456°-IVEONTE CONQUISTA LA PARTE DI POTERE COSMICO DI ARKUST

Quando ebbe terminato di raccontare la storia dell’eroico Feciano, Tupok, che era stato il Signore del Potere Cosmico, domandò all’umano proveniente dal remotissimo pianeta Geo:

«Iveonte, dopo quanto hai ascoltato da me su Alkust, adesso te la senti di competere con chi dovrà essere il tuo primo rivale nella tua temeraria impresa? Oppure egli ti ha infuso qualche timore, per cui saresti quasi disposto a tirarti indietro per non affrontarla più?»

«Di sicuro starai scherzando, Tupok, se mi parli in questo modo! Allora sappi che neppure la morte mi farebbe recedere da quanto mi sono proposto di fare, pur d’impadronirmi del Potere Cosmico! Anche perché tutti i Materiadi, compresa la razza umana, sparirebbero da Kosmos, se io non portassi a termine la missione che mi è stata affidata dalle due divinità più prestigiose esistenti nel Regno della Materia e del Tempo. Esse, come sai, nutrono verso di me quella fiducia che giammai concederebbero a qualche altro Materiade dell’universo. Del resto, anch’io pongo una illimitata ed assoluta fiducia nella mia buona stella, circa l’esito di questa mia nuova impresa, che sto per affrontare.»

«Ti comprendo, Iveonte. Perciò scusami, se poco fa ho osato mettere in dubbio quelle che sono le tue straordinarie doti. Comunque, prima che tu ti dia ad affrontare i cinque Guardiani del Potere Cosmico, desidero chiarirti cinque cose, le quali riguardano il mio regno.»

«Allora affréttati a parlarmene, Tupok, in modo che io abbia anche la conoscenza di quelle notizie, che non mi hai ancora date su Potenzior. Suppongo che esse debbano essere di una certa importanza, se è tuo desiderio parteciparmele. Non è forse questa la verità?»

«Siccome non ti sbagli, Iveonte, eccomi a fartele conoscere. Sono varie le informazioni relative a Potenzior, di cui devo ancora metterti al corrente. In primo luogo, sappi che qui, non essendoci la forza di gravità, puoi muoverti in esso anche attraverso lo spazio. Ossia ti è consentito di volarvi, pur non essendo tu provvisto di un paio d’ali. Ovviamente, ti occorrerà parecchia pratica, prima di assuefarti al volo e di familiarizzare con esso. In merito al quale, ti rendo noto che tutti i tuoi prossimi rivali possiedono già molta dimestichezza nella pratica del volo. Spesso essi vi si applicano e gareggiano a chi di loro sa esibirsi in acrobazie migliori. Perciò, essendo tu del tutto digiuno di tale pratica, sono sicuro che ti troverai in grande difficoltà nel rivaleggiare con loro cinque.»

«Questo è da vedersi, Tupok! Al posto tuo, non ne sarei così convinto. Comunque, dovrai abituarti ad attenderti da me ogni tipo di sorpresa, inclusa quella che non immagineresti mai! Perciò ora lo sai!»

«Allora, se mi esorti a non preoccuparmi di questo problema, buon per te, Iveonte! Intanto vado avanti a riferirti le restanti cose, che hai bisogno di apprendere. Una delle quali riguarda il modo di raggiungere il luogo dove i Guardiani del Potere Cosmico, ognuno per proprio conto, trascorrono la loro esistenza. A tale riguardo, ti annuncio che in seguito sarà il cavallo alato Russet, dopo che lo avrai montato, a condurti da ciascuno di loro, perché tu lo affronti, lo sconfigga e lo privi della parte di Potere Cosmico in suo possesso. Tra poco esso si presenterà a te e tu lo inviterai a condurti presso Arkust. Costui, come già sai, è il guardiano che affronterai per primo. Un’altra cosa che devi sapere è la seguente: dopo ogni guardiano che riuscirai a debellare, dovrai farti riportare da Russet in mia presenza. Difatti mi toccherà parlarti della vita del successivo guardiano che dovrai sfidare. In riferimento alla quarta cosa, ti faccio presente che, sebbene tutti e sei appartenete a mondi differenti, in Potenzior, quando vi parlate, non avete difficoltà a comprendervi, come se parlaste la stessa lingua. Con l’ultima cosa, invece, ti rendo noto che ogni volta, per impadronirti della parte di Potere Cosmico in sua custodia, dovrai uccidere il guardiano da te sfidato. In relazione a ciò, ti rammento che egli, risultando immortale nel mio regno, dopo la sua uccisione, non morirà, poiché la sua morte apparente avrà la durata di appena tre minuti. Al suo ritorno alla vita, però, il guardiano sarà all’oscuro del fatto che non possiede più la sua parte di Potere Cosmico. A questo punto, avendoti detto ogni cosa, ti lascio al tuo destino.»

