454°-LA VITA DI ARKUST, IL LEGGENDARIO EROE FECIANO

Quando le brigate midosiane si erano date per la prima volta a fare terra bruciata dei territori della Berap, ammazzando quei coloni che non li avevano ancora abbandonati, essi non avevano risparmiato neppure la fattoria di Arkust. I suoi genitori erano proprietari di un podere, il quale veniva coltivato a grano e ad altri prodotti cerealicoli. La loro prole non poteva considerarsi abbastanza numerosa, poiché era composta da soli cinque figli, dei quali il futuro eroe di Fecian, avendo tre anni, risultava l'ultimogenito. A quei tempi, per chi volesse saperlo, in una famiglia si era soliti superare anche la decina di figli. Quanto al nome del capofamiglia, esso era Lofus; invece quello della moglie era Margia.

In un giorno d'inizio autunno, la famigliola aveva smesso di pranzare da circa un'ora. Intanto che i due coniugi erano intenti a spaccare la legna da ardere, i loro cinque bambini trascorrevano il loro primo pomeriggio a giocare a rimpiattino. Ad un certo punto, era toccato al fratello maggiore di otto anni cercare i suoi fratellini, i quali si tenevano ben nascosti nei loro nascondigli. Ebbene, egli aveva trovato già i tre più grandicelli, per cui gli restava da scovare il più piccolo, ossia Arkust, allorché c'era stata in mezzo a loro un'invasione da parte di un centinaio di uomini armati, creandovi un gran trambusto. Gli intrusi portaguai, senza presentarsi e senza fare domande, immediatamente avevano assalito i due pacifici consorti con le loro armi assassine e li avevano fulminati sul colpo. Dopo erano passati ad inveire anche contro i quattro bambini terrorizzati che scorgevano, infilzandoli con le loro spade ed uccidendoli all’istante. L'unico a sopravvivere a quel massacro era stato Arkust. Il piccolo, mentre si attuava la strage dei suoi familiari, si trovava acquattato all'interno di una bica, che aveva usato per nascondersi. Il poveretto, attraverso i covoni di spighe che la componevano, aveva assistito, con il fiato sospeso e con il cuore tremante, ai fatti di sangue che si compivano a danno degli altri sei componenti della sua famiglia.

Solo quando gli uccisori dei suoi parenti stretti avevano lasciato la fattoria, alla quale avevano dato fuoco prima di andarsene, egli era venuto fuori dal suo rifugio. Ma per come si erano messe le cose, per lui non s'intravedeva alcun roseo futuro, siccome si ritrovava letteralmente solo, senza nessuno che potesse prendersi cura di lui. Allora si era dato ad un pianto dirotto, non riuscendo a comprendere la malvagità degli uomini. La quale, tutti in una volta, gli aveva ammazzato i genitori e i quattro fratelli. Inoltre, si era sentito perfino l'animo frantumato in patemi ed angosce, siccome non reggeva al truce spettacolo, che adesso era costretto a vedersi davanti con le lacrime agli occhi. Arkust non aveva avuto neppure il coraggio di avvicinarsi a loro, di scuoterli e di richiamarli in vita per non restare unica persona in quella zona deserta, dove era rara la presenza di qualche passante. Così si era messo a sedere sopra un ciocco di quercia ed aveva continuato a piangere fino al tramonto. Per sua fortuna, era stato a quell'ora del giorno che si era trovato a passare da quelle parti un percus. I Feciani indicavano con tale nome un essere prodigioso, il quale racchiudeva in sé delle doti straordinarie e le metteva in mostra in ogni campo della sfera conoscitiva. Per cui egli riusciva a cavarsela brillantemente in qualsiasi azione che si proponeva di compiere. Inoltre, prediligeva una vita solitaria e si mostrava schivo di ogni mondanità, le quali cose lo costringevano a vivere appartato nella fitta boscaglia, quasi sempre all'interno di una spelonca, che in passato era stata una lupaia. Di lui, si diceva pure che, una volta scoccata una freccia con il proprio arco, riusciva poi a guidarla con la mente contro il bersaglio, anche se esso non si trovava sulla stessa linea retta del dardo. Difatti egli era capace d'imporgli tutte le deviazioni possibili, pur di farlo giungere a destinazione.

