438-INTANTO QUALI FATTI STAVANO ACCADENDO A DORINDA E A CASUNNA?
Intenti a stare dietro alle vicende che si sono svolte alcune nei territori actinesi e altre nelle terre percorse dall'esercito beriesko guidato da Iveonte, non abbiamo potuto seguire quelle che nel frattempo si erano avute a Dorinda e a Casunna. Adesso, però, occorre apprendere anche gli avvenimenti che c'erano stati nelle due città edelcadiche. Come appreso in precedenza, nell'una e nell'altra il mago Ghirdo, sotto le spoglie del re Cotuldo, prima vi aveva decretato lo stato di guerra contro Actina e dopo vi aveva arruolato un grande esercito. Infine, in sintonia con gli altri Umanuk, si era messo alla sua testa e si era dato a marciare alla volta della Città Santa. Nella città dorindana, in verità, egli aveva potuto raccogliere sotto il proprio comando un esiguo numero di soldati, oltre alla sua guarnigione, che era di stanza nella Città Invitta e contava appena novemila gendarmi. In relazione ai pochi soldati dorindani, alcuni erano stati costretti dal mago ad arruolarsi con la forza, altri invece erano stati convinti a secondarlo mediante allettanti promesse pecuniarie.
A Casunna, invece, le cose erano andate diversamente, poiché in essa, senza la minima difficoltà, egli era riuscito ad armare un esercito regolare, il quale era risultato formato da oltre sessantamila soldati. Costoro, infatti, istigati dalle false notizie fatte diffondere dal proprio finto sovrano, non avevano visto l'ora di combattere contro i protervi e sacrileghi Actinesi. Costoro, come gli era stato fatto credere, avevano avuto l'ardire di mettersi contro il divino Matarum e di volergli perfino distruggere il tempio. A questo punto, quindi, ci conviene sorvolare su tali particolari, siccome essi ci risultano vecchi e triti, e tentare di appurare come le cose si erano svolte e si stavano ancora svolgendo in entrambe le città edelcadiche, specialmente in quella di Dorinda. Perciò ci metteremo alla ricerca di quei soli fatti da noi considerati più degni di nota.
Non molto tempo addietro, Lerinda e suo fratello Raco si erano trasferiti nella casa di Sosimo. Costui aveva accondisceso ad ospitarli per l'intercessione dell'amico Lucebio, il quale ce li aveva anche accompagnati di persona, poiché i quattro baldi giovani, che erano Solcio, Zipro, Polen e Liciut, non c'erano più presso il suo campo per prendersi cura di lui e di Croscione. Comunque, il nuovo sovrano di Casunna non se ne era rimasto rinchiuso nel palazzo in cui veniva ospitato, trascorrendovi le intere ore della giornata senza far niente, ossia dandosi al vizio e all'ozio. Al contrario, aveva preferito condursi sovente nel campo del saggio uomo, per il quale aveva iniziato a provare molta simpatia, dal momento che la sua compagnia lo faceva sentire particolarmente appagato. Inoltre, egli vi andava anche per discutere con lui degli avvenimenti, che si stavano avendo nella città di Dorinda. Gli piaceva vederlo barcamenarsi fra mille ordini del giorno che si trovava ad affrontare. Nei suoi spostamenti a mezzo cavallo, i quali gli facevano prima raggiungere il venerabile uomo e poi gli permettevano di rientrare al palazzo di Sosimo, il fratello di Lerinda si faceva scortare dai quattro cavalieri più in gamba e fidati della sua scorta, la quale adesso soggiornava presso il nuovo campo dei ribelli. In verità, questo termine non si addiceva più agli uomini di Lucebio, dopo che il re Cotuldo era stato ucciso nel salottino rosso dal mago e il germano Raco aveva dichiarato di volere essere il re soltanto di Casunna, per un senso di giustizia.
Anche a Lucebio era stato giocoforza ricorrere ad una scorta personale, la quale accompagnasse lui oppure il cieco Croscione, ogni volta che essi decidevano di recarsi a Dorinda, insieme oppure separatamente, per affari sia privati che di altro genere. Fra tutti gli uomini che dimoravano sull'altopiano, la sua scelta era caduta sui due unici scapoli, i cui nomi erano Ibron e Orbus. Essi, essendo stati entrambi allievi di Solcio, risultavano elementi abbastanza valorosi e con la testa sulle spalle. Ma oltre a badare alle due persone anziane del campo, i due giovani, quando non erano impegnati a scortarle, avevano il compito di andare in giro per la città e di raccogliervi quelle notizie che risultassero di una certa importanza. Così dopo le trasmettevano a Lucebio e a Croscione.
