437°-L'ESERCITO BERIESKO ALLE PRESE CON LE TRIBÙ LOCALI

La diva Kronel, dopo avere avuto il nuovo colloquio con il padre, il quale l'aveva messa al corrente di ogni cosa appresa sul dio della superbia, era ritornata ad essere spada del suo amato pupillo. In tale occasione, la diva non aveva avuto voglia di trattenersi nella sua tenda a conversare con lui; al contrario, ella aveva preferito lasciare quel posto senza fare alcun commento sulla vicenda. Da allora erano trascorsi soltanto tre giorni, quando all'improvviso l'eroico giovane se la vide ricomparire dinanzi nella sua tenda.

Dopo averlo salutato calorosamente, la divina figlia del potentissimo dio Kron, sorridendogli, si diede a parlargli nel modo seguente:

«Iveonte, sono qui per farti sapere che, mentre mi aggiravo nei dintorni del vostro campo, ad un tratto, mi è venuto il desiderio di andare a trovare Luciel, il mio fratello uterino. Perché non vieni anche tu con me e mi regali la tua dolce compagnia durante il viaggio? Accompagnandomi e raggiungendolo, approfondiresti la tua amicizia con lui, che ne sarebbe assai lieto! Inoltre, faresti una gradita sorpresa al popolo dei Lutros, i quali stravedono per te. Sono sicura che essi ti farebbero una grande festa, nel rivederti giungere in mezzo a loro!»

«La tua idea mi alletta senz'altro, Kronel. Ma hai dimenticato che ho da condurre al più presto i Berieski al mio comando nei pressi di Actina, dove la cingono d'assedio gli eserciti alleati, i quali adesso si ritrovano ad essere comandati tutti dal mago Ghirdo? Per questo motivo, non me la sento di rimandare ancora la partenza dei miei soldati alla volta della Città Santa. Anche perché già abbiamo perduto un sacco di tempo e sono vari giorni che restiamo fermi in queste terre, senza essere avanzati neppure di un miglio! Quindi, mio malgrado, devo rinunciare alla tua proposta, nonostante mi sarebbe piaciuto condividerla con te.»

«Se ti preoccupi di ciò, Iveonte, puoi benissimo affidare il comando dell'esercito a tuo cugino Leruob, invitandolo a proseguire la marcia verso Actina, anche in tua assenza. Inoltre, con lui c'è anche il tuo amico Tionteo. Egli adesso conosce bene questi luoghi e il cammino da seguire per raggiungere l’Edelcadia durante il ritorno. Non credo di sbagliarmi!»

«Ho capito, Kronel, dove intendi arrivare. Vuoi assolutamente che io ti accompagni nella visita che hai deciso di fare al tuo caro fratello! Stando così le cose, da parte mia, non serve che ci ripensi e giustifichi la mia opposizione al tuo invito. Perciò tanto vale assecondarla, senza perdere altro tempo a rimandarla! Tra poco ne darò notizia a Leruob e a Tionteo. Nel contempo, li preparerò nei futuri compiti che li attendono. Sei contenta adesso? Certo che sì, non potendo essere altrimenti!»

«Grazie, Iveonte! Comunque, sappi che non ti ci volevo affatto costringere a venire con me! Anzi, sei ancora in tempo a rinunciare ad accompagnarmi, se ciò non ti fa stare tranquillo con la tua coscienza. Ti garantisco che non mi offenderò neppure un poco, se ci ripensi!»

«Invece, Kronel, adesso che ho preso la mia decisione per accontentarti, non mi tirerò più indietro! Perciò prepàrati ad avermi al tuo fianco nel viaggio, che stai per intraprendere. Mi basterà solo abboccarmi per alcuni minuti con mio cugino Leruob e con il mio amico Tionteo per impartire a loro due le istruzioni necessarie per la ripresa della marcia verso l'Edelcadia da parte del nostro esercito. Dopo sarò all'istante da te e potremo alzarci in volo. Quindi, ti prego di aspettarmi!»

