461°-KOSER, IL PIANETA DEI BELLIGERANTI NUCESTI E CURUNDI

Il pianeta, su cui duecento anni prima l’eroe Serpul aveva trascorso la sua esistenza, era Koser, il quale orbitava intorno alla stella Murel, che si situava nella galassia di Geltes. Il sistema murelino ospitava altri due pianeti, che erano Laspus, il più vicino alla stella, e Prutoz, il più lontano da essa. Perciò Koser era il secondo per vicinanza alla propria stella. I Koseridi costituivano una razza con le seguenti caratteristiche fisiche: statura media intorno ai centosettanta centimetri, pelle olivastra, orecchie triangolari, naso all'insù, testa appiattita, corporatura longilinea. Il pianeta koserino poteva considerarsi grande quanto il nostro Mercurio, per cui non aveva una superficie planetaria molto estesa. Su di essa si erano sviluppati due popoli, ciascuno dei quali si era stanziato sopra un proprio territorio. I due conglomerati etnici erano rappresentati dai Nucesti, che si erano stabiliti nella regione del sud, e dai Curundi, che si erano insediati nelle vaste praterie del nord. Entrambi vi risultavano trapiantati da tempo immemorabile; ma il loro luogo di provenienza poteva trovarsi soltanto sopra il pianeta Koser, poiché non era possibile ipotizzare che fossero giunti da un astro spento diverso.

Quando Serpul non era ancora nato, anzi da molti secoli prima, i due popoli appartenenti allo stesso pianeta si facevano guerra, senza dare una valida giustificazione al loro perenne ricorso alle armi. Così mettevano solamente in forte apprensione le madri, le mogli e le sorelle dei soldati, che erano costretti ad affrontarsi sul campo di battaglia per uccidere o per essere uccisi. La città dei Nucesti era Cuset, mentre quella dei Curundi era Geruz. Il numero dei loro abitanti era andato variando via via nel tempo. Comunque, non sempre esso era aumentato col trascorrere del tempo, come sarebbe stato normale prevedere; invece a volte c’era stato un suo decremento, a causa della denatalità che nei due popoli belligeranti era seguita alle massacranti guerre. Le quali avevano lasciato sul campo di battaglia migliaia e migliaia di morti.

Al tempo dell’eroico Serpul, essendoci stato in precedenza un lungo periodo d’inattività bellica, sia nell’una che nell’altra città, tale numero si aggirava intorno ai trecentomila abitanti, dei quali la metà erano uomini e l’altra metà erano donne. Tale incremento demografico si era avuto, grazie al precedente periodo di pace che c’era stato fra le due città, la cui durata cinquantennale aveva arrecato un poco di respiro ai due popoli che si consideravano nemici. Ma il cinquantennio di non belligeranza, che c’era stato tra le due etnie, era stato voluto dai due sovrani che a quel tempo regnavano su di loro. Essi erano stati il cusetino Terok e il geruzino Pakus, essendo prevalso eccezionalmente in entrambi il buonsenso. Invece, dopo che gli erano subentrati i giovani figli, le cose erano mutate dalla sera alla mattina, per cui lo spettro di nuovi conflitti era ritornato ad incombere sui due popoli koserini.

Quando Serpul era appena un adolescente, il re Ungov regnava sulla città di Cuset e sui suoi territori; invece sulla città di Geruz e sui relativi territori regnava il re Zurep. I due nuovi sovrani, lungi dal prendere esempio dai loro saggi genitori, avevano voluto ripristinare fra i loro due popoli l’attrito e il rancore di un tempo, quelli che i loro genitori erano riusciti a sopire per l’intera durata del loro regno. Anzi, con il loro avvento sui troni delle due città, tali negativi sentimenti, oltre ad esplodere di nuovo, si erano incrudeliti in maniera spietata. Allora cerchiamo di comprendere perché l’uno e l’altro sentimento avevano ripreso il sopravvento fra le due città e se c’era stato un colpevole che aveva promosso la loro rinascita, calpestando ciò che di buono il re Terok e il re Pakus erano riusciti a far germogliare.

