460°-IVEONTE CONQUISTA LA PARTE DI POTERE COSMICO DI FURIEK

Dopo avergli narrato del popolo picesino e del suo eroe impersonato da Furiek, colui che aveva messo il Potere Cosmico nelle mani dei cinque guardiani, però senza potere servirsene, si rivolse al suo interlocutore terrestre e gli fece la sua domanda di rito, che fu la seguente:

«Adesso che hai appreso ogni cosa dell’eroe dei Pices, Iveonte, ti senti in grado di competere con il tuo nuovo avversario e di mettere un’ipoteca sullo scontro che stai per affrontare? Oppure egli ti risulta più ostico di Arkust, per avere qualcosa di diverso che potrebbe crearti qualche problema nello scontrarti con lui? Vorrei conoscere la tua risposta.»

«Tupok, non dovresti farmi la medesima domanda dell’altra volta, per gli stessi motivi che già conosci, i quali sono: primo, io non sono abituato ad arretrare di fronte a nessun Materiade di Kosmos; secondo, la mia presenza in Potenzior ha un solo obiettivo, ossia quello di sconfiggere tutti e cinque gli eroici guardiani e prendere possesso della parte di Potere Cosmico che si trova nelle mani di ciascuno di loro. Per questo sono pronto ad entrare in lizza e a scontrarmi anche con Furiek, sebbene pure lui si presenti un osso duro da abbattere.»

«Allora mi dici, Iveonte, come farai a proteggerti dalla sua invisibilità, che costituirà un serio pericolo per la tua persona? Essa potrebbe consentirgli d’infilzarti, senza che tu possa difenderti dai suoi mortali colpi di spada. La tua risposta m’intriga molto, se ci tieni a saperlo!»

«Senza meno, Tupok, la sua facoltà di rendersi invisibile a suo piacimento rappresenterà per me un problema rilevante, però non tale da essere irrisolvibile ed insormontabile. Comunque, ti garantisco che, come avviene ogni volta, in un modo o in un altro, riuscirò a giungere alla soluzione anche in questo caso. Perciò troverò una via di uscita per neutralizzarla e fare così pendere la bilancia dalla mia parte.»

«Se ne sei convinto tu, Iveonte, non so come pensarla. Ad ogni modo, sentitamente ti faccio gli auguri che tu possa anche stavolta aver ragione di colui che stai per affrontare. Quindi, essendo tu già a conoscenza di quanto avevi da sapere su Potenzior, per avertene già parlato, puoi avviarti verso la meta, che ti farà conoscere Furiek. Come è già avvenuto una volta, sarà il mio cavallo alato Russet a condurti da lui. Tra poco esso sarà qui per mettersi al tuo servizio. Ti basterà ordinargli di farlo e il bianco quadrupede si metterà a disposizione di ogni tuo comando, essendo esso ligio al suo dovere. Buona fortuna, eroe del pianeta Geo!»

In verità, Russet si fece vivo, senza che Iveonte lo chiamasse, non appena il Signore di Potenzior smise di parlare al proprio interlocutore. Allora Iveonte si sbrigò a saltargli sulla groppa e ad ordinargli di condurlo da Furiek, il suo nuovo avversario. L’alato animale, che aveva un mantello bianco luminoso, ubbidì all’istante al suo ordine. Perciò, mettendosi a battere le ali, si sollevò dal suolo con un rapidissimo volo, per intraprendere poco dopo il suo viaggio nell’azzurro infinito del cielo. Mentre lo attraversava, Iveonte non avvertiva affatto l’ebbrezza della sua celere volata, essendo avvezzo a volare ad una velocità molto superiore. In lui c’era solo l’ansia di raggiungere il campione da sfidare per debellarlo e per privarlo della sua fetta di Potere Cosmico in sua custodia. Quando infine il quadrupede equino pervenne nel luogo dove soggiornava Furiek, effettuando la solita planata, si abbassò verticalmente, fino a trovarglisi di fronte a sei metri di distanza. Così permise al suo cavalcatore di appiedare, dovendo egli presentarsi all’uomo a cui aveva da lanciare la sfida, con l’obiettivo di sconfiggerlo e d’impossessarsi della sua fetta di Potere Cosmico. Una volta poi in presenza di Furiek, Iveonte, dopo averlo scrutarlo da capo a piedi, si rese conto di talune sue caratteristiche fisiche, che erano le seguenti: tronco tarchiato, altezza che raggiungeva i due metri, pelle rossiccia, orecchie quasi atrofizzate, naso sporgente e capigliatura lunga e fitta.