Il Signore di Potenzior ebbe appena finito di parlare, allorquando giunse dall’alto Russet, il bianco cavallo alato annunciato da Tupok. Alla sua apparizione, Iveonte all’istante gli saltò in groppa e gli ordinò: “Conducimi da Arkust!” La bestia, senza farselo ripetere una seconda volta, in un attimo si sollevò da terra con il suo cavaliere e s’inabissò nello spazio. Il quale si espandeva sopra di loro immenso e profondo; ma nello stesso tempo infondeva in chi lo attraversava un senso di serenità e di pace. Il cavallo si diede a correre ad una velocità inverosimile, quella che mai ci si sarebbe aspettata dal quadrupede, sebbene avesse le ali. Ma Iveonte non ne veniva impressionato, essendo abituato a sfrecciare in Kosmos perlomeno dieci volte più celermente. Quando infine la corsa spaziale di Russet ebbe termine, il giovane terrestre si ritrovò davanti ad un essere umano, le cui caratteristiche somatiche lo facevano differenziare alquanto da lui. Chi ora gli stava di fronte, aveva una statura che superava di poco i due metri, mentre la sua pelle tendeva al grigio scuro. La sua testa si mostrava con due orecchie, che gli pendevano fino a metà collo e presentava un naso quasi schiacciato. In riferimento alla sua volta cranica, oltre ad essere calva, era cosparsa qua e là di bitorzoli, i quali erano sgradevoli alla vista. Comunque, il suo corpo appariva ben strutturato, per cui era da considerarsi abbastanza atletico.

La presenza dello sconosciuto, che per lui era un intruso, all’istante rese Arkust sospettoso. Perciò, mentre Iveonte scendeva dal cavallo alato, egli si mise sulla difensiva, senza mai allontanare i propri occhi da lui. Il motivo? Non essendo il nuovo visitatore di Potenzior uno dei Guardiani del Potere Cosmico, si andava chiedendo perché mai vi fosse giunto e quali fossero le ragioni che ve lo avevano spinto. Da parte sua, l’eroe terrestre, dopo essersi trovato dritto davanti a lui, prima gli diede una rapida sbirciata e poi pacatamente gli si rivolse con queste parole:

«Se Russet ha posto fine alla sua corsa qui davanti a te, sono sicuro che puoi essere soltanto Arkust, uno dei Guardiani del Potere Cosmico. Invece il mio nome è Iveonte e provengo dal pianeta Geo. Esso orbita intorno alla stella Elios, nella remota galassia di Lactica.»

«Mi dici, Geone, a che devo l’onore della tua presenza nella porzione di Potenzior, che viene da me controllata? M’interessa saperlo subito, ossia prima d’intavolare con te una seria discussione.»

«Innanzitutto, Arkust, avendoti già reso noto il mio nome, esigo da te che usi quello, quando mi parli, come io già adopero il tuo nel rivolgermi a te. Non mi dire che preferiresti che io ti chiamassi Oluozide! Perciò, considerato che abbiamo dei nomi, usiamoli, quando ci parliamo e discutiamo insieme. Sarebbe da sciocchi non farlo!»

«Il tuo messaggio è stato abbastanza chiaro, Iveonte. In seguito cercherò di rammentarmene. Adesso vuoi rispondere alla mia precedente domanda, dicendomi il motivo della tua venuta presso di me?»

«In verità, Arkust, la mia risposta non ti risulterà gradita; però non posso fare a meno di dartela, poiché essa ti rivelerà il motivo che mi ha condotto nel regno di Tupok! Per cui vengo subito al dunque. Sono in Potenzior per impossessarmi dell’intero Potere Cosmico, il quale mi occorre per porre termine ad una grande calamità che minaccia Kosmos nella sua totalità. Se essa continuasse ad averla vinta, come sta succedendo fino ad oggi, perfino Potenzior non esisterebbe più. Solamente il Potere Cosmico, se viene a trovarsi nelle mani di un solo Materiade, può sconfiggerla e riportare al precedente stato le parti di Kosmos, che ora vengono danneggiate o distrutte dalla calamità a cui mi sono riferito.»

