439-A DORINDA CI SI PREPARA AD ACCOGLIERE IL LEGITTIMO SOVRANO

Riportandoci ora a Dorinda, più precisamente sull'altopiano che ospitava Lucebio e le numerose famiglie degli ex ribelli, quando ormai siamo nel presente della nostra storia e il re Raco si era congedato da lui da circa due mesi, ritroviamo il saggio uomo in compagnia di Croscione, mentre discutevano su quanto stava avvenendo in Dorinda. Nella città, dopo che le milizie casunnane avevano abbandonato la reggia, la situazione era rimasta instabile, per cui essa si presentava ancora confusa e non facilmente controllabile. Vertendo la discussione su tale argomento, Lucebio stava dicendo all'amico non vedente:

«A questo punto, Croscione, non ha più senso che noi ce ne restiamo su questo altopiano, considerato che le cose sono molto cambiate nella nostra Città Invitta. Non ci sono più a darci la caccia il dispotico Cotuldo e le sue milizie; mentre, a causa del cambiamento che c'è stato in essa, è terminata anche la nostra attività di ribelli. Per questo ci conviene andare ad abitare nella reggia, la quale un tempo è stata assai familiare a me, alla mia donna, alla principessa Lerinda e pure a te, anche se non alla stessa nostra maniera. Il trasferimento gioverebbe in particolar modo alla mia Madissa e alla ragazza del nostro eroico Iveonte, la quale lascerebbe la casa del mio amico Sosimo! Allora, amico mio, in merito ad esso, sei del medesimo mio parere oppure hai da farmi qualche tua precisa riserva? Magari intendi avanzami qualche tua perplessità, che a buon diritto permane ancora dentro di te!»

«Almeno in apparenza, Lucebio, le cose dovrebbero presentarsi come tu hai detto. Solo che hai dimenticato che esiste ancora Ghirdo. Il mago potrebbe rifarsi vivo nella reggia, da un momento all'altro, considerata la sua velocità di spostamento attraverso lo spazio aereo. In quel caso, sai dirmi come ce la caveremmo contro i suoi poteri malefici? È questo fatto che mi fa essere contrario alla tua iniziativa. La tua idea sarebbe molto bella, se potessimo attuarla, senza esserci alcun pericolo in vista! Quindi, a mio avviso, occorre ancora attendere che le cose cambino in Dorinda, in modo da non vederci più bersagliati dal perfido mago. Egli sarebbe felice di punire Iveonte con una vendetta trasversale, non potendo fare altrimenti nei suoi confronti. Così tutti noi, a cominciare da te e dalla sua ragazza, diventeremmo sicure sue vittime!»

«Quanto affermi, Croscione, è senz'altro vero! Prima sono stato precipitoso nel farmi venire una idea simile, ritenendo il nostro trasferimento a corte del tutto fattibile, senza tener conto dell'esistenza del mago Ghirdo e degli altri Umanuk. Vorrà dire che lo metterò da parte, finché Iveonte non si presenterà in mezzo a noi, essendo egli la sola persona capace di sconfiggerlo e di sbarazzarci di lui!»

Lucebio aveva appena finito di dare ragione a Croscione e di ringraziarlo per la sua sagacia, allorquando si presentarono a loro due i cinque emissari casunnani inviati dal re Raco. Il più autorevole dei soldati, cioè Dovup, dopo aver salutato con grande rispetto entrambi i conversatori, si diede ad esprimersi al più anziano dei due in questo modo:

«Illustre Lucebio, veniamo da parte del nostro sovrano Raco per recarvi delle interessanti notizie riguardanti l'assedio della Città Santa. Anche se esso attualmente segna il passo, non riuscendo gli eserciti alleati a guadagnare punti nella loro impresa, ci sono da fare presenti una coppia di episodi di rilievo. Il primo riguarda gli Umanuk, i quali, ad un certo punto, vedendo che l'assedio andava per le lunghe e senza risultati significativi, si sono trasformati in orribili mostri invulnerabili. Così hanno superato le alte mura di Actina ed hanno iniziato a darsi in essa a distruzione di case e ad eccidi di gente, seminandovi sconquassi e morti a non finire. Con il secondo episodio, invece, si è assistito alla loro eliminazione da parte dell'eroico Iveonte. Il quale è stato visto venir giù dal cielo e mettersi a farli fuori, pur senza avvicinarsi a loro. Dopo averli eliminati tutti, egli è sparito nel nulla, senza presentarsi a quanti avevano avuto la fortuna di vederlo in azione in quella maniera prodigiosa. A questo punto, saggio uomo, io avrei finito e saremmo anche pronti a ripartire per Casunna, se la stanchezza e la fame non ce lo impedissero. Allora, prima di rimetterci in viaggio, ci permetti di rifocillarci e di godere di alcune ore di riposo presso questo ritrovo già a noi noto?»