Un giorno, poco prima dell'ora di pranzo, Ibron ed Orbus erano rientrati al campo ed avevano riferito al loro capo quanto il banditore reale era andato urlando per le strade di Dorinda. L'uomo, indossando una livrea sgargiante, aveva annunciato al popolo l'imminente guerra contro Actina e ne adduceva anche le motivazioni. Nel contempo, invitava gli idonei alle armi ad arruolarsi, poiché, a guerra finita, ci sarebbe stato per loro un lauto compenso. A tali notizie, Lucebio si era alterato; ma poco dopo, anche per un suo sfogo personale, aveva deciso di parlarne con le persone giuste, che per lui potevano essere solo Croscione e l'illustre cognato di Iveonte, che era l'attuale sovrano di Casunna. In un primo momento, egli aveva pensato di rimandare senza indugio in città i due giovani, perché andassero ad invitare l'illustre fratello della principessa Lerinda presso la sua dimora. Essendosi poi reso conto che l'ora era inopportuna, poiché essa era quella prandiale, ci aveva ripensato. Ma aveva stabilito che, a pranzo terminato, Ibron ed Orbus sarebbero andati a chiamarlo senza perdere altro tempo. Così gli avrebbero comunicato che si richiedeva con la massima urgenza la sua presenza sull'altopiano, dove si era stanziata la sua scorta personale. Così nella prima parte del pomeriggio, non appena l'attuale re di Casunna era giunto nel loro campo, Lucebio e Croscione, dopo averlo accolto con i dovuti riguardi ed essersi scambiati cordialmente i saluti con lui, lo avevano invitato ad appartarsi con loro, avendo da discutere insieme su un argomento di particolare rilevanza. Il primo dei tre ad aprire bocca era stato Lucebio, il quale si era affrettato a far presente al suo illustre ospite:
«Sovrano di Casunna, non so se nel palazzo del mio amico ti è giunta voce della guerra che gli Umanuk, sotto le spoglie dei re edelcadici, stanno per preparare contro la Città Santa. Perciò, prima che io ti ripeta cose di cui già sei venuto a conoscenza, vorresti essere così cortese da darmi la giusta risposta in merito?»
«Questa notizia, saggio Lucebio, mi giunge del tutto nuova, non essendoci stato nessuno a ragguagliarmi su di essa presso la casa del possidente Sosimo. Quindi, tocca a te parlarmene in ogni dettaglio. Siccome essa mi sta mettendo addosso del nervosismo e parecchio sdegno, ho intenzione di apprenderla integralmente da te!»
«Io non te ne voglio privare, re di Casunna, siccome ti ho mandato a chiamare appositamente per questo! Riguardo alla notizia citata, essa è stata data dal banditore reale, il quale, attenendosi agli ordini del posticcio tuo fratello, l'ha diffusa nell'intera Dorinda. Si tratta di una guerra incombente che gli Umanuk stanno per scatenare contro la città del re Francide, apparentemente senza alcun motivo. Comunque, essi hanno fatto spargere in giro una falsa notizia, secondo la quale gli Actinesi non vogliono più riconoscere come loro dio la nostra somma divinità, che è il divino Matarum. Perciò hanno anche stabilito di distruggerne il tempio a breve scadenza. Dunque, è dovere di tutti gli Edelcadi devoti intervenire contro gli abitanti di Actina, espugnando innanzitutto la loro città e prendendo subito dopo nei loro confronti un provvedimento di epurazione. Invece contro coloro che saranno ritenuti responsabili di un atteggiamento blasfemo del genere si procederà con l'impiccagione, trattandosi di un reato per il quale la legge commina una simile pena.»
«Ciò che sto apprendendo adesso dalle tue labbra, Lucebio, mi indigna a non dirsi e mi spinge perfino ad imprecare contro gli Umanuk; più di questo, però, non posso fare nient'altro. Se osassi intervenire contro di loro ed affrontarli, sono certo che ci rimetterei la pelle, un evento a cui già mi hai sottratto una volta. Anzi, così peggiorerei la situazione, poiché arrecherei un enorme dolore nell'animo di mia sorella Lerinda e causerei guai maggiori al mio popolo casunnano. Esso si ritroverebbe anche senza il suo sovrano, intanto che va lentamente alla deriva.»
