453°-FECIANI E MIDOSIANI IN LOTTA SUL PIANETA OLUOZ

Oluoz si trovava ad orbitare intorno alla stella Teluas, che apparteneva alla galassia di Seven, insieme con altri tre pianeti, i cui nomi erano Boust, Carost e Demut. Su di esso vivevano i seguenti due popoli: i Feciani, che abitavano nella città di Fecian, e i Midosiani, che abitavano nella città di Midosia. Gli Oluozidi costituivano una razza simile a quella umana ed avevano le seguenti caratteristiche fisiche: statura media intorno ai due metri, pelle grigiastra, orecchie pendule, naso camuso, cute della volta cranica calva e bitorzoluta. Il loro corpo si presentava ben strutturato, per cui era da considerarsi atletico. Comunque, non mancavano casi in cui esso accusava delle carenze morfologiche assai vistose. Le quali erano dovute ad anomalie congenite, come di rado succedeva anche nella razza umana, nella quale le medesime prendevano il nome di malformazioni fetali.

La regione, sulla quale si erano stanziati i Feciani, era la Berap; mentre la Daven era quella in cui si erano stabiliti i Midosiani. In precedenza, durante la generazione che aveva visto nascere Arkust, tra i due popoli c'erano stati degli ottimi rapporti. Essi erano stati permessi dai loro sovrani, che coltivavano un'atavica amicizia sincera e disinteressata. Tali sovrani erano stati Fugen, che regnava nella città di Fecian, e Morbes, che siedeva sul trono di Midosia. Fra i loro sudditi avvenivano anche degli scambi commerciali riguardanti sia il settore alimentare che quello artigianale. Inoltre, imitando i loro magnanimi re, non erano poche le famiglie appartenenti al popolo feciano che avevano stretto legami di amicizia con altrettante famiglie midosiane. Per questo le esistenze delle due popolazioni oluozine procedevano d'amore e d'accordo, senza che ci fosse tra di loro il più piccolo screzio. In seguito, dopo un trentennio di pace e di distensione, fra le due città amiche le cose erano precipitate; ma solo perché in esse avevano smesso di vivere i loro sovrani, i quali erano morti di vecchiaia, alla distanza di un anno l'uno dall'altro. Allora in Fecian era succeduto al re Fugen il figlio Tolep; invece il re Morbes aveva avuto come suo successore il figlio Sourg.

Dopo la morte del proprio genitore, il sovrano feciano, seguendo le orme paterne, aveva continuato a propugnare una politica onesta e liberista. Al contrario, il sovrano midosiano, in modo larvato, si era dato a tener vive nel proprio animo soltanto mire espansionistiche. Per cui la sua visione politica tendeva a contrastare quella del suo omologo di Fecian. Così, già nel loro primo incontro, che si era avuto a Midosia, presso la corte del re Sourg, costui aveva voluto raffreddare l'entusiasmo con cui gli si era rivolto il re Tolep. Il quale aveva voluto assicurargli:

«Da parte mia, mio nobile collega, non ci sono problemi a seguitare a mantenere fra noi due gli stessi sinceri rapporti amichevoli che coltivavano i nostri genitori. In questo modo permetteremo pure ai nostri popoli di conservare la loro amicizia e i loro scambi commerciali.»

«Quanto a me, re Tolep, per il momento non posso garantirti le medesime cose, siccome non ho ancora deciso quali dovranno essere i miei futuri progetti, sia quelli a breve che quelli a lunga scadenza. Perciò è anche probabile che esse possano cambiare direzione, dalla sera alla mattina! Lo sai anche tu che tutto è mutevole ed effimero in questa nostra esistenza e non si può mai essere certi di niente, nel frattempo che viviamo all'insegna della precarietà.»

«Re Sourg, non ho compreso bene il tuo ragionamento, il quale mi è parso alquanto sibillino. In verità, il tuo pensiero mi è risultato enigmatico, come ambigue mi sono suonate le tue parole. Allora vuoi chiarirmi meglio dove hai intenzione di collocare la tua posizione, a proposito della nostra secolare amicizia? Te ne sarei grato, se tu me lo chiarissi!»

