440°-IVEONTE ANNIENTA PER SEMPRE IL MAGO GHIRDO

Qualche settimana dopo che c'era stato il suo proclama al popolo di Dorinda, Lucebio invitò nel salottino rosso Croscione per farsi una breve chiacchierata con lui. Glielo accompagnò una guardia che egli, a causa della sua cecità, aveva messo a disposizione del Casunnano, ogni volta che fosse stato necessario accompagnarlo in un posto, ma sempre nell'ambito della reggia. Quando i due amici si furono ritrovati l'uno di fronte all'altro, il saggio uomo gli fece presente:

«Se niente ci è sfuggito, Croscione, sono sicuro che siamo riusciti a mettere tutte le cose a posto qui nella reggia, senza che nessuno possa trovarvi qualcosa da ridire, a causa di qualche difetto tralasciato.»

«Lo penso anch'io, Lucebio, anche se la mia cecità non mi permette di controllare visivamente quanto vi è stato fatto. Comunque, quando i suoi legittimi regnanti siederanno di nuovo sul trono di Dorinda, ti garantisco che essi non potranno lamentarsi di nulla. A proposito del re Cloronte, credi tu che vorrà continuare a regnare sulla Città Invitta? Siccome tu lo hai incontrato ad Actina, sai dirmi se allora ti ha lasciato intendere qualcosa in merito al suo prossimo futuro?»

«Secondo me, Croscione, non appena riprenderà posto sul trono di Dorinda, suo primo atto regale, sarà quello di abdicare a favore del figlio Iveonte. Questa sua decisione, come ho potuto intuire, non deriverà dal suo cagionevole stato di salute attuale, il quale potrebbe motivare per buona parte la sua abdicazione. Invece egli avrà intenzione di prenderla principalmente perché si è convinto che il suo regno risultò un vero fallimento per la sua amata Dorinda, per averla ridotta in una città priva di ogni difesa. Si direbbe che il re Cloronte voglia autopunirsi, a causa dei suoi tanti errori commessi nel passato, gran parte dei quali furono dovuti alla sua insania di aver voluto seguire i consigli del cugino Iveonte, anziché quelli miei. Inoltre, oggi egli è cosciente di avere un primogenito che, com'era stato preconizzato già prima della sua nascita, è da considerarsi il campione di tutti gli eroi esistenti sulla terra. Nel quale sono rinvenibili l'invincibilità nelle armi e l'abito del guerriero retto, onesto e preparato in ogni ambito dello scibile umano. Perciò Iveonte saprà governare il suo popolo con giustizia, sopperendo a tutti i suoi bisogni materiali e morali. Ora ne è cosciente anche il mio amico re Cloronte.»

«Lo credo anch'io, Lucebio. Ma non dimentichiamoci che ci sarai anche tu al suo fianco a consigliarlo, tutte le volte che Iveonte avrà necessità del tuo prezioso aiuto. Sono sicuro che egli, una volta divenuto sovrano di Dorinda, vorrà soltanto te come suo consigliere di corte, non dubitando che dalla tua persona potranno provenirgli ottimi consigli sull’arte del governare, poiché essa dovrà essere improntata al senso della giustizia, quale appunto si manifesta in te.»

«Non potrebbe essere altrimenti, Croscione, considerato che la stessa cosa farebbe anche il re Francide, se la mia vita si svolgesse ad Actina. Entrambi, infatti, mi stimano tantissimo e giammai riterrebbero qualunque altra persona alla mia altezza.»

«Trovandoci a parlare dell'insuperabile Iveonte, vuoi dirmi, Lucebio, se ti era mai passato per la testa che egli, anche in base al suo nome, potesse essere il primogenito del re Cloronte? In caso affermativo, come mai non gli hai mai espresso tale tua supposizione?»

«Certo che qualche idea a tale riguardo in me c'è stata! Ma siccome alcuni forti indizi, i quali avrebbero potuto farlo considerare l'indiscusso figlio degli ex regnanti di Dorinda, venivano discreditati da fatti sorti unicamente per invalidarli, alla fine mi sono arreso ed ho rinunciato a pensare ad Iveonte come al figlio del re Cloronte.»