In verità, soltanto Zurep, che era il re di Geruz, era colui che doveva prendersi l’intera responsabilità del riaccendersi fra i due popoli degli aspri dissidi di un tempo. Egli, infatti, subito dopo che era succeduto al padre Pakus, morto all’età di ottant’anni, aveva stabilito di non stare più al gioco voluto dal suo genitore e di cambiare politica, durante la gestione del suo regno. Essa avrebbe dovuto avere come obiettivo l’esistenza di un unico popolo sul loro pianeta, ossia quello dei Curundi. Ma per ottenere ciò, si potevano seguire due sole strade: la prima prevedeva la distruzione dell’intero popolo nucestino; invece la seconda prevedeva la sottomissione dei Nucesti al popolo curundino. In questo caso, però, i sottomessi, rinunciando alla loro dignità di persone libere e considerandosi subordinati a Curundi, dovevano mettersi al loro servizio, come autentici schiavi. In un certo senso, la prima strada andava seguita in alternativa alla seconda, nell’eventualità che quest’ultima non avesse avuto successo, per esserci stata da parte della gente nucestina un’acerrima ostilità alla sua proposta.

Tutto aveva avuto inizio, dopo che il re Zurep aveva inviato al re Ungov i suoi ambasciatori, affinché gli recapitassero il proprio papiro, sul quale aveva stilato quanto viene riportato qui appresso: “Ungov, con questo proclama ti faccio presenti le quattro cose che seguono. Anzi, da oggi in avanti, dovrai tenerle bene a mente, se vogliamo andare d’accordo, senza che né il tuo popolo né la tua città vengano annientati dal mio esercito. Con la prima, ti disconosco quale sovrano di Cuset, visto che sarò io l’unico re tanto dei Curundi quanto dei Nucesti. Con la seconda, ti metto al corrente che, pure ammettendo che il tuo popolo si sottometterà al mio volontariamente, noi avremo la sovranità assoluta su di voi, per cui dovrete fornirci tutto ciò di cui necessiteremo per alimentarci e per sopravvivere. Ne deriva che saranno i soli abitanti di Cuset a dedicarsi ai lavori dei campi, siccome i loro raccolti dovranno soddisfare anche le esigenze alimentari dei Curundi. Con la terza, intimo a tutti i Nucesti il disarmo totale; ma sarà loro consentito il possesso dei soli arnesi agricoli, che gli occorreranno per coltivare la terra. Invece, per procurarsi la selvaggina, essi dovranno ricorrere unicamente alle trappole. Con la quarta, vi rendo noto che se le mie disposizioni saranno disattese dal tuo popolo, esso mi obbligherà a ricorrere alla forza. Così farò in modo che ognuna di esse da parte sua venga rispettata con la massima lealtà, quasi fosse un cane al servizio del proprio padrone!”

Una volta letto il contenuto del papiro, il sovrano cusetino si era adirato a non dirsi. Poco dopo lo aveva ridotto in tanti pezzi ed aveva obbligato i tre legati geruzini ad ingoiarseli. Infine li aveva rimandati alla loro città con il seguente messaggio al loro sovrano:

«Adesso andate a dire al vostro re Zurep, il quale sarà sicuramente uscito di senno, che giammai il mio popolo si piegherà ai suoi insulsi voleri. Inoltre, siccome egli ha deciso di rompere la tregua, che durava fra i nostri due popoli da cinquant’anni, ebbene, guerra sia! Vedremo se il suo esercito sarà capace di sopraffare il nostro ed indurci all’obbedienza dei Curundi, com’è nelle sue mire espansionistiche partorite da una mente malata e folle!»

Con quella sua risposta ferma e decisa, il re Ungov aveva decretato di fatto lo stato di guerra contro i nemici di un tempo, che erano i Curundi, senza attendere che lo facessero essi per primi. Allora in entrambi i popoli si era ricominciato ad affilare le armi, dal momento che presto la guerra sarebbe divampata di nuovo, senza esclusione di colpi. I conflitti così si erano riaccesi violenti e cruenti sull’uno e sull’altro territorio, provocando massive uccisioni di soldati da ambedue le parti e conseguenti perdite ingenti di vite umane. Ovunque la lotta aveva ripreso ad infuriare tremenda ed inesorabile, tenendo lungi da sé la pietà e l’umanità, visto che si preferiva ricorrere alle maniere forti, le quali prediligevano la crudeltà e la disumanità.