La conversazione a tre non durò a lungo, anche se nel parente e nell’amico essa suscitò un certo disappunto, poiché essi non avrebbero voluto che ci fosse un suo nuovo allontanamento dall'esercito e da loro due. Ma poi lo accettarono con rassegnazione, essendo dovere d'Iveonte non rifiutare l'invito che gli era stato rivolto dalla sua diva protettrice, la quale per giunta era la figlia di un dio molto potente. Quando poi il giovane eroe ebbe raggiunto speditamente la sua tenda, la quartogenita del dio Kron era già ad attenderlo e non vedeva l'ora di mettersi in viaggio insieme con lui alla volta del territorio lutrosino. Infatti, ella si fece trovare allo stato visibile e già pronta per la nuova partenza. Scorgendola nella sua tenda, Iveonte le si rivolse, dicendo:

«Vedo che sei già qui ad aspettarmi, Kronel! Inoltre, sei impaziente di raggiungere il tuo germano! Non potrebbe essere diversamente! Allora non indugiamo oltre e voliamo verso il villaggio lutrosino. Con le persone che sai, oramai ho sistemato ogni cosa che dovevo. Dietro mio suggerimento, il mio vice consanguineo farà finalmente smettere all'esercito la sua sosta in questi territori e gli ordinerà di riprendere la marcia verso Actina. Così, al mio ritorno da Lutrosiak, esso avrà percorso parecchie miglia, non meno di una cinquantina. Perciò lo troverò molto più vicino alla remota Edelcadia. Adesso, però, possiamo andare.»

«Grazie, Iveonte, per esserti affrettato a ritornare da me! Adesso possiamo anche intraprendere il nostro viaggio, il quale dovrà condurci nelle terre dei Lutros, i quali sono i tuoi grandi ammiratori.»

Qualche attimo dopo, la divina Kronel e il suo protetto si trovavano già a volare nel terso cielo, avendo come meta la dimora del dio Luciel, la quale era situata nelle vicinanze del villaggio lutrosino. Per la precisione, essa occupava un antro sottostante ad una collina di media altezza, essendo alta appena cinquecento metri. In verità, la loro volata verso la dimora del divo avrebbe avuto una durata breve; ma essi avevano deciso di far durare la loro permanenza in quella regione non molto a lungo. Comunque, ricordiamo che essi stavano per raggiungerla per due motivi: primo, in quella circostanza, per esplicito volere della diva, Iveonte avrebbe dovuto consolidare la sua amicizia con il fratello di lei; secondo, era comprensibile che egli ne avrebbe approfittato per restarsene un po’ fra i Lutros, allietandoli con la sua benaccetta presenza.

Pervenuti così all'antro del quintogenito figlio della dea Lux, Kronel ed Iveonte lo trovarono che si stava facendo un pisolo. Destato poi dalla dolce sorella, egli li accolse, esclamando:

«Che magnifica sorpresa mi avete fatto, Kronel ed Iveonte! Non lo avrei mai immaginato che oggi voi due mi avreste allietato con la vostra graditissima presenza! Adesso mi dite come mai vi siete recati da me, con tutto il gran daffare che ha l'eroico Iveonte a guidare il suo esercito nei pressi della Città Santa? La quale, grazie a voi due, può contare di nuovo sul suo protettore Matarum. Dunque, non attardatevi a farmi conoscere i motivi della vostra visita!»

«Luciel,» intervenne a rispondergli la divina sorella «non c'è stato alcun motivo particolare, che ci ha spinti a venire a trovarti. Abbiamo soltanto avvertito la voglia d'incontrarti e starti un po' vicini. Approfittando di questa evenienza, tu ed Iveonte renderete ulteriormente solida la vostra amicizia. Ma non illuderti che, essendo occupato a discorrere con lui a tempo pieno, eviterai le mie frecciate atte a punzecchiarti. Sappi che non mancheranno, di tanto in tanto, le mie inframmettenze volte a farti disperare. Inoltre, Iveonte dovrà anche condursi dai Lutros e presentarsi a loro, poiché essi lo stimano moltissimo, per essere stati beneficiati da lui più di quanto abbiamo fatto noi due insieme per loro fino ad oggi. Allora sarà per me un'ottima occasione per farti perdere la pazienza e per renderti l'esistenza quasi impossibile. Perciò prepàrati a sopportarmi e ad accettare la mia compagnia, armandoti di tutta la tolleranza che ti necessiterà! Ti sono stata chiara, fratello?»