«In qualità di miei graditi ospiti, Dovup, come potrei negarvi quanto mi è stato da voi richiesto? Quindi, potete riposare nel mio campo per tutto il tempo che vorrete; mentre, durante il vostro soggiorno su questo altopiano, non vi mancherà alcun cibo. Inoltre, da parte mia e di Croscione, ricevete il ringraziamento più sentito, per averci messi a conoscenza di fatti stupendi, che ci hanno resi lieti e soddisfatti. Tra poco ci penseranno i miei uomini a sistemarvi quassù.»

«Grazie, saggio Lucebio, per la tua generosa ospitalità. Ma noi non possiamo restare nel tuo campo a lungo. Per cui già domattina ripartiremo alla volta della nostra città, dove ci attende un sacco di lavoro!»

Dopo che i cinque Actinesi seguirono gli uomini messi a loro disposizione da Lucebio, costui, quasi giubilante, si rivolse all'amico non vedente e si diede a gridargli:

«Se le cose stanno come ci ha comunicato Dovup, mio caro Croscione, allora possiamo benissimo sloggiare da qui ed andarcene a vivere a corte, dove attenderemo il ritorno dei legittimi regnanti di Dorinda, oltre a quello del loro eroico primogenito! Ora la cosa importante per noi tutti è che non correremo più il pericolo che poteva derivarci dal mago Ghirdo. Egli è stato ucciso da Iveonte con tutti gli altri Umanuk, che risiedevano nelle diverse città dell'Edelcadia! Non lo pensi pure tu?»

«Poiché il pericoloso mago è stato messo fuori gioco, Lucebio, sono d'accordo con te che è meglio trasferirci tutti nella reggia, dove ci si potrà meglio organizzare per tenerla sotto controllo e proteggerla da eversori e scalmanati di ogni tipo. Anzi, in attesa che arrivino il re Cloronte e la regina Elinnia, inviteremo a corte gli ex alti ufficiali di un tempo, tra quelli ancora viventi, affinché vi restaurino la Guardia d'Onore e rimettano in sesto la gendarmeria in servizio presso il Corpo di Guardia. Nell'assumere il personale che dovrà far parte di tali corpi militari, proporrei di dare la precedenza ai figli di coloro che, durante il regno del re Cloronte, effettuavano il medesimo servizio a corte e negli altri reparti della reggia. In questo modo, saranno gli stessi genitori di quanti verranno assunti a prepararli nei loro futuri compiti. L'unica difficoltà sarà costituita dalla mancanza di denaro sufficiente a sopperire alle grosse spese, alle quali si andrà incontro per mettere in moto l'imponente macchina dei preparativi, primo fra tutti il confezionamento delle uniformi che il personale dovrà indossare. Inoltre, la loro assunzione comporterà una retribuzione soddisfacente, tale cioè da permettere agli assunti e alle loro famiglie una vita economicamente dignitosa. Allora, Lucebio, saremo in grado di far fronte alle spese, alle quali neppure l'amico tuo Sosimo, nonostante le sue ingenti ricchezze, potrebbe sobbarcarsi, se si mostrasse disponibile a darci il suo aiuto?»

«Invece ciò non ti deve preoccupare, Croscione, dal momento che noi possiamo contare su un tesoro così incommensurabile, che nessun sovrano edelcadico potrà vantarsi di possederne uno simile. Esso è rimasto intatto, poiché mai nessuno è riuscito ad entrare nel nascosto forziere in cui viene custodito. Fu il mio stesso amico Cloronte a rivelarmi il modo di accedervi, affinché un giorno io ne mettessi a conoscenza il suo primogenito sopravvissuto oppure potessi servirmi del tesoro a qualsiasi titolo. E oggigiorno sappiamo anche come usarne una minima parte! Adesso ti sei tranquillizzato?»