Quando i due si trovarono l’uno di fronte all’altro, fu Furiek ad aprir bocca per primo. Egli, che già lo aveva seguito sospettoso, intanto che saltava giù dal suo cavallo, gli domandò:

«Tu da dove spunti fuori, essere ignoto? Come mai sei venuto da me, montando Russet, che è il cavallo alato del Signore di Potenzior? Non essendo uno di noi, ossia un Guardiano del Potere Cosmico, mi chiedo perché mai ti trovi nel suo regno. Non riuscendo a darmi una risposta da me, vorrei che fossi tu a fornirmela, senza sottacere alcunché.»

«Innanzitutto, ti faccio presente che so che ti chiami Furiek e che una parte del Potere Cosmico viene posseduta anche da te. Ma prima di andare avanti nella nostra conversazione, mi sento obbligato a farti conoscere il mio nome, il quale è Iveonte. Per fortuna, Potenzior ci consente di comprenderci benissimo, sebbene parliamo lingue diverse. Fra di noi avviene, come se parlassimo la stessa lingua. Ciò, perché nel suo regno il plurilinguismo esistente fra i vari popoli di Kosmos viene trasformato in un unico linguaggio universale. Esso è quello che stiamo appunto adoperando, facendoci intendere a meraviglia. Dopo questo chiarimento linguistico, grande eroe del pianeta Pearun, devo darti una notizia, la quale non ti giungerà gradita. Per cui la osteggerai con tutte le tue forze.»

«Mi dici, Iveonte, essa a cosa si riferisce? Non credo che tu sia venuto ad annunciarmi la mia morte! Dovresti poi essere tu ad uccidermi? Da parte mia, però, non lo credo affatto possibile!»

«In un certo senso, Furiek, non ti sei sbagliato, nell’anticipare la mia risposta. Ma voglio che tu l’apprenda interamente, rendendoti conto del perché della tua prossima uccisione da parte mia.»

«A parte il fatto che dubito che tu possa arrecarmi una tale sfortunata evenienza, Iveonte, vorrei sapere qual è la ragione per cui hai stabilito di privarmi della vita, se neppure ci conosciamo.»

«La mia venuta in Potenzior ha lo scopo d’impadronirmi del Potere Cosmico nella sua interezza. Ma siccome esso è stato distribuito fra voi guardiani, per cui ora ne custodite una parte ciascuno, mi tocca battermi con ciascuno di voi ed uccidervi, uno alla volta. Infatti, solo con la morte di ognuno, la sua parte del prodigioso potere entra a far parte di me. A questo punto, avendoti detto ogni cosa riguardante la mia venuta presso di te, mi devo solo dare da fare perché la mia nuova prova si compia anche questa volta, come da mio desiderio.»

«Una bella faccia tosta hai, Iveonte, a parlarmi così! Vedo che ti sei fatto i conti senza l’oste. Ma ti hanno messo al corrente che noi guardiani abbiamo rappresentato l’élite degli eroi che sono esistiti in Kosmos fino ai nostri tempi? Perciò come pensi di sconfiggerci e di procurarci la morte, a quanto pare pure con una certa facilità? Me lo vuoi dire? A proposito, dalle tue parole mi è parso di capire che già avresti tentato una prova di questo genere e che l’avresti anche superata. Vorrei sapere chi deegli altri quattro è stato il tuo primo sconfitto.»

«Siccome ci tieni a saperlo, come mi hai appena rivelato, Furiek, si tratta del feciano Arkust, il quale la pensava allo stesso modo tuo, fino a quando non l’ho obbligato a ricredersi e ad avere un differente concetto di me. Per questo, se sei convinto che la mia è solo presunzione, molto presto cambierai opinione su di me, poiché ti costringerò a mangiare la polvere. Lo sai che voi guardiani siete fortunati, per il fatto che, dopo che vi ho uccisi, vi ritrovate ancora vivi, soltanto perché in Potenzior non è ammesso morire? Come sai, avete la facoltà di resuscitare, subito dopo che la morte vi ha presi come suoi ospiti, ma soltanto per poco tempo.»