«Quali sono stati tali indizi, Lucebio, che sarebbero poi stati sconfessati da ragionevoli prove concrete, per avere esse a loro favore lo stigma della certezza? Ti dispiacerebbe riferirmeli? Se non sono indiscreto, ci terrei a conoscerli nella loro probabile realtà!»

«In primo luogo, Croscione, mi riferisco al nome che egli aveva, il quale già avrebbe dovuto indirizzare a considerarlo l'Iveonte da me avuto come compagno da piccolo. Invece il suo amico fraterno mi ebbe ad assicurare che esso gli era stato dato dal loro maestro, dopo il suo ritrovamento e dietro sua esplicita richiesta. Quanto poi al perché di tale scelta, potei immaginarla benissimo. Avendo egli in passato ferito a morte per sbaglio il cugino del re, che si chiamava Iveonte, in quella occasione Tio aveva ritenuto cosa giusta dargli il nome della persona da lui uccisa, anziché un altro qualsiasi. In secondo luogo, c'era la cicatrice, che aveva sulla spalla destra, la quale gli era stata procurata nell'infanzia da un uccello rapace. Anch'essa poteva farmelo credere il primogenito del re Cloronte. Ma fui ugualmente contraddetto da Iveonte e da Francide, i quali mi garantirono che era stato un uccellaccio ad aggredirlo in quello stesso posto, mentre giocavano a scaricalasino. Perciò anche la loro versione dei fatti si contrappose alla mia tesi, secondo la quale il giovane Iveonte che avevo davanti, in virtù anche del nuovo indizio, poteva essere soltanto il mio piccolo amico di un tempo. Come vedi, il destino aveva voluto che il secondo falco, con la sua aggressione alla stessa parte anatomica, cancellasse l'identità del principe Iveonte.»

«Anch'io, Lucebio, ho l'impressione che la sorte abbia voluto appositamente confondere le acque, circa il riconoscimento di Iveonte da parte tua, attraverso la coppia di episodi che mi hai riportato. Prima, però, esso aveva dovuto cancellare la sua memoria fino a quando era stato ritrovato da Francide nel cuore della foresta. In merito alla sua amnesia e a quanto mi hai raccontato, sono convinto che tali fatti c'erano stati non perché dovevano costringere Iveonte all'Isola della Morte, ma per un motivo ben più importante. Secondo me, durante il suo viaggio egli avrebbe dovuto recare soccorso a chissà quante persone perseguitate dalla sorte, le quali, soltanto con il suo arrivo in quelle zone remote, sarebbero state salvate oppure riscattate dalla malasorte.»

«Può darsi, Croscione, che le cose siano andate come hai ipotizzato, quasi tu fossi stato ispirato da qualche divinità nella tua interessante teoria. Allora, se così doveva svolgersi il futuro del nostro principe Iveonte, accettiamolo per com'è ed evitiamo di soffermarci ancora sopra, non essendoci più alcuna ragione per continuare a farlo.»

«Adesso, Lucebio, a proposito di Iveonte e dei suoi due amici, mi capitò d'incontrarli per la prima volta a corte, quando vennero a presentarsi al re Cotuldo. Ebbene, allora ebbi l'ardire di minacciarli davanti al mio sovrano, facendo loro presente che, se avessi voluto, avrei potuto troncare la testa a tutti e tre con un solo colpo di spada, senza immaginare che avevo davanti i due guerrieri più forti della terra, quali erano Iveonte e Francide. Ogni volta che la memoria mi riporta a quell'episodio, non so se pentirmi di averlo fatto oppure riderci sopra. Ma poi opto per la seconda alternativa, poiché la considero la più intelligente, convinto che allora avevo commesso l'errore più marchiano della mia vita!»

«Ben lo credo anch'io, simpatico Croscione, che quel giorno il tuo errore fu davvero madornale, siccome avresti potuto rimetterci la pelle, senza neppure rendertene conto! Adesso, però, occorre pensare ad altro, visto che c'è qualcosa che mi preoccupa ancora.»

«Mi dici, Lucebio, cos'è che ti dà preoccupazione, non essendoci più il mago Ghirdo, il quale sarebbe stato il solo a poterci mettere nei guai? Vorrei esserne messo al corrente, altrimenti finisci per impensierire anche me per qualcosa, di cui non ho neppure qualche idea!»