«Per il momento, re Tolep, non mi va di collocarla in qualche parte; ossia non intendo metterla ancora sulla bilancia per dare ad essa il giusto peso. Non appena lo avrò fatto, ne verrai senz'altro a conoscenza: te lo prometto! Ma adesso, avendo altri impegni più importanti da soddisfare, mi vedo costretto a congedarti in gran fretta.»

Il re di Fecian non aveva gradito il maltrattamento subito da parte del sovrano Sourg e, una volta che se n’era ritornato nella sua città ed aveva raggiunto la sua corte, si era preparato a ricevere notizie tutt'altro che belle da lui. Lo aveva fatto sospettare e prevedere l'atteggiamento che egli aveva assunto durante il breve colloquio che c'era stato fra loro due a Midosia. Perciò, se da un canto, si mostrava preoccupato per i futuri sviluppi che ne sarebbero derivati; dall'altro, di fronte al suo popolo, si sentiva di avere la coscienza pulita. A suo avviso, non sarebbe stata colpa sua, se i rapporti amichevoli esistenti tra i Feciani e i Midosiani un giorno si fossero incrinati o addirittura rotti per sempre. Ad ogni modo, la sua preoccupazione non aveva avuto ad attendere molto, poiché, in capo ad un mese, il re Sourg gli aveva fatto pervenire una sua ambasceria. I tre legati, che la costituivano, dopo essersi fatti ricevere da lui, senza mezzi termini, gli avevano riferito quanto il loro sovrano gli ordinava. Del gruppo, era stato uno solo a parlargli in questo modo:

«Re Tolep, ci presentiamo a te, come ambasciatori dell’eccellentissimo nostro sovrano Sourg, poiché siamo latori di una sua ambasciata. Perciò attendiamo di ricevere da te il permesso di rendertela nota.»

«Come potrei negarvi, inviati plenipotenziari di Midosia, di parlarmi a nome del vostro re ed ascoltare quanto desidera parteciparmi? Orsù, datevi a riferirmi ciò che egli vi manda a dirmi tramite voi!»

«Ebbene, re Tolep, forse il contenuto della nostra ambasciata non ti risulterà per niente gradito; ma noi non ne abbiamo alcuna colpa, essendo soltanto portatori del suo messaggio. Spero che comprenderai il nostro ruolo in questa missione e che tu voglia tenerlo in grande considerazione, anche dopo averla ascoltata!»

«Certo che mi metterò nei vostri panni in questa circostanza, legati del mio omologo midosiano! Non è forse risaputo che ambasciator non porta pena? Quindi, riportatemi ogni cosa che il vostro re Sourg vi manda a comunicarmi e facciamola finita, senza troppi preamboli!»

«Secondo il nostro sovrano, il popolo feciano risulta intellettualmente inferiore, se viene paragonato a quello nostro. Per il quale motivo, i Feciani devono portare riverenza verso i Midosiani, preoccupandosi, con parte del loro lavoro, di provvedere pure al loro fabbisogno. Nel caso poi che dovesse esserci un secco rifiuto da parte vostra alla sua legittima imposizione, i Midosiani si vedrebbero costretti a difendere questo loro diritto con il ricorso alle armi.»

«Ambasciatori di un monarca, che ha perduto del tutto il senno, andate a riferirgli che il popolo feciano giammai si piegherà ad una tale sua pretesa, la quale può essere uscita soltanto da una mente contorta e malata. Visto che ci minaccia anche di farci guerra, nel caso che oseremo opporci a quanto egli insanamente pretende da noi, fategli presente che i Feciani, sebbene siano numericamente la metà, non temono un'aggressione armata da parte dei Midosiani, poiché essi sapranno ben difendere la loro città. Dopo avervi dato questa mia risposta giusta e ragionevole, potete pure lasciare la mia reggia, la mia città e il mio regno, perché la facciate avere al più presto al vostro impudente sovrano. Sono certo che egli la starà aspettando senza un briciolo di ritegno!»