«Ti hanno messo al corrente, Iveonte, che noi Guardiani del Potere Cosmico ci troviamo qui per far sì che tale potere resti sempre frazionato e mai nessun Materiade ne venga in possesso nella sua totalità? Per questa ragione, ciascuno di noi non cederà mai la propria parte a nessuno con facilità, poiché è nostro dovere difenderla con tutte le nostre forze, a costo di ritornarcene a fare i non-viventi nella tomba, dalla quale siamo stati richiamati alla vita. Ora che lo sai, règolati tu!»

«Certo che sono a conoscenza della vostra missione, Arkust! Io, però, ho il dovere di compiere quella mia, la quale mi obbliga ad impadronirmi dell’intero Potere Cosmico, anche se per farlo dovrò lottare contro coloro che lo custodiscono, affrontandovi a singolar tenzone l’uno dopo l’altro. Ecco come stanno le cose! Allora cosa mi dici, a tale proposito?»

«Adesso che ho appreso le ragioni della tua venuta in Potenzior, Iveonte, mi viene solo da compatirti, siccome pretendi di pigliare la luna nel pozzo! Ma sei a conoscenza che, per riuscirci, dovrai ucciderci tutti e cinque, che rappresentiamo i più grandi eroi di Kosmos? Tupok ci ha scelti per questo motivo; anzi, è venuto perfino a resuscitarci nella tomba, visto che eravamo già morti e sepolti da secoli o da millenni. Allora credi di potercela fare con le sole tue forze? Probabilmente ti passerebbe la voglia di provarci, se tu conoscessi la storia di ognuno di noi!»

«Per il momento, ho conosciuto la tua, Arkust, che sei il primo guardiano che devo sfidare ed affrontare. Ma non credo che esso mi abbia spaventato così tanto, da farmi riconsiderare quanto mi sono proposto di attuare in questo regno, inducendomi così a rinunciarvi. Pure tu ora lo hai compreso, poiché mi vedi qui intenzionato ad estorcerti la parte di Potere Cosmico, che il Signore di Potenzior ha posto nelle tue mani.»

«Staremo a vedere, Iveonte, se alle chiacchiere saprai far seguire i fatti; ma ne dubito. Anche se mi sembri un giovane in gamba che sa il fatto suo, lo stesso non avrò difficoltà ad eliminarti con il solo mio arco e a sopprimerti con un dardo. Per il momento, però, preferisco divertirmi con te, ricorrendo ad altri mezzi, con i quali sono sicuro che ti metterò in grande difficoltà. A proposito, perché non ci facciamo una bella volata nello spazio, considerato che in Potenzior essa ci è permessa? Suvvia, fammi vedere come te la caverai a volare nel cielo di questo luogo!»

Fatto il suo invito a chi già considerava un rivale, all’istante Arkust sfrecciò verso l’alto del cielo e scomparve nel suo spazio infinito. Subito dopo, però, ne ritornò esultante. Poi, restando immobile ad una decina di metri di altezza, si diede a pizzicarlo con queste frasi:

«Come! Sei ancora lì, senza aver fatto neppure un saltello? Avrei dovuto immaginarmelo che il volo non era roba per te, non avendo tu mai volato in vita tua. Invece io e gli altri quattro guardiani abbiamo molta dimestichezza con esso, per cui siamo in grado di fare nello spazio tutte le diavolerie di moto che vogliamo. Perciò adesso riparto e vado a farmi la mia nuova passeggiata da esperto volatile. Quando farò di nuovo ritorno, non te ne accorgerai neppure. Allora, approfittando di quel momento, potrei farti ogni cosa che sarebbe di mio gradimento. Invece, con grande generosità, mi limiterò a darti soltanto uno schiaffetto sul volto, non avendo ancora deciso di eliminarti.»

Pronunciate quelle parole, con le quali aveva esternato di avere molta fiducia in sé, Arkust si rialzò in volo per scomparire nell’immensità del cielo. Mentre vi era lanciato a tutta corsa, volendo far passare un po’ di tempo, ad un certo punto, egli si sentì prendere per i piedi e trascinare via in una direzione diversa. In quell’istante, venendo tirato in senso contrario, rispetto alla sua visione anteriore, i suoi occhi non riuscivano a scorgere colui che se lo stava tirando dietro. Soltanto quando il trascinatore del suo corpo stoppò il proprio volo e gli permise di guardarlo in faccia, egli, con grande stupore, vide davanti a sé Iveonte. A quella visione inaspettata, non si astenne dal fare il seguente commento:

«Ah, sei stato tu, Iveonte, a dirottare la mia volata! Ed io che ti ritenevo inesperto del volo! Invece, a quanto pare, nel volare superi me e gli altri Guardiani del Potere Cosmico, se sei riuscito ad agire nei miei confronti, come hai fatto poco fa. Allora possiamo anche ritornarcene sulla terraferma e confrontarci sulla sua superficie in altri agoni. Ma non illuderti di primeggiare anche in essi, come ti è riuscito benissimo nell’arte del volo, facendomi restare di stucco!»