«Se è questa la tua intenzione, Kronel, ti sbagli a credere che così mi metterai a disagio. Al contrario, tale tuo atteggiamento mi priverà della noia, la quale spesse volte mi prende in questa parte di Geo, non essendoci altre divinità positive con cui farmi delle buone conversazioni. Come vedi, capiti a fagiolo, se hai voglia di accapigliarti con me nel modo che hai detto. Le tue punzecchiature non faranno altro che risollevarmi dal mio solito trantran. Il quale, se ci tieni a saperlo, in questi luoghi mi rende l'esistenza asettica e monotona. Perciò dovrò avere pazienza!»

Dopo le due scherzose battute di apertura da parte dei due divini fratelli, i quali tesero ad accalorare l'incontro, i tre componenti il gruppo passarono a salutarsi con cordialità e a trasmettersi il loro vivo compiacimento per quell'approccio accetto a loro tre. Ma dopo i primi attimi in cui il loro discorso si tenne sul generico, a mano a mano si affrontò l'aspetto specifico di quegli argomenti che più gl'interessavano. Ad ogni modo, innanzitutto la diva tese a favorire la conversazione tra i due maschi, quello divino e quello umano. Ella desiderava far sì che essi approfondissero maggiormente la loro conoscenza, prima che il suo amato pupillo li lasciasse per andare a presentarsi ai Lutros, come si era convenuto già all'inizio del loro viaggio. Infatti, cogliendo di sorpresa l'uno e l'altro, Kronel, tutto ad un tratto, gli si espresse con tali parole:

«Se non dispiace a voi due, che rappresentate il sesso forte, io avrei da fare una perlustrazione nei dintorni, siccome voglio ambientarmi meglio in questo territorio. Intendo farlo, anche perché in passato, dopo che i Lutros mi hanno prescelta come loro dea comprotettrice insieme con mio fratello, la circostanza non me lo ha ancora consentito. Ma non mi assenterò per molto, intanto che continuate la vostra chiacchierata.»

Parlato in quella maniera, la diva si congedò da loro, senza neppure attendere che essi le rispondessero e le facessero conoscere il loro parere in merito. Poco dopo, quando ella se ne fu andata, lasciandoli soli, suo fratello fu il primo a rivolgersi a colui che adesso rappresentava l'amato protetto della sorella uterina, chiedendogli:

«Allora, Iveonte, adesso sei soddisfatto di avere appreso chi sono i tuoi genitori? A tale riguardo, mi complimento con te per esserci riuscito, grazie alle tue brillanti imprese. Esse, come ho appreso, non ti sono mancate lungo il cammino, che ti ha condotto fino a Tasmina!»

«Come non posso esserne pago e fiero, divino Luciel? Dopo che sono venuto a conoscere la loro identità, mi sono sentito rinascere e sono già impaziente di abbracciarli con tutto il mio calore e il mio affetto!»

«Ti comprendo, eroe umano. Ma lo sai che sei diventato il più fortunato di tutti i Materiadi esistenti in Kosmos, per essere entrato nelle grazie dell'eccelso Kron e, di conseguenza, anche dell'eccelso Locus? Entrambi hanno messo nelle tue mani un potere illimitato, il quale ti viene invidiato perfino da ogni divinità positiva. In merito a ciò, mi dici che sensazione ti trasmette l’immensa fortuna, che ti ritrovi a gestire?»

«Se devo esserti sincero, divino Luciel, pur essendo in possesso dell'anello ricevuto dalle due eccelse divinità, continuo a sentirmi come prima, ossia un normale Materiade, come ci chiamate voi. Ma sono molto felice di servirmi dell'anello, ogni qualvolta che sono chiamato a lenire le ambasce di qualche sventurato, a cui la sorte non si mostra affatto benigna, naturalmente grazie ai suoi poteri taumaturgici. Beninteso, mi riferisco a quei casi che, per la loro natura, non possono essere risolti da nessun essere umano. Quando invece ciò è possibile all'uomo, anche se attraverso mille difficoltà, in quel caso intervengo in suo aiuto di persona e con tutte le mie forze, liberandolo dal tipo di male che lo perseguita e lo affligge. Ecco come stanno realmente le cose, dio Luciel!»