«Così è stato Arkust il tuo primo guardiano, con cui ti sei voluto misurare per il motivo che mi hai svelato. Prendo atto che sei anche riuscito a sopravvivere! Ma ti faccio notare che, sebbene egli mi risultasse un eccellente campione, con ciò non ti autorizzo a considerarti anche più in gamba di me. Sappi che ciascuno di noi può riservarti una sgradita sorpresa, grazie ad una sua celata prerogativa vincente, la quale è in grado di procurargli la vittoria. Oppure non hai pensato a questo particolare?»

«Se questo è un modo per darti coraggio, Furiek, sei libero di farlo; ma non illuderti che esso poi ti permetterà di cavartela in maniera egregia, quando ci affronteremo! Comunque, lo so che ti riferivi alla tua possibilità di renderti invisibile.»

Alle nuove parole del suo interlocutore, le quali lo avevano alquanto indisposto verso chi le aveva pronunciate, quasi gli fossero risultate delle frecciate, l’eroe picesino prima s’impermalì e poi cercò con i fatti di ridurgli in frantumi l’arroganza. Così, ostrandosi adirato, si diede a dirgli:

«Tra qualche istante, Iveonte, ti farò comprendere con chi hai a che fare. Allora maledirai il giorno che sei venuto a stuzzicarmi, mentre trascorrevo pacatamente la mia esistenza in questo luogo beato. Quindi, prepàrati a subire i danni che la mia furia da te provocata ha deciso di scaricarti addosso, i quali di certo non ti risulteranno carezze. In questo modo, ogni tua spacconata sarà sepolta in questo luogo!»

Dopo l’ultima parola da lui pronunciata, Furiek brandì la sua arma e si scagliò contro il suo visitatore, con il chiaro intento di ridurlo davvero male. Ma Iveonte non gli permise di perseguire il suo scopo, il quale in quel momento, oltre che fondarsi sulle minacce, intendeva a qualunque costo renderle di fatto. Una volta poi che ebbe frenato la sua violenta carica, neutralizzandola con degli espedienti tattici, fece seguire la propria reazione. La quale risultò all’avversario tempestiva e capace di districarsi anche in mezzo alle mosse più temibili del rivale. Non bastando quanto riportato, egli, con una mossa a sorpresa, indusse l’eroe dei Pices ad arretrare e a trovare riparo dietro la barriera di alcune sue fortuite contromosse. Ma esse gli erano venute all’ultimo momento, ossia quando aveva perfino temuto di crollare sotto i colpi possenti di colui che si era vantato non a torto. Anzi, si stava dimostrando con le azioni di valere quanto aveva affermato, probabilmente anche molto di più. Accertata dunque la sua solida preparazione in fatti d’armi e di combattimenti, Furiek fu dell’idea che la lotta contro il suo fortissimo avversario andava condotta con la massima prudenza, se non voleva venirne sopraffatto oppure essere squartato da un suo fendente profondo. Adesso era persuaso che anche la minima distrazione poteva risultargli fatale. Dal canto suo, Iveonte, pur badando anche lui a non distrarsi, era convinto che alla fine la vittoria gli avrebbe arriso, avendo valutato fin dall’inizio il suo antagonista. Perciò il suo combattimento non accusava alcuna incertezza sul suo esito finale. Ora egli lo portava avanti all’insegna della convinzione che, dei due, era lui il destinato alla vittoria finale.