«Considerando il problema sotto quest'ottica, sovrano Raco, in un certo senso potresti anche non avere torto. In verità, invece mi aspettavo di più dalla tua persona, pur di salvare il tuo regno da un essere immondo, il quale non ne è degno. Non bisogna darla vinta all'iniquo mago Ghirdo. Al contrario, occorre scalzarlo e fargli perdere l'autorità, di cui indebitamente gode presso il popolo di Casunna. Il quale deve essere messo al corrente di chi realmente è colui che lo governa, spacciandosi per il suo legittimo sovrano.»
«All'inverso, Lucebio, non conviene buttarsi a capofitto in nessuna cosa, come mi stai invitando a fare. Conosciamo forse tutte le potenzialità nocive, che possiede un Umanuk, quale si ritrova ad essere il mago Ghirdo? Non di certo! Per il momento, soltanto alcune di esse sono entrate a far parte delle nostre conoscenze, le quali già ci si dimostrano molto sbalorditive. E se invece egli ne possedesse ancora altre dalla capacità di colpirci all'istante in modo esiziale? In quel caso, la mia fine e quella di quanti fossero disposti a seguirmi sarebbero inevitabili! Questo te lo sei domandato oppure non l'hai messa in conto?»
«Forse hai ragione tu, illustre re Raco. Perciò il tuo e il nostro intervento contro il mago non dovranno avvenire, fino a quando da parte nostra non sarà presa ogni precauzione possibile, idonea a farci evitare di andare incontro a guai che potrebbero risultare piuttosto seri.»
«Se posso dire anche la mia, rispettabili persone,» si era intromesso nella discussione anche Croscione «a mio avviso, voi due vi state soffermando a parlare di cose che in questo momento non si presentano né urgenti né di vostro precipuo interesse. Invece sono altri i problemi a cui dovreste interessarvi, i quali quanto prima richiederanno una soluzione rapida, se si vorrà ovviare a qualcosa di più grave, che ben presto si avrà sia nella reggia di Dorinda sia in quella di Casunna. Perciò sarebbe già ora che si iniziasse a parlarne, senza perdere tempo!»
«Visto che io e il re Raco non riusciamo a comprendere in nessun modo a quali problemi ti sei voluto riferire, mio avveduto Croscione,» gli aveva risposto Lucebio «vuoi essere così gentile, da illuminarci in merito ad essi? Dopo te ne saremo molto grati!»
«Lo faccio immediatamente, Lucebio. Premetto che i problemi sono due: l'uno è da risolversi subito; mentre l'altro richiederà una soluzione adeguata solo in seguito. In relazione al primo, bisogna dare una risposta subitanea alle false notizie fatte spargere in Dorinda dal mago Ghirdo, informando la cittadinanza della loro fallacia. In merito al secondo, invece, esso va risolto a tempo debito. Ma vi faccio già presente a cosa esso si riferisce e il provvedimento da adottare per risolverlo. Tra non molto, cioè quando essi saranno pronti, gli eserciti alleati partiranno alla volta della città di Actina, comandati ciascuno dal proprio falso sovrano, poiché egli, come sappiamo, è un Umanuk. A tale riguardo, mi chiedo: Chi lascerà il mago in entrambe le regge a sostituirlo durante la sua assenza, considerato che non avrà a sua disposizione degli alti ufficiali competenti in materia? Oppure, essendo altri i progetti degli Umanuk, egli si infischierà del fatto che esse resteranno senza un reggente e sguarnite, private cioè di guarnigioni atte a salvaguardarle da possibili intrusi, ladri o grassatori che siano? Anche se adesso è ancora presto per porci degli interrogativi simili, ritengo opportuno cominciare a pensare ad una tale eventualità. Occorre organizzarci in modo da prevenire ladrerie o deturpazioni aventi come obiettivi la reggia dell'una e dell'altra città, una volta che gli eserciti saranno partiti. Allora condividete queste mie preoccupazioni, le quali sono rivolte ad un futuro prossimo e cercano di non farci trovare impreparati, nel caso che le due regge venissero a trovarsi nei disagi da me paventati?»
