462°-LA VITA DI SERPUL SUL SUO PIANETA

Siccome Serpul aveva quattordici anni, quando la guerra era scoppiata fra i Nucesti e i Curundi, adesso egli ne aveva ventisette. Perciò ci conviene apprendere cos’era accaduto in tanti anni e come procedevano le cose fra i due popoli, mentre il giovane era diretto a Cuset.

Ebbene, dopo la ripresa delle ostilità tra i due popoli, le azioni belliche si erano susseguite una dopo l’altra, impegnando i due eserciti rivali in sanguinose battaglie, le quali erano avvenute almeno una ogni anno. Fra ciascun conflitto e quello successivo, c’era stato appena il tempo di recuperare le forze e di armare un nuovo esercito, per poi buttarsi a capofitto in un ulteriore scontro cruento, il quale non aveva mai risparmiato ingenti vite umane. Alla fine del decimo anno di belligeranza, ossia quando c’erano state già una decina di battaglie fra i due popoli bellicosi, era stato l’esercito cusetino ad accusare per primo i disagi provenienti dal clima bellico, che non si decideva ad arrestarsi. Perciò erano cominciate ad aversi fra i Nucesti alcune serie difficoltà di vettovagliamento e di arruolamento di soldati. Quest’ultimo, a causa di una denatalità sempre crescente, in Cuset non aveva potuto più far fronte alle necessità del momento, poiché veniva reclutato un numero di soldati sempre più insufficiente da impegnare in battaglia. Di conseguenza, i Nucesti avevano a disposizione un esercito sempre più debole ed inidoneo a fronteggiare quello nemico. Alla fine essi avevano smesso di guerreggiare contro l’esercito geruzino in campo aperto, ma si erano rifugiati nella loro città e si erano dati a difendersi da dietro le sue alte mura, mentre i Curundi l’assediavano con massicce forze.

Come mai la città di Geruz non era andata incontro alla stessa denatalità che aveva colpito Cuset, per la quale ragione il suo esercito non aveva risentito degli inconvenienti provenienti da uno scarso arruolamento di soldati? Non c’erano state forse anche fra i loro combattenti continue stragi dovute alle numerose battaglie campali? Certo che esse si erano avute e continuavano ad esserci anche fra i Curundi, che ne risultavano decimati dopo ogni conflitto semestrale. Allora dove stava il trucco, per cui il loro esercito non veniva a soffrire della mancanza di nuove leve pronte a prendere il posto dei soldati caduti nella precedente battaglia? Tra poco lo scopriremo.

Il re Zurep, prima d’intraprendere le azioni belliche contro i Nucesti, aveva emanato un editto con il quale imponeva ai mariti e ai fidanzati d’ingravidare le proprie donne; mentre quelle che non avevano un uomo con cui rimanere incinte avrebbero dovuto trovarselo. Inoltre, dopo ogni battaglia, i soldati superstiti, una volta rientrati in città, avrebbero dovuto ingravidare di nuovo, nel caso che non lo fossero, sia le proprie donne che quelle dei loro commilitoni caduti in guerra. Così facendo, il sovrano di Geruz aveva evitato che nella propria città ci fosse una denatalità e che il suo esercito si ritrovasse a fare i conti con un arruolamento sempre meno sufficiente, com’era avvenuto nella città di Cuset.

Quando Serpul era giunto nei dintorni della città nucestina, di preciso era l’ora di pranzo. Allora si era reso conto che essa veniva assediata dall’esercito dei Curundi; ma non immaginava che l’assedio durasse da un biennio. Comunque, aveva deciso di attraversare l’accampamento nemico nel cuore della notte, poiché durante l’attraversamento era intenzionato a mietere fra i soldati che vi dormivano il maggior numero possibile di vittime. Il giovane si era mosso a notte fonda; però, prima che si desse ad avanzare fra le truppe nemiche, aveva voluto uccidere un soldato geruzino ed indossarne le armi, ad evitare di essere scoperto. Dopo, intanto che la nottata trascorreva, si era infilato con il massimo silenzio in ogni tenda e vi aveva sgozzato quelli che erano in preda al sonno. Così, quando l’alba era iniziata ad apparire ad oriente, la sua spada era già riuscita a tagliare la gola ad un migliaio di Curundi.

