445-IL RE CLORONTE VIENE ACCOLTO CON OVAZIONI DAL SUO POPOLO
Dopo che i Berieski ebbero terminato il loro lavoro di cremazione di tutte le salme che appartenevano agli eserciti alleati, Leruob e lo zio Allemb, che era il dodicesimo figlio del leggendario Nurdok e la cui età aveva superato da poco i sessant'anni, raggiunsero Actina. In essa, seguendo le indicazioni ricevute da alcuni soldati actinesi, pervennero alla reggia. A corte, in qualità di cugino e di zio della regina, essi furono accolti prima da Astoride, il quale ricopriva la carica di comandante della Guardia Reale. In quel momento, però, il re Francide era andato a fare un sopralluogo sui disastri provocati in città dagli Umanuk, i quali in precedenza si erano trasformati in mostri. Allora toccò all'autorevole Terdibano accompagnarli dalla loro illustre parente, che era la regina Rindella. Una volta in sua presenza, lo zio Allemb fu il primo a lanciarsi ad abbracciare la regale nipote, che non aveva mai conosciuta, a causa dell'immensa lontananza che lo aveva tenuto separato da lei.
«Che graziosa e cara nipote avevo, senza saperlo!» egli si diede ad esclamarle «Per giunta, ella oggi si ritrova ad essere anche la regina di una prestigiosa città, la quale è Actina! Oh, se mio padre potesse vederti e tenerti fra le sue braccia! Come frutto della sua figlia prediletta, lo faresti impazzire dalla gioia! Adesso, però, fatti presentare tuo cugino Leruob, il quale è il figlio di tuo zio Celton. Egli di sicuro diventerà il nuovo superum della Berieskania, grazie alle sue straordinarie doti di guerriero di grandissimo valore, ma soprattutto per il suo alto senso della giustizia. Perciò può reputarlo l'unico cugino degno di tuo fratello.»
A quel punto, seguì anche il caldo abbraccio tra i due cugini materni. Dopo il quale, la regina Rindella, apparendo immensamente felice, si espresse ad entrambi, dicendo:
«Voi due, miei carissimi parenti per parte di madre, non immaginate di quanta gioia mi state riempiendo l'animo! Vi invidio, poiché la vostra vita si è svolta in mezzo ad una numerosa cerchia di consanguinei, tutti pronti a darsi una mano in caso di necessità. Invece, fino a poco tempo fa, io sono cresciuta nella più completa solitudine, privata dell'amore dei miei genitori e di quello del mio unico fratello sopravvissuto alle sventure familiari del passato, che non riesco ancora a godermi come vorrei. Ecco perché, mentre vi tengo vicini, per me è come se stessi vivendo un sogno! Quanto a te, Leruob, il mio Francide già mi ha messo al corrente che, sia nell'uso delle armi che nelle arti marziali, sei molto in gamba e ti ha ritenuto quasi alla portata sua e di tuo cugino Iveonte.»
«Anche a noi, mia carissima cugina,» Leruob le fece presente «sta facendo un piacere immenso, mentre ti scorgiamo davanti e ci emozioniamo, per aver conosciuto una nostra parente, la quale vive a moltissime miglia lontana dalla nostra Berieskania. Per questo ringraziamo la nostra somma divinità Mainanun per avercelo permesso! Adesso, Rindella, visto che stiamo fremendo per l'ansia di incontrarli, perché non ci accompagni dai tuoi genitori e ce li presenti? Devi sapere che non vedo l'ora di abbracciare la zia Elinnia, l'ultimogenita di mio nonno Nurdok.»
«Hai ragione, cugino mio. Mi era sfuggito il fatto che eravate molto impazienti di incontrare principalmente mia madre. Dunque, vi condurrò subito dai miei genitori, poiché anch'essi vi stanno aspettando con ansia, dopo avere appreso che siete giunti nei territori actinesi con il vostro sterminato esercito. Bisogna riconoscerlo, esso è servito a liberarci dall'assedio degli eserciti alleati, i quali solo così hanno smesso di essere nostri nemici, dopo che i loro comandanti hanno accettato le condizioni imposte a tutti loro da mio marito Fancide.»
