457°-IL PIANETA PEARUN E IL SUO EROE FURIEK

Furiek era nativo del pianeta Pearun, che orbitava intorno alla stella Nuber, la quale era situata nella galassia di Abrep. Nel sistema nuberiano, si trovava anche l’asteroide Tibos, su cui era ubicato l’Antro dell’Accesso. Esso aveva consentito ad Iveonte di accedere in Potenzior. Sul suolo pearunino si era sviluppato il popolo dei Pices. I Pearunidi costituivano una razza con le seguenti caratteristiche fisiche: altezza media intorno ai centonovanta centimetri, pelle rossastra, orecchie atrofizzate, naso alquanto sporgente, capigliatura lunga e fitta, tronco tarchiato e possente. Pearun, che era il terzo pianeta per vicinanza alla stella, non era il solo ad orbitare intorno alla stella Nuber, poiché ve n’erano altri quattro ad accompagnarlo nel suo periplo astrale. Essi erano: Olvus, che era il più piccolo e il più vicino alla stella; Raprot, che era il più grande e il più lontano dalla stella; Soluk, che era il secondo per vicinanza alla stella; Zillep, che era il quarto per vicinanza alla stella.

La popolazione picesina era distribuita soltanto sulla quarta parte della superficie del pianeta, poiché gli altri tre quarti risultavano inabitabili per le cause che vengono fatte presenti. Le terre, che ne facevano parte, si presentavano costituite per la maggior parte da deserti, che non permettevano alcuna forma di vita; mentre le rimanenti, le quali erano di costituzione geologica non desertica, abbondavano di paludi, che pure sconsigliavano l’uomo dall’abitarle. Perciò i Pices si erano insediati in una fascia dell’emisfero boreale. La quale era da considerarsi quella che offriva di più alla specie animale e all’uomo un’esistenza per niente difficile in ogni senso, poiché metteva a disposizione di chi vi viveva cibo ed acqua in abbondanza. Dal punto di vista etnico e sociale, il popolo picesino era suddiviso in cinque tribù, dette suske, ciascuna delle quali aveva un suo capo, chiamato limiur, il cui potere su di essa non era pieno. Nelle rispettive suske, infatti, essi dovevano rendere conto del proprio operato a colui che, con il nome di posust, era al di sopra di loro ed aveva la facoltà di legiferare come un vero monarca.

Le suske esistevano da tempo immemorabile, per cui i Pices non avrebbero potuto risalire alle origini della loro formazione, pur sforzandosi al massimo con la memoria, poiché i loro antenati non se lo erano mai tramandato di generazione in generazione. Perciò noi le conosceremo per come esse si presentavano, al tempo di colui che la maggioranza dei loro abitanti considerava un eroe celebrato. Delle cinque suske, quattro si erano estese ai quattro angoli di un quadrato immaginario, i cui spigoli erano rivolti verso i quattro punti cardinali; mentre la quinta si trovava al centro di tale figura geometrica piana. Per questo esse prendevano il nome di suska orientale, suska occidentale, suska meridionale, suska settentrionale e suska centrale. Comunque, non poteva esserci fra i cinque villaggi una distanza minore di tre miglia, per cui l’habitat delle quattro suske situate agli angoli doveva espandersi in direzione del rispettivo punto cardinale. Invece quello della suska centrale poteva andare oltre l’intera sua fascia perimetrale, visto che la sua distanza dalle altre superava le dieci miglia. Va aggiunto che a quel tempo la popolazione di ciascuna tribù si aggirava intorno ai cinquantamila abitanti.