«Dopo quanto mi hai riferito, Lucebio, sono certo che non avremo alcun problema ad ottenere ogni cosa che ci siamo proposti di fare in Dorinda. Quindi, possiamo pure trasferirci nella reggia, rendendo assai contente la tua donna, che è la nobildonna Madissa, e la principessa Lerinda. Ad esse si unirà anche la brava cuoca Telda.»

Ovviamente, non si partì in quarta per trasferirsi nella reggia di Dorinda, da parte delle persone che avevano interesse a farlo, come Croscione aveva esagerato ad esprimersi. Invece ci vollero alcuni giorni, prima che ci fosse il loro trasloco nel luogo indicato. Ad ogni modo, in precedenza anche la principessa Lerinda e la sua nutrice ne erano state messe al corrente in tempo utile. Perciò, quando Lucebio, Croscione e Madissa decisero di effettuarlo, scortati da una ventina di uomini del campo, prima di condursi a corte, essi passarono per la casa di Sosimo e fecero unire a loro tre anche la fidanzata di Iveonte e Telda. Così vi erano pervenuti insieme con immensa felicità delle due ospiti di Sosimo, le quali, essendovi già vissute per tanti anni, ne avvertivano una grande nostalgia. Una volta che si furono insediate nella reggia, le tre donne presero subito contatto con la servitù, la quale le stava già aspettando, dando ai numerosi inservienti le più svariate mansioni, essendo loro intenzione far ritornare la reggia agli splendori di un tempo. Invece Lucebio e Croscione si diedero molto da fare, affinché in essa venisse ricostituito l'intero apparato militare, che c'era stato al tempo del re Cloronte. Il primo, inoltre, aveva preteso che, con il ritorno dei legittimi regnanti nella loro città, ogni cosa procedesse nella reggia secondo i vecchi canoni a cui erano abituati, non volendo fargli mancare la familiarità del luogo e la stessa quotidianità, come da prassi di allora. Ma prima di passare al reclutamento del differente personale militare da mettere al servizio presso i diversi reparti della reggia, il pupillo del defunto re Kodrun aveva invitato nel palazzo reale tutti gli ex ufficiali ancora viventi che vi avevano prestato servizio al tempo del re Cloronte, incaricandoli di assumere la prole di sesso maschile dei loro ex subalterni e ristabilire così la gendarmeria che faceva servizio a corte e nei restanti ambienti regali.

Invece, per quanto riguardava un esercito regolare da porre a difesa dei territori dorindani, Lucebio aveva ritenuto più giusto che fosse il principe ereditario Iveonte ad incaricarsi della sua costituzione. Per questo rimandò a lui ogni futura decisione in merito, sebbene già gli fossero pervenute una infinità di domande da parte di giovani, i quali, non avendo altro lavoro da svolgere, intendevano arruolarsi. In quei difficili tempi di transizione, a cavallo di due regni allo sfascio, Infatti, per ciascuno di loro l'arruolamento nell'esercito regolare di Dorinda, che si prevedeva nell'immediato futuro, si sarebbe presentato come l'unico cespite che gli avrebbe consentito di sopravvivere e di sfamare la propria famiglia.

C'era voluto un mese intero, prima che nella reggia fossero ultimati tutti i preparativi in programma, al termine dei quali, sia la principessa Lerinda e Madissa da una parte, sia Lucebio e Croscione dall'altra, si ritennero soddisfatti dei lavori condotti a termine in ogni suo ambiente. Da una parte, la servitù, lavorando sodo e in modo indefesso, rese pavimenti e pareti quasi luccicanti, per cui ci si poteva anche specchiare dentro. Dall'altra, gli alti ufficiali, i quali erano stati incaricati di rimettere su l'apparato militare di un tempo, non disattesero le aspettative del pupillo del re Kodrun. Perciò egli se ne compiacque e lodò perfino la loro intraprendenza e l'impegno che essi avevano profuso nel darsi da fare e nel perseguire quegli obiettivi che stavano tanto a cuore a colui che gli aveva affidato un lavoro così prestigioso. Dopo averli ringraziati per la loro encomiabile opera, Lucebio si mise ad aspettare il ritorno del suo sovrano. Anzi, restava in grande attesa di vederlo spuntare dall'ingresso principale della reggia con la sua amata consorte. Il motivo? Egli era già desideroso di andargli incontro ed abbracciarlo con quel caloroso affetto che di solito ci si esprime solo tra due veri fratelli. Anche se un suo primo abbraccio con lui già c'era stato nella reggia di Actina!