Di lì a poco, la regina Rindella, intanto che il consorte si tratteneva ancora in città, accompagnò i due parenti stretti della madre dai propri genitori. Esimendosi dal presentarglieli, gli disse:
«Mamma e babbo, come mi avevate chiesto, sebbene la vostra richiesta non fosse affatto necessaria, ho condotto da voi le persone che stavate aspettando. Si tratta dello zio Allemb e di mio cugino Leruob. Li lascio in vostra dolce compagnia, mentre mi assento per un po', dovendo informare mio marito della loro presenza presso di voi, se nel frattempo ci fosse il suo rientro a corte. A tra poco, quindi, miei cari genitori!»
Per rispetto verso di lui e per educazione, nel presentarsi ai regnati di Dorinda, Leruob fece ancora parlare per primo lo zio, il quale non vedeva l'ora di abbracciarsi la sorellina di un tempo, la quale era nata un anno dopo di lui. Intanto che si affrettava a raggiungerla, per avere con lei un interminabile abbraccio caloroso, egli si diede a gridarle:
«Elinnia mia carissima, oh, che bello rivederti dopo tantissimi anni, adesso che entrambi abbiamo raggiunto la nostra età matura! Chi lo avrebbe mai pensato che un giorno ci saremmo rivisti ed abbracciati! Se non fosse capitato dalle nostre parti tuo figlio Iveonte, per la verità egli è venuto a trovare suo nonno di propria volontà, oggi non starei qui a parlare con te! Ma la nostra venuta è servita anche a togliervi dai guai, che vi venivano procurati dai sette eserciti alleati dell'Edelcadia. Ora, però, mi faccio da parte per permettere anche a nostro nipote di abbracciarti e di esprimerti la sua commozione. Nel frattempo, io mi darò a salutare il re tuo marito e a chiedergli scusa, per non essermi presentato prima a lui, come sarebbe stato mio dovere.»
«Invece non ti devi scusare, Allemb, cognato mio.» intervenne a rassicurarlo il re Cloronte «Il tuo è stato un gesto spontaneo ed istintivo verso la tua carissima sorella, che non posso non comprendere!»
Mentre poi essi si appartavano per continuare il loro discorso, il quale dopo cambiò argomento, Leruob si affrettò a lanciarsi tra le braccia della matura regina Elinnia, proferendo le seguenti parole:
«Abbracciandoti, zia, mi sento immensamente felice. Per il nostro casato, tu rappresenti la donna che, più di tutte le altre, riesce a colmarlo di onore e di prestigio. Anche se è vero che tu e il tuo nobile consorte avete trascorso il periodo più nero della vostra esistenza, da oggi in avanti ricomincerete a vivere lo splendore di una volta, poiché Dorinda ritornerà ad essere la città più potente e più in auge dell'Edelcadia. Ciò, grazie specialmente al vostro fenomenale primogenito, il quale è anche il protetto delle divinità benefiche. L'eccezionale Iveonte, al ritorno dalla sua nuova missione, innalzerà ai fastigi della gloria l'intera sua dinastia, come nessun altro re della sua stirpe è riuscito mai a fare. Se dipendesse da me, dopo che avrò accompagnato te e lo zio Cloronte a Dorinda, non me ne ritornerei più nella Berieskania, nel lontano nostro borgo di Geput. Invece mi fermerei nella vostra città vita natural durante, dove mi godrei anche la compagnia del mio carissimo cugino Iveonte. Purtroppo me lo vieta il senso di responsabilità che avverto verso il mio popolo, poiché, dopo la morte del nonno, che forse troverò già estinto al mio ritorno, prevedo già che sarò io il Beriesko destinato a succedergli. Adesso mi congedo da te, zia Elinnia, perché non voglio più stancarti con la mia esagerata facondia.»