Appresa dalla terna dei suoi ambasciatori la risposta che il re Tolep gli aveva fatta pervenire, il sovrano di Midosia prima aveva dato in escandescenze. Subito dopo era passato a lanciare minacce di ritorsione contro il popolo feciano e di vendetta contro il suo sovrano. Quando infine lo sdegno si era alquanto sbollito nel suo animo, era andata maturando in lui l'idea che era tempo che il suo esercito cominciasse ad affilare le armi. Così si sarebbe data una lezione coi fiocchi a colui che aveva osato offenderlo in quella maniera, nonché si era rifiutato di accettare le sue condizioni. A tale scopo, aveva convocato presso di sé Kazon, il quale era il comandante in capo del suo esercito. A proposito di costui, vanno chiarite alcune cose sulla sua persona, che adesso ci diamo ad apprendere senza indugio, prima del suo colloquio con il proprio re.

Riferendoci a lui, bisognava ammettere che non si era di fronte ad un uomo d'armi comune, poiché egli possedeva tutte quelle doti positive che lo avevano portato a ricoprire una così prestigiosa carica nell'esercito midosiano. Nell'autorevole personaggio, di cui ora ci stiamo occupando, primeggiavano l'astuzia della volpe, un carattere indomabile, una eccellente esperienza militare e delle disposizioni naturali in fatti di strategia. Quanto alla sua perizia d'armi, essa si dimostrava la migliore esistente nella propria città e in quella feciana. Per le quali sue note distintive, l'eccezionale Kazon era salito alla ribalta presso la corte di Midosia, fino ad ottenere in passato dal re Morbes la nomina a comandante supremo dell'esercito. Ma l'anno dopo era stato lo stesso sovrano a destituirlo da tale carica per indegnità, per una ragione che aveva considerata della massima gravità. Difatti l'autorevole comandante gli aveva proposto di dichiarare guerra ai Feciani, facendo occupare la loro città dal suo esercito e assoggettandoli al proprio potere, come se fossero dei veri schiavi. A tale proposta, da lui ritenuta indecente e priva di buonsenso, il sovrano midosiano lo aveva esautorato ipso facto; inoltre, lo aveva esiliato dall'intera Daven, la quale era la regione dei Midosiani. Ma alla morte del padre, il re Sourg, dopo essergli succeduto, come suo primo atto regale, aveva richiamato in patria il comandante Kazon e lo aveva reintegrato nella sua ex carica di capo supremo dell'esercito midosiano. Subito dopo gli aveva fatto presenti le sue mire espansionistiche, le quali coincidevano perfettamente con quelle dell'alto ufficiale. Allora entrambi si erano dati da fare, affinché avvenisse quanto prima la conquista della regione Berap, la quale era la terra dei Feciani, e si costringesse alla capitolazione la loro città, che era Fecian. Così, essendo ormai certi di avere allestito un esercito pronto ad invadere e a sottomettere i territori berapini senza la minima difficoltà, il monarca midosiano aveva avuto l'ardire d'inviare al re Tolep i suoi legati con l'ambasciata, che abbiamo appena conosciuta.

Esposti i fatti che c'erano stati prima dell'invio degli ambasciatori da parte del re Sourg, riportiamoci a quelli che si stavano avendo nel presente. Ebbene, non appena il capo supremo del suo esercito era stato in sua presenza, il sovrano di Midosia si era dato a dirgli:

«Comandante Kazon, la risposta del re Tolep è stata quella che ci attendavamo. Egli, non solo si è rifiutato di accettare la mia proposta, ma anche mi ha offeso, dichiarando che soltanto ad un mentecatto poteva venire un’idea simile. Perciò, senza perdere altro tempo, bisogna iniziare l'invasione della Berap. Tu mi assicuri che il nostro esercito è già nelle condizioni ottimali di poterla portare avanti a gonfie vele?»