Quando la guerra era ripresa fra i Nucesti e i Curundi, Serpul aveva appena tredici anni e viveva con la sua famiglia. Essa abitava in una zona montagnosa lontana parecchie miglia da Cuset, che era la loro città. In verità, il suo nucleo familiare era da considerarsi abbastanza esiguo, poiché comprendeva lui e i suoi due genitori, che erano il padre Sorom e la madre Venel. Costoro erano molto giovani, quando avevano abbandonato la loro città natia e se n’erano andati a vivere in quel luogo solitario, dove, tre anni dopo, era nato il loro Serpul. Ma siccome a lui non erano seguite altre nascite in famiglia, il piccolo era rimasto per sempre unigenito. Quanto ai suoi genitori, essi si erano più sentiti portati ad una vita agreste, anziché vedersi coinvolgere nel quotidiano tran tran, che gli offriva la vita cittadina. Adesso tutti e due si ritrovavano ad avere trentacinque anni sulle spalle, essendo coetanei. Perciò, grazie alla loro giovane età, essi riuscivano benissimo a lavorare sodo nel portare avanti il duro lavoro dei campi, il quale si presentava differente durante l’anno, poiché variava secondo il ciclo delle stagioni.

Soffermandoci a parlare più dettagliatamente del padre di Serpul, va subito chiarito che egli non era una persona comune. Oltre che essere nel presente un esperto conoscitore dei vari lavori richiesti dalla coltivazione dei prodotti della terra, poteva considerarsi un eccellente maestro d’armi e di arti marziali. Difatti in passato aveva frequentato una brillante scuola, dove si apprendevano tali discipline dagl’illustri maestri che le insegnavano. Si trattava della rinomata Scuola dei Puzzud, nella quale Sorom era stato insignito della massima onorificenza esistente, l’Onorificenza del Sommo Valore, di cui solo lui era riuscito a fregiarsi in tanti secoli della storia della scuola. Per questo egli vi era stato stimato non il campione insuperabile del momento, ma il campione anche di quelli che si erano distinti nel passato e si sarebbero distinti nel futuro. Ciò, perché egli aveva raggiuto nelle armi e nelle arti marziali il non plus ultra della perfezione, superando ovviamente perfino i suoi maestri.

Una caratteristica particolare dell’eccezionale Sorom, che lo contraddistingueva da tutti gli altri esseri della sua razza, era la smaterializzazione. Ossia era sua prerogativa spersonalizzarsi, però non tutte le volte che lo desiderava; diventava invece un autentico spettro, solo in caso di necessità. Ma quando lo diventava, non poteva essere colpito da nessuna arma e da nessun corpo materiale, che era sul punto di rappresentare un pericolo per lui. Difatti, divenendo egli un’immagine incorporea, le armi che gli venivano scagliate contro dai nemici lo attraversavano senza colpirlo, proprio come se si trovassero a sfrecciare attraverso l’aria. All’inizio, Sorom ignorava di possedere una simile prerogativa e che essa si attuava esclusivamente in caso di necessità, cioè quando un imminente pericolo era in procinto di minacciare la sua vita. In quel caso, era la sua ansia di sopravvivenza a procurargli la smaterializzazione, sottraendolo a ciò che in quel momento costituiva per lui una minaccia. La prima volta, che gli era capitato di scoprirlo, era stato in seguito ad uno strano fenomeno, a cui aveva assistito per caso. Ora lo conosceremo pure noi, dal momento che avvertiamo la curiosità di sentirne parlare.

Subito dopo essere stato insignito della prestigiosa Onorificenza del Sommo Valore, l’imbattibile giovane, nonostante gli fosse stata offerta la possibilità di restarvi come maestro, aveva deciso di lasciare per sempre la Scuola dei Puzzud, poiché sentiva la necessità di ritornarsene nella sua città natale e formarsi lì una propria famiglia. A metà percorso, però, all’improvviso aveva scorto nel cielo qualcosa che precipitava giù. Si trattava di una vera palla di fuoco, la quale, dopo aver raggiunto il suolo, era diventata un blocco di materia bruciante, la cui natura si presentava sconosciuta. Allora egli, volendo rendersi conto di cosa si trattava, aveva voluto raggiungerlo. Ma aveva avuto appena il tempo di avvicinarglisi, allorché da esso si era sprigionato del fumo acre, il quale lo aveva avvolto interamente, fino a fargli perdere i sensi. Quando poi si era riavuto dallo svenimento, il blocco di materia incandescente si era già spento e trasformato in una minutissima cenere. A quel punto, Sorom si era rimesso di nuovo in cammino verso la sua remota città.