Terminata ogni cosa che era da compiersi nella reggia, Lucebio, tramite il banditore reale, rivolse all'intera cittadinanza dorindana un suo proclama, con cui la metteva al corrente che il re Cloronte era vivo e che presto avrebbe ripreso a regnare su Dorinda e sui suoi territori. Nel frattempo, però, egli ne avrebbe assunto la reggenza, dedicandosi al benessere dei Dorindani e alla loro pacifica convivenza, comminando pene draconiane contro tutti coloro che non avrebbero fatto il loro dovere di persone rette ed oneste. Ai prevaricatori, ci tenne a precisare, sarebbero state inflitte punizioni commisurate alla gravità dei loro atti illegali od illeciti, escludendosi a priori ogni forma di clemenza verso i colpevoli. La popolazione dorindana accolse le due belle notizie con una gioia inesprimibile e si preparò a ricevere il legittimo sovrano di Dorinda, dandosi a diversi tipi di manifestazioni, che significavano il loro alto gradimento. Nelle varie strade, da parte di tutti i cittadini, non si faceva altro che inneggiare al loro venerato sovrano in arrivo ed esaltarsi per l'inatteso avvenimento, il quale ci sarebbe stato assai presto nella loro amata città. Essa, per lunghi anni, aveva dovuto tollerare abusi ed angherie da parte di un tiranno che l'aveva governata illegittimamente, attirandosi addosso l'abominio dei suoi abitanti.

Il popolo dorindano non si opponeva al fatto che era Lucebio a fare le veci del loro sovrano, intanto che il sovrano non fosse ritornato a sedersi sul proprio trono da legittimo re. Esso lo considerava una persona della massima affidabilità, per cui veniva rispettata da molti perfino più del loro re Cloronte per giustificate ragioni. Innanzitutto egli era stato il principale artefice della grandezza di Litios, facendolo assurgere da umile villaggio, quale si presentava a quel tempo, a città potente e temuta, qual era diventata appunto all'origine la loro Dorinda. Non bastando ciò, il saggio uomo per anni era riuscito a tenere inestinguibile in tutti i Dorindani il desiderio di libertà, portando avanti una lotta continua contro l'oppressore casunnano, impersonato dal re Cotuldo. In merito, non erano mai mancati, pur saltuariamente, assalti contro l'esercito invasore, dopo essere stati studiati ed organizzati dagli uomini al suo comando. Essi, nel prendere il nome di ribelli, avevano giurato fedeltà al loro ex re Cloronte, che era stato detronizzato dai sette re alleati traditori, dopo che era avvenuta la presa della loro venerata città.


Mentre nelle città di Dorinda e di Casunna avveniva ciò che abbiamo appena appreso, non era mancato tra Iveonte e la sua diva protettrice un nuovo abboccamento. Esso aveva riguardato il mago Ghirdo, che era stato l'unico sopravvissuto all'intervento del nostro eroe contro gli Umanuk. I quali si erano trasformati in mostri inattaccabili, al fine di compiere una rappresaglia in Actina, dandosi così a distruggere le case e ad uccidere le persone. In merito al fatto che il mago era riuscito a cavarsela per poco, contro le aspettative del primogenito del re Cloronte, Kronel adesso si era data a fargli presente:

«Mio impavido eroe, nel tuo blitz aereo, non avresti dovuto farti sfuggire proprio colui che più di tutti gli Umanuk meritava di essere eliminato da te, per averti egli perseguitato, da prima ancora che tu nascessi. Il mago Ghirdo scaltramente è stato l'unico a non farsi prendere in fallo, dopo che ti sei lanciato a combatterli e ad annientarli all'improvviso; mentre gli altri si sono fatti prendere in castagna, come tanti allocchi!»