«Non ci sono dubbi, re Sourg, che esso è già all'altezza della situazione per intraprendere una simile impresa, anche perché possiamo fare affidamento su una fanteria e una cavalleria abbastanza solide, avendo a nostra disposizione centomila fanti e cinquantamila cavalieri. Invece le forze dei nostri nemici potranno mettere in campo al massimo la metà dei nostri contingenti armati. Inoltre, non dimenticare che i nostri soldati saranno comandati da uno stratega, il quale non potrà avere rivali sia nella Berap che nella Daven. Ad ogni modo, attenderei ancora qualche mese, prima di lanciarci in grande stile nell'azione militare, che ci sta tanto a cuore. Ciò, non senza un motivo!»

«Perché mai, Kazon, vuoi allungare i tempi nella nostra invasione della Berap? Non hai detto che il nostro esercito è già nelle migliori condizioni di rendimento per cominciarla e concluderla vittoriosamente?»

«Certo che lo è, sire! Io, però, intendo prima stancheggiare i nostri nemici con varie incursioni ostili sul loro territorio, facendo strage di quanti ci capiteranno tra le mani. Così agendo, costringeremo il loro sovrano ad inviarci contro l'esercito di cui dispongono, allo scopo di far cessare le nostre scorrerie assassine e predatrici. A quel punto, faremo intervenire anche il nostro esercito e lo costringeremo ad uno scontro armato in campo aperto, evitandoci un lungo assedio. Il quale non ci risulterebbe facile nel condurlo contro Fecian, la quale è una città così bene fortificata, da presentarsi quasi imprendibile dalle nostre schiere.»

«Forse hai ragione tu, mio valente comandante. Perciò le nostre azioni militari contro i Feciani prendano la piega che mi hai suggerita. Che la fortuna, quindi, sia con noi!»

Nel frattempo il re Tolep non se n'era restato ad attendere gli eventi con rassegnazione fatalistica, mostrandosi inoperoso verso l'incerto futuro. Al contrario, essendo convinto che il cervellotico sovrano di Midosia faceva sul serio, per cui ben presto fra i Feciani e i Midosiani ci sarebbe stata senz'altro una guerra, anch'egli aveva convocato a corte il capo supremo del suo esercito, al quale si era espresso in questi termini:

«Comandante Etros, per come si sono messe le cose, ben presto il nostro popolo si ritroverà ad affrontare una guerra contro i Midosiani, pur non essendo noi a volerla.»

«Come mai, sire, tutto ad un tratto, i rapporti fra i nostri due popoli si sono aggravati a tal punto, da vederci addirittura coinvolti in un imminente conflitto armato?»

«Ciò non è avvento per mia colpa, Etros. Invece è stato quello scriteriato del re Sourg a volere che la nostra amicizia andasse in frantumi e nascesse in lui il desiderio di guerreggiare con noi. Stamani mi è giunta una sua ambasceria, la quale mi ha recato un suo folle messaggio. Secondo il quale, essendo il nostro popolo intellettualmente inferiore rispetto a quello loro, i Feciani devono assoggettarsi ai Midosiani e fornirgli la metà dei prodotti ricavati dal loro lavoro dei campi. In caso contrario, ricorreranno alle armi nei nostri confronti.»

«L'atteggiamento del sovrano midosiano è inammissibile, re Tolep. Perciò non ci resta che ricorrere ai ripari con urgenza, preparandoci ad una guerra assurda, che non ci si permetterà di evitare. Ma bisognerà affrontarla nella maniera a noi più favorevole, se non vogliamo andare incontro ad una terribile sconfitta. Ciò significa che a qualunque costo occorrerà ovviare ad uno scontro in campo aperto fra il nostro e il loro esercito, disponendo noi la metà dei contingenti midosiani, per cui ci troviamo di fronte ad un rapporto uno a due. Difatti i nostri nemici hanno il doppio dei nostri fanti, che sono cinquantamila, e dei nostri cavalieri, che sono venticinquemila. Per la quale ragione, ci toccherà arroccarci nella nostra città, che considero inespugnabile, e difenderci da un loro assedio con tutte le nostre forze. Se esso ci sarà, vedrai, mio sovrano, a molti soldati nemici faremo fare una brutta fine, poiché li accoglieremo con abbondante acqua, olio e pece alla massima ebollizione. Né mancheranno massi di ogni peso, che gli catapulteremo addosso.»