«Non ti avevo detto, Croscione, che avevo inviato i nostri nuovi guardaspalle Ibron ed Orbus a Casunna per rendersi conto di come procedevano le cose nella reggia di quella città, dove si è insediato da poco Raco, in qualità di re? Ovviamente, anche di costui avrebbero dovuto recarmi qualche notizia, informandomi se egli era riuscito ancora a mettere ordine dentro e fuori il suo palazzo reale. Invece, a tutt'oggi, di loro non mi è pervenuta alcuna notizia, anche se contavo di averne qualcuna, già una decina di giorni fa!»

«Certo che me ne avevi parlato, Lucebio. Anzi, c'ero anch'io presente, quando affidasti ad entrambi i giovani il tuo incarico. Ma perché ti stai dando pensiero per loro, senza che ce ne sia un motivo? Se non sono ancora ritornati da Casunna, vorrà dire che ci sarà stata pure qualche ragione, la quale li avrà costretti a trattenersi di più in tale città! Forse prima vorranno avere un quadro completo della sua situazione e disporre di maggiori dettagli su di essa, per poi venire a riferirteli.»

«Spero che tu non ti sbagli, Croscione! Ma avverto, come un forte presentimento, che qualcosa non stia procedendo per il verso giusto nella città casunnana. Per cui sono indotto a stare in apprensione. In verità, non so se la preoccupazione mi proviene dallo stato di salute dei nostri due giovani o da quanto sta accadendo nella reggia del re Raco.»

«Secondo me, Lucebio, stai esagerando, per cui non trovo giusto che ti comporti, come stai facendo. Quindi, cerca di calmarti e di pensare ad altro, che sia capace di rasserenarti. Vedrai che presto Ibron ed Orbus saranno di ritorno e, dal loro resoconto dettagliato, apprenderai che tutto procede alla perfezione anche nella reggia di Casunna!»

«Mi auguro che sarà come hai detto, Croscione, in merito a questa mia ansia che ritieni ingiustificata. Ma nel frattempo che non ci sarà il ritorno dei due giovani dalla città del re Raco, mettiamoci ad occuparci di cose che richiedono la nostra cura e la nostra attenzione per farle andare avanti al meglio. Sei pure tu d'accordo con me, amico mio?»

«Come non potrei esserlo, Lucebio, adesso che cominci a ragionare nella maniera giusta? Allora cosa aspettiamo ad uscire da questo salottino rosso, la cui aria chiusa e viziata inizia a darmi il voltastomaco? L'aria aperta, ossigenando i nostri polmoni, c'infonderà del buonumore ed una certa dose di allegria! Ne sono più che convinto!»

Subito dopo essere venuti fuori dal piccolo ambiente, ossia quando se ne furono allontanati al massimo di una ventina di passi, non potendo vederli anche il cieco ex consigliere del re Cotuldo, fu il solo Lucebio a scorgere Ibron ed Orbus, mentre si affrettavano a raggiungerlo con molta premura. Una volta che lo ebbero raggiunto, il meno giovane dei due, con un tono visibilmente concitato, gli si espresse con le seguenti parole:

«Illustre nostro capo, siamo qui per comunicarti soltanto pessime notizie, le quali riguardano la reggia di Casunna. Una ventina di giorni fa, come un fulmine a ciel sereno, in essa si è avuto un episodio incredibile, senza che nessuno se lo aspettasse!»

«Vuoi riferirmi, Orbus, cosa avvenne allora di così terribile nella reggia del re Raco, da farmi già prevedere dei fatti orribili, pur senza intendere chi o cosa essi hanno interessato? Comunque, poco prima già stavo dicendo al presente Croscione che non mi sentivo tranquillo, a causa del vostro lungo ritardo inatteso, non avendolo previsto nella missione che vi avevo affidato. Te lo può confermare anch'egli. Tu adesso, però, séguita a raccontami ogni cosa di quanto, a cui avete assistito!»