Effettuate tali uccisioni, che erano da considerarsi un numero per niente esiguo, Serpul aveva tentato di entrare in città attraverso le sue porte, che potevano soltanto essere sprangate dall’interno. Perciò vi si era diretto sollecitamente a piedi. Quando poi si trovava a trenta metri da esse, un drappello di soldati nemici lo aveva raggiunto e circondato, intimandogli di seguirlo. Invece egli, anziché arrendersi ai suoi nemici, con uno scatto incredibile, era saltato sulla groppa di uno dei quadrupedi e ne aveva ammazzato il cavaliere con il pugnale. A quel punto, venuto in possesso anche lui di un cavallo, Serpul aveva impugnato la spada e si era dato a fronteggiare con essa i suoi nemici, combattendo contro di loro con grande animosità. A quel punto, prima che il martellio delle armi richiamasse sul luogo altri soldati geruzini, egli era riuscito a liberarsene, arrecando a tutti i cinquanta suoi avversari una fine miseranda.

Qualche istante dopo, si era visto ancora accerchiare da un altro centinaio di cavalieri nemici, che erano appena sopraggiunti ed intendevano fare del suo corpo carne da macello, nonostante egli fosse contrario. Questa volta i nuovi cavalieri erano armati di archi con le frecce già accoccate e si preparavano a foracchiarlo con esse. Quando infine avevano deciso di ridurlo in un colabrodo, non avevano esitato a scagliargli contro i loro dardi. Le loro punte acuminate, però, non avevano trovato alcun corpo da penetrare, poiché ora esso rappresentava uno spettro, che non poteva essere colpito da nessuna arma. La stupefazione dei cavalieri curundini, però, non doveva esaurirsi davanti a quel prodigio. Infatti, Serpul, approfittando di quella sua trasformazione, si era dato a volare senza la bestia ed aveva raggiunto la sommità delle mura, dove poco dopo era ritornato ad essere nuovamente in carne ed ossa. Quel suo portento aveva strabiliato non solo i Curundi, ma anche i Nucesti che si trovavano a fare la guardia sulle mura, i quali non si rendevano conto di come ciò fosse potuto succedere. Ma una volta sul cammino di ronda, Serpul aveva chiesto ad un soldato nucestino di accompagnarlo dal suo re, poiché aveva da fargli delle interessanti proposte. Quando poi egli si era trovato presso il sovrano di Cuset, costui gli si era rivolto, dicendo:

«Chi sei, sconosciuto, e cosa intendi propormi? Il soldato, che ti ha accompagnato alla reggia, prima di condurti in mia presenza, mi ha riferito strane cose su di te. Mi confermi che esse ci sono state realmente oppure devo dedurre che egli e i suoi commilitoni erano ubriachi fradici ed hanno preso lucciole per lanterne? Per questo voglio apprendere la verità soltanto da te!»

«Re Ungov, ti assicuro che i tuoi soldati in servizio sulle mura erano sobri, quando mi hanno visto agire nel modo che il mio accompagnatore ti ha riferito. Inoltre, aggiungo che durante la nottata almeno un migliaio di soldati nemici hanno trovato la morte per mano mia nelle loro tende, essendo rimasti sgozzati dal mio pugnale. Visto poi che mi hai domandato chi sono, ti faccio presente che sono un Nucesto non diversamente da tutti gli altri abitanti di Cuset. Comunque, se ignori me, di certo avrai conosciuto mio padre, il quale è morto da poco insieme con mia madre, rimasti entrambi schiacciati sotto il peso di una quercia abbattuta da un fulmine durante un temporale. Io sono Serpul, il figlio di Sorom, colui che non aveva rivale nella nostra città nell’uso di ogni tipo di arma e nelle arti marziali. Prima di morire, egli era già riuscito a ricavare da me un altro sé stesso, con le stesse sue caratteristiche e con il medesimo suo valore di guerriero eccezionale ed imbattibile.»