«Perché dovrei illudermi di fare una cosa, Arkust, quando invece ho la matematica certezza che essa è nelle mie possibilità, avendo la piena padronanza nell’ottenerla con la massima facilità? Presto ne prenderai atto. Allora ti accorgerai che neppure le tue doti di percus non ti serviranno, quando cercherai di mettermi fuori combattimento.»

«Questo lo appureremo tra poco, Iveonte. Come vedo, il Signore del Potere Cosmico ti ha messo anche al corrente che sono un percus, dicendoti ogni cosa sul mio personaggio. Adesso, però, cerchiamo di atterrare dove ci siamo incontrati, perché è lì che ci batteremo.»

Così, in poco tempo, essi, mediante un planamento finale, raggiunsero il suolo. Ma vi posero piede con la consapevolezza che li attendeva una durissima lotta, che avrebbe avuto come obiettivo il possesso della prima delle cinque parti in cui risultava diviso il Potere Cosmico. La quale ora si trovava nelle mani di uno dei cinque Materiadi più eroici di Kosmos, siccome gli era stata assegnata da Tupok, il Signore di Potenzior. Si trattava appunto dell’Oluozide Arkust, il guardiano numero uno che Iveonte si accingeva ad affrontare in Potenzior.


Una volta avvenuto l’atterraggio sul solido terreno, i due esperti volatori ritornarono a stare l’uno di fronte all’altro. A quel punto, fu l’eroe feciano a mettere mano alla favella. Perciò disse al suo interlocutore:

«Adesso vediamo, Iveonte, se sei bravo anche a dimostrare che le tue affermazioni non sono vanti dell’immodestia e di un diritto fasullo, ossia campato in aria. Al contrario, poggiano su basi solide e sicure, senza crogiolarsi in meriti infondati ed insussistenti.»

«Sono qui, Arkust, proprio per convincerti con i fatti che non parlo a casaccio. Perciò, per tua disgrazia, sarai il primo guardiano ad assaggiare la mia valentia e a soccombere sotto il peso delle mie azioni devastatrici. La qual cosa ci sarà, anche nel caso che tu intenda far uso dei poteri che ti provengono dall’essere un percus. So benissimo che avrò contro un guerriero formidabile del tuo calibro, per cui godi la mia stima e il mio elogio. La tua preparazione, però, anche se è stata ottenuta in te dal tuo maestro in modo inappuntabile, non ti permetterà di essere vincente nei miei confronti. Chi ti parla sa ciò che dice e presto te ne darà la più ampia dimostrazione.»

Alla risposta del suo rivale, Arkust, avendo deciso di attaccarlo, evitò di ribattere e di protrarre oltre il loro combattimento. Anche perché in quel momento fremeva per la fortissima ansia di scontrarsi con lui e di rintuzzare così la sua superbia e la sua improntitudine, che, considerandola senza pari, maltollerava. Allora, astenendosi da ogni preambolo di manifesta minaccia, si armò della spada e lo assalì, tentando di farlo con tempestosa irruenza. Ma Iveonte non lo lasciò agire, standosene inerme e senza far niente. Come reazione, egli, essendo intenzionato a neutralizzarla, dovette assecondarlo all’istante, opponendo ad essa una barriera schermistica di alto livello. Di conseguenza, l’impetuoso e tumultuoso scontro che ne derivò risultò all’altezza della situazione, siccome i due contendenti ebbero modo di dare già il primo assaggio della loro preparazione stabile ed irreprensibile sotto ogni punto di vista. Entrambi, infatti, volevano dare il meglio di sé stessi, pur di non andare incontro ad un insuccesso clamoroso. Il quale avrebbe tradito la loro immagine, bistrattandola nella maniera che non meritavano. Ecco perché quel loro obiettivo andava tutelato con tutte le loro forze, senza farlo cadere nel crepaccio della disfatta. Altrimenti, con essa, sarebbe perito pure il loro onore, che non era stato mai violato da nessuna sconfitta. Per questo intendevano continuare a farlo restare tale sino alla fine naturale della loro esistenza, come avevano sempre stabilito che fosse.

