443°-IL RE FRANCIDE INCONTRA LERUOB E TIONTEO

L'arrivo alla corte di Actina dei quattro giovani dorindani risultò un fulmine a ciel sereno, poiché il re Francide e il cognato Astoride non se li aspettavano così presto di ritorno dalla loro missione. Quando se li videro davanti, per prima cosa se li abbracciarono; dopo, volendo sapere ogni cosa sulla loro missione, si diedero a rivolgergli parecchie domande riguardo ad essa. Appresa poi ogni cosa che la concerneva, essi preferirono che la conversazione, che seguì di lì appresso, avesse come argomento il fantomatico esercito. Il quale, uscito dal nulla, aveva salvato da morte certa i loro concittadini della tendopoli. In riferimento a quell'evento incomprensibile, il sovrano di Actina domandò al nipote di Sosimo:

«Possibile, Solcio, che in tale circostanza, in un certo senso miracolosa per la nostra gente fatta evacuare dalla città, i fatti si siano svolti nel modo che ce li hai raccontati? Sei sicuro di non esserti sbagliato?»

«Certo che è stato così, sire! Altrimenti perché avrei dovuto narrarveli, come li avete uditi da me? Lo riconosco che la cosa può sembrarvi incredibile; ma per fortuna questa è la pura verità!»

«Ritornando ancora all'esercito, che ha preso le difese dei nostri concittadini e che può apparirci soltanto irreale, t'invito, Solcio, a fare uno sforzo di memoria e a ricordare in merito ad esso qualcosa che possa presentarcelo meno somigliante ad una fatamorgana. Non posso assolutamente credere che l'esercito da noi considerato sia venuto fuori dal nulla tutto ad un tratto. Inoltre, come se fosse già un suo preciso obiettivo, di propria volontà si sia dato così a colpire i nostri nemici, allo scopo di salvare gli Actinesi che soggiornavano in zona.»

«Eppure i fatti si sono svolti esattamente in questo modo, re Francide! Anch'io ho avuto questa impressione, convincendomi che in quel momento una mano divina, dopo averli fatti intervenire in quel luogo, guidasse poi l'assalto di quei cavalieri contro coloro che se lo meritavano. A proposito, in mezzo a loro ce n'era uno che pareva la furia in persona. Mettendo in mostra una bravura eccezionale nell'uso delle armi e delle arti marziali, non smetteva di seminare morte e mutilazioni varie tra i cavalieri degli eserciti alleati. Mentre lo seguivo, ad un certo punto, l'ho stimato perfino alla tua portata e a quella del tuo amico fraterno. Comunque, a mio giudizio, la sua preparazione combattentistica si mostrava di poco inferiore alla vostra.»

«Allora anche questo particolare ci deve stupire, Solcio! Ad ogni modo, potresti giurare che egli non era Iveonte? Te lo chiedo perché egli, in questi ultimi tempi, si sta facendo notare in varie occasioni. E ogni volta ha preso le difese di quanti ne necessitavano!»

«Come avrei potuto, sovrano di Actina, non riconoscere il mio maestro d'armi e di arti marziali? Stanne certo che giammai mi sarebbe sfuggita la sua inconfondibile fisionomia, pur combattendo egli in mezzo a migliaia di guerrieri! Te lo posso assicurare!»

«Solcio, non capisco però come mai, dopo aver lasciato la tendopoli degli Actinesi, non vi sia venuta l'idea di appurare cosa faceva il longanime esercito da quelle parti, per cui era riuscito ad intervenire contro i nostri nemici a tempo debito. Se lo aveste fatto, sareste venuti anche a conoscere la sua provenienza e la sua destinazione. Voi quattro non siete d'accordo con me che entrambe le conoscenze ci sarebbero state molto utili? Invece adesso entrambe giacciono nell'ignoto, per cui cominciano a tenermi sulle spine, anziché tenermi calmo.»

«Perché mai, Francide,» intervenne a chiedergli Astoride, che era rimasto basito dopo l'ultima frase del cognato «dovrebbe tenerti in agitazione il fatto che s'ignorano tali due cose dell'esercito in questione? Per favore, vorresti chiarirmi questo particolare?»