«Un giorno, illustre Lucebio, fummo invitati a pranzo dal re Raco. Mentre si era a tavola a soddisfare il nostro appetito, all'improvviso il re Cotuldo, o chi ne aveva assunto le sembianze, si presentò nella sala dove eravamo intenti a pranzare. Allora tutti noi, che eravamo una decina e che giammai ci saremmo aspettata la sua apparizione, restammo di stucco e non sapevamo quale atteggiamento assumere nei suoi confronti. Pure il sovrano casunnano, di fronte al falso fratello, trovava difficoltà a risolversi in qualche maniera.»

«Allora, Orbus, da chi partì la prima reazione, in quella circostanza? Penso che a reagire per primo fu il finto sovrano, ossia il mago Ghirdo, che invece ci avevano fatto credere morto.»

«Esatto, mio esimio capo! Ebbene, egli, dando in escandescenze, cominciò ad urlarci: "Come vi siete permessi di sedere alla mia mensa e darvi a mangiare a ufo, a mie spese?"»

«A quel punto, di sicuro ci fu la controreazione del re Raco. Mi dici essa quale fu, Orbus?»

«Infatti, Lucebio! Il vero sovrano di Casunna, superando l'iniziale esitazione, gli rinfacciò: "Tu non sei nessuno in questa reggia e non puoi parlarci in questo modo, poiché non sei né mio fratello Cotuldo né il re di Casunna. Dopo che lo hai ucciso, ne sono diventato io il legittimo sovrano! Credevi forse che non sapessimo che sei il mago Ghirdo, il suo assassino? Oramai siamo venuti a conoscenza dei tuoi traffici illeciti, che ci sono stati nella reggia di Dorinda. Per questo tra poco darò ordine ai miei gendarmi di arrestarti."»

«Ovviamente, Orbus, ciò non poté avvenire, a causa della reazione del mago, la quale ritengo sia stata molto dura ed istantanea. Allora mi dici essa quale fu, dopo avere appreso di essere stato scoperto dal fratello del re, che egli aveva ucciso e sostituito?»

«Ad un tratto, saggio Lucebio, il mago s'inviperì e sembrò che facesse schiuma dalla bocca, dalla quale poi iniziarono ad uscire le seguenti minacce: "Adesso che avete appreso chi sono e ciò che ho fatto, credete forse di farmi paura? Invece sarò io a terrorizzarvi, come tra non molto avverrà." Dopo quel suo annuncio minatorio, assistemmo ad una sua trasfigurazione orrifica, appunto per spaventarci a morte. Il suo volto divenne qualcosa d'infinitamente terrifico, mentre emetteva un urlo spaventoso, il quale rompeva i timpani, e si faceva uscire il fumo dalle orecchie. Ma pure il resto del corpo si diede ad una metamorfosi non meno mostruosa, siccome le sue mani divennero dei potenti artigli. Un istante dopo attrasse a sé il comandante Gerud con la forza del pensiero e, quando se lo ritrovò tra gli arti superiori, gli penetrò nel corpo i suoi artigli, facendo schizzare ovunque il suo sangue, e glielo fracassò, come se si fosse trattato di una grossa zucca da bucherellare.»

«Dopo che Ghirdo ebbe martoriato il povero Gerud nel modo che hai detto, Orbus, mi dici cos'altro successe in seguito nella sala da pranzo della reggia di Casunna? Anche se il martirio cagionato dal mago all'ex consigliere del re Cotuldo mi ha impressionato tantissimo, lo stesso voglio apprendere ciò che seguì dopo in quel luogo.»