A capo di ogni suska, c’era un limiur, una specie di capotribù che vigilava sulla condotta morale, civile e religiosa di quanti vi risiedevano. Invece il capo supremo del popolo picesino prendeva il nome di posust, il quale corrispondeva all’attuale titolo di re o imperatore. La sua sede stava nella suska centrale. Egli aveva cinque collaboratori, i quali, con funzioni ispettive, erano dislocati tre per ogni villaggio ed avevano il compito di vigilare sull’operato dei cinque limiur. Perciò i tre ispettori di una suska andavano a riferirlo al posust, ogni volta che il loro limiur risultava autoritario oppure, al contrario, tollerante nei confronti dei suoi sudditi. Allora il posust, dopo avere accertato la fondatezza delle accuse a lui mosse collegialmente dai tre ispettori che lo avevano giudicato, passava a sostituirlo. All’interno di una suska, se un abitante si rendeva colpevole di un reato veniale, spettava al limiur infliggergli la punizione, la quale andava sempre considerata emendativa e poteva essere anche pecuniaria. Nel caso di un delitto grave, il colpevole veniva trasferito alla suska centrale per essere sottoposto al giudizio del posust, poiché solo a lui spettava punirlo con la pena capitale. Ad ogni modo, dopo che c’era stata la sua sentenza di morte, il condannato veniva rinviato al suo villaggio di residenza, poiché era lì che la sua condanna andava eseguita. Essa avveniva, tra i numerosi insulti di una folla infuriata ed inferocita, siccome era quella la consuetudine presso il popolo picesino.

Considerato nella sua competenza giurisdizionale, il posust aveva il potere di vita e di morte sui propri sudditi. Anche se la giustizia veniva amministrata da persone da lui delegate, quando un Pices si rendeva colpevole di orrendi crimini ed esse lo condannavano alla pena capitale, dopo era lui ad autorizzarne la concreta attuazione. In merito alla quale, la condanna a morte si diversificava secondo il delitto commesso, dal momento che ne erano previsti cinque tipi, come l’impiccagione, la decapitazione, l’impalamento, l’annegamento e la crocefissione. Ma qui si evita di precisare quale reato si abbinava a ciascuna delle pene capitali riportate, visto che una simile conoscenza non ci servirebbe a niente.

Furiek, il secondo possessore di una parte del Potere Cosmico, era nato dallo stregone Pursop e dalla sua consorte Racen, i quali risiedevano nella suska settentrionale. Tutti i Pices riconoscevano a tale personaggio dei poteri straordinari, che in nessun altro abitante delle cinque suske si potevano rinvenire, uno dei quali era l’invisibilità. Infatti, ogni volta che lo disiderava, egli era capace di rendere invisibili sia il proprio corpo sia qualunque cosa che fosse con esso collegata, come l’indumento che lo copriva oppure l’arma che brandiva. Per questo i Pices, nella loro totalità, gli mostravano un grande rispetto, quello che non esprimevano neppure al loro posust Sozen. Costui, in verità, al pari degli altri, assumeva anch’egli nei suoi confronti un atteggiamento rispettoso. Anzi, aveva voluto pure stringere amicizia con lui con l’intento di permettere alle loro famiglie di frequentarsi più spesso. Essendo coetanei, la loro frequentazione era iniziata poco prima che si sposassero con le loro rispettive fidanzate; ma essa era diventata più assidua, dopo che, abbandonato il celibato, entrambi si erano ammogliati. La sorte aveva voluto anche che Sozen e Pursop avessero nello stesso giorno dalle mogli i loro primogeniti, ai quali erano stati dati i nomi di Pluez, al figlio del posust, e di Furiek, a quello dello stregone. Nell’ambito delle due famiglie, era stato anche stabilito che la secondogenita di Sozen, che era nata tre anni dopo il fratello, da grande si sarebbe maritata con Furiek. A tale proposito, va fatto presente che secondo i Pices per una donna l’età giusta per prendere marito era quella che partiva dai trent’anni in poi, poiché soltanto allora ella diventava pronta per il matrimonio.