«Allora, mio egregio comandante, mi affido alla tua bravura e alla tua sagacia. Da oggi stesso, quindi, inizierai a preparare un'ottima difesa della nostra città, fortificandola anche in quei punti che, a tuo parere, dovrebbero presentarsi i più nevralgici.»

«Lo farò senza meno, mio nobile re. Nello stesso tempo, però, invierò nelle nostre terre delle truppe perché vi facciano il massimo rifornimento di viveri e di acqua, ad evitare che i nemici possano costringerci ad arrenderci per fame e per sete. Se ci sarà una tua ordinanza in materia, esse requisiranno tutte le scorte alimentari che troveranno in quelle case coloniche, i cui residenti si rifiuteranno di rifugiarsi nella nostra Fecian.»

«Certo che tali truppe saranno autorizzate da me per la loro requisizione, Etros! Perciò adesso puoi congedarti da me e correre a mettere mano all'una e all'altra tua operazione.»

Trascorsi una quindicina di giorni da quel colloquio, l'esercito feciano aveva portato a termine entrambe le operazioni, per cui ora, quando Kazon aveva deciso di dare inizio alle incursioni nei territori berapini, i Feciani si sentivano pronti a far fronte all'assedio nemico. Ma nei giorni che seguirono, anziché esserci l'attesa invasione della Berap da parte dell'esercito midosiano, erano cominciate ad aversi sul suo territorio varie scorrerie. Con le quali le schiere dei nemici miravano a mettere a ferro e a fuoco quelle zone che non erano state abbandonate dai coloni residenti. Esse, oltre a bruciarne le fattorie, facevano strage di coloro che, non avendo tenuto conto delle raccomandazioni del loro sovrano, erano rimasti ad abitarle. In verità, c'erano anche delle case coloniche che, trovandosi nelle remote terre di confine, non erano state neppure avvertite ed allarmate del nuovo stato di cose, che molto presto si sarebbe avuto sulle loro terre. Perciò esse erano state le prime a subire le incursioni dei soldati midosiani e le uccisioni dei loro abitanti, che ne erano derivate molte e crudeli.

Così, in brevissimo tempo, si erano avute sui territori della regione berapina numerosi stermini di quei coloni, i quali non avevano voluto abbandonare le loro fattorie oppure avevano tardato a rifugiarsi in Fecian, dove ci sarebbe potuta essere per loro la salvezza. Da quei pochi che erano riusciti a scampare al pericolo rappresentato dai Midosiani, in città si era venuto a sapere che questi commettevano delle atrocità inaudite contro quanti sorprendevano nelle loro fattorie oppure durante la loro fuga verso Fecian. Essi ammazzavano senza pietà anche i vecchi, i bambini e le donne, riservando a queste ultime un trattamento che faceva ribrezzo. Dopo averle stuprate, sottoponendole a violenze carnali di gruppo, le legavano al tronco di un albero e le facevano diventare bersagli delle loro frecce. Anzi, non smettevano di scagliargliele addosso, fino a quando la morte non sopraggiungeva nelle sventurate.

A quelle notizie terribili ed ignominiose, il re Tolep e il comandante in capo dell'esercito feciano avevano avvertito la necessità d'incontrarsi di nuovo a corte per discutere su quanto stava succedendo sui loro territori. Nell'incontro, era stato il sovrano a parlare per primo, dicendo:

«È davvero inumano, Etros, ciò che alcuni nostri coloni scampati al pericolo hanno riferito sulle azioni indegne di un essere umano compiute da alcuni manipoli di combattenti nemici. I quali, percorrendo in lungo e in largo varie parti dei nostri territori, vanno uccidendo vigliaccamente intere famiglie indifese di nostri connazionali. Mi dici tu cosa possiamo fare per arrestare i loro massacri e permetterci di vendicare i nostri inermi compatrioti?»