Quando il percus si era fatto vivo in quel luogo, che gli era subito apparso un vero mattatoio, il piccolo Arkust non aveva ancora abbandonato la sua posizione e seguitava a consumarsi con il dolore e con il pianto. Allora era stata sua premura avvicinare l'addolorato bambino e cercare di consolarlo alla meglio. Per prima cosa, però, aveva voluto privarlo di quella scena crudele, che si presentava inguardabile anche per una persona adulta. Perciò lo aveva preso in braccio e lo aveva portato via con sé, lontano dalla fattoria che bruciava, essendo avvolta interamente dalle fiamme. Oramai l'uomo si era reso conto che, da quel giorno, si sarebbe dovuto prendere cura di quell'orfana creatura fisicamente fragile, la quale era rimasta senza nessuno che l'accudisse. Così, dopo aver fatto un centinaio di metri, egli, lasciato il bambino da parte, era ritornato sui suoi passi, poiché aveva deciso di far bruciare dalle fiamme i sei corpi senza vita dei suoi familiari, perché non venissero divorati da animali famelici in cerca di carogne. Ripreso infine il cammino alla volta della sua dimora insieme con il piccolo Arkust, che si teneva sulle braccia, il percus, il cui nome era Festun, si era diretto verso quella parte dell'orizzonte dove il rosseggiante sole cominciava a calarsi dietro una fila di colline dal profilo seghettato. Ma prima che esse venissero raggiunte, s'incontrava sul cammino un bosco, all'interno del quale si trovava l'abitazione di colui che aveva deciso di dedicarsi al bambino, che da poco era diventato orfano dei genitori. Quando infine l'uomo l'aveva raggiunta, in giro non era rimasto neppure un frammento di tramonto. Difatti esso aveva ceduto il posto all'imbrunire, che ora si andava impregnando del buio della notte.

Una volta giunto nella sua ampia caverna, che poteva essere profonda una decina di metri e presentava sui lati alcune rientranze di pochi metri, innanzitutto il percus aveva badato a rifocillare il piccolo ospite, prima di metterlo a dormire sul proprio giaciglio. Mentre poi il bambino era immerso nel suo sonno, egli si era dato a cenare e a fare progetti su di lui, avendo stabilito di crescerlo sano e forte, ottenendo nel suo organismo la massima potenza psicofisica, oltre che un acuto e fervido ingegno. Soprattutto lo avrebbe fatto diventare un combattente straordinario sotto tutti i punti di vista, in particolar modo nelle armi e nelle arti marziali. In quel modo, al termine della sua eccellente preparazione fisica, psichica, intellettuale, ma soprattutto quella dell'uso delle armi e del combattimento corpo a corpo, nessun guerriero del pianeta sarebbe stato in grado di competere con lui e di superarlo. Così, con il passare degli anni, gl'impegni di Festun non erano stati disattesi. Via via che il figlio adottivo era andato crescendo, attraverso una ferrea disciplina ed allenamenti costanti, egli era riuscito a conseguire nel corpo, nella psiche e nella mente del suo allievo tutti gli obiettivi che si era prefissato. Perciò Arkust, al compimento dei suoi venti anni, ossia nel fior fiore della sua gioventù, si presentava preparato in tutto ed appariva quasi un miracolo vivente, grazie alle sue doti formidabili, che lo avrebbero fatto spiccare sugli altri giovani. Si rinvenivano in lui un'acuta intelligenza ed una potenza del fisico fuori del comune.

Non bastando ciò, il suo egregio maestro aveva voluto fare di lui un modesto percus. Ma in effetti, nelle vesti di un essere del genere, quali prerogative provenivano ad Arkust, le quali lo facevano distinguere dagli altri guerrieri, che non lo erano? In qualità di percus, egli era investito di speciali poteri, che non si rivelavano effettivi ma soltanto apparenti, quando li metteva in pratica contro la parte avversa, fosse essa rappresentata da un suo simile oppure da una belva feroce. Essi erano di due tipi: quelli che, mediante la fonazione, gli facevano emettere suoni di ogni genere, a seconda della circostanza; quelli che gli facevano assumere l'aspetto che voleva, perfino quello di un mostro, conferendo ad esso, quando lo desiderava, anche un'apparenza multipla. In passato Festun se n'era servito per indurre i lupi a sfrattare dalla loro tana e l'aveva fatta divenire la propria dimora. Magari si era fatto scorgere da loro come una molteplicità di leoni e ne aveva imitato perfino i ruggiti. Per questo tali feroci canidi non avevano esitato ad abbandonare quella che era stata la loro abitazione fino a quel momento.