Indipendentemente dal loro rapporto di cognato che era stato deciso dai rispettivi genitori fin dalla loro fanciullezza, tra Furiek e Pluez si era andato instaurando un legame di amicizia profondo. Perciò, già all’età di dodici anni, essi avevano voluto consolidarlo con la procedura del patto di sangue. Così essa, conferendogli un autentico valore di fratellanza, lo avrebbe fatto durare fino alla loro morte. Ma nonostante fra loro due fosse nata un’amicizia così sviscerata, la loro formazione fisica e spirituale era avvenuta separatamente, cioè in seno alle rispettive famiglie, ed aveva provveduto ad essa ciascun genitore. Comunque, qui verrà fatta conoscere solo quella che riguarderà l’eroe picesino, dal momento che Iveonte dovrà affrontare lui per conquistare la seconda parte del Potere Cosmico e non l’amico Pluez.

Già da quando Furiek aveva cinque anni, mentre la madre Racen si era data a coccolarlo e a riservargli tutte le sue cure amorevoli, il padre Pursop aveva badato a farlo crescere in modo diverso. Gl’imponeva una rigida disciplina, incurante che essa non era adatta ad un bambino della sua età, come anche la moglie era solita fargli osservare. Ad ogni modo, stranamente il ragazzo non se ne mostrava insofferente; al contrario, pur di non contrariare il genitore, faceva l’impossibile per assimilare i suoi insegnamenti. I quali spaziavano in diversi settori dello scibile e miravano a dotarlo di un magnifico fisico atletico, di un carattere adamantino, di una volontà ferrea e di una psicomotricità eccellente. Infatti, dell’imberbe allievo, quando era appena entrato nell’età adolescenziale, già si poteva affermare che egli aveva raggiunto la perfezione nel tiro con l’arco, nel lancio del giavellotto e nell’uso del pugnale. Lo stregone della suska nordica, però, aveva dovuto attendere ancora un quinquennio, prima che Furiek imparasse la perfetta tecnica della scherma, nella quale egli stesso era da considerarsi un insuperabile campione. Invece, quando il suo unigenito era diventato un giovane ventenne, egli aveva appreso dalle lezioni paterne tutte quelle cose di cui a quell’epoca era possibile venire a conoscenza. Esse così lo avevano formato nelle varie branche del sapere, inteso quest’ultimo come perfezionamento dell’uomo completo. Forse nell’uso delle varie armi e nella lotta libera, nella quale si mettevano in pratica mosse di assoluta originalità, il discepolo aveva raggiunto una perfezione superiore a quella del suo egregio maestro. Ciò, sebbene il padre avesse raggiunto in entrambe le cose una ineguagliabile perizia e non avesse rivali che potessero reggere al suo confronto oppure competere con lui, senza venirne sconfitti.

Oltre a simili conoscenze ed abilità tecniche, alle quali ci siamo riferiti, Pursop padroneggiava così bene la sua sfera psichica, da riuscire ad ottenere da essa alcune trasformazioni del proprio corpo, tra le quali anche l’invisibilità. In questo caso, era in grado di rendere invisibili perfino gli indumenti che lo privavano della nudità e l’arma che maneggiava nel combattere. Allora, in una situazione del genere, non gli era difficile falcidiare eventuali avversari, nonostante essi lo assalissero in massa. In verità, Pursop non aveva bisogno di ricorrere alla sua invisibilità, quando si dava a pugnare contro di loro, potendo già la sua valentia di prode ed invincibile combattente mietere fra i suoi nemici una infinità di morti. In merito a tale sua peculiarità, lo stimato stregone dei Pices, perché essa si avesse in sé, doveva impegnarsi in uno sforzo della mente quasi sovrumano, che avrebbe retto, soltanto se non fosse stato sottoposto ad un’altra fatica equipollente o superiore ad esso. Ma se ci fosse stato costretto a compierlo per un motivo qualsiasi, il suo essere invisibile sarebbe cessato, per cui egli sarebbe di nuovo apparso alla realtà circostante. In verità, neppure a lui era noto questo particolare, poiché non gli era mai successo un fatto del genere durante l’intero arco della sua vita. Perciò s’ignorava perfino il tipo si sforzo a cui bisognava sottoporlo, se lo si voleva privare dell’invisibilità, nell’istante stesso che la metteva in atto nella propria persona per raggiungere un determinato obiettivo.

