465°-LA VITA DI PESSUN SUL PIANETA ISTOP

Pessun era nato due anni prima della comparsa dei Kroep sul territorio dei Lokratesi. Ma la presenza dei mostruosi alieni su di esso era coincisa con la morte della madre Ceusa, che era stata uccisa dal morso di un serpente velenoso. Perciò, rimasto orfano di madre, era stato il padre Loben a prendersi cura di lui fino alla sua età adulta. Anzi, durante il suo primo anno privo delle attenzioni materne, aveva dovuto anche sottrarlo al pericolo dei Kroep, i quali si cibavano soltanto di bambini che non superavano i tre anni di età. Per riuscirci, egli lo aveva cresciuto in un pollaio in mezzo ai polli. Inoltre, durante ogni loro ispezione notturna, lo aveva ricoperto con grosse ali di gallina e gli aveva tappato la bocca con una striscia di tela, ad evitare che il piccolo si facesse scoprire con il proprio pianto. Il bambino aveva compiuto i suoi tre anni, quando il padre aveva deciso di risposarsi con una donna della zona, facendogliela risultare da quel giorno sua madre naturale.

Chi era Loben? Quale esemplare eroismo lo contraddistingueva, per essere riuscito a formare il figlio con la tempra dell’eroe? Di certo non si poteva pensare a lui come ad una persona comune, se aveva ricavato dal suo Pessun l’eroico uomo per eccellenza. Allora, per valutarlo nei suoi eccezionali valori intrinseci ed estrinseci, occorre approfondirlo almeno per quel tanto che sarà in grado di fornirci di lui quelle notizie utili per farcelo conoscere nel modo migliore. Perciò non ci asterremo dal seguire un simile suggerimento. Siccome era amante di escursioni, fin da quando aveva dodici anni, Loben era solito allontanarsi da casa ed andarsene in giro per intere giornate; però sul calar del giorno, egli era già di ritorno e trascorreva la notte in famiglia. Aveva quindici anni, quando il suo viaggio era durato tre giorni di seguito, poiché Loben si era ritrovato a vivere un’esperienza nuova. La quale lo aveva incantato talmente, da fargli perfino dimenticare di avere dei genitori, a cui aveva promesso che le sue fuoriuscite non sarebbero mai durate più di un giorno intero. Invece questa volta, non preoccupandosi d’impensierire la madre e il padre, aveva voluto fare un’eccezione, siccome gli si permetteva di fare una fantastica esperienza fuori casa.

Quel giorno, dopo aver salutato i suoi genitori, come di consuetudine, egli aveva lasciato la sua abitazione e si era diretto verso la catena di monti. La quale si estendeva lungo tutto il lato nord per svariati chilometri. Su di essa alcuni eccelsi rilievi svettavano per solennità e splendore, al tocco dei raggi di luce provenienti dall’abbagliante stella. Questa, infatti, ai primi chiarori dell’alba, si era data ad alzarsi ad oriente e a far propagare la sua luce e il suo tepore per vaste aree geografiche, a cominciare dalle cime dei monti. Da parte sua, Loben, mentre procedeva per un sentiero che s’inerpicava per un costone roccioso, tra balze e greppi, era inciampato e si era slogato una caviglia. Allora la slogatura lo aveva costretto a fermarsi e ad interrompere la sua ascesa. Per sua fortuna, poco dopo era stato raggiunto da un uomo che cavalcava un mulo. Egli, che mostrava una barba a pizzo, doveva avere un’età che non superava i cinquantacinque anni. Il nuovo arrivato, scorgendolo dolorante per l’incidente avuto, all’istante aveva arrestato la sua bestia e ne era sceso. Dopo essersi avvicinato a lui, gli aveva domandato:

«Mi dici, ragazzo, cosa ti è successo? Come vedo, hai difficoltà a muoverti. Nel caso che io possa esserti di aiuto, lo farò volentieri.»

«Sconosciuto, essendo io inciampato per una banale distrazione, ora questo piede m’impedisce di camminare e mi procura anche un dolore tremendo al minimo suo movimento. Inoltre, la mia casa è lontana e non saprei come raggiungere i miei genitori, visto che sono così malridotto! Se vuoi conoscere il mio nome, esso è Loben. Invece il tuo qual è? Mi farebbe piacere apprenderlo.»