In relazione al volo, esso non era possibile ad un percus, non essendo in grado di vincere la forza di gravità. Gli uccelli, a parte quelli grandi, ci riuscivano, solo grazie al loro continuo battito d'ali, che gli permetteva di sostenersi nell'aria con una modesta fatica. Perciò nemmeno Arkust, per merito di qualche sua dote speciale, aveva conseguito l'abilità a volare. Invece l'aveva ottenuta, solo dopo che era diventato uno dei Guardiani del Potere Cosmico e si era ritrovato a vivere in Potenzior, dove non esisteva la forza di gravità. Infatti, qualsiasi essere poteva vivere in esso, indipendentemente dalle varie esigenze del proprio organismo.


Quando aveva compiuto il suo venticinquesimo anno di età, il genitore adottivo, che era il percus Festun, aveva voluto parlare al suo formidabile allievo nel modo seguente:

«Arkust, come già sai, tu non sei mio figlio naturale; ma ti ho solo allevato, da quando avevi tre anni. Se non te ne ricordi, fu a quel tempo che t'incontrai, mentre piangevi la morte dei tuoi genitori e dei tuoi fratelli, i quali erano stati appena ammazzati dai soldati midosiani. Devi sapere che ho voluto che tu diventassi quello che adesso sei, per due motivi: primo, per vendicare i tuoi sei familiari; secondo, per riscattare l'onta e la sopraffazione che sta subendo il tuo popolo, da parte dei protervi Midosiani. Perciò, da oggi in avanti, combatterai i suoi nemici e li farai pentire del loro atteggiamento oltraggioso verso la tua gente.»

«Ma io non so neppure da dove cominciare, padre Festun, essendo all'oscuro di ogni cosa che possa interessarmi, allo scopo di compiere la mia vendetta. Ignoro perfino qual è il mio popolo e dove esso si trova. Allora mi aiuti a chiarirmi tutto quanto lo riguarda e a mettermi sulla strada giusta, che mi permetta di raggiungerlo e di essergli di aiuto?»

«Anche se tu non me lo avessi chiesto, figlio mio, lo avrei fatto di mia iniziativa, non potendo essere altrimenti. Senza le mie notizie esplicative su questa importante vicenda, non sapresti che pesci pigliare nella missione che ti attende. Per questo adesso mi affretto a riferirti ogni cosa su di essa, affinché tu dopo sappia regolarti sul da farsi e possa prendere le necessarie iniziative per condurla a termine con pieno successo.»

«Allora, padre, sbrìgati a riferirmi ogni cosa sul mio popolo e sui Midosiani, i quali, come ti sento dire, di continuo cercano di strapazzarlo e lo svillaneggiano come meglio possono.»

«Arkust, la nostra regione, ossia quella del popolo feciano, è la Berap; mentre la regione del popolo midosiano è la Daven. I Feciani vivono nella loro città di Fecian; invece i Midosiani vivono nella città di Midosia. Un tempo tra i due popoli c'erano ottime relazioni amichevoli e fiorenti scambi commerciali. Ciò si ebbe, fino a quando restarono in vita i loro sovrani Fugen, re dei Feciani, e Morbes, re dei Midosiani. Alla loro morte, però, le cose cambiarono, poiché così volle Sourg, il nuovo re di Midosia, succeduto al padre Morbes. Egli, di punto in bianco, decise di troncare ogni amicizia esistente tra i Feciani e i Midosiani; ma prima lo aveva fatto intendere chiaramente al re Tolep, che era succeduto al padre Fugen. Infatti, quando quest'ultimo gli fece la sua prima visita in qualità di sovrano, il re Sourg lo aveva ricevuto presso la sua reggia, ostentando una sfrontata noncuranza e un arrogante disprezzo nei suoi confronti. Così gli aveva fatto intendere che le cose sarebbero cambiate fra i loro due popoli. Anzi, essendoci già in lui il chiaro intento di mandare in frantumi la loro amicizia, presto avrebbe approfittato della superiorità numerica dei suoi soldati su quelli feciani per attaccarli in campo aperto oppure per assediare la loro città.»