Esaurite le schermaglie iniziali, che avevano permesso a ciascun combattente di conoscere le reali potenzialità della controparte, lo scontrò fra i due contendenti si andò effettuando con assalti ben studiati e con la massima cautela, essendo entrambi coscienti della pericolosità del proprio avversario. Si cercava pure di prevedere quelle che sarebbero potute essere le successive mosse e contromosse di chi aveva di fronte. Con il quale si era dato ad ingaggiare una lotta che poteva riservare brutte sorprese, da un momento all’altro. Per questo ogni proprio assalto, prima di muoverlo all’avversario o di rintuzzare quello che gli poteva provenire da lui, andava ponderato nei minimi dettagli. Magari escogitando in pari tempo qualche trovata per neutralizzare un possibile suo contraccolpo! Ad ogni modo, l’aspra contesa proseguiva senza sosta fra i due duellanti, i quali venivano sfibrati dalla durezza dei colpi, i quali non smettevano di assestarsi reciprocamente. Per la qual cosa, erano costretti a pararli con uno sforzo fisico snervante e defatigante. Ognuno di loro non perdeva la speranza che alla fine sarebbe stato lui il vincitore del duello, imponendo al rivale la propria superiorità e la sconfitta che lo avrebbe umiliato e fatto perire. Invece si trattava soltanto di un pensiero speranzoso, senza avere il crisma della certezza.

A detta di Iveonte, mentre si misurava con lui, Furiek si era ben meritato l’appellativo di eroe dalla sua gente, poiché dimostrava di possedere tutte quelle caratteristiche, che ne facevano un guerriero singolare. Perciò concludeva che, se egli non fosse stato di tempra adamantina, come dimostrava di essere, il Signore di Potenzior non gli avrebbe affidato una parte del Potere Cosmico. La quale doveva essere difesa da lui a spada tratta contro tutti coloro che avrebbero tentato di carpirgliela in un prossimo o remoto futuro. Comunque, non si sfiduciava, al pensiero che l’eroico Pices gli avrebbe dato molto filo da torcere, prima di sconfiggerlo e di venire in possesso della parte del prezioso potere che era stata posta nelle sue mani. Sempre riferendosi al suo rivale, Iveonte dubitava che egli, pur di condurre la lotta a suo favore, sarebbe ricorso all’invisibilità; però non avrebbe scommesso che ciò non sarebbe successo. A suo parere, se il Pices ci fosse stato obbligato a farlo, non avendo una diversa alternativa per evitarlo, non avrebbe esitato a rendersi invisibile, visto che lo avrebbe fatto non per la sua incolumità, ma per difendere il Potere Cosmico. Difatti egli aveva promesso a Tupok che mai a nessuno lo avrebbe ceduto, se prima non ne fosse stato ucciso.

Riprendendo a parlare del combattimento, con il quale Iveonte e Furiek si disputavano la supremazia dell’uno sull’altro, i colpi di spada infuriavano da entrambe le parti. Essi non erano intenzionati a cessare in breve tempo, a meno che uno dei contendenti non avesse commesso l’errore fatale che lo avrebbe fatto stramazzare al suolo, facendo ottenere la vittoria all’avversario. Per il momento, però, un fatto del genere tardava a verificarsi, siccome nessuno di loro due intendeva regalare la palma a chi gli si stava contrapponendo con furore ed alterigia, pur di vederlo sconfitto ed uscire vincitore dallo scontro. Anzi, se si volevano considerare bene le cose, il loro conflitto si andava accendendo di un fuoco sempre più ardente, il quale li aizzava ad intensificare gli assalti, a rafforzare i colpi e a rinvigorire le forze. Ciò, mentre in loro si acuivano lo sdegno ed un prorompente desiderio di porre l’avversario alle corde, facendolo sentire un essere insignificante e privo di ogni considerazione.

Mentre procedeva in quel modo la lotta fra i due campioni, ognuno dei quali voleva prevalere sull’altro ed imporgli la propria superiorità, Furiek accusò un leggero calo di vigore e di tenuta stabile. La qual cosa gli fece prevedere che una sua disfatta ingloriosa era imminente, per cui doveva affrettarsi a trovare un ripiego che gli consentisse di scansarla. Ma per come si erano messe le cose, egli avrebbe potuto trovarlo unicamente nella sua invisibilità. Allora, benché fosse contrario ad un suo ricorso ad essa, decise di servirsene e di vincere così lo scontro. Il quale, ad un certo punto aveva stabilito di voltargli le spalle e di farlo trovare sull’orlo dell’abisso, che per lui significava abiezione e sconfitta.