Pursop aveva voluto dotare il proprio figlio anche di una prerogativa del genere, siccome essa gli avrebbe rafforzato le altre sue doti singolari, che dimostrava di possedere nell’ambito della conoscenza, della psiche e dello spirito. Soprattutto lo aveva reso un asso nella sua preparazione concernente qualsiasi tipo di combattimento. Comunque, anch’egli, come il genitore, non sarebbe mai ricorso all’invisibilità per perseguire un obiettivo, che era in grado di raggiungere senza farne uso. Allo stesso modo, non se ne sarebbe mai servito nel lottare contro i suoi simili, se non in casi eccezionali. Uno dei quali sarebbe potuto essere l’eccessivo numero di nemici, specialmente se essi avessero tentato di eliminarlo da veri vigliacchi.

Era consuetudine dei Pices delle cinque suske organizzare dei tornei secondo precisi cerimoniali, durante i quali si avevano combattimenti sia individuali che a squadre. Essi si svolgevano nell’ampio spiazzo che si trovava nelle vicinanze della suska centrale e vi partecipavano tutti coloro che si consideravano degli ottimi combattenti nell’uso almeno di una di esse, se non proprio in tutte le armi. Per questo cercavano di mettersi in mostra agli occhi di quanti assistevano dagli spalti di legno allestiti per la particolare occasione. La quale ogni volta suscitava entusiasmo e brio in quanti avevano la fortuna di poter essere presenti a tali tornei.

Logicamente, chi, se non Furiek, riusciva a primeggiare su tutti gli altri combattenti picesini? Difatti era proprio a lui che la folla osannava sulle gradinate poste tutt’intorno allo spiazzo dove avvenivano i combattimenti. Essa appariva in pieno delirio, mentre si agitava ed acclamava il meritato vincitore di ogni gara, il quale risultava sempre l’eroico figlio dello stregone Pursop. Più di tutti ne erano felici il suo amico fraterno Pluez e la sua promessa sposa Sevian, i quali sedevano in mezzo ai loro genitori, mentre gioivano e se la gongolavano per le sue gloriose vittorie, che andava ottenendo nell’arena, senza mai smentirsi. Per la verità, anche il padre e il suo futuro suocero si beavano della sua indiscutibile bravura, intanto che ne ammiravano le ineguagliabili doti d’insuperabile guerriero. Anche perché egli le metteva in mostra in maniera stupenda, mentre gareggiava contro gli altri contendenti e li umiliava.


Un giorno Furiek e il suo amico, usciti dalla suska centrale, si erano diretti verso la palude, poiché intendevano trascorrervi un’intera giornata, dandosi alla caccia degli animali che vi vivevano. La loro galoppata era durata circa un’ora, prima di raggiungere il luogo scelto come loro meta. Quando vi erano giunti, innanzitutto avevano lasciato in libertà i loro cavalli, essendosi in una zona dove le palustri acque stagnanti non facevano registrare la loro presenza. Così facendo, gli avevano permesso di pascolare e di dissetarsi a sufficienza, prima di legarli ad un albero per non farli scappare. Mentre poi le bestie badavano a nutrirsi e a soddisfare la loro sete, essi si erano trovati un posto tranquillo dove poter scambiare quattro chiacchiere. Era stato Pluez ad aprire bocca per primo, rivolgendo all’amico la seguente domanda:

«Mi sai dire, Furiek, se in questa palude ci sono animali feroci, i quali potrebbero risultarci pericolosi? Comunque, non ho mai sentito mio padre fare qualche accenno ad essi.»

«Neppure il mio genitore me ne ha mai parlato, amico mio, se rammento bene. Ciò dovrebbe voler dire che davvero qui non ce ne sono, al fine di procurarci qualche preoccupazione. Ma se proprio ce ne dovessero essere, stanne certo che sapremmo come cavarcela!»