«Non hai torto, Kronel, a rinfacciarmelo. Ma voglio precisarti che, anziché di una mia leggerezza, si è trattato di una pronta ed inattesa reazione da parte del mago. Il quale, con essa, è riuscito a far perdere le sue tracce sottoterra e a squagliarsela impunemente, senza darmi il tempo di attaccarlo. Così non ho potuto puntarlo con il mio anello e distruggerlo con un paio dei suoi raggi disintegratori, come avevo già fatto con gli altri sette Umanuk, che agivano nelle vesti di terribili mostri.»

«Invece, Iveonte, avresti potuto ordinare all'anello di mio padre di seguire il mago nel sottosuolo e di infliggergli la stessa pena con la quale aveva già punito gli altri suoi pari. Non sembra anche a te?»

«Forse hai ragione tu, Kronel; anzi, l'avrai senz'altro! In quel momento, però, non ci ho pensato per nulla. Sono stato confuso dalla sua sparizione, la quale, in quel momento, mi ha anche fatto pensare che non c'era nient'altro da fare nei suoi confronti, a scopo punitivo.»

«A questo punto, Iveonte, quello che è stato è stato: non serve restarcene a recriminare su quanto è successo. Suggerisco, quindi, di metterci una pietra sopra ed andare avanti nella nostra conversazione, per vedere se c'è un modo diverso per intrappolare il tuo nemico Ghirdo.»

«Ammetto che è l'unica cosa sensata da fare, dolce diva, se vogliamo evitare di perdere inutilmente il nostro tempo su qualcosa che non si può più farlo essere come desideravamo. Quindi, diamoci sotto e cerchiamo di trovare la maniera che possa farmelo sorprendere, proprio mentre ne sta combinando una delle sue contro persone innocenti.»

«Mio eroe, perché tu becchi il mago e lo colpisca in una situazione del genere, occorre prima che egli scopra le sue carte e ci faccia comprendere dove intenderà trascorrere il suo prossimo tempo, visto che è anche possibile che lasci tutto in sospeso, per quanto concerne l'assedio della Città Santa, e se ne ritorni a Dorinda per perseguire altri reconditi scopi a noi ignoti. Comunque, penserò io a raggiungere tale obiettivo. In che maniera? Prima baderò a scovarlo e poi me lo lavorerò, al fine di conoscere i suoi progetti a breve termine. Perciò, se sei anche tu d'accordo, possiamo chiudere qui questa nostra conversazione. La riprenderemo, non appena avrò conosciuto le sue reali intenzioni.»

Erano trascorsi tre giorni, dopo che c'era stata la sospensione del loro precedente incontro, quando la figlia del dio del tempo si era ripresentata al suo pupillo, facendogli un resoconto di quanto si erano detti lei e Ghirdo, dopo averlo avvicinato. Per questo adesso ne verremo anche noi a conoscenza, ma non dalle labbra della diva. In effetti, era avvenuto ciò che adesso viene riportato qui di seguito.

Il giorno prima, dopo aver rintracciato il mago a pochi chilometri dagli accampamenti degli eserciti alleati, la divina Kronel non aveva indugiato a presentarglisi. Ma pur di non fargli respingere il suo tentativo di approccio, prima di avvicinarsi a lui per cercare di apprendere quali intenzioni avesse circa il suo prossimo futuro, ella aveva assunto le sembianze dell'estinto Umanuk Kosep. Egli, infatti, non appena se lo era visto davanti, restandone piuttosto stupefatto, gli aveva domandato:

«Ma tu, Kosep, non eri stato disintegrato da quell'odioso essere umano, di nome Iveonte? Eppure mi era parso che, a parte me, tutti gli altri Umanuk fossero stati da lui uccisi ed annientati!»

«Invece, Ghirdo, ti sei sbagliato sul mio conto, poiché sono riuscito a cavarmela per un pelo. Spero di non incontrarlo mai più quell'antipatico Iveonte, nelle cui mani sono stati posti dei poteri più grandi di quelli da noi posseduti. Non è forse così, mio caro collega?»

«Potrei mai dirti che non è vero, Kosep? Ti sei forse scordato che te ne avevo già parlato io, riferendoti che egli anche per noi risulta un tipo tosto? Forse si dimostra tale, pure quando si trova ad affrontare delle divinità negative. Te lo garantisco!»