Quindi, dopo il loro iniziale muro contro muro, il quale aveva avuto una durata lampo, Iveonte ed Arkust, tenuto conto della loro scherma indefettibile, stabilirono di darsi ad uno studio reciproco e valutare le possibilità dell’avversario in campo schermistico. Solo così avrebbero appurato fin dove potevano esagerare ed assicurarsi la vittoria, magari correndo qualche rischio. Ma non era facile calcolare la giusta valutazione del loro avversario e fare affidamento su di essa per batterlo con minori probabilità d’insuccesso, considerata l’evidente sua bravura. La quale non lasciava spazi a dubbi e faceva solamente temere qualche sorpresa spiacevole da parte sua. Per cui era meglio rinunciare ad essa ed iniziare a percorrere altre strade, che li rendessero consapevoli di quanto andava fatto per vincere.

A quel punto, la competizione fra i due mostri della scherma professionistica si diede a svolgersi ai massimi livelli, senza astenersi da virtuosismi schermistici che facevano attribuire ai loro esecutori meriti incredibili. Per la quale ragione, sia l’uno che l’altro furono costretti a rivedere le loro previsioni circa l’anticipata stima di una loro indubbia vittoria sull’avversario, trovandolo di una energia e di una valenza combattentistica insospettate. Nel frattempo, ciascuno di loro seguitava a combattere, confidando nelle proprie infinite possibilità e nelle proprie inesauribili energie, senza rinunciare a credere di essere il migliore fra i due e il vincitore finale di quel duello. Per il momento, esso gl’imponeva grandi sacrifici e un’applicazione fuori del comune, siccome la preparazione del rivale nella scherma eccelleva quanto quella propria, fino ad equivalersi. La tecnica dell’avversario, anche se ottenuta seguendo strategie diverse, si presentava altrettanto efficace ed insuperabile quanto la propria. Perciò non gli faceva sperare in uno spiraglio di concreta inefficienza da parte sua, almeno in qualche circostanza a lui sfavorevole. Per il qual motivo, una meticolosa difesa gli era indispensabile, specialmente quando l’agguerrito nemico cercava di stringerlo alle corde, con l’intento di sopraffarlo con la potenza dei suoi colpi formidabili.

Se Arkust veniva osservato per bene in quella tenzone, lo si poteva scorgere dare il meglio e il massimo di sé stesso, esprimendosi con costante impegno. Inoltre, appariva come una scatenata forza della natura tutta rivolta a provocare lo scompiglio e lo schianto più rovinosi su piante e su cose senza dargli tregua, privando le une e le altre di quella calma che erano abituate a godersi. Perciò la sua scherma si manifestava qualcosa d’indiscutibilmente prodigioso, intanto che dava stoccate pericolose ed affondi eseguiti con eccezionale bravura. Questi ultimi tendevano a scompigliare la difesa preventiva dell’avversario per crearsi in un secondo momento un varco, attraverso cui colpire con grande determinazione. Nel seguito del combattimento, invece, egli continuò ad aggredire, quasi fosse un ciclone sconvolgente, chi gli si opponeva con un’insolita maestria e non gli permetteva di farla da padrone in quel singolare scontro. Il quale, per adesso, negava all’uno e all’altro il padroneggiamento assoluto, a scapito dello schermidore avversario. Analogamente si comportava Iveonte, che poteva contare a proprio vantaggio su tutti quei pregi peculiari, i quali gli consentivano di dimostrarsi l’egregio campione che era, ossia il guerriero affidabile in ogni sua azione, in quanto sempre efficiente e giammai deludente. Per la quale ragione, la sua scherma, se da una parte si rivelava qualcosa d’incontrastabile e d’insuperabile; dall’altra, essa metteva in mostra una tecnica qualitativamente suprema e quantitativamente annientatrice di ostacoli e di nemici, poiché riusciva sempre a farne una strage ingente. Adesso, grazie alla medesima, le sue doti di combattente intrepido ed audace gli consentivano di compiere prodigi inverosimili, rendendo il suo combattimento singolare oltre ogni aspettativa. Difatti, in quel trambusto di colpi e di assalti inusitati, il giovane terrestre veniva scorto, mentr’era intento a battagliare contro il suo difficile avversario con la massima cautela e con una furia impetuosa non facilmente controllabile da chi la subiva.