«Secondo me, Croscione,» gli aveva risposto il nuovo re di Casunna «hai fatto bene a proporci di trattare questi argomenti e risolvere i relativi problemi, per cui plaudo alla tua lungimiranza. Ma siccome sei la persona più adatta a disporre di un piano che ci faccia prevenire nelle due regge atti criminali del genere, affidiamo a te l'incarico di porvi rimedio. Così ti diamo mandato pieno di prendere le misure che riterrai più opportune per raggiungere lo scopo, indipendentemente dal fatto che esso un domani possa servire a qualcosa. Sono sicuro che pure Lucebio è d'accordo con quanto ti ho autorizzato a fare da subito. Infatti, l'ho visto che annuiva, intanto che ti parlavo e ti conferivo tale incarico.»
«Bene, mio sovrano, se tutti e due accettate la mia proposta, mi metterò subito all'opera e mi darò a reclutare le due guarnigioni provvisorie, le quali dovranno essere dislocate nella reggia di Dorinda e in quella di Casunna, non appena ci sarà stata la partenza degli eserciti per la guerra. Esse, dopo che sono state preparate da me nei loro futuri compiti, saranno in grado di difenderle da eventuali razzie, da parte di cittadini senza scrupoli, i quali vorranno senz'altro approfittare della precaria situazione del momento. Solo che, da un lato, non avrò difficoltà a formare la guarnizione, che dovrà insediarsi nella reggia dorindana, poiché sono moltissimi gli ex ribelli al servizio di Lucebio che vorranno farne parte e di cui si potrà avere la massima fiducia. Dall'altro, re Raco, non sarà facile trovare gli uomini che dovranno costituire la guarnigione casunnana, poiché la tua scorta è esigua. In questo caso, comunque, avrei trovato la scappatoia, a patto che Lucebio me lo consenta!»
«Mi dici, Croscione, a cosa dovrei acconsentire, perché tu possa mettere in piedi il presidio da sistemare presso la reggia casunnana? Se si tratta di fare un favore al qui presente sovrano di Casunna, sono disposto a permetterti qualunque cosa!»
«Avrei pensato, Lucebio, di ricorrere anche ai tuoi uomini per formare la guarnigione da destinare alla reggia del re Raco. Ciò, almeno fino a quando in essa non la surrogherà una regolare milizia casunnana, costituita da soldati superstiti che saranno ritornati dall'assurda guerra.»
«Allora, Croscione, mettiti subito al lavoro, poiché hai la mia approvazione! Il cognato di Iveonte può essere solo un mio amico e, come tale, non posso scontentarlo!»
«La gentile cortesia che hai usato nei miei riguardi, saggio Lucebio,» era intervenuto a ringraziarlo il fratello di Lerinda «mi obbliga ad esprimerti la mia più viva riconoscenza, augurandoti nel contempo che l'avvenire ti riservi unicamente giorni beati e felici!»
Ricevuto il consenso del pupillo del defunto re Kodrun, l'ex consigliere del re Cotuldo, a riunione terminata, scegliendoli tra gli uomini di Lucebio, si era messo subito a selezionare quelli che risultavano più idonei ad adempiere un simile servizio. Così, in capo ad una settimana, egli era riuscito ad espletare la mansione, di cui era stato investito. Durante tale periodo di tempo, era stata anche fatta spargere fra gli abitanti di Dorinda la voce, secondo la quale non era affatto vero quanto comunicato loro dal banditore reale, siccome gli Actinesi erano da considerarsi gli Edelcadi più devoti alla loro somma divinità, che era il dio Matarum. Perciò i Dorindani avrebbero dovuto rigettare nel modo più assoluto la guerra caldeggiata dal loro sedicente sovrano e dagli altri re dell'Edelcadia. Al contrario, essi avrebbero dovuto osteggiarla con tutti i mezzi a loro disposizione, rifiutandosi di entrare nelle file dell'esercito regio oppure disertando, nel caso che fossero stati costretti ad arruolarsi. A diffondere tale notizia in città ci avevano pensato molti ex ribelli, per ordine del loro capo Lucebio. Agendo in quel modo, essi avevano fatto sì che soltanto pochi giovani si facessero coinvolgere e convincere a farsi reclutare nell'esercito. Essi, in realtà, avevano ceduto esclusivamente alle lusinghe di venire in possesso di un bel gruzzoletto a fine guerra.