«Nessuno di voi si è soffermato a meditare che esso forse costituiva solo una parte di un esercito molto più grosso, il quale era accampato non molto lontano. Per cui, se fosse vera questa mia ipotesi, dovremmo iniziare a preoccuparci sul serio! La sua presenza in quelle terre ci farebbe pure congetturare che la sua meta potrebbe essere solo l'Edelcadia. Perciò Actina risulterebbe la sua prima città da assediare e da conquistare. A quel punto, se da una parte ci ha fatto del bene; dall'altra, esso si preparerebbe a farci del male.»

«Probabilmente, cognato mio, non hai tutti i torti! Ma nel caso che tu avessi ragione, mi dici cosa potremmo fare per arginare l'avanzata di questo ipotetico esercito in arrivo, mentre già siamo alle prese con un altro esercito, il quale ci tiene sotto assedio?»

«In concreto, nulla, Astoride! M'interesserebbe però conoscere ciò che il nuovo esercito si propone di fare con la sua presenza ai confini dei nostri territori, ammesso che non li abbia ancora oltrepassati. Magari, al momento attuale, avendoli superati, esso si trova già sulle nostre terre e starà marciando in direzione della nostra città!»

«Se così fosse, Francide, gli Actinesi potrebbero solo attendere l'esito dello scontro che si avrebbe fra i due eserciti. Secondo me, quest'ultimo verrà a darci soltanto una mano, poiché allenterà la nostra tensione, intanto che si darà a scontrarsi con quello che ci assedia.»

«Questo è senz'altro vero, Astoride. Io, però, prima che ciò avvenga, vorrei rendermi conto della realtà dell'esercito in arrivo. Ossia vorrei conoscere di esso più cose possibili, poiché esse ci aiuterebbero ad agire in una maniera anziché in un'altra, pur restando in stato difensivo tra le mura della nostra Actina. Ma per ottenere ciò, bisognerà indagarlo da vicino, senza star qui ad arzigogolare intorno a quanto ci proponiamo di conoscere. Non ti pare?»

«Non mi dire, cognato mio, che intenderesti andare di persona alla ricerca delle notizie che vorresti avere su tale esercito! In verità, non ho ancora compreso se esso suscita in te curiosità oppure preoccupazione! Allora ci metti al corrente di cosa vuoi fare, a tale riguardo? Spero proprio che tu, in qualità di sovrano della Città Santa, non voglia compromettere la tua incolumità!»

«Invece, Astoride, è proprio ciò che desidero fare. Stanotte stessa, perciò, io e i quattro giovani qui presenti c'infiltreremo fra le truppe bisnesi e ce ne allontaneremo per andare incontro all'esercito, del quale non conosciamo niente. Sono sicuro che essi saranno d'accordo a venire con me e volentieri si faranno carico di quest'altra delicata missione.»

«Certo che siamo disposti a seguirti, re Francide!» Solcio gli rispose per tutti «Sappi che siamo disposti ad accompagnarti anche fino in capo al mondo ed attraverso le più perigliose traversie! Il motivo ti viene subito detto: per noi sarà un onore esserti al fianco e condividere ogni tua vicenda travagliosa!»

«Grazie, arditi giovani dorindani, per il vostro appoggio! Allora possiamo già cominciare a prepararci per la partenza di questa notte. Sarete voi a condurmi per lo stesso sentiero già da voi intrapreso nell'altra vostra missione, non potendo essere altrimenti.»

Nello stesso tempo che alla corte di Actina si erano dati a conversare il re Francide, suo cognato Astoride e il gruppo dei giovani dorindani, i comandanti in capo degli eserciti alleati si erano riuniti per discutere sul ritardo del convoglio da loro inviato per procacciare i viveri, i quali avrebbero dovuto sfamare i loro soldati. Ma non avendo potuto ipotizzarne la causa, avevano deciso d'inviare uno squadrone di cavalleria alla volta dei territori dove ci sarebbe dovuto essere il procacciamento degli stessi per rendersi conto del perché del suo ritardo. Così tali cavalieri nemici, che potevano essere un centinaio, si erano messi in cammino nel pomeriggio dello stesso giorno che in serata avrebbe visto il sovrano di Actina e i suoi quattro accompagnatori intraprendere la loro ardita missione. Nella nottata, essi avrebbero perfino superato le linee nemiche e se ne sarebbero allontanati, stando in groppa a cavalli sottratti ai soldati bisnesi, senza che fossero sorti problemi di sorta.