«Grazie, nipote mio! Di te, mi rallegra il fatto che hai ereditato tutte le cose belle e nobili che facevano di tuo nonno la persona più stimata dell'intera Berieskania. Perciò sono sicuro che tu uguaglierai la sua fama e il suo eroismo, come il mio Iveonte potrà considerarsi il degno discendente di suo nonno Kodrun. Quando farai ritorno presso mio padre, che è anche tuo nonno (spero tanto che tu lo ritrovi ancora tra i viventi), lo abbraccerai tanto tanto da parte mia, riferendogli che non l'ho mai dimenticato. Al contrario, ho sempre conservato nel mio cuore il suo vivo e dolce ricordo. Ti raccomando, Leruob, fai quello che ti ho detto!»
«Certo che lo farò, zia Elinnia! Così renderò molto felice il nonno!»
Il figlio del fratello Celton ebbe appena finito di rispondere alla zia regina, allorché il re Francide e la regale sua consorte si presentarono nell'agiato ambiente messo a disposizione dei regnanti di Dorinda. Nel quale adesso si trovavano anche Allemb e suo nipote Leruob. Essi allora invitarono gli uni e gli altri a seguirli nel parco reale, dove la conversazione sarebbe avvenuta all'aperto, deliziata dall'acuta fragranza dei fiori e dalla soave melodia aviaria. Una volta all'esterno, ci furono varie domande da parte di ognuno di loro, per cui seguirono altrettante risposte da quelli ai quali esse erano state rivolte, comunque sempre restando tutte nella genericità. Ma poi, a un certo momento, la loro conversazione volle incentrarsi su un argomento importante, che riguardava la fine del soggiorno del re Cloronte e della regina Elinnia presso la reggia actinese e la loro partenza per Dorinda. Il discorso fu aperto da Leruob, volendo rifarsi a ciò che gli era stato raccomandato poco tempo prima dal cugino materno. Egli volle comunicare a tutte le persone presenti quanto segue:
«Per espresso volere di mio cugino Iveonte, dovrò essere io a condurre nella loro città i suoi genitori, ossia i miei zii. Perciò sapete dirmi quando il loro trasferimento potrà avvenire? Prima che la loro partenza avvenga, dovrò incaricare il qui presente fratello di mio padre di riportare l'esercito beriesko in patria. Esso, infatti, non potrà restarsene a bivaccare su questi territori per tutto il lunghissimo tempo che mi ci vorrà per accompagnare con cento dei miei uomini gli zii nella loro città e ritornarne. Mio zio Allemb, precedendomi in Berieskania, al fine di tranquillizzarlo, farà al nonno un resoconto dettagliato di quanto c'è stato in questi luoghi e dei risvolti positivi che ne sono derivati, grazie al nostro esercito.»
«Nessuno te lo contesta, Leruob.» gli rispose il re Francide «Ma prima bisognerà vedere se i miei suoceri sono ancora in grado di affrontare un viaggio del genere, poiché esso risulterà ad entrambi molto faticoso. A causa della loro età e del loro cagionevole stato di salute, l'uno e l'altra potrebbero risentirne negativamente. A ogni modo, già da domani, l'esercito beriesko potrà lasciare i territori actinesi e rimettersi sulla via del ritorno che lo condurrà in Berieskania, alla cui testa ci sarà tuo zio.»
«È pacifico, sovrano di Actina, che l'esercito di mio nonno nella giornata di domani riprenderà il viaggio che lo riporterà nella nostra terra, poiché sarà mio zio a guidarlo, come già gli ho fatto presente. Invece, per quanto riguarda il ritorno a casa del re Cloronte e di mia zia Elinnia, non credi che dovranno essere loro due a dirci se se la sentono oppure no di intraprendere tale viaggio? Essi, se opteranno per il sì, di certo non galopperanno sulla groppa di due cavalli; ma il loro spostamento dovrà avvenire su comode portantine. Inoltre, gli si dovrà permettere ogni tanto delle soste per sgranchirsi le rattrappite gambe. Chiarito questo particolare, facciamo che siano loro due a stabilirlo, senza che noi due stiamo qui a proporci un problema che non ci compete!»