Ad un mese esatto dalla riunione che c'era stata tra Lucebio, il re Raco e Croscione, nella tarda mattinata di un giorno di fine primavera, Ibron ed Orbus erano rientrati al campo prima del solito e si erano poi presentati a Lucebio con una certa sollecitudine, visto che avevano da dargli due importantissime notizie. Esse riguardavano la partenza da Dorinda dell'esercito, al comando del finto re Cotuldo, e la situazione precaria della reggia. Quest'ultima era rimasta totalmente sguarnita, non scorgendosi in nessuna sua parte neppure l'ombra di un gendarme intento a vigilare su di essa. A quelle nuove, le quali in verità si attendevano da un giorno all'altro, Lucebio aveva rimandato i due giovani in città con l'incarico di invitare di nuovo il sovrano di Casunna presso la propria dimora, dato che era necessaria una ulteriore riunione fra loro due e il non vedente Croscione. Quando poi i tre interlocutori si erano ritrovati ancora insieme, il primo ad aprire bocca era stato ancora Lucebio, il quale aveva fatto presente al suo regale ospite:
«A quanto pare, re Raco, il nostro Croscione aveva perfettamente ragione su quanto sarebbe potuto accadere nella reggia dorindana, dopo la partenza dell'esercito diretto alla Città Santa. Infatti, quando stamani si è mosso da Dorinda, alla testa delle sue milizie, il mago Ghirdo non ha avuto alcuno scrupolo ad abbandonare il palazzo reale del tutto incustodito, alla mercé di quanti avessero voluto entrarvi per darsi a saccheggi e a depredamenti di ogni tipo. Magari perfino a mutilare o a sfregiare le pregevoli opere d'arte che vi abbondano! Ciò lascia suppore che anche la reggia di Casunna sarà abbandonata a sé stessa, dopo che l'esercito sarà partito dalla città, per cui anch'essa potrebbe andare incontro all'identico trattamento, che si era temuto per quella di Dorinda.»
«Per fortuna, esimio Lucebio, abbiamo dato ascolto al qui presente Croscione, il quale ha avuto la sagacia di prevedere gli sviluppi futuri, che ci sarebbero stati nelle nostre due città. Perciò dobbiamo affrettarci, affinché in nessuna delle due regge avvengano razzie e ruberie, oltre che deturpazioni ai dipinti e mutilazioni alle sculture. A questo punto, gli uomini, che sono stati preparati a prestare la loro opera di sorveglianza nella reggia di Dorinda, dovranno affrettarsi a stabilirsi in essa e a svolgervi il ruolo, che gli è stato assegnato! Da parte mia, insieme con la mia scorta e con coloro che sono stati scelti per presidiare la reggia di Casunna, lascerò immediatamente Dorinda. Dopo mi terrò alle costole dell'esercito dorindano fino alla mia città, dove presumo che esso si unirà a quello casunnano. Quando poi entrambi gli eserciti se ne saranno andati per raggiungere Actina, entrerò in Casunna e prenderò possesso della reggia con la milizia a mia disposizione, la quale risulterà formata dai soli militi dorindani. Naturalmente, essi saranno diretti dall'ex consigliere di mio fratello, che è Gerud, e dal comandante Morchio, il quale, siccome prenderà il comando del Corpo di Guardia, nella reggia di Casunna continuerà a svolgere lo stesso lavoro che fino a poco tempo fa effettuava a Dorinda.»
«Non possiamo agire altrimenti, re Raco; inoltre, ci toccherà farlo con la massima sollecitudine. Ma mi dici se la principessa Lerinda dovrà seguirti a Casunna in questa circostanza difficile e caotica, che prevedo per tutti voi turbolenta e per niente senza pericoli in vista?»
«Stai tranquillo, Lucebio, che non sono così folle da condurla con me, siccome questo viaggio potrebbe anche risultarci non conformemente alle nostre previsioni. Per questo motivo, mia sorella dovrà restare ancora a Dorinda a fare da gradita ospite presso la casa del tuo simpatico amico Sosimo. Egli davvero si presenta di una generosità unica. Ma chi più di te può esserne al corrente?»