«Io mi chiamo Pidus, infortunato Loben. Ad ogni modo, dal momento che mi trovo qui, mi permetti di dare un’occhiata al tuo piede destro, perché mi renda conto del suo reale stato?»

«Se credi di riuscire a fare qualcosa per tale mia parte anatomica, generoso Pidus, accòmodati pure!»

Ricevuto il permesso del ragazzo, l’uomo si era avvicinato a lui. Subito dopo, con una certa delicatezza, aveva cercato di sollevargli il piede. Tale manovra all’istante aveva fatto emettere al suo occasionale assistito un grido di dolore. Allora egli gli aveva fatto presente:

«Loben, per tua buona ventura, cadendo, non ti sei prodotto una distorsione alla caviglia. Con alcuni massaggi e con i lenimenti ad hoc, potrai guarire, ma ci vorranno anche un paio di giorni di riposo. Ma sono costretto a condurti a casa mia, facendoti viaggiare sulla groppa del mio mulo. Perciò mettiamoci subito all’opera per preparare il tuo trasferimento nella mia dimora.»

Pidus non si era sbagliato, per cui il suo assistito era ritornato perfettamente guarito dopo due giorni di convalescenza, grazie ai suoi formidabili massaggi al piede e alla miracolosa pomata ad esso applicata, che egli stesso aveva preparata con erbe officinali. Al termine della guarigione, però, Loben non se n’era ritornato subito a casa, poiché dei fatti nuovi lo avevano spinto ad agire altrimenti, ritardando così ancora di più il suo ritorno fra i suoi genitori.

Il nostro nuovo personaggio era un kusbor, ossia un maestro di altissimo pregio che insegnava ai suoi allievi una speciale dottrina, detta kusb. Essa si attuava mediante un complesso di tecniche ascetiche e con uno specifico metodo di autodisciplina. Con la sua pratica, li liberava, passo dopo passo, da ogni rapporto che avevano con la loro esistenza concreta, avendo essa una funzione prettamente spirituale. Assoggettandosi a tale disciplina, i discenti raggiungevano vari risultati, come: 1) una retta norma morale, per cui dovevano astenersi dall’offendere il proprio prossimo, rispettare la verità assoluta e rendere puri il corpo e lo spirito; 2) la preparazione fisica nell’assumere posizioni del corpo adatte alla meditazione; 3) il controllo nel respirare e nel pensare per sottrarre i propri sensi agli stimoli esterni; 4) lo svuotamento della mente, attraverso la concentrazione su oggetti e su astrazioni; 5) l’assoluto raccoglimento della persona. Quest’ultimo consentiva loro di fare tutt’uno con l’Ente Supremo, il quale gli permetteva così di diventare degli eccellenti esperti d’armi e di arti marziali, oltre che dotarlo della capacità di trasformarsi nei più svariati animali. Ma tale trasformazione poteva durare in loro non più di cinque minuti per volta e la si poteva ottenere solo dopo mezzora che si era avuta quella precedente.

Pidus aveva aperto una sua scuola, la quale era ubicata in mezzo ad un pianoro circondato completamente dalle vette dei monti, a mille metri di altitudine, e ad essa aveva dato il nome di Kusbic. Quando si era imbattuto in Loben, la sua scuola contava trenta discepoli, tutti che la frequentavano con assiduità e con il massimo impegno, facendo sentire il loro maestro orgoglioso della sua opera formativa. Egli immediatamente aveva compreso che da quel ragazzo avrebbe ricavato il più formidabile dei suoi allievi. Perciò lo aveva invitato ad unirsi agli altri per apprendere insieme con loro tutto quanto insegnava la sua dottrina. Loben, dal canto suo, pur mostrandosi entusiasta della scuola di Pidus, per cui volentieri vi avrebbe preso parte, aveva rinunciato per non lasciare soli i suoi genitori. Invece poi era accaduto che, quando aveva fatto ritorno alla sua fattoria, li aveva trovati entrambi morti, essendo stati uccisi da persone ignote. Allora, dopo averli sepolti, non aveva perso tempo ed aveva raggiunto la Kusbic per accettare il precedente invito del grande maestro. Il quale gli aveva anche offerto l’ospitalità in casa sua per tutto il tempo della sua formazione.