Anche Iveonte, avendo preso atto del miserabile stato del suo avvilito rivale e prevedendone un celere ricorso all’invisibilità, si mobilitò perché non ne venisse sopraffatto. Allora, pur di avere più disponibilità per riflettere sulla nuova situazione che si sarebbe avuta a momenti e sul modo di tenerla sotto controllo, egli allentò il suo ritmo di combattimento e concesse a Furiek una più ampia libertà d’azione. Così lo avrebbe indotto a tardare quella decisione, che gli sarebbe risultata antipatica e pericolosa. Il celebre Pices, da parte sua, non tese ad ostacolargli il suo obiettivo di disporre di un tempo maggiore, allo scopo di trovare una soluzione al problema che quanto prima avrebbe dovuto risolvere di riffa o di raffa. Nel frattempo che lo teneva occupato nella loro lotta all’ultimo sangue, che questa volta però voleva che si presentasse piuttosto blanda, Iveonte permetteva alla sua mente di darsi a pensare come neutralizzare la sua invisibilità, se in seguito ci fosse stata sul serio.

Alla fine addivenne ad un ragionamento di questo tipo. Se egli avesse impegnato Furiek in un ulteriore grande sforzo fisico mentr’era invisibile, probabilmente quello che gli procurava l’invisibilità avrebbe ceduto e sarebbe divenuto nulla, facendo ritornare al suo stato di visibilità tanto il suo corpo quanto ogni cosa che era a lui unita, come gli abiti che lo vestivano e le armi che lo armavano. Ma in che modo lo si poteva stressare e defatigargli la mente, intanto che egli esisteva da essere invisibile? A parere di Iveonte, solamente costringendolo ad una pazza volata nello spazio, la quale ci sarebbe stata da parte di Furiek al fine d’inseguirlo, di raggiungerlo e di trafiggerlo con la sua spada. Anche perché era certo che avrebbe volato meglio di lui. Allora, essendo convinto che la sua idea non era una supposizione verosimile, ma un dato di fatto basato sulla logica, cominciò a non temere più un eventuale stato d’invisibilità, che sarebbe stato messo in atto dall’avversario. Anzi, desiderando che esso ci fosse al più presto, si ridiede a battagliare con lui con lo stesso ritmo che aveva dimostrato in precedenza, fino a sfiancarlo anche più di prima. A suo parere, in quel modo lo avrebbe fatto sentire di nuovo talmente a disagio, da spingerlo a ricorrere a ciò che considerava la sua àncora di salvezza.

Al nuovo atteggiamento di Iveonte, che era ritornato ad essere irrompente ed oppressivo, Furiek, trovandosi alle strette, optò questa volta per l’invisibilità. Con essa intendeva porre fine a quel combattimento che aveva preso una brutta piega nei propri confronti, ossia con la morte del rivale, che si stava rivelando più in gamba di lui. Ma non appena egli scomparve dal luogo del combattimento, Iveonte, prima che ne venisse colpito mortalmente, all’istante volò verso il cielo con una rapidità incredibile. Quella sua mossa inattesa trovò impreparato il Pices, il quale già si era sentito sicuro della vittoria. Perciò egli, anche se essa lo stizzì abbastanza, dovette ammettere che l’avversario era riuscito a spiazzarlo all’ultimo momento, in una maniera che non si sarebbe mai aspettata da lui. Allora, avendo avuto il loro confronto quello sbocco imprevisto, che aveva agevolato il rivale nel sottrarglisi appena in tempo per non essere ucciso, Furiek, pur di non lasciarselo sfuggire, prese l’unica decisione possibile per rintracciarlo e farlo fuori. Essa fu quella d’inseguirlo nello spazio infinito, di raggiungerlo e d’infilzarlo mentre volava, senza che egli potesse vederlo.

