatte alla circostanza.

Così, in breve tempo, lo scontro assunse un furioso svolgimento, nel quale alle tattiche mosse e agli irrefrenabili colpi di spada dell’uno si contrapponevano le scaltre parate e le controreazioni mordenti dell’altro, senza che da parte loro si registrassero cedimenti oppure insufficienze psicofisiche. A vederli combattere, sembrava che si stessero scontrando due uragani che, nella loro burrascosa foga, tendevano a far piazza pulita di ogni cosa nella regione che stavano tempestando. Ai virtuosismi dell’uno si opponevano i tecnicismi dell’altro, mentre essi manifestavano il massimo della loro preparazione fisica e psichica, non permettendo al loro spirito di annichilirsi o di smarrirsi. Al contrario, esso vi partecipava sempre più attivamente, come se nel loro corpo le gagliarde energie fossero divenute inesauribili e non c’era la possibilità di venir meno in quella lotta da loro accesa, che ora iniziava a surriscaldarsi. Lo testimoniavano le loro azioni, che venivano compiute con grande impeto e con spirito vigoroso. L’uno e l’altro attestavano che la loro vitalità era nel pieno rigoglio e non poteva accusare il benché minimo afflosciamento. Dimostrandosi ferma e salda la tenuta del combattimento fra il campione terrestre e quello urnutese, quest’ultimo si rivolse al suo avversario e gli fece presente:

«Mi avvedo, Iveonte, che non c‘è stata alcuna presunzione da parte tua, quando ti sei autogiudicato. Te ne do atto. Perciò adesso la tua eccellente preparazione nelle armi e nelle arti marziali mi obbliga a ricredermi della mia sfiducia dimostrata nei tuoi confronti.»

«A mio giudizio, Pessun, anche tu non ti sei dimostrato inferiore ed hai dato prova di essere l’eroico campione che il tuo popolo ha visto in te, celebrandoti con tutti gli onori che ti erano dovuti.»

«Se ciò è vero, Iveonte, però ho notato nella tua preparazione qualcosa che mi ha stupito moltissimo, nel senso che essa mi è risultata sorprendente oltre ogni aspettativa. Fino a quando non mi sono misurato con te nelle armi, ero sicuro che la scuola frequentata da me dava ai suoi allievi la massima formazione che si potesse raggiungere nell’uso delle armi e nelle arti marziali. Tu invece mi hai dimostrato che la mia convinzione era falsa, anche se di poco. Per cui ci sono dovute essere le mie innate potenzialità di guerriero intrepido ed astuto per colmare la differenza esistente fra la tua scuola e quella mia, anche se minima. Ma non c’è dubbio che in te scorgo un guerriero mio pari, nel quale si rivelano ineccepibili le qualità combattentistiche e quelle che fanno capo all’audacia, all’inarrendevolezza e ad una bellicosità inverosimile. Per cui sono obbligato a rendertene merito!»

«Non posso neppure chiederti, Pessun, di cedermi con le buone la tua parte di Potere Cosmico, per un semplice motivo. Se voglio ottenerla, ho bisogno di ucciderti, anche se poi la tua morte non risulterà effettiva, poiché ritornerai alla tua precedente esistenza, dopo pochi istanti che ti avrò ucciso. Stando così le cose, il nostro combattimento dovrà andare avanti, fino a quando non ti avrò definitivamente sconfitto ed ucciso.»

«Hai omesso, Iveonte, che c’è pure la possibilità che sia io ad uccidere te e che resti così ancora in mio possesso la parte di Potere Cosmico che mi assegnò il Signore di Potenzior. A proposito, Terrestre, mi hai riferito che io sopravvivrò alla mia morte; ma tu, nel caso che io ti uccidessi, accadrebbe anche a te la stessa cosa? Oppure per te il destino sarebbe diverso, ossia che moriresti per sempre? Mi piacerebbe venire a conoscenza di questo particolare.»

«Vuoi proprio saperlo, Pessun? Ebbene, non lo so neppure io, poiché Tupok non si è soffermato su un particolare del genere. A mio avviso, però, non dovrebbe esserci per me la resurrezione dopo la mia morte. La qual cosa mi esorta ad evitare di farmi sconfiggere da te e ad ottenere la tua uccisione con ogni mezzo, visto che non potrò fare a meno di conquistare anche la parte di Potere Cosmico che custodisci per volontà del Signore di Potenzior. Perciò non illuderti che io rinuncerò alla mia lotta, prima che essa abbia termine!»