La riunione si era conclusa con le ultime parole del re Raco, il quale dopo aveva lasciato il campo di Lucebio con i due gruppi di uomini, che avevano il compito di presidiare e sorvegliare l'uno la reggia dorindana e l'altro quella casunnana. Ad un miglio dalla città, però, mentre quello diretto a Dorinda aveva continuato la sua corsa; quello con meta Casunna si era arrestato, in attesa che lo raggiungesse il sovrano. Quest'ultimo, prima di lasciare il territorio dorindano, era voluto andare a salutare la sorella Lerinda e a ringraziare i suoi ospiti per l'ottima accoglienza ricevuta in casa loro. Assolti i suoi obblighi morali, il re Raco era ritornato presso gli uomini, che gli erano stati messi a disposizione da Lucebio. Poi, al loro comando, si era dato a tallonare l'esercito del mago. Quando infine Ghirdo aveva lasciato anche Casunna con le sue armate, egli vi aveva fatto ingresso con le sue milizie ed era pervenuto rapidamente alla reggia. Dove aveva prima badato a sistemare nei vari alloggi i Dorindani scelti per fare da gendarmi provvisori e poi aveva raggiunto i reparti di corte, che costituivano la sua sede. Per fortuna il sovrano vi aveva trovato l'intera servitù, la quale lo stava aspettando per mettersi a sua completa disposizione; ma del suo consigliere Merion non aveva potuto avere alcuna notizia dalla stessa. Probabilmente il mago Ghirdo, che impersonava il re Cotuldo, lo aveva costretto a seguirlo ad Actina, sebbene egli si fosse opposto all'idea del sovrano di lasciare la reggia del tutto sguarnita e alla mercé di gente senza scrupoli.
Così nelle città di Dorinda e di Casunna i giorni trascorrevano, senza che sorgessero problemi di qualche tipo in entrambe le popolazioni, nonostante esse si dessero a dei mugugni e venissero fomentate dalla guerra in corso ad odiare chi li governava. Ad ogni modo, non si avvertivano ancora segni di rivolta, la quale, a causa della penuria di gendarmi in città, avrebbe potuto mettere in serio pericolo l'ordine pubblico. A dire il vero, nella sola città dorindana c'era stato qualcosa del genere. In essa, essendosi resi conto della totale assenza di gendarmi che potessero contrastare le loro azioni criminose, bande di delinquenti comuni si erano date a fare varie razzie. Allora Lucebio aveva radunato tutti gli ex ribelli, che erano risultati oltre un migliaio; dopo, alla loro testa, si era messo a dare la caccia a ciascuna di esse. Ogni volta che ne aveva sorpreso qualcuna, giudicandoli per sommi capi, egli aveva messo al muro tutti i suoi membri e li aveva fatti raggiungere da scariche di frecce, le quali li avevano trafitti a morte. Dopo che le prime tre bande avevano subito quel sommario trattamento dagli uomini di Lucebio, della qual cosa in città si era sparsa subito la voce, non si era più sentito parlare di fatti delittuosi e di depredazioni. Inoltre, erano cessati in ogni via i tafferugli, gli abusi e i latrocini, da parte di quelle persone che erano abituate a darsi ad essi sfidando ogni sorta di pericoli.
In seguito, era trascorso un bimestre da quando il re Raco si era insediato nuovamente nella reggia di Casunna, allorché egli si era rivisto apparire davanti il suo consigliere. Alla sua vista, egli aveva esultato e non si era frenato dal domandargli:
«Merion, tu da dove sbuchi fuori? Non eri stato trascinato in guerra come tutti gli altri da chi avete creduto che fosse mio fratello? Se sì, come mai ne sei ritornato?»
«Certo che sono stato costretto a seguire il mio sovrano, viceré Raco! Mica potevo oppormi ai suoi ordini, anche se non trovavo ragionevole abbandonare la reggia, senza lasciarvi neppure un gendarme a vegliare su di essa. Ma mi spieghi perché mai ti sei espresso in quel modo, a proposito del re Cotuldo? Possibile che egli per davvero non era il tuo germano maggiore? Se devo esserti sincero, stento a crederci!»
«Che tu lo voglia oppure no, mio consigliere, le cose stanno proprio così! Mio fratello Cotuldo, il tuo ex re, è morto per mano della stessa persona che dopo ha assunto le sue sembianze per ingannare i suoi parenti stretti, quanti gli erano vicini e il suo popolo.»