«Quindi, padre mio, in seguito il re Sourg si diede ad attuare i suoi perfidi propositi. Magari oggi continua a mettere sotto pressione il popolo feciano, che è quello nostro. Non è forse vero che egli non desiste dall'ambizione di volerlo assoggettare al proprio dominio?»

«Certo che è così, Arkust! L'iniquo sovrano prima mandò dei suoi ambasciatori a Fecian, perché riferissero al re Tolep che i Midosiani erano un popolo intellettualmente superiore rispetto ai Feciani, per cui questi ultimi, se non avessero voluto la guerra, con le buone avrebbero dovuto lavorare a vantaggio dei primi. Ma avendo ricevuto dal re feciano una risposta negativa, oltre che offensiva, facendo assegnamento sul proprio esercito, che contava il doppio dei soldati nemici, diede ordine al suo validissimo comandante in capo, che era Kazon, di assediare Fecian. Ma costui, prima di assediarla, preferì stancare i Feciani in modo diverso. Così ordinò ad alcuni manipoli dei suoi soldati di percorrere in lungo e in largo i territori berapini per fare strage di quei coloni che avrebbero sorpreso nelle loro fattorie. Ricorrendo a simile strategia, Kazon intendeva fare intervenire in loro soccorso l'esercito feciano per dargli battaglia e sconfiggerlo. Fu proprio uno di tali drappelli che, essendo capitato anche presso la fattoria dei tuoi genitori, li uccise insieme con i tuoi quattro fratelli, i quali erano tutti più grandi di te.»

«Padre, ti prometto che i Midosiani me la pagheranno cara, per aver massacrato i miei genitori naturali e i miei fratelli. Perciò non vedo l'ora di vendicare i miei conterranei, primi fra tutti i miei familiari! Ora vai avanti con il tuo resoconto sul popolo che si è dichiarato nemico giurato della nostra gente e continua ad affliggerla come gli è consentito.»

«Ebbene, figlio mio, quando nella Berap non ci furono più coloni da trucidare, Kazon vi fece cessare le incursioni da parte dei suoi soldati. Subito dopo ordinò al suo esercito di mettere sotto assedio la nostra città. Avendo poi constatato che esso causava soltanto la morte di molti suoi combattenti, senza ottenere dei risultati concreti, alla fine egli si rese conto del fatto che la città nemica era inespugnabile. Perciò pensò di cambiare strategia, ossia l'avrebbe costretta a capitolare per fame e per sete. Invece furono prima le sue truppe ad andare incontro all'una e all'altra. La qual cosa l'obbligò a levare gli accampamenti che circondavano da ogni lato Fecian e a riportare il suo esercito a Midosia per farlo sfamare e dissetare. A quel punto, il capo supremo dell'esercito midosiano escogitò un piano, unicamente per umiliare i nostri soldati; ma poi dovette correggerlo per essere rimasto insoddisfatto.»

«Di preciso, padre, Kazon a quale espediente ricorse per screditare i nostri soldati e perché poi esso, contrariamente a quanto si prefiggeva, disattese le sue aspettative? Ci tengo a conoscere queste cose.»

«Arkust, egli ebbe l'idea di far prendere piede fra i due popoli una interessante consuetudine. Ogni decade, sette campioni midosiani, accompagnati da cento soldati, si presentavano sotto le mura di Fecian, dove sfidavano altrettanti campioni nemici ad affrontarsi in scontri individuali. Il gruppo, che risultava con meno combattenti uccisi, conseguiva la palma della vittoria, a tutto beneficio simbolico della propria città. Invece, contro le sue previsioni, la maggioranza delle vittorie veniva ottenuta dai Feciani, con un rapporto due a uno. Allora, arrovellandosi per tali risultati vantaggiosi per gli avversari, propose a costoro non più sette tenzoni individuali, ma una sola collettiva, ossia tutti contro tutti. Con tale nuovo modo di affrontarsi, egli, che sarebbe stato tra i sette campioni midosiani in qualità di guerriero imbattibile, era sicuro di permettere al suo gruppo di vincere ogni scontro che ci sarebbe stato, facendo aggiudicare la vittoria alla loro città.»

«Mi fai comprendere, padre mio, in che modo il suo gruppo avrebbe sempre vinto nei nuovi scontri da lui proposti?»