«Anch'io, re Tolep, mi mostro inorridito, di fronte agli ignominiosi fatti di sangue, dei quali si stanno rendendo responsabili i nostri nemici, che non mi sarei mai aspettato da loro! In una circostanza del genere, però, non ci è consentito d’inviare contro di loro il nostro esercito. Se prendessimo un simile provvedimento, facendo uscire dalla nostra città il nostro esercito, in quel caso faremmo il gioco dei Midosiani. Essi, a mio giudizio, attendono proprio che da noi si commetta un errore di questo tipo, per attaccarlo subito dopo con le loro falangi e sbaragliarlo. Per il momento, secondo me, le tengono nascoste in qualche parte; ma sono pronti a farle intervenire contro il nostro esercito, non appena si avventurerà in campo aperto. Dopo essi cercheranno innanzitutto di tagliargli la ritirata in Fecian.»

«Con quanto mi hai detto, capo supremo del mio esercito, hai voluto asserirmi che abbiamo le mani legate in questa vicenda. Per questo non possiamo far niente in soccorso di quei coloni, che sono impotenti a difendersi, per cui dobbiamo abbandonarli al loro destino.»

«In un certo senso, è così, mio sovrano. Comunque, c'è una remota possibilità di poter essere in qualche modo di aiuto a quanti non sono stati ancora travolti dalla mannaia falciatrice dei nostri nemici. Ma anch'essa comporterebbe per noi dei rischi molto seri.»

«Etros, quale sarebbe questa possibilità? E perché mai hai fatto menzione di un'azione pericolosa, nel caso che la si tentasse da parte nostra? Naturalmente, ti sarai riferito solamente ad un gruppo dei nostri soldati, i quali dovrebbero essere mandati a compierla fuori città.»

«Esatto, nobile re Tolep! Stavo pensando appunto ad un drappello bene armato, formato dai nostri uomini più combattivi ed audaci, i quali dovrebbero uscire da Fecian nottetempo e scovare quei nemici che vanno alla ricerca dei nostri coloni per sopprimerli. Ne basterebbero un centinaio, perché la loro missione avesse l'esito sperato.»

«Come anche tu hai fatto presente, Etros, ci sarebbe sempre il pericolo che i nostri pochi soldati che dovrebbero farne parte, potrebbero imbattersi in un battaglione nemico e venirne annientato. Quindi, cosa consiglieresti loro per evitare tale contrattempo?»

«Il nostro drappello, sire, dovrebbe agire esclusivamente di notte; mentre di giorno si darebbe a dormire, tenendosi nascosto all'interno di qualche macchia. Ma la sua attività dovrebbe iniziare già al crepuscolo, per cercare d'individuare delle volute di fumo che s'innalzassero nell'aria, poiché esse potrebbero segnalare la presenza di nemici prossimi a darsi al bivacco notturno. In quel caso, attenderebbero la notte per intervenire contro di loro e sorprenderli durante il sonno, facendoli fuori tutti senza venire scoperti, ossia sgozzandoli mentre dormono.»

«Sono d'accordo con il tuo piano, Etros. Perciò la missione del nostro drappello, considerata sotto tale aspetto, potrà avere inizio già da stanotte. Dunque, puoi incominciare a prepararla durante la giornata a stretto rigore, perché abbia il successo da noi auspicato.»

Era tato così che il drappello feciano si era dato ad operare nelle ore notturne, mentre in quelle diurne se ne restava nascosto all'interno di una boscaglia, dove si dava a riposare e a farsi anche una bella dormita. Ma una volta giunto il tramonto, un paio di loro partiva in perlustrazione per avvistare, senza esserne scorti, uno dei sanguinari gruppi di soldati nemici che operavano sui loro territori. Quando lo avvistava, lo tallonava, finché esso non si accampava in qualche luogo per ristorarvisi, per riposarvi e per prendervi sonno. Allora, dopo averne messo a conoscenza i restanti commilitoni del drappello, nel cuore della notte intervenivano in massa nel loro accampamento con il massimo silenzio e li trucidavano senza pietà, squarciando a tutti la gola. Agendo in quel modo, essi vendicavano i coloni feciani da loro sterminati, senza che il nemico potesse accorgersi dei loro ammazzamenti notturni.