Si faceva dunque della bella scherma da entrambe le parti in lizza, allorquando avvenne un fenomeno strano. Mentre Iveonte ed Arkust combattevano alacremente, senza mai avvertire alcuna stanchezza, ad un certo punto, in seguito ad un legamento del primo e ad una cavazione del secondo, i codoli delle due spade se ne uscirono dalle rispettive impugnature, facendo finire per terra l’una e l’altra lama. Così lasciarono i due schermidori in possesso dei soli manici, i quali prima avevano fatto parte delle armi che ora si trovavano al suolo. In seguito a quell’avvenimento insolito, Arkust volle dargli una spiegazione, dicendo al rivale:

«Iveonte, il Signore di Potenzior, vedendo che il nostro scontro con le spade andava per le lunghe, ha voluto interromperlo, privandoci delle loro lame. Per cui siamo costretti a confrontarci in un diverso modo, se vogliamo continuare la nostra lotta per il possesso di una parte del Potere Cosmico, ossia di quella che in effetti si trova già nelle mie mani. Ma prima, Terrestre, voglio che tu soddisfi una mia curiosità. Non è forse vero che, ad un certo momento, hai avuto la possibilità di colpirmi con la tua arma, ma hai evitato di uccidermi? Perché non ne hai approfittato, ponendo così fine alla nostra lotta?»

«Arkust, non me la sono sentita d’inveire contro di te in una circostanza, la quale mi è apparsa abbastanza favorevole. Riguardo poi alla tua considerazione su Tupok, probabilmente sarà stato come hai detto. Quindi, suggerisco di cimentarci nella lotta, nella quale saranno i nostri arti superiori ed inferiori le sole armi che ci daranno modo di attaccare e di contrattaccare. Se tu sei d’accordo, possiamo cominciare.»

«Sono d’accordo con te, Iveonte. Perciò, se mi dici che sei pronto ad affrontarmi, possiamo anche dare inizio al nostro combattimento corpo a corpo, poiché lo sono anch’io, da questo momento.»

«Allora, Arkust, che esso inizi subito, senza che ci ripensiamo neppure un poco, considerato che voglio evitare che si perda altro tempo in questa nostra singolar tenzone.»

Alle nuove parole d’Iveonte, il percus feciano non perse tempo ad assumere l’atteggiamento di chi sta per muovere il suo attacco. Ma tese a sferrarlo secondo un piano strategico, che gli avrebbe permesso di atterrare l’avversario con poche rapide mosse. Ma Iveonte, avendone avvertito le intenzioni, si preparò a riceverlo, prendendo misure appropriate, che avevano lo scopo sia di neutralizzarlo sia di trasformarlo in modo da farlo risultare incastrato in una propria contromossa, al fine di vincolarne ogni ulteriore movimento. Tale azione, invece, poiché si esaurì in breve tempo nella mossa dell’uno e nella contromossa dell’altro, non approdò ad alcun risultato concreto, siccome entrambi alla fine si ritrovarono liberi da ogni poderosa stretta dell’avversario. A quel punto, però, da entrambe le parti, ci si diede a cercare diversi espedienti, che gli permettessero di aver ragione del suo forte antagonista. Ma non avendoli trovati come desideravano, in quella competizione i due invincibili guerrieri badarono a conquistarsi il primato della lotta e la conseguente vittoria con strategie studiate al momento. Anche perché le arti marziali, che presso i Feciani corrispondevano all’atletica volante, gliene avrebbero proposte in quantità innumerevole e con differenti estrinsecazioni. Essendo quella la reale situazione del momento, Iveonte ed Arkust si prepararono a dare il meglio di sé stessi nella loro lotta corpo a corpo già in atto. In quel modo, senza meno avrebbero espresso in essa il massimo della loro preparazione, la quale era quella che avevano ricevuto il primo dal suo maestro Tio e il secondo dal suo maestro Festun.

A quel punto, una furia scatenata, sprezzante di ogni pericolo, si diede a volteggiare in quella loro schermaglia di mosse e contromosse, di gomitate e ginocchiate, di voli radenti e di abbrancamenti reciproci, di scatti improvvisi. Questi ultimi alcune volte tendevano a sfuggirsi l’un l’altro, altre volte erano voluti a bella posta, con la chiara intenzione di frantumare le difese dell’avversario. Ma pur impegnandosi con un’accuratezza e con una scaltrezza che erano da considerarsi il non plus ultra delle loro possibilità, alla fine ciascuno di loro veniva costretto a fallire nell’intento che si proponeva, a causa dell’ostinata difesa che gli contrapponeva l’agguerrita controparte. Arkust soltanto adesso si rendeva conto che il giovane terrestre gli stava sfatando la convinzione, secondo la quale non potevano esserci rivali capaci di uguagliarlo, se non proprio di superarlo, nei vari tipi di lotta, fossero essi a braccio armato oppure a mani nude. Perciò cominciava a disperare di una propria netta supremazia sull’avversario che aveva di fronte. Il quale dimostrava attitudini senza pari nei diversi combattimenti che gli stavano permettendo di misurarsi con lui. Ad ogni modo, anche Iveonte, in un certo senso, di fronte ad un rivale dal valore eccezionale del percus, si vedeva ridimensionare quella certezza che non gli era mai venuta meno contro quant’altri si era trovato ad affrontare nel passato.