«Con tale criterio di tenzonare, Arkust, alla fine di ogni combattimento collettivo, Kazon era sempre il solo a sopravvivere, essendo egli un guerriero di raro valore. Perciò ogni volta, pur essendo l’unico a scampare alla morte, lo stesso faceva conseguire la vittoria al suo gruppo, dopo aver azzerato quello feciano di tutti i suoi componenti. Ad un certo punto, però, stanchi di vedersi ammazzare dai nemici ogni decade sette dei suoi validi combattenti, il re Tolep proibì ai suoi soldati di accettare la sfida dei Midosiani. Così, da un anno a questa parte, è stata posta fine ai massacri dei campioni feciani. Allora l'intrepido guerriero Kazon smise di divertirsi a compierli, davanti alle sbigottite folle di Feciani, che assistevano ad essi dalle mura con un animo abbattuto.»

«Padre mio, dopo che mi hai raccontato ogni cosa sul rapporto ostile esistente tra la nostra gente e i Midosiani, ti garantisco che ho compreso benissimo ciò che mi toccherà fare, dopo che ti avrò lasciato per andare a compiere la mia missione. Perciò domani stesso partirò per Fecian per presentarmi al re Tolep e proporgli quanto ho intenzione di fare.»


L'indomani Arkust, tenendo fede alla parola data al padre putativo, che aveva voluto prima abbracciare affettuosamente, era montato a cavallo e si era diretto alla volta di Fecian, dove aveva chiesto udienza al suo sovrano. Il quale, dopo averlo ricevuto a corte, gli aveva chiesto:

«Mi dici chi sei e qual è la ragione che ti ha spinto a presentarti al mio cospetto? Spero che essa sia davvero giustificata da parte tua, non avendo tempo da perdere, specialmente in questi giorni!»

«Anche il mio tempo è prezioso, re Tolep, poiché non vedo l'ora di vendicare la mia famiglia, che fu massacrata dai soldati midosiani, e il popolo feciano, di cui faccio parte.»

«Come vorresti vendicarti, giovane presuntuoso, che non mi hai detto ancora neppure il tuo nome? Comunque, non credo che tu possa portare a termine i tuoi propositi di vendetta. Se l'hai giurata a te stesso, dovrai tornare sui tuoi passi, poiché non ti sarà possibile attuare l'impresa che tanti miei impavidi guerrieri non sono riusciti a compiere, rimettendoci perfino la vita. Per questo, se non hai altro da riferirmi, puoi anche congedarti da me, che non ho tempo da perdere.»

«Sire, mi chiamo Arkust. Ventidue anni fa, i soldati midosiani mi resero orfano di padre e di madre, i cui nomi erano Lofus e Margia. Nella stessa circostanza, uccisero anche i miei quattro fratelli. Io la scampai per puro miracolo, poiché mi trovavo nascosto. Per fortuna si trovò a passare dalle parti della nostra fattoria l'attuale mio padre adottivo, il cui nome è Festun. Egli, in tutti questi anni, mi ha cresciuto in modo da farmi diventare un guerriero eccezionale, che mai nessun uomo potrà sfidare a singolar tenzone ed uscirne vincitore.»

«Pur ammettendo che nella tua vita trascorsa le cose sono andate come mi hai raccontato, Arkust, adesso mi dici quale richiesta sei venuto a farmi? Parla, perché ti ascolto.»

«Re di Fecian, devi mettere a mia disposizione cento soldati. Così, insieme con essi, andrò sotto le mura di Midosia a lancerò la sfida al campione midosiano Kazon, il quale è anche il comandante in capo dell'esercito dei nostri nemici. Sono sicuro che egli non la rifiuterà, per cui soccomberà sotto i miei colpi implacabili. Eliminato lui, alla guida del nostro esercito, affronterò quello nemico in campo aperto e lo sbaraglierò senza nessuna difficoltà.»

«Arkust, non credo che tu sia in grado di fare quanto hai asserito. Comunque, voglio metterti alla prova. Se riuscirai a battere e ad uccidere lo stratega Kazon, dopo ti nominerò anche capo supremo del mio esercito, affinché lo porti alla vittoria su quello midosiano.»