Iveonte, invece, in attesa di scorgere l’avversario che si dava al volo, seguitava a compiere cabrate e a discendere in picchiata nel limpido cielo azzurro. Inoltre, si dava ad altre diavolerie acrobatiche, perché il suo inseguitore non gli fosse così vicino da poterlo colpire a tradimento. Così chi cercava di avvicinarlo faceva fatica anche a controllarlo, mentre tentava di stargli dietro per averlo a portata di mano ed ammazzarlo con un colpo reciso. Egli aveva perfino stabilito di troncargli il capo e farlo precipitare giù nel vuoto, se non gli fosse mancata l’occasione propizia per porre in atto tale sua azione. Dunque, si andava avanti nel modo riportato, per cui Furiek continuava ad inseguire colui al quale intendeva far passare un brutto quarto d’ora, una volta che lo avesse raggiunto; ma per il momento si trattava solo di tentativi che andavano a vuoto.

Poco dopo, però, quasi per prodigio, iniziò ad aversi in Furiek un fenomeno strano. Il suo corpo, che prima non era visibile per niente, ad un certo momento, si andò trasformando in una figura sbiadita. Anzi, essa diventava sempre più focalizzata ed appariscente, fino a trasformarsi in una sagoma dai contorni netti e ben delineati. Insomma, senza che il Pices se ne avvedesse, alla fine egli rimase privo della patina che lo rendeva invisibile e ritornò ad essere esistente anche per tutti gli altri esseri viventi, come già lo era per sé. Infatti, ogni volta che assumeva lo stato invisibile, egli continuava a scorgersi allo stesso modo di quando non lo era. Probabilmente, soltanto davanti ad uno specchio avrebbe smesso di vedersi, al contrario di quanto avveniva con le altre persone. A quel ritorno alla normalità del suo avversario, Iveonte preferì tenerlo all’oscuro del fatto che adesso egli era in grado di avvistarlo. Inoltre, pensò di sostituire il tiro mancino che il medesimo avrebbe voluto giocargli con un proprio marchingegno. Tramite il quale, lo avrebbe fatto trovare in un guaio molto serio, ossia nella sua completa rovina. In verità, egli non intendeva neppure recargli la morte con un colpo di spada, ma si sarebbe servito delle sue mani nude per farlo. Così Furiek l’avrebbe avvertita, mentre la morte s’impadroniva del suo corpo con un avanzamento inarrestabile, senza dargli alcuna possibilità di resistere ad essa.

Quando Iveonte intravide il suo avversario che era ritornato ad essere visibile, era distante da lui qualche miglio. Allora, facendo finta che il suo sguardo si perdeva nella vuotaggine spaziale, senza riuscire ad avvistarvi alcuna persona, si ridiede alla sua volata precipitosa, intanto che il rivale non cessava di tallonarlo, essendo intenzionato a colpirlo di sorpresa. Ad un certo punto, però, l’eroe terrestre eseguì di botto un rapido dietrofront e gli si trovò davanti ad un centinaio di metri. Restando poi a quella distanza con lo sguardo a lui rivolto, fingeva di non vederlo e di non accorgersi della sua presenza nel tratto di cielo in cui si trovavano entrambi. La qual cosa incoraggiò l’eroico Pices ad assalirlo e a finirlo con un fenente della sua spada. Invece Iveonte, non appena l’avversario gli fu distante una decina di metri, effettuò una piroetta con la velocità del fulmine. Essa gli consentì di trovarsi alle sue spalle e di agganciarlo dalla parte di dietro, facendogli trovare il collo nella possente stretta del suo nerboruto braccio destro. Essa allora iniziò a comprimerglielo sempre di più, rendendo vani i suoi sforzi di liberarsene per non restarne soffocato. Invece, dopo alcuni minuti di fremiti reattivi da parte di chi subiva la compressione e palesava di non volere rinunciare all’esistenza, il corpo di Furiek si ritrovò senza vita. Ma Iveonte non lo lasciò cadere nel vuoto per evitare che si andasse a sfracellare al suolo. Al contrario, reggendolo sulle braccia, lo riportò a terra, dove poco dopo lo vide pure riprendersi e ritornare di nuovo alla vita.