Dei due ineguagliabili campioni, ad un certo momento, fu l’allievo del trapassato Festun a comprendere per primo che la loro lotta non avrebbe avuto alcun vincitore, anche se fosse andata avanti all’infinito. Allora, smettendo di lottare, volle chiarire a colui che non gli stava dando modo di neutralizzare le sue difese e di sconfiggerlo:

«Iveonte, contro le nostre previsioni, nessuno di noi riesce a battere l’altro, qualunque combattimento intraprendiamo. Quindi, sono costretto a ricorrere al mio infallibile arco, se voglio scorgerti mangiare la polvere e sbarazzarmi di te, una buona volta per sempre. Mi dispiace vedermi sopraffarti nella maniera che non avrei mai voluto, siccome ti sei dimostrato un eccelso campione, che non avrei mai immaginato che esistesse nell’universo intero.»

«Invece non ti devi preoccupare per me, Arkust, poiché sono sicuro che riuscirò a cavarmela anche contro il tuo arco, sebbene esso si presenti molto particolare. Non è forse vero che, una volta che lo avrai scoccato, dopo sarai tu a dirigere il dardo, perché colpisca il bersaglio da te voluto, seguendo la traiettoria omnidirezionale che gli andrai tracciando con la forza del pensiero?»

«Come vedo, Iveonte, il Signore di Potenzior anche di questo ti ha messo al corrente. Quasi volesse darti una mano a farmi fuori e a procacciarti una prima parte del Potere Cosmico! Ma fino a poco tempo fa, egli non era di parere contrario al fatto che una sola persona s’impadronisse di esso? A quanto pare, avrà cambiato opinione in merito, per qualche sua ragione. Invece tu, Terrestre, non illuderti che tale conoscenza ti servirà a qualcosa. Essa non ti metterà nella situazione di scansare la mia freccia micidiale, poiché il mio tiro non potrà fallire il bersaglio. Peccato che questa volta esso sarà il tuo corpo, facendolo stramazzare al suolo. In verità, non sarei mai voluto arrivare a tanto!»

«Questo è da vedersi, Arkust. Sul mio pianeta si suol dire che non bisogna fare i conti senza l’oste, se non si vuole andare incontro ad amare sorprese. Oggi lo dico a te, che ti mostri tanto sicuro di riuscire con il tiro dell’arco a risolvere il problema che hai con me.»

Dopo la seconda risposta di Iveonte, il percus feciano evitò di replicare al suo interlocutore, che si sentiva sicuro di sé; ma badò ad armarsi del suo arco e ad estrarre dal turcasso una delle frecce in esso contenute. Quando infine la ebbe incoccata sulla corda, prendendo di mira il suo rivale, gliela scoccò contro, facendo seguire al dardo una traiettoria per il momento rettilinea. Per Iveonte, però, esso non comportò alcun rischio e non richiese alcuna fatica per schivarlo. Ciò, perché egli aveva appreso dal suo maestro Babbomeo come riuscire ad intercettarla prima con gli occhi e a bloccarla poi in volo, come appunto avvenne anche in quella circostanza, facendo stupire chi gliel’aveva scagliata contro.

A quel prodigio concretizzato dal rivale, Arkust si affrettò ad aggiustare una seconda freccia sul proprio arco. Questa volta aveva intenzione di farle eseguire una vera gincana, prima che essa andasse a colpire il suo bersaglio, che era costituito dalla persona di Iveonte. Ma costui, anziché restare immobile, con un rapido salto l’arrestò e la spezzò in due parti, che buttò poi via a terra. Tale nuovo prodigio operato dall’avversario strabiliò ulteriormente il Feciano. Il quale, vedendo che sarebbe stato inutile continuare a lanciare i suoi dardi contro di lui, decise di non effettuare più lanci di quel genere contro chi riusciva egregiamente a privarli di efficacia. Inoltre, rivolgendosi all’avversario con sicurezza, si diede a dirgli:

«Devo ammettere, Iveonte, che contro di te pure le mie frecce non hanno avuto fortuna, siccome sei stato capace d’immobilizzarle e di spezzarle, prima che ti colpissero. Adesso, però, voglio vedere come te la caverai tu con l’arco; ma sono certo che farai altrettanto cilecca, quando cercherai di rendermi tuo bersaglio. Ti sfido a dimostrami che mi sbaglio e che il tuo tiro non avrà difficoltà a colpirmi, come se stessi mirando ad una zucca!»