«Serpul, come potrei non ricordarmi di tuo padre, il quale nell’arena della nostra città è sempre rimasto il guerriero imbattuto dalle mille risorse. Un tempo ho voluto riceverlo perfino a corte ed offrirgli la mia amicizia. Ma poi egli lasciò la città e scomparve, senza dare più notizie di sé. Quindi, tu saresti il rampollo di quell’uomo fenomenale? Adesso che ci penso, allora era vero ciò che si diceva di lui, ossia che era capace di smaterializzarsi, la quale prerogativa gli aveva salvato pure la vita, dopo il crollo di un palazzo fatiscente! A quanto pare, avrai ereditato da lui la facoltà di ottenere la smaterializzazione, quando lo desideri. Non potrebbe essere altrimenti!»

«Senz’altro l’avrò ereditata dal mio genitore, sovrano di Cuset. Ma è errato asserire che tale fenomeno può essere ottenuto da me ogni volta che lo voglio. Invece esso si verifica in me a mia insaputa, ossia nel momento stesso che mi sento minacciato da un pericolo incombente. Anzi, se io mi trovassi nella situazione di non poterlo avvertire, esso non si presenterebbe in me e mi lascerebbe morire con il mio corpo materiale. Infatti, mio padre, essendosi trovato in una tale evenienza, è rimasto schiacciato ed ucciso dal gigantesco albero.»

«Probabilmente, sarà così, Serpul. Ma almeno sai dirmi se anche il genitore di tuo padre era dotato della smaterializzazione, per cui il figlio Sorom l’avrebbe ereditata da lui?»

«Invece mio nonno ne era privo, re Ungov. Anzi, mio padre non nacque con una dote del genere, com’ebbe a svelarmi un giorno. Invece se la trovò nel proprio corredo cromosomico, dopo aver assistito alla caduta dal cielo di un oggetto di fuoco. Poco dopo che si era avvicinato ad esso, quel materiale incandescente emise una certa quantità di fumo, che lo avvolse e lo fece svenire. Da allora in poi, egli si ritrovò in possesso di tale prerogativa, scoprendo in seguito che essa si aveva, solo quando avvertiva un pericolo imminente.»

«Visto però che tu hai ereditato la smaterializzazione, Serpul, ciò ci fa pensare che anche i tuoi discendenti la erediteranno, anche se non si sa fino a quale generazione essa continuerà a manifestarsi come una dote innata familiare. A questo punto, figlio di Sorom, che ti consideri un guerriero uguale a tuo padre, vuoi dirmi quali sono le proposte che sei venuto a farmi? Spero che esse siano ottime e capaci di risollevarci dallo stremo delle forze e della resistenza in cui ci troviamo nel difenderci contro i nostri nemici geruzini.»

«Per prima cosa, sire, voglio avere il comando dell’esercito cusetino. Dopo dovrai darmi carta bianca in tutte le mie decisioni. Infine dovrai avere cieca fiducia in me e nel mio operato, anche quando esso potrà apparirti assai strano. Allora sei disposto ad accondiscendere a queste mie pretese, le quali hanno come scopo la salvezza della nostra città?»

«Ebbene sia, Serpul! Per come si sono messe le cose per il nostro esercito e per il nostro popolo, non ho una diversa alternativa. Perciò ti do il comando supremo del mio esercito e ti do la facoltà di prendere qualunque iniziativa che vorrai. Così te ne servirai come riterrai più opportuno, senza che da parte mia ci siano divieti e restrizioni!»


Divenuto comandante in capo dell’esercito cusetino, Serpul si era dato a potenziarne l’organico con l’arruolamento di donne che non erano puerpere ed avevano un’età dai quindici ai sessant’anni, oltre ai giovanissimi di sesso maschile ancora adolescenti, la cui età superava i tredici anni. Anche se c’era stata la protesta degli uomini anziani e vecchi, che non avevano visto di buon occhio quel tipo di reclutamento mai avvenuto nella loro città, alla fine tali persone avevano dovuto rinunciare ai loro mugugni ed allinearsi con la presa di posizione del nuovo capo supremo del loro esercito. Il quale aveva il beneplacito del loro sovrano, che gli aveva perfino dato carta bianca in ogni disposizione di cui avesse voluto avvalersi, allo scopo di togliere i Nucesti dalla grave crisi che stavano attraversando. Quanto alle nuove reclute, Serpul, consapevole che in un mese di duro allenamento giammai avrebbe potuto ottenere da loro dei soldati in grado di competere con le veterane soldatesche nemiche, aveva escluso che esse venissero allenate nell’uso della spada e del giavellotto, nonché nel combattimento corpo a corpo. Invece, coadiuvato anche dai soldati di vecchio stampo, egli si era dato ad esercitarle esclusivamente nell’uso dell’arco, riuscendo ad ottenere da loro degli ottimi arcieri. Perciò esse, al termine delle loro esercitazioni serrate, erano da considerarsi pronte a prendere parte alla difficile impresa. La quale si sarebbe svolta in piena notte, durante il novilunio che ci sarebbe stato tre giorni dopo.