«Mi guarderei bene dallo scontentarti, Lucebio! Perciò eccomi a parlarti di quanto avvenne di lì a poco nella stessa sala. Una volta che ebbe scagliato lontano da sé il corpo senza vita di Gerud, il quale in quel momento si presentava sanguinolento e foracchiato in più parti, il mago si rivolse al re Raco e gli disse: "Fantoccio di un re, che sei vissuto sempre all'ombra di tuo fratello, ora tocca a te venire sottoposto allo stesso trattamento subito da colui che osò spiarmi nella reggia di Dorinda, anziché badare ai fatti propri. Prima di tutto, però, voglio rendere paralitici tutti i tuoi ospiti qui presenti. Solo dopo penserò ad aggiustarti per le feste!" A quel punto, il mago Ghirdo si rivolse agli altri commensali, tra i quali ci eravamo compresi io e il mio amico Ibron, ed operò contro di noi il seguente sortilegio: "Che i vostri arti inferiori diventino oggetto di paralisi, dopo essere stati raggiunti dal mio anatema!" A quelle sue parole, ci ritrovammo privi della deambulazione. Subito dopo, stava per prendersela di nuovo con il re Raco, allorquando qualcosa lo fece arrestare, come se avesse avuto un ripensamento. Il quale suo atteggiamento giovò al sovrano di Casunna, poiché il mago, anziché dedicarsi a lui per ridurlo male, preferì lasciare la sala da pranzo e sparire da essa in un attimo, senza neppure privarsi della mostruosa metamorfosi, la quale era ancora in atto nel suo corpo. Per nostra fortuna, l'anchilosi, che ci aveva colpiti, non durò per sempre, come temuto. Essa si risolvette in noi in una decina di giorni, per cui, a guarigione avvenuta, ci congedammo dal re Raco e ci rimettemmo in viaggio per Dorinda.»

«Se nella reggia di Casunna c'è stato un tale episodio, Croscione,» poi Lucebio si rivolse all'amico cieco «occorre che ci sbrighiamo a sfrattare dalla reggia, prima che ci troviamo addosso il mago Ghirdo. È già un miracolo che egli non ci abbia ancora raggiunti per vendicarsi di noi! Allora, amico mio, cosa mi consigli, adesso che le cose stanno precipitando per tutti coloro che hanno preso stabile dimora in questa reggia? Attendo una tua proposta!»

«In questo momento non è tempo di pensare o di proporre, Lucebio! Bisogna soltanto riportare le cose allo stato precedente. Quindi, mentre la principessa Lerinda e la sua nutrice Telda se ne ritorneranno nel palazzo del facoltoso Sosimo, noi due e la tua compagna Madissa andremo a vivere di nuovo sul nostro altopiano. Ci accompagneranno i nostri baldi giovanotti Orbus ed Ibron. Ma dobbiamo deciderci alla svelta nel fare ciò, se non vogliamo essere sorpresi nella reggia dal vendicativo mago. Soprattutto egli vorrà prendersela con la principessa Lerinda, essendo la fidanzata di Iveonte, per averci già provato una volta e per aver fatto fiasco. Ma anche tu potresti essere nella sua lista nera, per averlo ingannato, quando non uccidesti il piccolo Iveonte e gli portasti, al tuo ritorno alla reggia, il cuore di un cerbiatto e non quello del principino!»

«Per quanto riguarda tutti gli altri che vivono nella reggia, Croscione, poiché costituiscono l'intero apparato militare che la presidiano, essendo qui di stanza a tempo indeterminato, mi suggerisci di fare sloggiare anch'essi? Oppure hai un'altra soluzione per loro?»

«Secondo me, Lucebio, la gendarmeria di corte può benissimo restare nella reggia, poiché essa non corre alcun pericolo. Il mago, infatti, non interverrà contro di loro, non volendo correre alcun rischio, nell'impegnarsi a far fuori persone che non vogliono dire niente per lui. Perciò pensiamo soltanto a metterci in salvo noi, in questo momento critico!»

Sentito il parere di Croscione circa la permanenza dei gendarmi a corte, Lucebio avvisò i due giovani ascoltatori presenti di tenersi pronti per riaccompagnare prima la principessa Lerinda e Telda alla casa del suo amico Sosimo. Dopo invece avrebbero dovuto fare la stessa cosa con lui, con Croscione e con la nobildonna Madissa, facendo loro da scorta lungo il tragitto che li avrebbe riportati sull'altopiano. In quel luogo, continuavano a dimorare alcune famiglie, per non avere ancora stabilito di ritornarsene a vivere in città.