Ma il giorno seguente, quando il tramonto si fu affacciato sopra ogni angolo della natura, essi furono avvistati dallo squadrone di cavalleria nemica, il quale si accingeva a raggiungere la loro stessa meta, anche se per motivi diversi. Allora quelli che lo componevano, anziché badare ai fatti loro, preferirono dirigersi verso il piccolo gruppo a cavallo ed esagerare nelle loro domande, a volte con tono canzonatorio. Ciò provocò la loro reazione violenta, la quale smise di colpirli, solo quando si videro tutti gli avversari accasciarsi morti per terra.


Il giorno dopo, poco prima di mezzogiorno e quando si trovavano ancora sui territori actinesi, il sovrano di Actina e i giovani dorindani scorsero di lontano un grandissimo esercito. Esso, in quel momento, era accampato su una piana molto estesa, dove i suoi soldati erano intenti a bivaccare. Allora stabilirono di avvicinarsi ad esso con circospezione, siccome la loro intenzione era quella di valutarne l'effettiva consistenza. Così, dopo che c’erano state alcune perlustrazioni effettuate da vari punti del loro vasto accampamento, essi la stimarono abbastanza considerevole. Secondo la loro stima, il numero dei suoi soldati e quello degli assedianti di Actina probabilmente si equivalevano. Ad ogni modo, dalle medesime ispezioni, non furono in grado di apprendere su di esso alcuna notizia riguardante la sua provenienza e le ragioni che avevano spinto tale popolo ad intraprendere quel loro viaggio. Una volta raggiunti tali risultati, l'esiguo gruppo actinese, pur considerandoli poco apprezzabili, prese la decisione di lasciare quel luogo e di fare ritorno ad Actina. Ma essi lo ebbero appena deciso e stavano anche per ripartire, allorché si videro accerchiare da una cinquantina di cavalieri comandati da un giovane. Egli aveva tutta l'aria di mostrarsi superiore agli altri, fossero essi i suoi uomini oppure i forestieri da loro accerchiati. A tale accerchiamento, il re Francide si rivolse loro e si diede a dirgli:

«Se non avete nulla in contrario, anche perché abbiamo una certa fretta, intendiamo lasciare in pace questo posto. Allora ci fate largo e ci consentite di andare via, senza che ci venga intralciato il cammino?»

«Se invece non fossimo d'accordo, per aver stabilito di farvi nostri prigionieri e di condurvi all'interno del nostro accampamento, sareste ugualmente dell'idea di andar via senza il nostro consenso? Mi piacerebbe avere la vostra risposta, se non vi dispiace!»

«Visto che la situazione ce lo richiederebbe, non avremmo altra scelta. Perciò spingeremmo i nostri cavalli a proseguire dritti per la nostra strada. Ma se, malauguratamente per voi, la cosa non vi garbasse e foste convinti che avreste l'indubbia vittoria dalla vostra parte, allora v'invito a riconsiderare meglio la vostra posizione, potendo essa farvi ritrovare privi della vostra esistenza. Allora ci lasciate andare via, per il vostro bene, il quale diventerebbe il vostro male, se la pensaste in maniera contraria? Attendo la vostra risposta!»

«Straniero, bella presunzione è la tua, se hai l'ardire di minacciarci in questo modo! Ma visto che hai pensato che noi ci sentiamo più forti, solo perché siamo di numero dieci volte maggiore rispetto a voi, allora eccomi a farvi una mia proposta. Sarò solo io a combattere contro voi cinque, naturalmente presi tutt'insieme. Se sarete capaci di battermi, vi do la mia parola che dopo i miei uomini non vi attaccheranno e vi lasceranno andare. Così vi avrò dimostrato che ti sbagliavi, quando hai fatto dipendere il nostro coraggio dal nostro numero. Quindi, ve la sentite di affrontarmi come vi ho detto?»

«Certo che no, forestiero, dal momento che valgo da solo a farti mangiare la polvere in un nostro scontro! Per questo vieni giù da cavallo e abbi il coraggio di affrontarmi!»

Dopo essersi espresso in quel modo, il re Francide abbandonò la groppa del suo cavallo e pervenne al centro del cerchio, che i cavalieri sopraggiunti avevano formato da poco. Allora anche il capo di costoro non esitò ad imitarlo. Mentre poi si avvicinava, gli asserì:

«Non sai che piacere mi ha dato questo tuo atteggiamento da superspaccone, che tra poco sarò costretto a ridimensionarti, anche contro la tua volontà. Perciò prepàrati a subire una clamorosa sconfitta, dopo che la mia spada ti avrà impartito una lezione coi fiocchi!»