A parere di Serpul, nell’imminente rappresaglia notturna che si sarebbe avuta nell’accampamento nemico, tenuto anche conto che avrebbe lasciato completamente sguarnite le mura della loro città, egli avrebbe avuto a disposizione non meno di ventimila soldati armati di arco e di frecce. Invece i soldati nemici, i quali erano distribuiti nei vari attendamenti e si presentavano stremati dai molteplici assedi, sarebbero risultati di numero non inferiore alle sessantamila unità. Inoltre, anch’essi sarebbero stati affaticati ed affamati, allo stesso modo di quelli assediati. Comunque, alla fine dell’addestramento delle reclute, egli aveva voluto fare alle sue milizie il seguente discorso:

“Soldati di entrambi i sessi, tra pochi giorni giungerà quella che dovrà essere la notte fatale per i nostri nemici. Da illune che sarà per tutti, essa dovrà spegnere intorno a loro anche ogni chiarore di esistenza, poiché li faremo trovare nel luogo dove la vita sensitiva smette di essere e ci si ritrova nel buio totale della mente, senza più godere del sapore degli affetti e dell’amicizia. Naturalmente, i soldati geruzini non vorranno intraprendere di propria iniziativa il viaggio che conduce alla dimora della morte. Allora sarà vostro preciso compito spingerceli con la forza, senza dargli la possibilità di reagire e di salvarsi in qualche modo. Considerato che voi non siete in grado di affrontarli ad armi pari, in una battaglia in campo aperto e alla luce del sole, siamo stati costretti a ricorrere al tipo di lotta che, se i pronostici non m’ingannano, sarà tutto a nostro vantaggio, anche se non rifulgeremo di eroismo e di valore militare. Ma noi non abbiamo avuto altra alternativa ad affrontare i nostri nemici, che hanno voluto ad ogni costo questa assurda guerra, la quale ha decimato il nostro e il loro popolo. Perciò saremo compresi e scusati dai nostri posteri, per aver scelto questo tipo di lotta per giungere alla vittoria, andando contro ogni regola della cavalleria e dell’onore.

Dunque, non mi resta che incitarvi a dimostrarvi fermi e decisi nella rappresaglia che effettueremo nella prossima battaglia di novilunio contro i nostri nemici, che sono accampati intorno alle nostre mura, standosene immersi nel sonno. Sarete duri ed inflessibili, quando ve li troverete davanti disorientati e mezzo addormentati, colpendoli con i vostri archi senza pietà e facendone una strage che il popolo dei Curundi dovrà ricordare per secoli. Nel vostro assalto notturno, che avverrà nottetempo, vi mostrerete fieri, crudeli e spietati allo stesso tempo; anzi, senza perdere la calma, sarete intenti unicamente a colpire e ad uccidere!

A causa della cecità dell’ora, non ci si vedrà quasi niente nel luogo dove vi muoverete ed avrete di fronte i vostri nemici. Perciò, nella vostra cauta avanzata, vi preoccuperete innanzitutto di bruciare le loro tende con frecce incendiare, per poter scorgerli alla luce delle fiamme e renderli bersagli delle vostre saette implacabili. Ovviamente, non potrete uscire dalla città con le frecce già accese, altrimenti sarete subito scoperti dalle scolte nemiche. Allora un centinaio di voi porteranno con loro dei bracieri di terracotta colmi di brace ardente, in cui potrete appiccare le loro punte al momento opportuno. Essi saranno trasportati all’esterno, dopo che vi sono stati apposti sopra dei coperchi di materiale ignifugo, ad evitare che la brace ardente venga scorta da lontano da quanti in quella notte avranno funzione di sorveglianti, ai margini dell’accampamento nemico. Avendovi riferito ogni cosa circa la prossima incursione che vi attende, potete iniziare a prepararvi per il suo buon esito, senza commettere errori di alcun genere.”