Adesso, visto che il lettore vorrà rendersi conto del perché Ghirdo, all'ultimo momento, non aveva più pensato a punire il sovrano di Casunna, ma aveva preferito andare via dalla reggia alla svelta, è giusto che egli venga messo al corrente della vera causa dello strano comportamento del mago. Perciò ci affrettiamo a rendergliela nota e a soddisfarlo. Ebbene, nell'istante stesso che si preparava ad attrarre a sé il re Raco, all'Umanuk di Dorinda all'improvviso era pervenuta la voce del suo divino protettore. Essa gli aveva intimato di rinunciare ad ogni suo proposito in quella sala e di seguirlo immediatamente nella propria dimora, la quale era l'Antro delle Brume Rosse. Una volta che erano arrivati in quel posto, il dio Sartipan aveva iniziato a fargli presente:

«Ghirdo, hai dimenticato forse che oggi è l'ultimo giorno che ti resta per assolvere il tuo dovere nei miei confronti, quello che tanto tempo fa ti assicurò l'immortalità? Quindi, sbrìgati a condurlo a termine, poiché subito dopo ho bisogno di parlarti con urgenza!»

Allora, per prima cosa, al mago era toccato andare in cerca del bambino da immolare al suo protettore nel modo che lui richiedeva. Dopo che c'erano stati il rapimento e l'immolazione della vittima, trovandosi in quel luogo, Ghirdo gli aveva domandato:

«Adesso, divino Sartipan, puoi riferirmi ciò che avevi intenzione di dirmi con tanta premura, visto che ti sto ascoltando con la massima attenzione. Ma spero che nessun guaio si aggiri nell'aria pronto a colpirmi, considerato che di guai ne ho già fin sopra i capelli!»

«In primo luogo, Ghirdo, volevo farti presente che non dovevi abbandonare il tuo esercito, il quale è in attesa di riprendere l'assedio alla città di Actina. Quando lo verrà a sapere il nostro imperatore Buziur, sono sicuro che ci farai una magra figura!»

«Meglio una magra figura ai suoi occhi e restare vivo, anziché una polposa figura ed essere morto! Hai forse dimenticato, divino Sartipan, la fine che Iveonte ha fatto fare agli altri otto Umanuk? Per fortuna, sono riuscito a cavarmela, quando egli si è presentato nel cielo sopra la Città Santa con l'obiettivo di farci tutti fuori, riuscendoci con sette di noi. Almeno così ti ritrovi ancora con il tuo riconoscente devoto, il quale non ti farà mancare le infinite immolazioni di bambini, quelle che ti recano tanto piacere e godimento! Hai la mia parola!»

«Forse hai ragione tu, mio fedele Ghirdo. Quindi, che se la vedano da soli i vari stati maggiori degli eserciti alleati nel loro assedio contro Actina! Esso, per il momento, è ad un punto morto e chissà quando ne verranno fuori, al fine di costringerla ad una capitolazione. Inoltre, il nostro Imperatore delle Tenebre è partito per una missione, dalla quale dovrebbe ritornare trasformato in un mostro, che neppure gli eccelsi gemelli Kron e Locus potranno combattere e sconfiggere. Allora che sia egli stesso a fare della Città Santa ciò che vorrebbe che facessimo noi, prima che ci sia il suo ritorno!»

«Ecco, mio saggio protettore: questo è parlare franco! Ma a parte questa ramanzina che hai voluto farmi, a causa della mia innocente marachella, di cos'altro volevi parlarmi? Non credo che la tua urgenza ti sia derivata soltanto da una simile banalità!»

«Infatti, Ghirdo, ero venuto anche per avvisarti che qualche dea ti stava sorvegliando di nascosto; ma non ho potuto apprendere a quale scopo avveniva la sua sorveglianza. Può darsi per conto del suo protetto, il quale, guarda caso, era proprio l'eroe umano!»

«Cerchi di farmi capire, divino Sartipan, che Iveonte mi sta cercando per completare la sua opera iniziata ad Actina? Per cui avrebbe affidato le ricerche alla sua diva protettrice?»

«Si tratta solo di una mia ipotesi, Ghirdo; ma non ne ho alcuna certezza. Perciò, se vuoi proteggerti le spalle, evita di farti vedere in giro, sia in terra che nello spazio celeste, altrimenti correrai il rischio d'incappare nelle maglie della diva, che ti sta alle costole. La quale non ci metterà niente ad informarne il suo protetto per farti disintegrare, come ha già fatto con gli altri Umanuk. Perciò ti consiglierei di restartene per un po' nel mio antro, dove non le è consentito entrare per continuare a controllarti. Magari alla fine si stancherà e smetterà d'incaponirsi a voler investigare sul tuo conto!»