All’invito di sfida del percus, Iveonte non esitò ad armarsi del suo arco, essendo desideroso di renderlo pronto per il lancio, poiché esso avrebbe dovuto mandare a effetto il suo tiro. Ma quando alzò gli occhi per prenderlo di mira, Arkust non era più solo. Le sue immagini adesso erano diventate una ventina, tutte perfettamente identiche ed allineate, che non facevano comprendere quale fosse quella reale e rappresentasse in concreto il suo rivale. Esse, inoltre, si erano date a fargli vari sberleffi e a parlargli insieme in questo modo:

«Allora, Iveonte, mi vedi? Riesci a renderti conto in quale di queste immagini io esisto effettivamente? Se sei capace di scovarmi, allora non esitare e colpiscimi nel mezzo della fronte, essendo certo che sei anche un provetto arciere. Su, provaci, per favore!»

Le parole di Arkust non lo distrassero, mentre Iveonte andava studiando la situazione, la quale gli si presentava come un vero rompicapo. In seguito il giovane, essendo convinto che nessuna cosa irreale poteva produrre al suolo la propria ombra, si adoperò per cercare l’immagine che in qualche maniera disegnasse sé stessa sopra il sottostante tappeto verde. Così, analizzandole una ad una da sinistra a destra, sempre tenendo il suo arco in posizione di tiro, si avvide che la diciassettesima della fila si accompagnava con la sua ombra, la quale era proiettata verso sinistra. A tale scoperta, dopo aver invitato l’avversario a guardare in alto con l’intento di distrarlo, all’istante Iveonte fece partire il suo dardo. Esso allora scattò improvviso ed andò a conficcarsi sulla fronte di Arkust, il quale, dopo aver accusato il colpo mortale, stramazzò a terra esanime, in una gran pozza di sangue. Comunque, dopo circa tre minuti di morte cruenta, il percus si rialzò da terra, mostrandosi nelle medesime condizioni di prima, come se non gli fosse successo niente. Anzi, egli non rammentava affatto quanto gli era accaduto e neppure era consapevole che la parte di Potere Cosmico che gli aveva affidata Tupok era sparita dal suo corpo e si era insediata in quello di Iveonte. Costui, però, senza dar peso alla resurrezione di Arkust, chiamò presso di sé il cavallo alato Russet, gli saltò in groppa e gli ordinò di riportarlo dal suo padrone.

L’arrivo di Iveonte in sua presenza, fece meravigliare non più di tanto Tupok. Egli, infatti, aveva iniziato a nutrire dentro di sé molta fiducia nel giovane terrestre, visto che risultava il preferito degli eccelsi gemelli Locus e Kron. Così, quando se lo vide davanti, il Signore di Potenzior, mostrando una certa soddisfazione, lo accolse con le seguenti parole:

«Bravo, Iveonte, sei riuscito ad impossessarti della prima parte del mio Potere Cosmico! Adesso ti tocca conquistare la sua seconda parte, la quale è posseduta dall’eroe Furiek. Ma prima di cimentarti con il suo secondo guardiano, dovrò metterti a conoscenza di ogni cosa che lo riguarda: il suo luogo di origine, il suo popolo, le speciali doti che lo caratterizzano e tanto altro ancora. Perciò tu ora mi ascolterai con la massima attenzione, poiché dovrai fissarti nella mente tutte le notizie che ti darò sul tuo nuovo avversario, potendo ciascuna di loro risultarti utile, al momento del tuo scontro con lui.»

«Non preoccuparti, generoso e nobile Tupok, poiché starò molto attento, intanto che mi farai la cronistoria di Furiek, che già bramo di affrontare, essendo ansioso di privarlo della sua parte di Potere Cosmico. Dunque, quando sei pronto a parlarmi di lui, puoi farlo senza darti pensiero che mi possa sfuggire qualcosa, poiché ti prometto che neppure ad una virgola permetterò di uscire dalla mia testa. Puoi esserne certo!»

Fu così che il Signore del Potere Cosmico si diede a mettere al corrente Iveonte di quanto gli occorreva per sfidare il suo nuovo campione, senza che ci fossero sorprese da parte di lui.