Raggiunta Cuset ed entrato in essa, il decorato guerriero Sorom cavalcava verso la sua casa, allorquando nella via da lui percorsa un intero palazzo fatiscente era crollato, abbattendosi rovinosamente sulla strada e travolgendolo insieme con il suo cavallo. Quelle poche persone, le quali avevano assistito all’evento catastrofico, giustamente avevano temuto per lui e per la sua bestia, essendo certe che da sotto quel cumulo di macerie né l’uno né l’altra se l’erano cavata. Invece, pochi attimi dopo, esse avevano visto uscirne illeso il solo cavaliere, senza aver riportato neppure un graffio; ma non si erano rese conto che si trattava della sua immagine immateriale. La quale solo alcuni attimi più tardi si era reimpossessata del proprio corpo. Per la verità, Sorom si era salvato, unicamente perché era riuscito a scorgere in tempo il palazzo che gli crollava addosso e non gli era stato possibile evitarne le macerie che stavano per investirlo. Allora il solo timore di ciò che a momenti sarebbe accaduto a danno suo e del cavallo lo aveva indotto involontariamente a smaterializzarsi. La qual cosa gli aveva evitato lo schiacciamento del corpo, com’era accaduto alla bestia, e gli aveva consentito di uscire illeso dal voluminoso macereto, che si era formato sulla strada con i vari detriti.

A quell’evento, che era da considerarsi un verace prodigio, le persone, le quali si erano trovate poco distanti ad assistere al crollo, si erano meravigliate moltissimo e non sapevano spiegarselo in nessun modo. Comunque, neppure il malcapitato era stato in grado di dare all’episodio una spiegazione logica. Ma col passare del tempo, egli aveva constatato che quell’inspiegabile fenomeno si verificava, ogni volta che prendeva coscienza di un pericolo imminente. In seguito, invece, avrebbe anche scoperto che quel suo potere di smaterializzarsi, per una strana coincidenza, era stato ereditato anche dal suo unigenito figlio, che era Serpul.

In riferimento ai Puzzud, venivano così chiamati tutti coloro che frequentavano quella rarità di fucina, i cui maestri riuscivano a foggiare la loro mente e il loro corpo, secondo i canoni combattentistici previsti dagli obiettivi della palestra puzzudica. I quali erano: il pieno autocontrollo, la saldezza di nervi, la refrattarietà al dolore fisico, l’impassibilità di fronte ad ogni tipo di emozioni o di pericoli, l’illimitata concentrazione durante il combattimento e la silenziosità per niente percepibile nei movimenti e negli assalti di sorpresa. Da tale chiarimento sui Puzzud e sulla loro egregia scuola, possiamo immaginarci come il padre di Serpul avesse tirato su il proprio unico figlio, il quale era nato pure maschio, come aveva sempre desiderato. Infatti, egli aveva fatto in modo che la sua crescita avvenisse all’insegna di una ferrea disciplina, permettendogli di conseguire il grado più alto della perfezione che si potesse avere sia nel campo dell’uso delle armi che in quello delle arti marziali. Ciò, attraverso allenamenti che gli facevano ottenere anche l’impossibile, con il chiaro intento di fargli superare pure sé stesso, che era il suo insuperabile maestro. Così alla fine il giovane Serpul, quando aveva solo venticinque anni, si poteva definire un miracolo vivente nell’uso delle armi e nelle arti marziali, poiché le metteva in pratica in maniera straordinaria contro coloro che si cimentavano con lui oppure lo assalivano a tradimento. Di lui era orgoglioso soprattutto il padre, che era stato l’artefice della sua eccellente formazione fisica, psichica e spirituale, fino a fargli superare il suo maestro, anche se per un pelo.

Serpul aveva ventisette anni, quando si era visto privare dall’avversa natura di entrambi i suoi genitori. Mentre il figlio era a caccia, essi cercavano di rilassarsi nella loro fattoria con un rapporto intimo. Poco dopo, però, si era abbattuto sulla zona un terribile temporale con lampi accecanti e tuoni rimbombanti. Ma i due coniugi, non lasciandosi intimorire da esso, avevano continuato ad amoreggiare tranquillamente e con il massimo godimento. Era stato a quel punto che un gigantesco platano, situato a dieci metri, si era visto sradicare da un fulmine ed era rovinato al suolo. La sua caduta, però, era avvenuta proprio sulla loro dimora, la quale ne era rimasta schiacciata con quelli che vi si stavano amando. Entrambi, avendo avuto i crani massacrati, erano morti sul colpo.

Quando Serpul era ritornato a casa, si era addolorato tantissimo. A loro beneficio, egli aveva potuto solamente dargli una degna sepoltura. Dopo, invece, aveva stabilito di andare a vivere nella città dei genitori, la quale, come aveva appreso dal padre, era Cuset ed era abitata dai Nucesti. Costoro formavano il popolo, a cui egli stesso apparteneva.