All'insistenza del cugino dell'amico fraterno, il re Francide sentì l'obbligo di rivolgersi ai regnanti di Dorinda e domandargli:
«Trattandosi della vostra salute, miei cari suoceri, dopo che avete ascoltato me e Leruob, a questo punto, dovete essere voi a prendere una decisione, circa il vostro ritorno a Dorinda. Allora volete darci una risposta tendente a chiarirci cosa ne pensate, in merito al viaggio che vi si vuole fare intraprendere per raggiungere la vostra amata città?»
Allora si prestò il re Cloronte a rispondergli anche a nome della consorte. Perciò, con ferma convinzione, gli si espresse con queste parole:
«Francide, io e la mia Elinnia siamo già da molto tempo ospiti tuoi e di nostra figlia, la qual cosa ci ha anche un po' annoiati. Vi ringraziamo per l'ottima e squisita ospitalità che ci avete riservata in ogni giorno della nostra permanenza qui da voi. Adesso, però, è giunto il momento di lasciarvi e di farci condurre a Dorinda dal nipote della mia Lerinda e dalla sua scorta. Non hai torto ad asserire che il viaggio ci risulterà duro e stancante; ma noi ce la metteremo tutta per sopportarlo. Non scordarti che lo vuole pure nostro figlio Iveonte. Il quale, come abbiamo ascoltato, ha già trovato la persona giusta che dovrà condurci nella nostra città, quella che anche tu reputi affidabile in tutti i sensi, quasi egli fosse un altro tre stesso e un altro tuo amico fraterno.»
«Mio caro suocero, se è ciò che desiderate tu e tua moglie, allora non si ponga più altro indugio nella vostra partenza! Perciò oggi stesso ne farò affrettare i preparativi, che dovranno farvi affrontare il viaggio con meno fastidi possibili. Così domani, già alle prime luci dell'alba, sarete pronti per incamminarvi alla volta di Dorinda. Verranno con voi anche i validi e fidati giovani di Lucebio, i quali sono Solcio, Zipro, Polen e Liciut. Essi daranno una mano a Leruob nell'indicargli il percorso da seguire. Inoltre, in riferimento a quanto hai espresso sul valore di Leruob, sono d'accordo anch'io e giammai mi sognerei di non riconoscerglielo!»
L'indomani, ai primi albori, ci fu la partenza dei regnanti di Dorinda e dei loro accompagnatori, come previsto. Ma prima si era stabilito che i due illustri coniugi avrebbero viaggiato a volte a cavallo e altre volte sopra le portantine, delle quali iniziarono a servirsi soltanto dopo che furono usciti dalla Città Santa. Comunque, il loro commiato dalla figlia Rindella era avvenuto non senza andare incontro a commoventi abbracci. I quali erano riusciti anche a riempire i loro occhi di tiepide lacrime. Esse si erano date a scorrere giù per le guance di ciascuno di loro, mentre si scambiavano le varie effusioni di affetto, che erano apparse velate di profonda malinconia.
Si era al settimo giorno del loro estenuante viaggio, che fino a quel momento non aveva dato alcun problema. Ora il gruppo dei viaggiatori si stava accingendo ad oltrepassare il confine polco-stiachese, allorquando fu intercettato da una grossa banda, la quale era formata da un paio di centinaia di predoni. Siccome in quel momento i due regnanti viaggiavano stando seduti all'interno di comode portantine, quel tipo di trasporto convinse i banditi che avevano a che fare con persone possidenti. Per cui avrebbero potuto trarre da loro un consistente profitto, se avessero condotto bene la trattativa. Allora chi li comandava, tenendo i suoi uomini ad una trentina di metri dal gruppo dei viaggiatori, inviò il suo vice presso di loro per fargli recapitare il seguente messaggio:
«Il mio capo Rokrus, non volendo arrecarvi del male fisico, che potrebbe essere anche mortale, mi manda a farvi una sua proposta. Se me lo consentite, ve la comunico senza perdere tempo.»