Nei pochi giorni che erano seguiti, essendo stata approntata ogni cosa prima della notte stabilita, i Nucesti avevano atteso che essa giungesse per farla risultare ai Curundi sgradita al massimo. Quando poi la notte di novilunio si era presentata, avvolgendo ogni cosa dentro e fuori Cuset nella tenebra più assoluta, le schiere cusetine si erano date ad uscire dalla loro città e a posizionarsi come gli era stato ordinato dal loro capo supremo. L’attuale schieramento le rendeva pronte ad avanzare verso l’accampamento nemico lungo l’intera sua linea per prenderlo alla sprovvista da ogni parte. In mezzo a loro, c’erano varie staffette a cavallo, le quali avrebbero dovuto metterle al corrente del momento giusto in cui dovevano entrare in azione. Intanto, però, esse, muovendosi nel massimo silenzio, avevano l’obbligo di avvicinarsi alle tende dei nemici fino alla distanza che era stata stabilita. Una volta giunto il momento cruciale, per prima cosa i soldati di Cuset, dopo aver scoperchiato i bracieri con i tizzoni ardenti, avevano incominciato a dare accensione alle loro frecce e a scagliarle contro le tende nemiche. Queste allora all’istante avevano preso fuoco, mettendosi ad illuminare le zone circostanti, facendo scorgere chiaramente quanti ne uscivano terrorizzati ed andavano in cerca di una via di scampo. Ciò non poteva che facilitare il compito agli arcieri nucestini di prenderli a bersaglio e di stecchirli sul posto.

In quella notte di terrore e di replicate mattanze, i Curundi non avevano avuto il tempo di riprendersi dalla brutta sorpresa e di riorganizzarsi in modo adeguato, appunto per opporre alle forze avversarie una valida difesa. Invece essi si erano visti sbaragliare ed annientare dal primo all’ultimo, senza che un solo soldato o una sola soldatessa appartenente all’esercito nemico venisse ucciso o ferito da loro. Per cui, quando le prime luci dell’alba si erano cosparse ovunque, nell’accampamento geruzino non restava una sola tenda in piedi, per essere state tutte bruciate. In ogni parte di esso, regnavano la desolazione e la morte, siccome si scorgevano dappertutto i resti fumiganti di tende o di altra roba, oltre ad una ingente moltitudine di cadaveri bruciacchiati e privati della loro esistenza per sempre. Allora era stato dato l’ordine ai soldati vincitori di rientrare nella loro città, dove essi si sarebbero dovuti prima riposare con una bella dormita e poi di mettersi a disposizione del loro comandante supremo. Serpul, da parte sua, si era condotto dal suo sovrano per fargli il resoconto della situazione, dopo che c’era stata l’incursione notturna nell’accampamento nemico. Così, una volta in sua presenza, in preda ad una grande euforia, aveva iniziato a dirgli:

«Re Ungov, l’esercito nemico è stato interamente distrutto, senza che neppure un nostro soldato sia rimasto ucciso. È stato un vero trionfo, grazie al piano da me preparato e messo in azione. Perciò puoi esserne molto soddisfatto e gioire per molto tempo!»

A quella stupenda notizia, il sovrano cusetino, dandosi alla massima allegria, si era lanciato ad abbracciarlo e a fargli presente:

«Serpul, grande eroe e degno figlio di tuo padre, solo tu potevi operare un miracolo simile e te ne sono immensamente grato. Ti ringrazio, a nome mio e del mio amato popolo, per averci tolti dai gravi disagi che stavamo vivendo, prima che tu ti presentassi nella nostra città. Ma ora cosa si fa con tutte quelle salme che, se lasciate insepolte, molto presto potrebbero diventare putrescenti ed ammorbare l’aria, dando così origine ad una pericolosa epidemia? Hai dato l’ordine di provvedere, perché ciò non accada fra la nostra gente?»