«Ah, ah, come diavolo ti chiami! Hai dato a me dello spaccone, quando invece tu vesti l'abito della millanteria. Qui occorre davvero che io ti dia la lezione, che hai promesso di dare a me! Così dopo, ammesso che ti farò grazia della vita, prenderai coscienza della verità e mai più ti verrà la voglia di fare lo smargiasso in presenza dei tuoi uomini, ai quali non piacerà vederti mangiare la polvere!»

«Adesso bando alle ciarle, se vogliamo dare inizio al nostro combattimento, quello che vorresti rimandare alle calende greche. Io sono pronto e spero che lo sia anche tu!»

«Certo che lo sono anch'io; ma prima consentimi di andare a chiedere una cosa ad uno dei miei amici. Se lo vuoi sapere, egli dovrà dirmi se ridurti in fettine oppure in bocconcini.»

Dette queste ultime parole, il sovrano actinese corse dal suo ex allievo e gli domandò:

«Solcio, egli non è forse il guerriero che hai visto impegnarsi a fondo, mentre faceva una grande strage dei nostri nemici? Sono propenso a credere di non sbagliarmi, considerato il suo atteggiamento.!»

«Infatti, re Francide, è proprio lui.» gli confermò il giovane.

A quella conferma, l'amico fraterno di Iveonte se ne ritornò ad occupare il suo posto precedente. Ma un istante dopo, cominciò a fare al suo avversario questo nuovo parlare:

«Se ho bene inteso, simpatico giovane, tu sei sicuro di vincere lo scontro quanto lo sono io. Ciò sta a significare che entrambi siamo due ossi duri da abbattere. Allora, grazie alla simpatia che nutro per te, non me la sento più di ucciderti. Anzi, ti faccio una mia nuova proposta, la quale potrebbe interessarti.»

«Come constato, prima dici che siamo tutti e due degli avversari ostici e poi te ne vieni fuori con la solita pretesa che saresti tu ad ammazzare me, durante il nostro combattimento. Ad ogni modo, lasciandoti cuocere nel tuo brodo, sentiamo cosa vorresti propormi.»

«Non appena inizieremo il nostro scontro, un tuo cavaliere dovrà darsi a fare il giro completo del vostro accampamento con il suo cavallo. Se al termine di esso nessuno di noi due avrà ancora sconfitto l'altro, smetteremo di combatterci. Inoltre, dandoci una calorosa stretta di mano, ci dichiareremo la nostra schietta amicizia. Sappi che mi sento di fare così, solo perché qualcosa mi dice che mi pentirei senza meno, se risultassi vincitore e sarei costretto ad ucciderti. Quanto a considerare il risultato opposto, l'ho escluso per il fatto che non avrebbe senso, dopo una mia eventuale morte. Come vedi, non si tratta di una mia presunzione, ma esclusivamente di una logica incontrovertibile. Ti sembrerà strano, però per un sesto senso avverto che dopo si chiariranno varie cose fra noi due!»

«Ebbene, straniero, siccome anche tu m'ispiri fiducia e simpatia, accolgo la tua proposta e ti prometto che accetterò volentieri la tua amicizia, se al termine della corsa del mio uomo, stiamo ancora qui a combatterci, senza che nessuno abbia battuto il proprio rivale.»

Un attimo dopo, contemporaneamente all'inizio dello scontro fra i due che si erano sfidati, fu dato il via al cavaliere scelto perché compisse un giro completo intorno al suo accampamento, la cui lunghezza perimetrale pareva che non volesse più finire. Perciò, non appena il martellare dei colpi di spada iniziò a farsi udire forte nell'aria circostante, egli si diede alla sua corsa pazzesca. Volendo chiamare le cose con il loro vero nome, i due combattenti avversari, almeno per la prima manciata di minuti, più che attaccarsi con furia, si erano dati ad uno studio reciproco, allo scopo di scoprire le potenzialità del rivale dal lato sia della difesa che dell'offesa. Alla fine entrambi si resero conto che la prudenza in quel combattimento diventava d'obbligo, se non intendevano andare incontro ad una sconfitta. Ma, ad un certo punto, se il re Francide ebbe l'impressione che già una volta si era trovato a che fare con quel tipo di scherma che metteva in mostra il suo rivale; anche a quest'ultimo non apparve nuovo quel giostrare con la spada del suo avversario. Il quale, se non andava errato, aveva molto di somiglianza con quello del cugino Iveonte, sebbene, come si rendeva conto, esso volutamente non si dimostrasse espresso al cento per cento. Ma per risultare vero un fatto del genere, il suo contendente sarebbe dovuto essere solo il suo amico fraterno. Invece chi gli stava di fronte intento a combattere con lui non poteva essere il re Francide, visto che il suo modo di vestire e di presentarsi non si faceva considerare quello di un sovrano. Quindi, doveva rinunciare a credere ad un'assurdità di quel tipo e cercare soltanto di dare il meglio della sua preparazione schermistica, siccome in quello scontro, da ambo le parti, si stava facendo a meno del ricorso alle arti marziali.