«Sarebbe tale proposta?» gli domandò Leruob «Se la riterremo ottima per noi, perché non dovremmo accettarla? Orsù, faccela conoscere, ambasciatore del tuo capo, perché così ti daremo la risposta.»
«Ebbene, egli vi manda a dire che, se siete disposti a sborsarci una quantità di oro dello stesso peso della sua spada, vi lascerà proseguire il vostro cammino indisturbati, senza che nessuno di voi subisca il minimo danno. Allora cosa dovrò rispondere al mio capo, da parte vostra, ora che conoscete la sua proposta? Vi avverto che, se vi rifiutate di accettarla, dopo verremo qui e vi uccideremo tutti, senza risparmiarne neppure quei due vecchi che vi portate dietro in quelle cose!»
Mentre gli altri Berieski sogghignarono alle parole del predone, Leruob, fingendo di essere interessato alla proposta che il predone era venuto a fargli, non tardò a rispondergli:
«Prima di accettarla, birbante di un brigante, vorrei dare un'occhiata alla spada del tuo capo, la quale potrebbe pesare più di un maiale come te! Non ti sembra giusto che io mi accerti della sua pesantezza?»
«Viaggiatore, se vuoi vederla, al fine di farti una idea del suo peso, ti tocca seguirmi e presentarti al mio capo. Trovandoti poi lì, potrai anche metterti d'accordo con lui sul modo di consegnarci il vostro oro! Allora sei pronto a venire con me per raggiungere il mio capo, il quale già si sta infastidendo a causa del mio eccessivo ritardo?»
«Certo che lo sono, emerito scroccone! Comincia pure ad andare avanti tu, poiché tra un attimo ti starò dietro, essendo desideroso di conoscere il peso della spada del tuo capo.»
Quando poi furono davanti a colui che capeggiava la banda, egli, apparendo contrariato, domandò al suo vice:
«Mi dici, Nust, che bisogno c'era di condurre presso di me uno dei viaggiatori? Se è venuto a portarci l'oro, in quel caso poteva consegnarlo direttamente a te. Non ti pare?»
«Rokrus, essendo costui il loro capo, prima di accettare la tua proposta, egli intende valutare quanto pesa la tua spada. Perciò gli consenti di soppesarla, come chiede, perché ne abbia il peso approssimativo?»
«Perché mi dici questo, Nust? Forse egli, se trova eccessivo il peso della mia spada, si illude di non corrisponderci l'oro che sono tenuti a versarci, se vogliono salva la vita da noi? Se è ciò che pensa, ti dico che qualcosa nella sua testa funziona davvero male!»
«Questo lo vedremo, dopo che mi sarò reso conto del peso reale della tua spada.» Leruob intervenne a contrapporsi a lui «Intanto, capo di questa banda, consentimi di reggere la tua arma perché ne calcoli il peso. Mica ti costa qualcosa a farmi avere una idea del suo peso!»
«Certo che te lo lascio fare, sconosciuto, visto che non mi costa niente permetterti di soppesare la mia spada per qualche minuto e non un secondo di più. Ma ti premetto che non ti servirebbe a niente, se tu dopo, trovando eccessivo il suo peso, volessi accampare pretesti per sottrarti all'obbligo di consegnarci l'oro ad esso corrispondente!»