«Se le cose stanno come dici, caro mago, allora abbiamo la nostra bella gatta da pelare! Ma non capisco come mai Iveonte non se l'è presa anche con i soldati da noi comandati, i quali, assediando la Città Santa, anche cercavano di arrecare offesa agli Actinesi.»

«Riguardo a questo particolare, Kosep, neppure io ci ho compreso qualcosa, pur spremendomi al massimo le meningi! Bisognerebbe chiederlo direttamente a lui!»

«Di certo, non vado a domandarglielo io, che non sono ancora diventato così stolto! A proposito, Ghirdo, mi sai dire perché abbiamo lasciato i nostri eserciti privi della nostra presenza? Non credi che i loro stati maggiori, senza la nostra consulenza, staranno vedendo i sorci verdi, pur permanendo lo statu quo in mezzo a loro, il quale è quello della sospensione dell'assedio fino a data da destinarsi? Quindi, mi dici cosa ci facciamo noi qui, senza raggiungere i nostri ufficiali e dar loro il sostegno morale, di cui essi abbisognano?»

«Se lo vuoi sapere, Kosep, ho deciso di non ritornarci più nei nostri accampamenti, poiché in quel luogo potrei essere avvistato dall'odioso Iveonte. Allora egli non ci penserebbe due volte a farmi fuori con quei maledetti raggi della morte in suo possesso. Ma tu fai quello che ti pare e piace, poiché nessuno ti trattiene qui a bearti della mia compagnia.»

«Ma se non vuoi più interessarti degli eserciti da noi arruolati e riprendere parte al loro assedio alla Città Santa, non mi dire che vorrai restartene in questo posto per un tempo infinito! Non potendo ciò essere vero, vorrei sapere cosa intendi fare, dopo che avrai lasciato questo luogo. Magari potrei venire insieme con te, ammesso che non ti dispiaccia!»

«Naturalmente, non rimarrò sempre qui, Kosep. Invece dopo vorrò restarmene un po' in disparte, prima di iniziare a vendicarmi dell'invincibile Iveonte. Oramai so dove e come compiere la mia vendetta e danneggiarlo, come egli nemmeno si immagina!»

«Siccome non riesco a pensarlo neppure io, Ghirdo, posso sapere da te in quale luogo e in che modo vorresti vendicarti del tuo nemico giurato? Ma sono certo che egli non se ne starà in panciolle, mentre cerchi di far del male a qualche suo parente od amico. Per questo, avendoci ripensato, non mi converrà più seguirti, poiché la tua vicinanza potrebbe portarmi scalogna, facendo diventare pure me bersaglio di un fulmine che ti lancerà contro l'eroe umano.»

«Comunque, io non ti avevo espresso la volontà di accettare la tua compagnia, Kosep! Perciò possiamo anche separarci adesso stesso e prendere ognuno di noi la propria strada!»

«Certo che faremo dividere qui le nostre strade, Ghirdo, poiché non intendo averci a che fare con un tipo ostico come l'eroe umano, avendo egli la possibilità di distruggere anche un Umanuk della nostra specie. Allora addio, mago, non potendo dirti "arrivederci!"»

Dopo quel saluto affrettato, la diva Kronel si era allontanata dal mago Ghirdo ed aveva assunto di nuovo le proprie fattezze, per correre dal suo amato pupillo e riferirgli ogni cosa. Quando aveva terminato di raccontargli ciò che aveva riguardato l'incontro avuto con il protetto del dio Sartipan, la diva Kronel aveva aggiunto al suo eroe umano:

«Secondo quanto ho potuto capire dal colloquio avuto con lui, mio caro Iveonte, Ghirdo sta meditando come arrecarti il peggiore dei mali, prendendosela con la tua ragazza o con qualche persona a te molto cara. Ma la sua vendetta potrà avvenire soltanto a Dorinda. Da parte mia, perciò, cercherò di non perderlo d'occhio, fino a quando non si sarà condotto in tale città e non avrà manifestato a danno di quale persona intende vendicarsi. Così dopo ci penserai tu ad eliminarlo, prima che il suo piano vendicativo possa avere buon fine.»

Pronunciate quelle parole, la diva era scomparsa, senza nemmeno dare ad Iveonte la possibilità di scambiarsi con lei il saluto e di ringraziarla per tutto quanto stava facendo a suo vantaggio.