Mentre così ci si dava a lottare in incognito, senza che nessuno dei due avesse alcuna notizia del proprio contendente, sopraggiunse un commilitone dei cavalieri presenti che assistevano al combattimento e lo seguivano con molto interesse. Il nuovo arrivato, però, andò ad affiancarsi al gruppo dei quattro Dorindani, dove aveva intravisto più spazio per prendervi posto. In quell'istante, l'avversario del beriesko Leruob gli volgeva le spalle, per cui non poteva guardarlo in viso. Comunque, non aveva dubbi che egli sarebbe stato sconfitto, essendo Leruob colui che lo stava impegnando nel duello. Quando poi si fu affiancato alla quaterna di giovani non appartenenti al proprio esercito, egli non si astenne dal dare a ciascuno di loro un'occhiata di sfuggita. Ma dopo che l'ebbe data, si rivolse al solo Solcio e gli chiese:

«Noi due non ci siamo già conosciuti? Sono sicuro di averti visto in qualche altro posto! Vuoi aiutarmi tu a ricordare dove? Il mio nome è Tionteo; mentre tu come ti chiami?»

«Io mi chiamo Solcio; però neppure io ricordo di averti incontrato in qualche parte, prima di adesso. Ma se il nostro incontro c'è stato davvero, esso è potuto esserci solamente a Dorinda, che è la città natale mia e dei miei amici presenti. Allora essa ti dice qualcosa?»

«Certamente, Solcio! A Dorinda ci sono stato tempo fa con il mio amico Iveonte, quando lasciò Actina e vi accompagnò la sua ragazza, la principessa Lerinda. Dopo visitammo pure Lucebio: quel pozzo di scienza! Adesso che ricordo, fu in quella occasione che ebbi modo di vederti, ma solo per pochi istanti, ossia per il tempo che il saggio uomo ti diede un incarico per tuo nonno Sosimo. È così che si chiama il padre di tuo padre: vero? Anzi, adesso ne sono convinto.»

«Non ti sbagli, Tionteo. Ora, poiché hai rammentato il luogo dove riuscimmo appena a vederci, mi dici perché non sei più con Iveonte e te la fai con questa gente, che è venuta a conquistare l'Edelcadia? Sei forse diventato transfuga, per aver rotto l'amicizia con lui?»

«Cosa ti salta per la testa, Solcio! Non vi è stato detto ancora che questo è l'esercito, il cui comandante supremo è proprio Iveonte? Adesso che egli è assente, lo sostituisce nel comando il cugino Leruob, che è un guerriero quasi invincibile come lui. Per questo il vostro amico, che sta combattendo contro di lui ha poche speranze di uscirne vincitore! Ci vorrebbe Iveonte, al posto del vostro amico, per non farsi sconfiggere!»

«Se invece ci fosse il re Francide, Tionteo, credi che basterebbe per non farsi battere? Oppure neppure sarebbe sufficiente?»

«Me lo domandi pure, Solcio? Il suo amico fraterno sarebbe un altro Iveonte, per cui Leruob non potrebbe avere alcuna chance con lui. Qui, però, il sovrano di Actina non c'è e Leruob risulterà di sicuro il vincitore dello scontro. Te lo garantisco!»

«Allora prepàrati ad una bella sorpresa, Tionteo! Colui che sta tenzonando con Leruob è lui, ossia il re Francide. Non te l'aspettavi: vero?»