Così dicendo, Rokrus porse a Leruob la sua enorme spada. Allora il giovane, prima finse di soppesarla per valutarne il peso. Pochi attimi dopo, invece, senza che nessuno dei presenti se ne rendesse conto, usò l'arma in modo da consentire ad essa di spiccargli la testa dal collo, tra una grande profusione di sangue, il quale schizzò dappertutto. Allora l'evento cruento impressionò tantissimo la decina dei suoi uomini che lo affiancavano; anzi, li fece talmente inorridire, da privarli di ogni iniziativa a reagire. Da parte sua, però, Leruob li ammonì:
«È questo l'oro di cui intendo farvi dono, maledetti malandrini! Se ci fosse qualcun altro intenzionato a riceverlo, sappia egli che ne ho abbastanza per soddisfare tutti quanti voi!»
In un primo momento, quei pochi predoni di Rokrus rimasero inebetiti. Ma poco dopo uno di loro si diede a gridare forte: "Ha decapitato il nostro capo, uccidendolo di colpo! Venite tutti qui!"
Quelle grida fecero accorrere da tutte le parti i restanti componenti della banda, che bivaccavano a breve distanza. A quel punto, essi presero coraggio e decisero di ridurre l'uccisore del loro capo in un qualcosa che nessuno più sarebbe stato in grado di riconoscere. All'inverso, prima della loro reazione punitiva, ci fu l'azione distruttrice di Leruob a risultare un vero flagello per tutti loro. Egli immediatamente si diede a mietere in mezzo a loro decine e decine di vittime, senza che i predoni riuscissero ad arrestare la sua furia scatenata oppure a sfuggire ad essa. L'imbattibile Beriesko, ricorrendo ad un modo di combattere eccezionale e facendo uso delle arti marziali in maniera ineccepibile, risultò fra la ciurmaglia dei predatori una vera macchina da guerra. All'improvviso, fu visto scatenarsi contro di loro con rabbia ferina, la quale non smetteva più di provocare ovunque morte e gravi mutilazioni, che non risparmiavano nessuno. Ognuno riceveva la sua parte mortale o invalidante, tra urla di dolore e di disperazione. Esse si facevano udire pure dai suoi uomini e dai giovani dorindani, benché si trovassero ad una modesta distanza dal macello, che egli andava provocando in mezzo ai suoi nemici.
Quando infine ebbe distrutto l'intera banda dei predoni, Leruob se ne ritornò presso i suoi soldati e i quattro giovani dorindani. I quali, fino a quel momento, avevano badato ad assicurare ai regnanti di Dorinda la massima protezione possibile da quanti avessero tentato di arrecare ad entrambi del male. Tutti, al suo rientro al campo, si affrettarono a fare a Leruob le loro congratulazioni, per come aveva condotto la trattativa con la banda di Rokrus, facendo fuori i suoi componenti, dal primo all'ultimo. Ma il giovane, anziché badare ad accettarle da loro, li esortò a riprendere il cammino, volendo evitare una perdita di tempo maggiore di quella da lui considerata indispensabile.
Dopo quel contrattempo che non si attendevano, i Berieski non andarono incontro a nessun'altra circostanza da affrontare con un certo rincrescimento, per cui arrivarono nei pressi di Casunna con i minori disagi possibili. Comunque, in quel luogo sorse il seguente problema: Conveniva approfittarne, al fine di trascorrere una intera giornata presso la corte del re Raco, il quale ne sarebbe stato molto felice, e fare così riprendere le forze al re Cloronte e alla regina Elinnia? In verità, Leruob lo lasciò decidere agli zii, non volendo prendersi la responsabilità di una simile scelta. Allora i due regnanti, bramando di essere al più presto nella loro adorata città, preferirono rinunciare a quella bella opportunità che gli si veniva ad offrire. Perciò costrinsero quelli che li scortavano a proseguire per la loro strada. Prima di rimettersi in cammino, fu anche stabilito che Zipro e Liciut li avrebbero preceduti nella Città Invitta, con il compito di avvisare Lucebio e Croscione dell'imminente arrivo a corte dei legittimi regnanti e prepararli allo straordinario evento. Il saggio uomo, da parte sua, all'annuncio, non se ne sarebbe rimasto con le mani in mano. Al contrario, avrebbe fatto in modo che in Dorinda venisse a saperlo l'intero popolo dorindano, affinché tutti i cittadini si preparassero a riceverli con immensa gioia e con grande calore, come già un tempo erano abituati a farlo nei confronti dei loro nobili regnanti.