«Allora adesso sei tu il mio sovrano, illustre Raco: ne sono felicissimo! Ma chi sarebbe colui che è stato capace di eliminare tuo fratello e di sostituirlo nelle sue funzioni? Inoltre, come mi hai fatto presente, ne ha preso perfino l'aspetto. Secondo me, per fare ciò, egli non deve essere un comune mortale. Non è forse così?»
«Hai ragione, Merion! Si tratta del dorindano Ghirdo, che è un mago dotato di straordinari poteri, i quali, tra le altre cose, gli permettono di tramutarsi in un mostro invulnerabile ed invincibile. Egli e gli altri sette suoi simili sono chiamati Umanuk e risiedono uno per ogni città edelcadica, fatta eccezione di Actina. Essi sono protetti da divinità malefiche. Se lo vuoi sapere, pure con me l'Umanuk di Casunna aveva deciso di fare la medesima cosa; ma grazie a Gerud, sono riuscito a scamparla per miracolo. Inoltre, il consigliere di mio fratello ha scoperto moltissime cose sugli Umanuk, delle quali ti metto subito a conoscenza. Simili esseri ignobili, di cui fino a poco fa non si sapeva nulla, addirittura se ne ignorava perfino l'esistenza, ad un tratto hanno ricevuto dai loro divini protettori l'ordine di fare distruggere la città prediletta del dio Matarum dagli stessi popoli che gli sono devoti. Per conseguire un tale obiettivo, che per loro significava recare onta al dio Matarum, essi hanno escogitato il diabolico piano, al quale ti ho già accennato. Per la precisione, nelle otto città di loro residenza, hanno ordinato ai loro protetti di farsi ricevere in separata sede dai rispettivi sovrani, di eliminarli, di assumerne l'aspetto e di governare al loro posto. Avvenuto ciò, gli Umanuk hanno ideato la scaltra messinscena che conosci per istigare i loro popoli contro gli Actinesi e renderli propensi ad accettare una guerra contro la Città Santa.»
«Ma come hai fatto a Dorinda, mio nobile sovrano, a prevedere che i due Umanuk avrebbero lasciato sguarnite entrambe le regge, la qual cosa ti ha permesso di porvi rimedio tempestivamente? Inoltre, chi sarebbero questi uomini armati, i quali si sono piazzati nella tua reggia e la sorvegliano giorno e notte, con l'intento di non permettere a nessun malavitoso di entrarvi, di depredarla e di causarvi danni materiali?»
«Quelli che scorgi nella mia reggia, Merion, prima in Dorinda erano tutti oppositori al regime di mio fratello; ossia, erano quelli che egli chiamava ribelli, il cui capo era Lucebio. Gli stessi stanno presidiando pure la reggia di Dorinda con il medesimo scopo.»
«Non capisco, mio re! Perché mai essi hanno deciso di farti questo bel dono, se fino a poco fa erano i nostri nemici giurati? Come giustifichi questa loro inversione di tendenza, in virtù della quale sei entrato nelle loro grazie e godi perfino il loro favore?»
«In merito, ho varie risposte da darti, mio consigliere, che mi affretto ad elencarti. Prima, ho promesso loro che non intendo considerarmi anche re di Dorinda, sul cui trono è giusto che ci sieda il suo legittimo sovrano, cioè il re Cloronte, il quale è il genitore del mio futuro cognato Iveonte. Seconda, il loro capo Lucebio non mi reputa uguale a Cotuldo, essendo io il fratello prediletto di Lerinda, la quale è la fidanzata di Iveonte. Terza, mia sorella ha garantito per me ed ha rassicurato gli ex ribelli che, non essendo io della stessa pasta del mio germano Cotuldo, manterrò di sicuro ogni mia promessa. Adesso vorrei sapere da te come vanno le cose sotto le mura di Actina e qual è stato il motivo, per cui ti sei deciso a disertare, senza temerne le conseguenze.»