Il giorno dopo, alla testa dei suoi cento soldati, Arkust si era presentato sotto le mura di Midosia, dove a gran voce aveva invitato Kazon a raccogliere il guanto che egli gli aveva gettato. Allora lo sfidato non si era fatto attendere molto, poiché poco dopo si erano viste le porte della città aprirsi e lasciarlo uscire sul suo splendido cavallo nero, sicuro di far mangiare la polvere al suo sfidante e di eliminarlo in brevissimo tempo. Invece il risultato dello scontro aveva preso una piega del tutto diversa, ossia decisamente brutta per lui. Infatti, fin dal suo inizio, il combattimento si era svolto tutto a favore del giovane feciano, il quale, mettendo in mostra delle tecniche di offesa e di difesa che lo sfidato non si aspettava, non aveva avuto difficoltà ad avere ragione di lui e ad infilzarlo con un magistrale colpo di spada. Dopo lo aveva perfino decapitato, infilando la punta della sua lancia nella testa di lui. Alla fine, lasciando la lunga arma conficcata nel terreno, Arkust aveva ricondotto i suoi uomini nella loro città. Pervenuti a Fecian, egli aveva annunciato al suo sovrano l'uccisione di Kazon e la sua decapitazione. Entrambe le cose erano avvenute ad opera sua davanti agli spettatori midosiani, che avevano assistito attoniti dalle alte mura.

A quella splendida notizia, seduta stante, il felice re Tolep lo aveva investito della carica di comandante supremo del suo esercito, la quale fino allora era stata di Etros. Costui non se l’era presa a male, poiché aveva considerato giusta la propria surrogazione, da parte del giovane successore, avendola egli meritata; inoltre, aveva accettato di fargli da secondo. Nello stesso tempo, il sovrano aveva incaricato il figlio naturale del fattore Lofus di condurre il loro esercito nei territori davenini per portare la guerra al popolo midosiano ed infliggere una disastrosa sconfitta al suo esercito. In quel modo, avrebbe fatto abbassare la cresta al superbo re Sourg. Allora Arkust non si era tirato indietro, poiché lo desiderava tantissimo pure lui. Anzi, gli aveva promesso perfino che avrebbe ridotto l'esercito midosiano ad un quarto del suo effettivo. Ma erano occorsi un paio di mesi, prima che Arkust riuscisse ad avere a disposizione il tipo di esercito da lui desiderato, nel quale i soldati si sarebbero dovuti preoccupare esclusivamente d'infierire contro i nemici, dandosi ad ucciderli senza pietà. Anche perché da costoro essi non avrebbero avuto nulla da temere, siccome il conflitto avrebbe avuto uno svolgimento in cui sarebbero stati i soli Feciani a far subire la propria aggressione alla loro controparte.

Era mai possibile che i soldati midosiani non avrebbero reagito all'attacco dei loro nemici e sarebbero rimasti inoffensivi sul campo di battaglia, senza reagire a coloro che gli recavano la morte? Secondo il parere di Arkust, le cose sarebbero andate proprio in quella maniera. Allora ci toccherà attendere il punto cruciale dello scontro fra i due eserciti e valutarne gli effetti, che possiamo già immaginare davvero devastanti.

Quando era giunto il giorno dell'inizio delle ostilità, l'esercito feciano, che Arkust aveva voluto che fosse composto dalla sola cavalleria, era uscito dalla sua città e si era messo in marcia in direzione dei territori davenini. Esso stava andando a muovere battaglia all'esercito dei presuntuosi Midosiani, il cui attuale comandante in capo era Klaup. Costui, in qualità di suo secondo, era succeduto a Kazon, il quale, come abbiamo appreso, era stato sfidato ed ucciso da Arkust. Prima della loro partenza da Fecian, il giovane percus aveva fatto ai suoi venticinquemila cavalieri le seguenti raccomandazioni: 1) di tenere le loro faretre piene zeppe di frecce; 2) di non smettere mai d'inseguire e di dardeggiare i loro nemici, che egli avrebbe messo in fuga; 3) di non voltarsi mai a guardare indietro per rendersi conto di quanto vi stava effettivamente accadendo.