A questo punto, anticipiamo l'arrivo dei due giovani a Dorinda e ci diamo ad interessare di Lucebio, che ora viveva a corte, poiché si era autoproclamato reggente dell'amico re Cloronte, fino al suo ritorno a Dorinda. Comunque, già si erano trasferiti nella reggia anche Croscione e il terzetto femminile, che era composto dalla nobildonna Madissa, dalla principessa Lerinda e dalla sua nutrice Telda. Quando lo raggiungiamo, egli era intento a conversare con Croscione; anzi, essi stavano discutendo proprio sul re Cloronte e sulla data presumibile del suo ritorno alla città, che egli non finiva mai di adorare. A tale riguardo, l'uomo non vedente stava chiedendo all'amico:
«Sapresti dirmi, Lucebio, quando si faranno rivedere a Dorinda il re Cloronte e la sua regale consorte? In merito al loro ritorno a corte, se devo esserti sincero, dopo che si saranno sistemati di nuovo nel palazzo reale, mi troverò in grande imbarazzo. Il motivo? Non saprei come giustificargli la mia presenza in un posto dove essa dovrebbe risultare la più sgradita, a causa della mia precedente condotta.»
«Come potrei dirtelo, Croscione, se sono qui, come lo sei tu? Per prevedere un fatto del genere, dovrei essere un indovino! In riferimento poi all'altro discorso, forse non hai torto, Croscione, a fare un simile ragionamento. Al posto tuo, mi sentirei anch'io a disagio, se non ci fosse qualcuno a cavare le castagne dal fuoco al posto mio. Invece tu ce l'hai quel qualcuno, che sarei io. Per questo non devi preoccuparti, poiché farò sì che il mio amico Cloronte ti veda sotto una diversa luce, anziché sotto quella che è stata un tempo. Sei contento?»
«Altroché se sono contento, Lucebio! Ti ringrazio di cuore per la tua bontà! Lo so che tu e il sovrano di Dorinda eravate come due fratelli. Per questo il re Cotuldo ci teneva moltissimo a farti incappare nella sua rete; ma, per tua fortuna, non ci è mai riuscito.»
Già l'ex consigliere del re Cotuldo si preparava a fare una nuova domanda all'amico, allorché inaspettatamente si presentarono ai due anziani colloquianti Zipro e Liciut. Di loro due, fu il primo a rivolgersi all'ex capo dei ribelli e a fargli presente:
«Lucebio, i sovrani di Dorinda tra qualche giorno saranno in città, per cui molto presto te li ritroverai qui a corte. Ciò è stato possibile, solo perché Actina non è più sotto assedio e gli eserciti alleati hanno fatto ritorno alle loro città, dopo che i loro comandanti in capo, grazie anche alla presenza dell'esercito beriesko, sono rinsaviti e si sono resi conto dove veramente si trovava il marciume. Il re Francide ha anche invitato questi ultimi a mettere sul trono delle loro città i legittimi eredi, siccome i vecchi re erano venuti meno, per essere stati uccisi dagli Umanuk.»
«Adesso, Zipro, mi dici con chi sono il re Cloronte e la regina Elinnia? Chi si sta prendendo cura di loro? Non è forse vero che Iveonte è con loro e li sta conducendo qui a Dorinda? Non potrebbe essere altrimenti!»
«Invece, Lucebio, devo contraddirti. Iveonte non ha potuto accompagnarli personalmente, siccome in questo momento è impegnato in una missione, dalla cui riuscita dipenderà il destino dell'intero universo e, con esso, quello dell'Edelcadia e della nostra Dorinda.»
«Ma riusciranno, Zipro, i soli Solcio e Polen a proteggere i nostri regnanti, se si presentasse una banda di malintenzionati per fare loro del male? Penso di no, per cui comincio già a preoccuparmi per loro due!»