«L'assedio procede a rilento, sire, siccome gli Actinesi sono riusciti a preparare un'ottima difesa per la loro città, per cui essa si presenta quasi inespugnabile. I sette eserciti coalizzati, pur mettendo in campo un numero mai visto di soldati, si mostrano impotenti a superare le mura e a prendere la Città Santa. Ultimamente si è assistito a due strani fenomeni. Dai nostri campi si sono visti partire otto esseri mostruosi, i quali, ognuno a modo suo, sono riusciti a scavalcare le mura actinesi. Una volta in Actina, essi si sono dati a mettere a ferro e a fuoco i vari quartieri cittadini. Ma dopo una mezza giornata di distruzione e di morte, per loro sfortuna, è sbucato dal cielo una persona, la quale, colpendoli con dei raggi mortali, li ha fatti esplodere e disintegrare. Subito dopo il vendicatore degli Actinesi è stato visto sparire nel cielo infinito. In seguito al secondo prodigio, negli accampamenti alleati è venuto a crearsi molta confusione e grande esitazione. A quel punto, mi sono convinto che era giunta l'ora di approfittarne e scappare via dal mio accampamento.»
«Ma non pensi, Merion, che sia stato il dio Matarum ad intervenire contro i mostri? Anzi, se lo vuoi sapere, sono certo che erano stati proprio gli Umanuk a trasformarsi in tali bestie malvagie. Se è vero ciò che ho affermato, allora vuol dire che essi hanno ricevuto il fatto loro dalla nostra somma divinità. Ma non comprendo come mai il dio non abbia anche punito coloro che assediavano la città a lui cara!»
«Secondo me, mio sovrano, il dio Matarum non c'entra per niente in questa storia. Lo sai perché? Il volto di colui che ha fatto fuori le mostruose creature era di una persona a noi nota.»
«Davvero dici, Merion? E perché non me lo hai fatto subito presente? Ma poi come è possibile che un essere umano sia stato in grado di operare un simile miracolo?»
«Allora mi sarò sbagliato, re Raco. Si vede che la distanza, che non era poca, mi ha fatto prendere lucciole per lanterne. Ma non avrei mai dovuto scambiare il divino Matarum con l'umano Iveonte. Egli chissà in quali remote terre si trovava in quel momento! Tu stesso mi avevi parlato del suo viaggio all'Isola della Morte.»
«Merion, se quella persona ti è parsa mio cognato Iveonte, allora in questo caso non hai preso alcuna cantonata. Perciò sono convinto che si è trattato proprio di lui, il quale è protetto da divinità molto potenti!!»
«Se ne sei certo, mio re, mi spieghi come mai Iveonte, dopo aver eliminato gli otto mostri, non si è presentato dal suo amico fraterno Francide, che adesso è il re della Città Santa? Così pure perché non ha punito quanti stavano assediando la città? Invece egli ha preferito spiccare il volo, che lo ha fatto scomparire nell'infinità del cielo.»
«A ciò non ti so dare una risposta, mio consigliere. Ma ti informo che mio cognato tre mesi fa ha condotto Lerinda nel campo di Lucebio, dopo averla liberata dal mago Ghirdo. Anche in quel caso, egli evitò di mettersi in contatto con tutti noi. Quindi, per assumere un tale comportamento, mio cognato ci deve essere indotto da qualcuno o da qualcosa, che gli permette solo di venire in aiuto di coloro che ne hanno bisogno!»
«Nel caso che tu abbia ragione, sire, ugualmente non mi rendo conto del fatto che Iveonte abbia lasciato illesi i soldati che assediavano Actina, senza punirli a dovere, come si sarebbero meritato!»
«A mio avviso, Merion, ciò è pacifico. Il fidanzato di mia sorella, essendo a conoscenza che i popoli delle sette città edelcadiche che stanno facendo guerra alla Città Santa non ne hanno alcuna colpa, per essere stati ingannati dai loro finti sovrani, ha ritenuto giusto non inveire contro di loro. Per questo egli ha riservato la sua punizione esclusivamente agli Umanuk, infliggendogli l'orrenda fine che mi hai riferito. Stando così le cose, al massimo entro domani, occorre inviare dei messaggeri da Lucebio e da mia sorella Lerinda per metterli al corrente della situazione di Actina e degli ultimi sviluppi che ci sono stati dentro e fuori città, dove l'assedio continua a persistere. Affiderò tale missione a cinque soldati che hanno fatto parte della mia scorta, quando mi sono recato da mio fratello, il quale già era stato eliminato dal mago Ghirdo. Così essi, una volta che saranno arrivati a Dorinda, sapranno come muoversi e a chi rivolgersi per far pervenire a Lucebio le preziose notizie che intendo fargli giungere al più presto.»