«Ti comprendo, Iveonte; ma non ti sarà facile raggiungere il tuo obiettivo. Tenendo fede alla parola data a Tupok, m’impegnerò con tutte le mie forze perché ciò non succeda. E tu lo sai quale tuo temibile avversario si trova nella mia persona, il quale non risparmierà energie, pur di averla vinta contro di te. Inoltre, voglio metterti al corrente che possiedo qualcosa che tu non hai, di cui potrò servirmi per condurre il nostro scontro a mio favore.»

«Invece, Pessun, so a cosa ti riferisci. Non sei forse dotato di un potere, il quale ti permette di trasformarti in qualsiasi animale? Me ne ha già parlato chi comanda in Potenzior. Ma non vedo perché tale potere dovrebbe favorirti nella nostra lotta. Io non credo che una bestia riuscirebbe a fare più di una persona, che è dotata d’intelligenza e della capacità di riflettere selle singole situazioni del caso. Mi spieghi, quindi, in che modo potresti nuocermi con facilità, una volta che ti sarai trasformato in una bestia?»

«Dipenderà dall’animale in cui deciderò di trasformarmi, Iveonte. Lo sai anche tu che essi sono tanti, nei quali sono comprese anche le bestie feroci. Mica mi trasformerei in un topolino per arrecarti un danno serio! Invece sarebbe la peggiore delle belve ad aggredirti, dalla quale ti sarebbe difficile districarti, pur contando sulle tue infinite capacità di strenuo combattente, che hai dimostrato di possedere.»

«Io non temo alcuna belva, anche se ferocissima, Pessun. Con la tua trasformazione belluina, saresti tu a rimetterci, poiché andresti incontro alla morte non come un valente guerriero, ma come una bestia per niente cosciente delle sue virtù guerresche. A tale proposito, mi riferisci se conservi il dono di volare, anche quando ti trasformi in un animale che non è un pennuto? Se non ti dispiace, vorrei che tu me lo dicessi.»

«Siccome in Potenzior non mi sono mai trasformato in una bestia, Iveonte, né tanto meno ho provato a volare mentr’ero nell’altro corpo, non saprei cosa risponderti. Ma siccome conservo le mie facoltà psichiche ed intellettuali, dopo che mi sono trasformato in un animale, almeno dovrei essere in grado di far nascere in me un tale desiderio. Ma poi esso mi sarà permesso dalla mia esistenza in Potenzior? Come vedi, ne sono all’oscuro anch’io!»

«Comunque, Pessun, si tratta di un particolare che m’interessa ben poco, siccome in Potenzior a noi Materiadi il volo è consentito, per cui potrei competere lo stesso con te, dopo essere diventato animale. A questo punto, bando alle ciarle e riprendiamo la nostra aspra contesa!»

«Sono d’accordo con te, Iveonte, poiché la sua ripresa ci darà modo di conoscere il risultato finale che ne conseguirà. Non lo stiamo forse aspettando entrambi con ansia?»

Alla domanda dell’Urnut non seguì la risposta di Iveonte, per cui ci si preparò, da parte di tutti e due, ad affrontarsi di nuovo, mettendo ancora in campo il meglio della loro preparazione nelle armi e nelle arti marziali. Una volta privato dei loro discorsi e di altre sospensioni, lo scontro sarebbe andato avanti con il massimo impegno, fino a quando uno dei due non fosse crollato, permettendo all’altro di conseguire la palma della vittoria. Così la ripresa delle armi fra i due campioni fu caratterizzata da un impiego più incisivo di strategie e di tecniche combattentistiche da parte dei due accaniti duellanti, con le quali essi tesero a concludere l’animosa lotta nel più breve tempo possibile.