«Invece, Lucebio, in caso di bisogno, ci sarebbe Leruob a proteggerli, che vale più di me, di Solcio, di Polen e di Liciut, messi insieme.»
«Chi sarebbe questo Leruob, giovanotto, per essere così forte?»
«Innanzitutto ti faccio presente che è il cugino di Iveonte, essendo nipote della nostra regina Elinnia. Egli ha saputo già difendere i suoi zii contro una banda di duecento predoni, che avevano preteso tramite un loro messaggero tanto oro quanto pesava la spada del loro capo. Allora Leruob, dopo essersi fatto accompagnare dal suo capo, prima ha reciso la testa a lui e poi, sempre da solo, ha affrontato le due centinaia di malandrini e li ha fatti tutti fuori. Adesso ti senti tranquillo, Lucebio?»
«Ora sì, Zipro, dopo quanto mi hai raccontato su Leruob!»
Essendo stato chiarito tale importante particolare, che si era incentrato sulla sicurezza dei due regnanti di Dorinda, fu ripresa la vecchia discussione dal gruppo degli interlocutori presenti.
«A questo punto, cosa si fa, Lucebio?» chiese premuroso Croscione, non riuscendo ad immaginare nulla che potesse servire al lieto evento.
«Come cosa si fa, amico mio! Te lo dico io! Bisogna subito darci ai preparativi, che dovranno accogliere degnamente in città i nostri benamati sovrani. Il popolo dovrà venirne a conoscenza al più presto tramite i banditori reali, perché si prepari a riceverlo festosamente e si dia ad ornare le strade con festoni ottenuti con rami intrecciati con foglie e fiori, disponendoli da una parte all'altra delle strade nel senso della larghezza. Alternati ai festoni e posti alla stessa maniera, si possono anche adoperare pezzi di stoffe variamente colorate, annodandoli l'uno all'altro. Inoltre, andranno appesi nella loro parte centrale dei fogli di cartapecora con sopra scritto: "Bentornati a Dorinda, re Cloronte e regina Elinnia!”»
«Secondo me, Lucebio,» aggiunse Zipro «occorrerà avvertire anche gli ex capistrada, affinché facciano attivare in tal senso tutti gli ex ribelli. Ciascun gruppo dovrà darsi da fare nella propria via.»
«Certo, giovane sagace, che anch'essi dovranno essere avvisati, ma questa volta non con il solito trucco di allora, ma contattandoli direttamente. Inoltre, bisognerà partecipare il grandioso evento anche a quanti soggiornano ancora sull'altopiano, invitandoli a trasferirsi in città per partecipare alle varie manifestazioni di festoso accoglimento del loro sovrano in arrivo. Insomma, ogni cosa dovrà essere allestita a puntino, perché l'ingresso in Dorinda dei nostri regnanti avvenga in modo glorioso e trionfante, accolti da un bagno di folla giubilante, mentre si dà a gridare: "Bentornati, carissimi re Cloronte e regina Elinnia!" In più, ognuno dovrà darsi ad agitare un ramo di ulivo oppure a sventolare un pezzo di stoffa colorato, creando scenari coreografici al loro passaggio.»
I legittimi sovrani di Dorinda fecero il loro ingresso in città, tre giorni dopo che Lucebio era stato raggiunto da Zipro e da Liciut, i quali gli avevano anche comunicato la data presumibile della presenza a corte dell'amico re Cloronte. Allora l'intera popolazione accorse festante e già preparata a riceverli, come il pupillo del defunto re Kodrun aveva raccomandato. Perciò costui se ne compiacque tantissimo e si mostrò orgoglioso del fastoso apparato di calda accoglienza riservato ai due sovrani. Infatti, una immensa moltitudine di persone, giunte da ogni strada cittadina, avevano voluto circondarli, applaudirli ed inneggiare a loro due, dandosi ad accompagnarli poi fino a quando non raggiunsero la reggia