«Stimando il tuo consiglio utile ed appropriato, generoso mio protettore, lo accetto volentieri. Perciò rimarrò nella tua dimora, per il solo tempo che riterrò necessario; ma poi dovrò lasciarlo, siccome ho intenzione di andare fino in fondo con la mia vendetta, alla quale ho appena dato inizio. Se tu non mi avessi interrotto, avrei anche ammazzato il cognato buono di Iveonte, quello che sta tanto a cuore anche alla principessa Lerinda!»

Era stato così che il mago Ghirdo si era tenuto nascosto nell'antro del dio Sartipan; ma non ce l'aveva fatta a restarvi più di una quindicina di giorni. Allora, essendo trascorso tale lasso di tempo, egli decise di uscirne per mettersi alla ricerca delle persone che intendeva suppliziare, prime fra tutte Lucebio e Lerinda, entrambe molto care all'odioso Iveonte. Ma la diva Kronel non aveva mollato ed aveva seguitato ad attendere il mago per tutti i giorni che egli aveva soggiornato nella dimora del suo divino protettore. Quando poi lo vide uscire, assunto l'abito invisibile, ella si diede a tallonarlo in tutti i suoi movimenti, finché non si rese conto della sua destinazione e non ne scoprì i due principali obiettivi.

Essendo quella la reale situazione del momento, la figlia del dio del tempo si sbrigò a pervenire all'accampamento del suo protetto, il quale si era messo di nuovo alla guida del suo esercito. Dopo che lo ebbe raggiunto nella sua tenda, si diede a dirgli:

«Iveonte, lascia qui tutto come sta e vieni subito via con me. Questa volta il perfido mago ha deciso di uccidere Lerinda e il tuo amico Lucebio, essendo spinto dalla grande voglia di vendicarsi di te. So io dove trovarlo, per cui ti ci condurrò e te lo farò punire.»

A quella notizia conturbante, Iveonte s'inasprì così tanto, che non volle perdere neppure un minuto di tempo ad andare con la sua diva protettrice, evitando perfino di avvisare il cugino Leruob e l'amico Tionteo della sua improvvisa partenza.

La trasvolata del territorio, che li separava dalla loro meta, durò poco meno di un'ora. Avvenuta la quale, essi scorsero il mago, mentre era alle prese con il gruppo che, dopo aver lasciato la reggia, si dirigeva verso l'altopiano, che era stato l'ex rifugio dei ribelli. Esso era composto da Lucebio, da Croscione, da Madissa e dai due giovani, che costituivano la loro scorta, ossia Ibron ed Orbus. Ghirdo gli aveva appena intralciato il passo e, dopo avere rivelato la propria identità, aveva iniziato a spaventarli con la stessa mostruosa metamorfosi a cui era ricorso nella reggia di Casunna. Per i due giovani, era la seconda volta che si trovavano ad assistere a quel tremendo spettacolo messo in atto da chi intendeva punirli con il massimo supplizio. Adesso, però, esso non venne ad esserci come nella città casunnana, poiché Iveonte, prima ancora che il mago attraesse a sé uno di loro, lo fece raggiungere da un raggio esiziale dell'anello e lo disintegrò in un attimo. La sua morte arrecò un grande sollievo a tutti e cinque i componenti del gruppo, specialmente al gentil sesso, che era rappresentato dalla sola nobildonna Madissa. Essi, però, non ebbero la fortuna di avere davanti il loro salvatore e di ringraziarlo. Invece lo avrebbero voluto, poiché erano convinti che si era trattato dell'intervento prodigioso del loro eroico Iveonte.

A quel punto, non ritenendo più necessaria la loro fuga dalla reggia, invertirono il senso di marcia per ritornarci. Ma prima passarono dal palazzo di Sosimo per farsi seguire anche dalla principessa Lerinda e dalla sua anziana nutrice Telda. Allora esse ne furono immensamente contente.