«Già, Furiek, avevo dimenticato che ho con me un guerriero formidabile, il quale non si farebbe di certo spaventare da una belva con intenzioni ostili nei nostri confronti! Non è forse vero che non mi sbaglio?»

«Non hai torto, Pluez. Nessuna bestia feroce sarebbe capace d’intimorirmi. Se ce ne fosse qualcuna da queste parti e decidesse di assalirci, saprei io come accoglierla e conciarla per le feste!»

«Mi dici, amico mio fraterno, quale accoglienza gli riserveresti, se putacaso ce ne apparisse qualcuna davanti proprio adesso e si preparasse ad aggredirci con i suoi intenti malvagi?»

«Prima di tutto, fratello della mia adorabile Sevian, ti farei salire sopra questo piccolo albero che si trova sulla nostra sinistra; subito dopo scomparirei alla sua vista. Allora essa, non vedendomi più, penserebbe di raggiungere te e renderti il suo pasto del momento. Mentre poi tu cercheresti di tenerla lontano da te con il tuo giavellotto, io l’avvicinerei e la trafiggerei più volte con la mia spada, fino a farla cadere morta per terra. Ecco tutto!»

«In questo modo, Furiek, ce ne libereremmo senza la minima fatica. Lo sai che avevo dimenticato che, quando lo desideri, puoi renderti anche invisibile? Ma sono sicuro che, anche senza essere dotato dell’invisibilità, avresti trovato il modo di farla fuori senza sforzi!»

«Ci puoi contare, Pluez! Adesso, però, è giunta l’ora di darci a cacciare quegli animali, che possono procurarci delle carni prelibate e delle ottime pellicce. Di queste ultime, voglio regalarne una a tua sorella Sevian, poiché spesso ella mi ha espresso tale desiderio.»

«La tua è una splendida pensata, Furiek! Sono certo che la farai immensamente felice, quando le regalerai la più bella delle pellicce che tra poco ci procureremo con la nostra caccia!»

Poco dopo, i due amici stavano per alzarsi da terra, dove si erano distesi sopra un tappeto d’erba, allorché avevano visto un enorme bestione dirigersi verso di loro, emettendo un verso che comprendeva il ruggito del leone e il barrito dell’elefante. Quanto alla sua grandezza e alla sua somiglianza, la prima appariva quadrupla di quella di una tigre; mentre la seconda faceva pensare ad un essere avente la testa di un leone, ma con un accentuato prognatismo. Il resto del corpo si presentava lungo il doppio del medesimo animale, anche se la sua pelle era uguale a quella di un elefante, però con zampe e coda leonine.

Avanzando con balzi veloci, che riuscivano a coprire anche sei metri di lunghezza, esso puntava direttamente sui due amici, i quali non avevano mai visto una bestia di tal genere. Allora Furiek, prima che quella specie di mostro si avvicinasse troppo a loro due, aveva invitato l’amico a rifugiarsi sul vicino albero, mentre lui lo avrebbe affrontato da solo con le armi a sua disposizione, restando calmo e saldo di nervi. Quando poi esso gli era stato distante una ventina di metri, servendosi dell’arco, gli aveva scagliato contro dieci frecce. Esse, pur senza sbagliare il bersaglio, avevano dato ad intendere che non lo avevano nuociuto minimamente, per cui il colpito aveva seguitato ad avanzare con ostinazione. A quel punto, non volendo rischiare un po’ troppo, il figlio dello stregone era ricorso all’invisibilità, ad evitare di subire la sua schiacciante strapotenza fisica. Essa oramai fermentava a pochi passi da lui e manifestava una grande voglia di rovinargli l’esistenza, poiché era intenzionato a procacciarsi con il suo corpo un pasto prelibato. Invece aveva dovuto rivedere le sue mire voraci, in seguito alla sparizione della sua preda. La quale gli era sfuggita di mano appena in tempo, rendendola destinataria di una scottante delusione. Allora l’improvvisa scomparsa di chi stava per diventare la sua vittima non era stata gradita dall’enorme belva. Essa, fino a quel giorno, non aveva mai fatto parlare di sé per la sua ferocia e per il suo alto rischio di temibilità. In passato, però, c’erano stati parecchi Pices che si erano avventurati nella palude, senza farne più ritorno.