«Per il momento, sire, ho mandato i nostri soldati a godersi il meritato riposo; ma li ho pure avvertiti che dopo dovranno tenersi a mia disposizione, essendoci molto altro da fare, prima che essi possano considerarsi liberi a tempo indeterminato. Ad ogni modo, insieme allo sgombero delle salme dei nemici dal nostro territorio, il quale dovrà ritornare ad essere netto come prima, nella mia mente sta balenando un nuovo progetto, che integrerà l’opera già da noi iniziata.»

«Per favore, Serpul, mi chiarisci cos’altro vorresti fare contro i Curundi? Non abbiamo forse già ottenuto più di quanto era nelle nostre aspettative? Io credo proprio di sì!»

«Invece io non sono del tuo stesso parere, sovrano di Cuset. È mia intenzione occupare la città di Geruz, senza colpo ferire, uccidendo il solo re dei Curundi, che è Zurep, il quale è il vero responsabile delle numerose guerre che ci sono state tra il nostro popolo e il suo.»

«Mi dici in che modo, geniale figlio di Sorom, faresti avverare un prodigio del genere? Non hai messo in conto anche il fatto che le nostre truppe non sono in grado di sferrare alcun assedio contro Geruz, che ha delle mura più inespugnabili delle nostre?»

«Ti ho detto forse, re Ungov, che intendo prendere Geruz, assediandola? Certo che no! Invece il nostro esercito entrerà nella città curundina senza alcuna difficoltà, poiché saranno i Curundi stessi a spalancarci le sue porte e a favorirci l’ingresso in essa.»

«Allora sentiamo, Serpul, come farai a compiere un portento del genere, siccome non vedo l’ora di venirne a conoscenza e, nel medesimo tempo, di deliziarmi con esso!»

«Mio nobile sovrano, domani, durante lo sgombero dei cadaveri dei soldati nemici, prima di farli dare alle fiamme, inviterò gli addetti a tale lavoro a privarli delle loro armature e delle loro vesti; inoltre, farò raccogliere dagli stessi le loro varie insegne, come gli stendardi e i vessilli. Così, al termine della cremazione delle salme geruzine, i nostri soldati e le nostre soldatesse vestiranno le loro casacche ed indosseranno le loro armature. Infine, tenendo bene in vista le varie insegne che appartenevano ai singoli reparti, si partirà alla volta di Geruz. Sono convinto che le nostre truppe, quando si presenteranno davanti alle porte della città, dall’alto delle mura saranno scambiate per loro milizie di ritorno dalla guerra. Allora non esiteranno ad aprirci le porte e a farci entrare, ignari di essersi messi a disposizione del nemico e di aver consegnato nelle sue mani la loro città. Una volta all’interno delle mura, mentre la maggioranza dei nostri soldati si daranno al saccheggio di Geruz, con un pugno di uomini io mi condurrò alla reggia, dove farò subire al re Zurep lo scacco. Il quale nel nostro caso significherà morte all’istante da parte della mia spada. Allora, sire, ti piace il mio piano?»

«Esso, Serpul, è veramente geniale. Perciò sono sicuro che esso avrà pieno successo. Ma ritengo l’eliminazione fisica del re Zurep una mossa marginale, poiché egli, non disponendo più di un esercito né forte né debole, smetterebbe di rappresentare una spina nel fianco per la nostra città e per il nostro popolo.»

«Non ne dubito, re Ungov, ma sarà meglio non correre rischi, quando si ha a che fare con vermi schifosi come lui. I quali conoscono solamente la via che conduce alla guerra e alle immani ecatombi di soldati, come se questi ultimi fossero esseri senza alcuna dignità.»

Nei giorni che erano seguiti, le cose si erano svolte esattamente come Serpul aveva pronosticato, per cui egli, al ritorno da Geruz, era stato accolto nella sua città da glorioso trionfatore. Inoltre, non c’era stato neppure un suo concittadino che non lo avesse stimato un eroe senza pari, per aver salvato dai nemici la sua gente. Essa, dopo un sacco di anni di aspra lotta, durante la quale si era ritrovata con l’acqua alla gola e c’era mancato poco che non affogasse, finalmente ritornava a godersi qulla serenità di cui era stata privata in tanti anni di guerra.