Da quel momento, il ragazzo, avendo preso a cuore l’intera dottrina del proprio maestro, si era impegnato ad apprenderla con grande fervore, fino ad ottenere il massimo rendimento da essa e a diventare il suo migliore allievo. Così Loben, dopo dieci anni di costante ed intenso impegno, era riuscito a diventare il primo in assoluto fra i discenti che si applicavano nella Kusbic. Infatti, egli era in grado di mettere in pratica qualunque cosa appresa in merito alla kusb con una perfezione, che suscitava meraviglia anche nel proprio maestro. Perciò Pidus lo elogiava immensamente e si compiaceva del fatto che in passato aveva visto giusto, quando il giovane gli aveva fatto un’ottima impressione, che il tempo non aveva smentito. Si poteva ben dire che egli, dopo essersi rigenerato nella nuova dottrina, era diventato l’uomo completo in tutti i sensi. Perciò si ritrovava ad essere fornito di doti pregevoli, quali appunto si rivelavano l’intelligenza, l’astuzia, l’intraprendenza, l’imbattibilità nel combattere con le armi e a mani nude, la fermezza d’animo e la catarsi dello spirito.

Un giorno, essendo stato invitato dal suo maestro a farlo, anche se con un nodo alla gola, Loben aveva abbandonato la Kusbic e se n’era andato per fatti suoi per dedicarsi ad una vita indipendente. Ma durante le sue peregrinazioni, si era imbattuto in una ciurma di briganti, i quali con minacce stavano per mettere nei guai una famiglia di contadini. Allora egli era intervenuto in soccorso dei poveretti, uccidendo la decina di brutti figuri che intendevano commettere dei soprusi nei loro confronti. Era stato in quella circostanza che la primogenita dei coloni, la quale era un’avvenente ragazza di venti anni e si chiamava Ceusa, subito gli aveva ispirato una grandissima simpatia, che forse celava anche un tenero amore. Perciò l’aveva presa come compagna della sua vita e se n’era andato a vivere con lei nella fattoria dei suoi defunti genitori, dove aveva dovuto prima imporre lo sfratto forzato a coloro che nel frattempo l’avevano occupata abusivamente. La loro unione era durata appena tre anni, poiché la donna, quando il loro figlio Pessun aveva due anni, era rimasta vittima di un serpente velenoso ed era morta, lasciando Loben a crescere da solo il loro bambino. L’uomo, almeno nel primo anno di vedovanza, aveva evitato di cercarsi un’altra donna per affidarle la crescita del suo unigenito. Ma dopo si era risposato, come già abbiamo avuto modo di apprendere. Egli era stato un genitore esemplare per il fanciulletto, mentre trascorrevano gli anni della sua puerizia; inoltre, era stato per lui un insuperabile maestro, durante la sua adolescenza e la sua giovinezza. Infatti, mentre i suoi delicati anni si creavano il loro varco nel tempo futuro, il figlio, grazie agl’insegnamenti paterni, era andato diventando un giovane con gli attributi dell’eroe.

Quando aveva compiuto i suoi venticinque anni, Pessun poteva considerarsi un guerriero perfino superiore al padre. Ma ciò era avvenuto, dopo averne acquisito le preziose caratteristiche ed aver realizzato le altre che gli erano congeniali, permettendo ad esse di uscire dal loro stato potenziale e di assumere quello effettivo. Il quale sviluppo formativo, che senz’altro aveva superato le sue aspettative, aveva reso il padre fiero dei prodigiosi progressi raggiunti dal proprio figlio. Durante tutti quegli anni di corroboramento fisico, psichico e spirituale, la coppia di familiari si era interessata anche al problema della presenza sul proprio territorio dei temibili Kroep. Per cui aveva tentato di studiare un piano in grado di fargli ottenere la distruzione dei terribili mostri, senza che mettesse a rischio quella loro. Essi erano spinti ad una tale impresa, siccome volevano evitare che tanti bambini venissero divorati dai Kroep. Invece la loro invulnerabilità gliela rendeva ardua ed impossibile; anzi, il più piccolo errore da parte di entrambi avrebbe messo a repentaglio la loro esistenza. Un giorno, purtroppo, esso era stato commesso da Loben, esattamente quando il figlio era assente da casa.