Rimasta senza preda, la bestia era stata costretta a cambiare direzione, la quale questa volta la indirizzava verso l’albero su cui aveva trovato riparo Pluez. Quando lo aveva raggiunto, non riuscendo ad agguantarlo con i suoi artigli mortali, essa si era data a scuotere l’arboreo fusto per farlo cadere giù. Il giovane, dal canto suo, mentre l’inferocita bestia si adoperava in tal senso, tenendosi aggrappato ad un ramo fortemente, non mollava, sebbene tremasse come una foglia. Anzi, si chiedeva quando sarebbe intervenuto il suo amico a liberarlo da quel pericolo incombente. Naturalmente Furiek non aveva intenzione di lasciarlo per lungo tempo a macerarsi in quella sua terribile situazione, la quale non prometteva nulla di buono. Perciò, dopo essersi armato della propria spada ed aver raggiunto il tormentatore dell’amico, standogli a distanza ravvicinata, gli aveva infilzato il corpo più volte con la sua arma. Ma era stato il suo sesto colpo, che gli aveva inferto con molto sdegno, a spegnergli l’esistenza e a farlo stramazzare per terra.

Non appena si era consumata l’uccisione della mostruosa creatura, il figlio del posust si era affrettato a venir giù dall’albero. Subito dopo si era rivolto all’amico fraterno, che nel frattempo si era privato della sua invisibilità, e gli aveva parlato in questo modo:

«Ti ringrazio, Furiek, per avermi salvato la vita! Ma tu avevi mai sentito parlare di tale belva dalle caratteristiche sui generis, indubbiamente spaventose, le quali lo predisponevano ad essere l’animale più feroce del nostro pianeta? Io lo ignoravo nel modo più assoluto!»

«Invece io, Pluez, ne avevo avuto qualche vaga notizia da mio padre. Ma egli, quando si era riferito a tale essere, era convinto che si trattava di una mera leggenda, siccome non c’era stata mai alcuna persona ad affermare di averlo visto con i propri occhi, convalidandone così la reale esistenza. In verità, il mio genitore, in parole spicciole, mi accennò ad un certo leggendario Taluz. Il quale veniva citato come una belva dalla strana figura e sanguinaria, ma senza che gli venissero assegnati degli attributi che potessero descriverlo.»

«Allora, Furiek, oggi abbiamo scoperto che questo Taluz non era un piccolo mostro immaginario e che esso ci fa pensare anche che il mancato ritorno alle loro famiglie di tanti Pices scomparsi nei pressi della palude fu dovuto alla sua presenza in questi luoghi.»

«Concordo con te, Pluez, circa le saltuarie scomparse dei nostri conterranei avvenute nella palude in tempi diversi. La fiera da me uccisa, che ci ritroviamo tra i piedi, avrebbe potuto benissimo assalirli, stritolarli e divorarli senza alcuna difficoltà, presentandosi essa perlomeno dieci volte più feroce di una tigre. Ma per merito mio, da quest’oggi, essa ha smesso di fare strage di altri esseri umani in giro per questi luoghi acquitrinosi, per cui dobbiamo esserne felici. Al nostro ritorno alla tua casa, inviteremo tuo padre a far venire qui degli uomini con un carro, perché lo prelevino e lo portino in giro per tutte e cinque le suske, in modo che i loro abitanti lo conoscano e se ne facciano un’idea.»

I due amici non erano ritornati subito alla suska centrale, poiché essi avevano voluto dedicarsi alla caccia, fino a quando Furiek non era riuscito a mettere le mani sull’animale da cui aveva potuto ottenere la splendida pelliccia che aveva promesso alla sua ragazza.