All'inattesa rivelazione di Solcio, Tionteo immediatamente si precipitò a raggiungere i due duellanti per fargli smettere all'istante il combattimento, il quale per lui risultava qualcosa d'innaturale. Poi, quando fu a due passi da loro, si diede a gridare forte:

«Ponete termine al vostro scontro, per favore, poiché non è giusto che vi combattiate fra di voi! Se venisse a saperlo Iveonte, fareste sena meno scatenare in lui un impeto di collera!»

«Ma cosa c'entra qui Iveonte, Tionteo?» i due duellanti gli chiesero simultaneamente.

«Sì che c'entra, se non lo sapete! Secondo voi, potrebbe egli rallegrarsi, alla notizia che suo cugino e il suo amico fraterno si stanno dando botte da orbi? Certamente no! Adesso vedete che egli c’entra?»

«Dove si trova ora il re Francide, Tionteo?» Gli chiese Leruob.

«Chi sarebbe il cugino di Iveonte, Tionteo?» gli chiese il re Francide.

«Siete proprio voi due, senza conoscervi l'un l'altro, egregi signori!» Tionteo rispose ad entrambi «Ma ora che lo avete appreso da me, dovrete fare qualcos'altro, anziché continuare a darvele: non vi pare?»

Allora il re Francide e Leruob, avendo compreso l'invito di Tionteo, all’istante smisero di combattersi. Di lì a poco, dopo essersi data una bella stretta di mano, essi si abbracciarono fraternamente, essendo lieti di fare la loro reciproca conoscenza. Quanto al cugino di Iveonte, egli fu felice d'invitare il sovrano di Actina nella sua tenda, ritenendosi anche molto onorato di accogliervelo. Dopo che vi furono giunti e si furono accomodati, Leruob fu il primo ad aprire bocca. Egli lo fece, poiché ci teneva a chiarire un particolare con il re actinese. Perciò, alla presenza di Tionteo e dei quattro giovani dorindani, si rivolse a lui e gli disse:

«Adesso, re Francide, posso dichiararti che, nel nostro precedente battibecco, eri l'unico a non peccare di presunzione, per cui potevi essere soltanto tu ad aspirare alla palma della vittoria. Ma ti garantisco che, a parte te e il mio cugino Iveonte, nessuno potrà vantarsi di superarmi nel maneggio delle armi e nelle arti marziali.»

«Te ne do atto, Leruob.» gli rispose il sovrano di Actina «A tale riguardo, sono sicuro che anche mio cognato Iveonte la pensa allo stesso modo, siccome ti avrà già saggiato, come è capitato a me di farlo, intanto che ci scontravamo. Infatti, durante la nostra tenzone odierna, non ho potuto fare a meno di apprezzare l'eccellente preparazione che hai dimostrato di possedere nell'uso delle armi. Da essa ho anche arguito che pure nelle arti marziali non puoi essere da meno.»

«Mi chiarisci, re Francide, come mai, riferendoti a mio cugino, lo hai definito tuo cognato? Fino ad oggi, mai nessuno mi aveva parlato di questo tipo di parentela esistente fra di voi. Sarà stato forse per distrazione, ma neppure Iveonte mi ha mai fatto presente questo particolare. Me lo vuoi spiegare tu in questa circostanza?»

«Con il vostro permesso, sire,» Tionteo s'intromise nella loro conversazione «vorrei rispondergli io su tale argomento, poiché ci tengo.»

Rivolgendosi poi al nipote di Nurdok, gli precisò:

«Tu non ricordi che, quando si presentò per la prima volta al nonno, tra le altre cose, Iveonte gli fece presente che a lui rimaneva la sola sorella Rindella, che il provvido destino aveva voluto risparmiare. Aggiunse poi che esso aveva anche permesso che ella si fidanzasse con l'amico fraterno Francide, il quale, una volta che era diventato sovrano di Actina, l’aveva pure sposata. Si vede che in quel momento dovevi stare distratto, magari parlavi con qualcuno dei tuoi cugini presenti. Perciò Iveonte, non potendo sapere che eri stato distratto in quella circostanza, non te ne ha mai parlato. Ora che ti ho chiarito questo particolare, Leruob, puoi anche continuare la tua conversazione con il sovrano di Actina, il quale, a quando vedo, la sta gradendo moltissimo.»

«Grazie, Tionteo, per la tua puntualizzazione tempestiva; inoltre, ci tengo a farti sapere che la tua memoria di ferro mi ha stupefatto. Adesso, però, visto che questo argomento non fa parte più del discorso aperto con il tuo sovrano, nel nostro prosieguo lo salteremo.»