Lo sconfinamento, da parte della cavalleria feciana, era avvenuto tre giorni dopo la sua uscita da Fecian. Essa, a quel punto, aveva puntato direttamente su Midosia, che si trovava a cinquanta miglia dal confine. Allora l'arbitrario passaggio dell'esercito nemico nei loro territori, la quale notizia non aveva tardato a pervenire a corte, aveva allarmato il re Sourg, che aveva messo subito in stato di allerta l'intera città. Egli, avendo appreso che i Feciani avanzavano con la sola cavalleria, aveva ordinato al nuovo capo supremo del suo esercito di andare incontro ai loro nemici, di affrontarli e di sbaragliarli, considerato che la loro superiorità numerica poteva ottenere facilmente un risultato del genere. All'ordine del suo sovrano, il comandante Klaup, alla testa dei suoi centomila fanti e dei suoi cinquantamila cavalieri, non aveva perso tempo e si era mosso contro i nemici in arrivo con l'intenzione di farne un enorme sterminio. Quando però i due eserciti si erano trovati l'uno di fronte all'altro, Arkust, che era in testa ai suoi cavalieri, dopo essersi staccato da loro di una ventina di metri in direzione dei nemici, si era dato a gridargli forte: "Midosiani, sono Arkust, l'uccisore del vostro ex capo supremo Kazon. Sono qui per portare anche a voi la morte. Tra poco ve lo dimostrerò. Se il vostro numero è tre volte maggiore di quello nostro, noi abbiamo degli alleati molto potenti, che tra poco verranno in nostro aiuto."

Tali parole, che in verità i suoi cavalieri non avevano compreso, in un primo momento provocarono soltanto la derisione dei soldati nemici, i quali si erano messi a dileggiarlo con parole e con gesti. Ma pochi istanti dopo, gli stessi schernitori erano stati scorti battere in ritirata con una fuga disordinata, mostrandosi in preda ad un folle spavento. Allora Arkust, rivòltosi alla sua cavalleria, aveva gridato ad essa: "Alla carica, miei cavalieri, e andate a farne un gran macello!".

A quell'ordine imperioso del loro capo supremo, i cavalieri feciani, pur non rendendosi conto di ciò che stava terrorizzando i loro nemici e li stava facendo scappare, si erano armati dei loro archi e si erano dati ad inseguirli e a colpirli con le loro frecce micidiali. Essi avevano seguitato ad agire in quella maniera, fino a quando non avevano svuotato i loro strapieni turcassi e non avevano visto rifugiarsi in Midosia quella parte di cavalieri nemici che erano scampati alla loro orrenda carneficina. Invece tutti i fanti erano stati massacrati durante l’inseguimento.

Ma si può sapere perché l'esercito midosiano, tutto all'improvviso, incalzato da un pericolo che non si lasciava intravedere da nessuna parte, aveva intrapreso una fuga precipitosa? Ebbene, se le cose apparivano come le vedevano i cavalieri feciani, cioè senza che niente fosse intervenuto a ridurre i loro nemici in quello stato assurdo che gli permetteva di farne una facile ecatombe, ben diversa si presentava la situazione a coloro che, sul campo di battaglia, correvano precipitosamente verso la loro città per trovarvi la salvezza. Ad un certo momento, i poveretti si erano visti assalire da un numero imprecisato di esseri mostruosi alti oltre dieci metri, i quali sembravano aver voglia di divorarseli. A farli apparire loro, era stato Arkust, il quale, mentre avanzava verso di loro, aveva preso l'aspetto di un mostro orribile, moltiplicandosi poi in un centinaio di prototipi. Essi poi si erano messi ad assumere varie forme spaventose e ad agitarsi minacciosi nei loro confronti, presentandosi perfino sul punto di abbrancarli e di mangiarseli a piene ganasce. Così, al termine di tale tremendo sterminio, solo la metà dei cavalieri midosiani erano riusciti a raggiungere illesi la loro città; mentre sui restanti venticinquemila e sulla totalità dei fanti la morte aveva imperato sovrana durante la loro vergognosa fuga, poiché essa era impazzita sul campo di battaglia, senza mai stancarsi di flagellarli.

Quando infine si era trovato sotto le massicce mura della città nemica, a quanti lo stavano guardando sgomenti attraverso i loro merli Arkust aveva urlato che per il momento si riportava a Fecian i suoi cavalieri. Nel frattempo, essi potevano uscire dalla loro città ed onorare degnamente i loro soldati uccisi con il seppellimento o la cremazione dei loro corpi senza vita. Ma quanto prima egli sarebbe ritornato con tutto il suo esercito per assediare Midosia, essendo sua intenzione punire il loro indegno sovrano Sourg.