La missione del drappello feciano, però, non aveva potuto agire a lungo nell'ombra. Dopo che esso aveva eliminato un quarto gruppo di soldati nemici che erano intenti ad uccidere i loro conterranei, l'astuto Kazon, che ne era stato l'artefice, alla fine si era reso conto che qualcosa non quadrava. Infatti, aveva compreso ciò che stava succedendo ai soldati, a cui aveva affidato il compito di darsi alle mattanze dei coloni feciani e alla distruzione delle loro fattorie. Allora, con l'intento di dare la caccia a quelli che lo stavano fregando, per avergli già fatto fuori un gran numero di uomini, aveva stabilito di cambiare tattica. Così avrebbe sorpreso ed annientato i nemici, che erano stati posti sulle tracce dei gruppi da lui formati. Per prima cosa, servendosi di staffette, aveva richiamato presso di sé quanti ne restavano ancora in azione. Dopo aveva formato due nuovi gruppi di armati, composto ciascuno da mille soldati, entrambi con il compito di dare la caccia a quei nemici che avevano fatto grandi stragi dei suoi uomini razziatori. Ma questa volta essi si sarebbero dovuti alternare nel tempo. Ossia, nelle loro ricerche sul territorio nemico, mentre l'uno avrebbe agito nelle ore di luce, l'altro avrebbe operato nelle ore di buio.

Alcuni giorni dopo, la fortuna aveva arriso ai ricercatori diurni, i quali per caso si erano trovati a transitare dalle parti dove i cento soldati feciani se la dormivano tranquillamente, ai margini di una piccola radura boschiva. Allora, sorprendendoli nel sonno, li avevano attaccati e massacrati senza pietà. Infine, come da ordine ricevuto dal loro comandante in capo, li avevano decapitati. Non bastando ciò, cento di loro avevano fissato le teste dei medesimi in cima alle loro lance. Al termine della coppia di azioni da loro eseguite, essi avevano marciato alla volta di Fecian. Giunti poi davanti alle sue porte, ad un centinaio di metri da esse, avevano infisso nel terreno le lance, le cui punte erano conficcate nelle teste dei cento Feciani da loro brutalizzati. Infine essi se n’erano allontanati ed avevano raggiunto il loro capo supremo. Al tremendo spettacolo messo in mostra da coloro che avevano ucciso e decapitato i loro cento conterranei, gli abitanti di Fecian non avevano potuto fare altro che assistere impotenti ad esso e piangersi nello stesso tempo la malasorte toccata ai poveretti. Da quel giorno, per la verità, erano terminate anche le incursioni dei Midosiani nella Berap, non essendoci più coloni feciani da sottoporre alle loro sevizie. Allora il comandante Kazon, avendo avuto anche l'autorizzazione a procedere da parte del suo sovrano, si era proposto di assediare la città nemica con un massiccio intervento, mettendo in campo molte falangi armate di tutto punto.

L'assedio condotto dai suoi soldati, però, già alle sue prime battute, si era rivelato un vero disastro, poiché erano stati tantissimi quelli che, per varie cause, erano caduti morti sotto le solide mura della città. Per difendersi, gli assediati ricorrevano al lancio di frecce, di macigni; né mancavano getti di acqua, di olio e di pece bollente. Le quali cose mietevano fra gli assedianti un gran numero di vittime, fino a decimarli. Ma anche ne neutralizzavano le scalate. Quanto ai tentativi di aggancio fatti dalle loro funi arpionate, anch'essi fallivano, siccome le mura, oltre ad essere del tutto prive di merli di varia foggia, terminavano con una liscia superficie convessa, che non permetteva agli arpioni alcuna presa. Insomma, alla fine della giornata, l'esercito midosiano aveva subito un calo di cinquemila unità, la quale perdita aveva dissuaso il suo comandante dal riprendere l'assedio la mattina dopo e negli altri giorni successivi. A suo parere, era meglio far capitolare Fecian per fame e per sete, poiché prima o poi essa si sarebbe arresa per penuria di cibo e di acqua. Invece dei problemi del genere si erano avuti prima nell'esercito midosiano. Il qual fatto lo aveva costretto ad ordinare ai suoi soldati di levare l'accampamento e di marciare verso la loro Midosia, dove si sarebbero potuti sfamare e dissetare a sufficienza.