Egli si trovava solo nei pressi della sua casa colonica, quando aveva visto una coppia di Kroep dirigersi nella sua direzione. Allora, pur sapendo che le mostruose bestie non assalivano gli esseri umani di età superiore ai tre anni, lo stesso aveva deciso di non farli avvicinare troppo a lui. Per questo si sarebbe trasformato in un volatile, non appena essi gli si fossero avvicinati alla distanza di cinque metri. Non si era accorto però che alle sue spalle un terzo Kroep avanzava pure verso di lui, senza farsi notare per niente. Così, non appena aveva scorto quelli da lui sorvegliati alla distanza da lui stabilita, aveva tentato di effettuare la trasformazione. Ma prima che essa avvenisse nel suo corpo, Loben si era visto assalire all’improvviso dal Kroep che gli era sopraggiunto alle spalle. In un attimo, l’animale dalla doppia natura gli era saltato addosso e gli aveva preso il collo fra le acute zanne, stritolandoglielo orridamente, come se si fosse trattato di un ramoscello. Allora la morte era stata istantanea nello sventurato, che non aveva potuto opporgli la minima resistenza. Comunque, il suo corpo non era stato divorato dai Kroep, i quali avevano preferito lasciarlo sul suolo in quelle condizioni orribili, ossia con il collo maciullato ed insanguinato, intanto che il suo capo era riverso sul sottostante tronco, palesemente immerso nell’orrore della morte. Non bastando ciò, nella medesima circostanza, i tre Kroep gli avevano martoriata anche la moglie.

Quando il figlio Pessun aveva fatto ritorno alla sua abitazione e si era trovato davanti all’orrido spettacolo che gli offrivano il padre e la madre, aveva avvertito una pugnalata al cuore per il forte dolore. Inoltre, non si era astenuto dall’imprecare contro i Kroep, avendoli ritenuti i responsabili dell’uccisione del padre. Nello stesso tempo, aveva formulato contro di loro dei rabbiosi propositi di vendetta. Come pure, a tale riguardo, aveva iniziato a meditare un piano d’azione, subito dopo aver dato ai genitori una degna sepoltura, versando su di essa calde lacrime di affetto. In seguito aveva appreso che gli uccisori del padre si erano trasferiti a Lokrat, poiché in essa avrebbero avuto a loro disposizione maggiori pasti, per il gran numero di bambini che vi si trovavano con l’età da loro preferita. Allora Pessun, per vendicarsi di loro, aveva deciso di seguirli nella città del re Velvut, dove gli avrebbe dato filo da torcere, fino a quando non avesse trovato il modo di eliminarli tutti e dieci, senza mettere a rischio la propria vita. Così era partito alla volta di Lokrat per farsi ricevere dal suo sovrano. Ma ’era voluta un’intera giornata di galoppate, prima di raggiungerla. Una volta in essa, il giorno dopo aveva chiesto udienza al suo sovrano, ottenendola nella tarda mattinata. Quando se lo era visto davanti, il re Velvut gli aveva domandato:

«Mi dici chi sei e qual è il motivo che ti ha spinto a chiedermi udienza? Ma sono convinto che uno ce ne sarà senza meno. Altrimenti non ti saresti presentato a me, senza avere qualche richiesta da farmi!»

«Certo che esso c’è, mio nobile sovrano! Prima di riferirtelo, però, voglio farti sapere che mi chiamo Pessun e provengo dai territori che circondano la tua città, dove la mia attività preferita era la caccia. Il mio trasferimento a Lokrat ha un unico scopo, ossia quello di eliminare i mostruosi esseri che hanno ucciso i miei genitori. Inoltre, ammazzandoli, porrò fine alle loro stragi di tanti bambini innocenti di questa città, i quali vengono da loro divorati notte dopo notte.»

«Nobile proposito è il tuo, Pessun. Io, però, dispero che tu ci possa riuscire, siccome sappiamo che essi sono invulnerabili e nessuna nostra arma potrà mai trafiggerli e colpirli a morte. Tu invece come intenderesti neutralizzare la loro invulnerabilità ed ammazzarli?»

«A dire il vero, sire, per il momento non ho ancora nessun piano che mi permetta di riuscirci. Ma ti garantisco che qualcuno lo sto già rimuginando nella mia testa, sperando che esso mi consenta di conseguire il mio obiettivo, che adesso conosci anche tu.»