Iniziò prima Pessun a muovere un furioso assalto contro il suo rivale, tempestandolo di colpi decisi e dati con inviperito sdegno; però nell’assestarglieli, egli cercò quei suoi punti che apparissero più nevralgici. Ad ogni modo, Iveonte resse all’aggressione dell’avversario, senza andare incontro a seri problemi. Invece, intanto che si opponeva ad essa con egregia bravura, al fine di neutralizzarla e di frustrargliela, fu intento in pari tempo a sorprenderlo in fallo in qualche sua mossa per sferrargli il colpo fatale. Ma quella loro prima azione, offensiva da parte dell’uno e difensiva da parte dell’altro, si concluse ancora con un nulla di fatto. Per la quale ragione, i due contendenti furono scorti già pronti a cimentarsi in un duello senza soste e senza sprechi di energie, essendo intenzionati a primeggiare sulla controparte della contesa. Quest’ultima stavolta avrebbe fatto largo uso delle arti marziali, intanto che i colpi sarebbero diluviati senza tregua e con mosse studiate, anziché darli all’impazzata. Così poco dopo li si videro muoversi con destrezza fino ad un paio di metri dal suolo, compiendo volteggi inverosimili, mentre si assalivano a vicenda e cercavano di colpirsi duramente; però la difficoltà a raggiungere il loro scopo si presentava ancora molto alta. Entrambi, infatti, si mostravano attenti perché i colpi dell’avversario non infilzassero il proprio corpo; ma fossero invece quelli da lui inferti a perseguire tale obiettivo su quello del rivale, permettendogli di diventare in quella maniera il vincitore dello scontro. Al contrario, com’essi si rendevano conto, a ciascuno di loro non risultava semplice aver ragione dell’avversario, pur ricorrendo alla scaltrezza più fine e alle azioni più avvedute e ponderate.

Per tale motivo, Pessun si convinse che poteva porre fine allo scontro ed aggiudicarsi la palma, esclusivamente trasformandosi in un grosso felino e scagliandosi con la massima violenza contro il proprio rivale. Il quale, secondo lui, non avrebbe retto all’urto; ma si sarebbe fatto abbattere al suolo, nonché sbranare dai suoi artigli poderosi e dai suoi morsi voraci. Così, avendo fatto quella scelta, egli si affrettò ad attuarla senza por tempo in mezzo. d un certo punto, egli gettò via la spada, sorprendendo il rivale; ma subito dopo, in un attimo, si trasformò in una gigantesca tigre. Essa, mentre bramiva minacciosa, mise in atto il suo balzo mortale sulla persona dell’eroe terrestre. La belva però, anziché arrecare la morte al destinatario del suo assalto brutale, la procurò a sé stessa, poiché Iveonte riuscì a trapassarla con un abile fendente, il quale le produsse un grosso squarcio sul ventre e la fece cadere senza vita al suolo. Qualche attimo dopo, venne fuori da essa Pessun del tutto sano, ma con la mente che non rammentava nulla di quanto gli era successo. Invece Iveonte si ritrovò in possesso anche della quarta parte del Potere Cosmico. Allora egli si sbrigò a chiamare presso di sé il cavallo alato e gli ordinò di riportarlo presso il suo padrone. Quando si fu ripresentato al Signore di Potenzior, costui, non avendo dubbi della sua vittoria sul quarto Guardiano del Potere Cosmico, si diede ad elogiarlo, dicendogli:

«Bravo, Iveonte! Come vedo, hai di nuovo trionfato sul tuo avversario, il quale questa volta era Pessun. Perciò mi complimento ancora con te, per esserti dimostrato egregiamente all’altezza della situazione. Adesso ti attende la quinta de ultima parte del Potere Cosmico, la quale si trova nelle mani di Rutos, con il compito di non farsela togliere da nessuno. Comunque, anche di lui dovrai apprendere quelle cose che ti necessiteranno per conoscerlo bene e per regolarti nel modo giusto, quando lo affronterai per il medesimo motivo. Allora, formidabile Terrestre, sei pronto a riceverle da me, senza che niente ti distragga?»

«Puoi cominciare a raccontarmi di Rutos, simpatico Tupok, senza tralasciare nulla. Se esse mi risulteranno preziose, come mi hai garantito, stanne certo che non me le farò sfuggire più, dopo che hanno preso posto nella mia memoria. Ma ti prometto che anche il quinto ed ultimo Guardiano del Potere Cosmico avrà il fatto suo da me, siccome cercherà di opporsi a me con tenacia, quando verrà a conoscenza dell’oggetto della mia visita. Anch’egli farà il diavolo a quattro, pur di riuscire a non farmi impadronire della parte di Potere Cosmico da lui custodita. Ma non gli servirà a nulla adoperarsi in tal senso e dovrà chinare la fronte davanti a colui che è destinato a trionfare anche sulle divinità malefiche.»

Non appena Iveonte ebbe smesso di parlargli, Tupok iniziò il suo rapporto biografico che doveva presentare a grandi linee il suo prossimo rivale. Allora il giovane terrestre si diede ad ascoltarlo con la massima attenzione, senza farsi sfuggire neppure una parola.