Da quel momento in poi, la situazione si era evoluta in maniera diversa. Siccome era stato tolto intorno a Fecian l'accerchiamento da parte delle soldatesche midosiane, non potendo esso durare per un tempo indeterminato, la vita in quella città era andata incontro a minori restrizioni. Per cui, protetti da drappelli di soldati, i coloni che vi si erano rifugiati erano ritornati a coltivare la loro terra; ma sovente capitava di essere intercettati da un contingente di truppe nemiche. Allora risultava immancabile uno scontro armato fra gli uni e le altre, il quale si concludeva con la vittoria a volte dei primi altre volte delle seconde. Ma il nuovo fatto interessante, che si aveva in quei duri conflitti occasionali, era il seguente. Quando risultavano vincitori i soldati midosiani, questi non si davano più ad uccidere i coloni, come in passato, poiché erano queste le ultime disposizioni impartite dal loro comandante in capo. Comunque, quella nuova sua politica non era dovuta a motivi riconciliativi, ma a scopi che ne larvavano gli obiettivi.

Oltre a questi cambiamenti meno vistosi nei rapporti tra i Feciani e i Midosiani, era cominciata ad invalere fra di loro una certa consuetudine, che veniva accettata da entrambi i popoli con interesse. Ogni dieci giorni, si presentavano sotto le mura feciane sette campioni di Midosia e sfidavano altrettanti campioni di Fecian. Essi, ad ogni modo, venivano accompagnati da un centinaio dei loro commilitoni per assistere agli scontri che ci sarebbero stati. Ebbene, quasi sempre c'erano i sette Feciani che raccoglievano il guanto da loro gettato. Allora, davanti alle porte della città, avvenivano i sette scontri all'arma bianca, nei quali si affrontavano due campioni appartenenti all'uno e all'altro popolo. La città, la quale risultava con più campioni sopravvissuti a tali combattimenti individuali, veniva dichiarata vincitrice.

In seguito, siccome le vittorie dei Feciani superavano di molto quelle dei Midosiani, il capo di questi ultimi, il quale era il famoso Kazon, aveva stabilito che gli scontri andavano effettuati collettivamente e che la palma della vittoria venisse assegnata al gruppo dei campioni, il quale alla fine si ritrovasse ad avere vivo almeno uno dei combattenti. La sua proposta non aveva trovato discordi i Feciani, visto che il nuovo criterio era piaciuto pure a loro, senza avvedersi che il secondo criterio di lotta andava totalmente contro i loro interessi. Infatti, prendendovi sempre parte l'inossidabile Kazon, ogni volta la vittoria dello scontro era risultata a favore dei Midosiani, almeno fino a quando i Feciani non si erano resi conto dell'errore commesso. Allora avevano iniziato a rifiutare la sfida dei loro nemici, ponendo così fine anche al massacro dei loro guerrieri che si sarebbero dovuti proporre come campioni propensi ad accettarla.

Naturalmente, il clima era continuato a restare molto teso tra i due popoli, i quali, da grandi amici che erano stati un tempo, adesso si ritrovavano ad essere degli acerrimi nemici. Per cui l'uno e l'altro avevano seguitato a vivere giorni di massimo contrasto, che risultava causa di mattanze cruente ora di soldati feciani ora di quelli midosiani. Ma questi ultimi quasi sempre riuscivano ad avere la meglio, specialmente quando essi erano capitanati dal loro imbattibile Kazon. Difatti costui, anche da solo, era in grado di fare una enorme ecatombe dei suoi nemici.