«Al posto tuo, Pessun, non ne sarei così sicuro. Tutti sappiamo che la loro mostruosità è inattaccabile, da parte di noi esseri umani. Ma oltre al fatto che hai voluto mettermi al corrente che hai stabilito di vendicare i tuoi genitori e di venire in soccorso di tanti bimbi lokratesi, non mi hai detto ancora il motivo della tua necessità d’incontrarmi. Potevi fare i tuoi tentativi contro i nostri nemici senza dirmelo. Non sei d’accordo?»

«Lo sono senza meno, re Velvut. Comunque, adesso ti rivelo il motivo per cui mi trovo in tua presenza. Sono venuto per chiederti se in città c’è in qualche parte un baratro profondo che non è circondato da alcuna transenna protettiva. Se le mie aspettative non saranno disattese, esso mi farà raggiungere il mio scopo.»

«Uno ce n’è, Pessun; ma esso è transennato. Si tratta di una voragine senza fondo e non sappiamo neppure dove va a finire. Essa esiste da un’infinità di tempo, per cui non è noto se c’è sempre stata in quel posto oppure vi si è formata dopo la costruzione della nostra città. Da sempre, il popolo lokratese se ne serve per buttarci dentro i vari elementi organici ed inorganici che costituiscono i rifiuti che vengono a formarsi presso le varie case. Una volta, quando in Lokrat veniva applicata la condanna a morte a carico di coloro che si macchiavano di gravi reati, i condannati alla pena capitale vi venivano buttati dentro. Fu mio padre ad abrogare la pena di morte, sostituendola con l’isolamento in una segreta vita natural durante. Quando poi il recluso moriva, il suo corpo veniva gettato nel baratro, di cui ti ho parlato. Ma mi dici come te ne vorresti servire? Da parte tua, sarebbe da ingenuo riuscire a buttarci dentro i dieci mostri che ci opprimono, poiché essi non saranno così stupidi da permettertelo!»

«Invece, secondo il mio piano, è proprio in questo modo che intendo sbarazzarmi di loro, sire; ma uno per volta, s’intende, quando gli altri non possono vedere come faccio ad eliminare il loro compagno.»

«Pur ammettendo che sarà uno solo a competere con te nei pressi della voragine, Pessun, mi riesce assai difficile pensare che tu possa averla vinta contro di lui, facendovelo cascare dentro. Hai forse qualche privilegio, il quale sarà in grado di permetterti di sconfiggere il mostro, costringendolo ad andare incontro alla brutta fine, che gli hai programmata? Se ce l’hai, vorresti farmelo conoscere?»

«Anche se so che non mi crederai, mio sovrano, ebbene ti affermo che ce l’ho; sono convinto che esso potrà essermi di molto aiuto, quando lo affronterò a singolar tenzone.»

«Quale sarebbe questo tuo privilegio, Pessun, che ti dà la garanzia che ne uscirai vincitore, quando intraprenderai la tua lotta contro uno dei mostri dalla doppia natura?»

«Io riesco a trasformarmi in un animale qualsiasi, ogni volta che lo desidero, sia esso piccolo oppure grande. Posso perfino diventare un volatile e darmi liberamente al volo.»

«Non mi stai mica prendendo in giro, Pessun, per asserirmi simili assurdità! A nessun uomo può essere consentito di ottenere dalle sue capacità la trasformazione del proprio corpo in una bestia qualsiasi. Se non me lo dimostri con i fatti, devo considerarti un impostore indegno di stare alla mia presenza. Perciò diventa un colombo, se non vuoi essere sbattuto fuori dalla reggia. Anzi, ti farò rinchiudere nelle carceri lokratesi, nel caso che tu fallisca! Intesi?»

Il re di Lokrat aveva appena finito di minacciarlo, se la sua trasformazione nel volatile da lui proposto non ci fosse stata, allorché Pessun, divenuto colombo, si era messo a svolazzare nella sala del trono. Infine si era appoggiato sopra una spalla del suo minacciatore. Allora costui, prendendolo e tenendoselo tra le mani, gli si era rivolto, dicendo:

«Bravo, Pessun: mi hai convinto! Adesso puoi tornare ad essere un uomo, poiché desidero apprendere da te come intendi sconfiggere i dieci mostri che tengono la nostra città in loro balìa. Comunque, se ti necessitasse anche la collaborazione dei miei soldati, non hai che da chiedermelo. Metterò a tua disposizione quanti te ne occorrono.»