Quando si fu rialzato da terra, l’eroe picesino non ricordava più niente dello scontro avuto con Iveonte e non sapeva come reagire di fronte a chi gli stava davanti, del quale aveva dimenticato ogni cosa. Ignorava perfino che la sua parte di Potere Cosmico lo aveva abbandonato ed era finita nella persona che adesso lo guardava, dispiaciuto di averlo sconfitto ed umiliato, pur non meritandolo. Essendo quello il quadro della situazione, l’eroe terrestre, che non aveva altro da fare, montò su Russet e gli ordinò di riportarlo da Tupok. Al suo arrivo presso di lui, il Signore del Potere Cosmico, il quale già lo attendeva per non aver alcun dubbio sul suo ritorno, lo accolse compiaciuto. Ma poi si diede a dirgli:

«Mi congratulo con te, formidabile Iveonte, che anche questa volta hai dato prova di essere un invincibile guerriero. Adesso in te si trova anche la seconda parte del Potere Cosmico, per essere riuscito a conquistarla con coraggio ed eroismo. Ora ti aspetta la conquista della sua terza parte, la quale è posseduta dall’eroe Serpul, che è originario del pianeta Koser. Anche del terzo guardiano mi toccherà riferirti ogni cosa a lui inerente. Così apprenderai qual è stato il suo popolo, i privilegi di cui è dotato ed altre notizie che te lo faranno conoscere, quasi tu fossi stato il suo migliore amico. Ti raccomando d’imprimerti bene nella memoria ciò che ti racconterò di lui, perché tu ne abbia il migliore giovamento, quando sarai costretto ad affrontarlo per il motivo che conosci.»

«Puoi stare tranquillo, Signore di Potenzior, che mi ficcherò in mente tutto quanto tra poco mi dirai sulla vita di Serpul. Lo memorizzerò in modo che non mi sfuggirà mai più, almeno fino a quando non avrò più bisogno di rammentarlo a beneficio della mia nobile missione. Tu, però, da ora in avanti, cerca di essere meno prolisso e verboso nel darti a raccontare di lui, ricorrendo ad un linguaggio più conciso. Così, nell’ascoltarti meno a lungo, mi farai perdere meno tempo, dal momento che ho bisogno di sbrigarmi, se voglio salvare in tempo il mio pianeta con tutte le persone a me più care, che abitano sulla sua superficie.»

«A quanto pare, Iveonte, non ti sei ancora reso conto dell’infinita potenza che il Potere Cosmico potrà dimostrare di possedere in Kosmos. Se i due eccelsi gemelli ti hanno inviato in Potenzior per fartene impossessare, è perché esso soltanto sarà in grado di risolvere tutti i problemi che attualmente vanno nascendo nell’universo, a causa del dio Buziur, l’Imperatore delle Tenebre. Costui sta dando scaccomatto perfino a loro due, dopo essersi trasformato nella nuova Deivora, alla quale hanno dato il nome di Kosmivora.»

«Dici davvero, Tupok, che il Potere Cosmico mi permetterà di risolvere tutti i problemi che sta creando la mostruosa creatura, nella quale si è trasformato il dio Buziur? Ma cosa potrò fare contro quei danni materiali che, quando rientrerò in Kosmos, essa avrà già combinato? Magari in mezzo a loro saranno pure comprese la distruzione del pianeta Geo, con la scomparsa della mia famiglia e delle altre persone altrettanto a me care? Me lo riferisci?»

«Iveonte, il Potere Cosmico, quando ne verrai in possesso, se proprio non potrà farti creare un universo di sana pianta, poiché una simile creazione è possibile solo a Splendor, di certo potrà consentirti di riportare allo stato originario la parte di Kosmos che è stata distrutta dalla Kosmivora, riportando alla vita tutti gli esseri viventi che prima vi esistevano. Ciò significa che non devi temere di arrivare in ritardo per salvare le persone che ti stanno a cuore. Esse, se nel frattempo malauguratamente saranno già perite, al tuo ritorno nell’universo disastrato, risorgeranno alla vita e te le troverai ancora accanto. Ti basterà ordinare al Potere Cosmico il ritorno di Kosmos allo stato originario ed esso ridiventerà quello di prima, come se non avesse mai subito catastrofi di qualunque tipo in qualche sua parte.»

«Grazie, Tupok, per avermi messo al corrente di questo prezioso particolare, il quale mi ha rinfrancato. Perciò adesso puoi anche riprendere il discorso su Serpul, senza essere necessario che tu sia stringato, per farlo essere più breve, visto che non ce n’è più bisogno.»