Dopo, rivòltosi al suo interlocutore di prima, Leruob gli domandò:

«Posso sapere, re Francide, come mai ti aggiravi da queste parti, anziché restartene a governare nella tua bella città? Se non sono in errore, tu e i tuoi accompagnatori badavate a raggranellare più notizie possibili sul nostro esercito. Mi spieghi per quale motivo?»

«Essendo venuto a conoscenza della vostra presenza in questi luoghi, dopo che una parte del vostro esercito era intervenuto a favore dei miei concittadini sistemati nella tendopoli, volevo apprendere perché c'eravate e quali intenzioni avevate. Invece abbiamo trovato un esercito per niente a noi ostile, il cui capo supremo è addirittura il mio amico fraterno, il quale ha come suo vicecomandante te, che ti dimostri un guerriero intrepido e formidabile, alla maniera sua e mia. Ciò, per volontà del tuo eccezionale nonno. Ma mi dici chi vi ha avvisati in tempo della tendopoli actinese e che quanti vi soggiornavano stavano per correre un pericolo mortale? Inoltre, dopo che li avete salvati, perché non vi siete presentati a tutti loro, che vi volevano ringraziare?»

«Nobile sovrano di Actina, servirebbe a qualcosa, se ti dicessi come sono andati realmente i fatti? Secondo me, no. Anzi, adesso che ci penso, non so neppure se mi è permesso riferirteli.»

«Leruob, allora ho compreso tutto sull'una e sull'altra cosa. Sono sicuro che è stata opera della divina protettrice del nostro Iveonte. La quale ti ha anche suggerito come avresti dovuto comportarti, dopo aver sbaragliato e distrutto la cavalleria dei nostri nemici. Pure a me è apparsa più di una volta, come giorni fa si è mostrata a te. Naturalmente, se ci si è presentata, è perché io sono l'amico fraterno e cognato d'Iveonte e tu gli sei cugino. Solo così si giustifica la sua apparizione a noi due.»

«Non può essere altrimenti, re Francide. A proposito della cavalleria, che hai definita nemica degli Actinesi, perché non mi racconti tutto ciò che devo sapere su di essa? Così dopo avrò davanti l'intero quadro della situazione e ci capirò qualcosa in più.»

«Ebbene, Leruob, le stesse città che tanto tempo fa con i loro eserciti assalirono proditoriamente Dorinda, la città natale d'Iveonte, e detronizzarono il padre re Cloronte, da oltre un mese stanno assediando la mia città. Per il momento, essi hanno sospeso l'assedio, per essere venuto a scarseggiare i viveri nei loro accampamenti. Per questo avevano mandato un convoglio militare da queste parti, appunto per vettovagliarsi. Invece in queste terre quanti facevano parte dei numerosi carri e della cavalleria posta loro di scorta vi hanno trovato solo la morte. Né è toccata una sorte migliore ai cento cavalieri inviati a rendersi conto del perché mai il convoglio carico di vari alimenti tardava a giungere agli accampamenti. Essi sono stati da noi affrontati ed uccisi, dopo averci avvicinati e hanno cercato di fare i baldanzosi con noi. Ora si ritrovano a familiarizzare con la signora morte.»

«Ma se la Città Santa è sotto assedio, illustre sovrano, perché ce ne restiamo qui, senza correre in suo aiuto? Invece occorre precipitarci senza indugio presso le sue mura, dove sono accampati gli eserciti alleati. Così, con un'azione repentina, prima li sconfiggeremo e dopo li sbaraglieremo, infliggendogli una sonora sconfitta.»

«Hai ragione, Leruob, bisogna intervenire al più presto contro i farabutti e liberare dal loro assedio Actina e i suoi abitanti. Pur essendoci la mancanza di Iveonte, impegnato in una impresa più grande, non possiamo fare altrimenti.»

Poco dopo l'esercito beriesko, mediante una mobilitazione generale, si affrettò a levare l'accampamento e, sotto la guida del re Francide e di Leruob, si mosse alla volta di Actina, cercando di raggiungerla nel più breve tempo possibile. Comunque, si sapeva che esso non vi sarebbe pervenuto, se non fossero prima trascorsi almeno un paio di giorni. Da parte loro, quelli che lo guidavano, si ripromettevano di elaborare un piano tattico durante la loro avanzata verso la Città Santa.