Riassunte le proprie sembianze, il figlio di Loben gli aveva chiarito:

«Il mio piano è quello che ora ti riferisco, mio re. Dovrò riuscire ad attirarli uno alla volta presso la voragine, ad evitare che gli altri vedano come lo elimino. Infatti, stando presenti durante la sua eliminazione da parte mia, la sua morte li metterebbe sull’avviso e non gli farebbe commettere lo stesso errore del compagno.»

«Ma mi chiarisci, Pessun, come vorresti farli fuori? C’è forse sotto un trabocchetto, a cui i restanti mostri non devono assistere, quando lo tendi contro ciascuno di loro? Altrimenti non potresti più metterlo in atto contro gli altri nove, poiché essi non ci cadrebbero alla stessa maniera del compagno. Non è vero che è così?»

«In un certo senso, sire, non ti sei sbagliato. Dopo che avrò ricercato in città uno dei mostruosi bipedi, lo costringerò ad inseguirmi fino allo spiazzo in cui si trova il baratro. Una volta in quel luogo, fingerò una retrocessione nella sua direzione, fino a trovarmi sul suo ciglio. A quel punto, mi lascerò cadere in esso per evitare la sua aggressione brutale, facendogli credere che è stata la paura ad indurmi a prendere tale decisione. Da parte sua, il mostro, volendo sincerarsi della profondità del fosso e che la mia caduta in quella cavità ha potuto soltanto arrecarmi una morte certa, vi si affaccerà e cercherà di darvi una guardata. Così, mentre il mio inseguitore sarà intento a scrutare l’interno della voragine, io, dandogli una spinta energica alla schiena, ve lo farò precipitare giù, costringendolo ad una caduta esiziale. Non trovi efficace il mio piano?»

«Senz’altro il tuo piano è meraviglioso, Pessun. Ma non ho inteso bene, come farai a trovarti alle sue spalle, dopo esserti gettato nel precipizio. Me lo vuoi specificare meglio?»

«Nel momento stesso che salterò dentro di esso, mio sovrano, mi trasformerò in un passero e ne verrò fuori. Quindi, da parte mia, non ci sarà una caduta ma solo un volo, il quale mi condurrà ad un passo da lui. Allora mi ritrasformerò in un uomo e porterò a termine la parte restante della mia missione, come ti ho anticipato prima. Comunque, potrebbero darmi il loro aiuto anche alcuni tuoi soldati.»

«Pessun, adesso mi hai dato le più ampie garanzie che il tuo piano funzionerà alla perfezione. Ma i miei soldati a cosa dovranno servirti nella tua impresa? Io non riesco a comprenderlo.»

«Dopo essersi divisi in nove drappelli, mio sovrano, il compito di ognuno sarà quello d’istigare uno dei mostri e di farsi inseguire da lui per le vie cittadine, fino a quando non sarò andato io a prelevarlo. La mia funzione, però, non sarà quella di condurlo ancora in giro per la città senza una meta prestabilita. Essa avrà come punto di arrivo la nota voragine di Lokrat, che dovrò ancora vedere dove è situata.»

«Adesso ho capito anche per che cosa i miei soldati ti necessiteranno, Pessun. Forse ne basteranno quarantacinque come appoggio al tuo piano, visto che ogni drappello sarà formato da cinque di loro. Inoltre, darò ordine ad alcuni di loro di privarti della tua disinformazione sul luogo dove il baratro si trova, accompagnandoti in esso nel pomeriggio, dopo il pasto di mezzogiorno, visto che sarai mio ospite gradito a pranzo.»

I tre giorni, che erano seguiti, erano stati impegnati nella reggia del re Velvut a mettere a punto tutti i vari particolari connessi al piano di Pessun. Coloro che vi avevano partecipato, nel darsi ad attuarlo, avevano badato a far procedere ogni cosa per il verso giusto, siccome essi avevano come obiettivo l’eliminazione dei Kroep. Alla fine il piano di Pessun aveva avuto un grande successo, siccome gli antropofagi mostri, uno dopo l’altro, erano stati tutti fatti precipitare nel baratro, dove avevano trovato la morte. Allora il popolo lokratese aveva osannato a Pessun, lo aveva inneggiato alla sua gloria e additato come un grandissimo eroe degno di un’apoteosi. Da parte sua, il sovrano aveva voluto dargli in moglie l’ultima sua figlia, che era la principessa Lusueg.