«Iveonte, adesso capisco perché mia sorella si è legata a te in modo così profondo. Direi ancora più fortemente di quanto si legò a me, durante il breve tempo che ci considerammo degli autentici innamorati! Sia le tue virtù interiori sia le tue gesta gloriose l'affascinano e la inebriano; inoltre, ti fanno apparire ai suoi occhi l'essere più prezioso di tutto il creato. Stavo dicendo me compreso; ma poi mi sono trattenuto dal dirlo. Lo sai perché? Per un motivo molto semplice. Sono sicuro che anche suo padre, il potentissimo Kron, viene dopo di te, tra le sue preferenze umane e divine nell'ambito del proprio affetto. Perciò non avrebbe avuto nessun senso dichiararti che ella ti ama più di me!»

«Il tuo ragionamento non fa una grinza, divino Luciel! Ad ogni modo, non sono stato io ad obbligarla ad amarmi, avendo già una donna a cui concedere il mio amore. Dovresti saperlo che è stata una sua libera scelta. Ma non posso affermare che il suo bene mi sia dispiaciuto. Anzi, fra noi due, c'è stato all'istante il colpo di fulmine, per cui ci sentiamo legati l'uno all'altra in modo incredibile, anche se la nostra situazione sovente mi fa ritenere in colpa verso la mia Lerinda. Ella non meriterebbe quello che a volte mi si prospetta come un vero tradimento. Secondo te, ho forse torto a pensarla così?»

«Invece, Iveonte, non voglio esprimermi in cose che non mi riguardano. Potrei mai spingerti a mollare mia sorella, pur di non farti sentire infedele verso la donna da te amata? Certo che no! Allora ti consiglio di proseguire per la tua strada come hai fatto fino adesso, anche perché essa non ti procura dei rimorsi di coscienza. Ti voglio far sapere che mi ha fatto molto piacere conoscere certi aspetti della tua vita che ignoravo fino ad oggi, poiché essi mi hanno fatto apprezzarti ancora di più!»

Il dio Luciel aveva appena ultimato il suo ultimo intervento, allorché si ripresentò a loro due la sorella, che era di ritorno dalla ricognizione che aveva eseguito nelle zone viciniori. Al suo arrivo, Iveonte colse l'occasione per congedarsi da loro momentaneamente, avendo deciso di effettuare la sua visita inattesa ai Lutros, la quale li avrebbe rallegrati di sicuro. Infatti, quando egli si presentò all'improvviso al loro capo Sitruo, costui, dopo essersi lanciato ad abbracciarlo, si diede a dirgli:

«Iveonte, quale buon vento a noi propizio ti ha portato nel nostro villaggio? Non potevi farci una sorpresa più gradita! Lo sai anche tu che la tua presenza in Lutrosiak è per noi Lutros come un raggio di sole, il quale appare all’improvviso attraverso uno strato di nuvole fosche!»

«Grazie, lutrosoan del villaggio, per la tua calda accoglienza! Trovandomi a passare da queste parti, ho ritenuto cosa giusta farvi una visita per accertarmi che qui tutto procede bene e non avete brighe assai fastidiose che vi molestano l'esistenza.»

«Invece, Iveonte, siamo noi a ringraziare te, dopo che ci hai liberati prima dal mostro Zikul, poi dai Tros ed infine dal dio Vernuk! Per questa ragione, la tua presenza in Lutrosiak per noi continuerà per sempre ad essere un onore. A parte la riconoscenza e la gratitudine che ti riserveremo fino alla consumazione dei secoli, adesso ci dici cosa possiamo fare noi per te? Se ti esprimerai in tal senso, noi ti ubbidiremo all'istante, nostro Grande Eroe!»

«Che ne dici, Sitruo, se mi faccio invitare da te a pranzo? L'altra volta tua moglie Scitea ci preparò delle pietanze davvero prelibate. Ricordo che i miei amici Tionteo e Speon, leccandosi le dita, non smisero di elogiarle per l'intera durata del pranzo!»

«Iveonte, dico che sarà un onore per me averti ospite alla mia mensa, non potendo essere diversamente! Anche la mia consorte ne sarà felicissima e farà di tutto per risultare una cuoca all'altezza della situazione. Tra poco l'avviserò dell'eccezionale evento, affinché ella si metta subito alla ricerca degl'ingredienti necessari, che dovranno permetterle di ottenere il massimo nella sua arte culinaria e di fare un figurone nei tuoi confronti. Nel pomeriggio, invece, farò spargere la voce che tu ti trovi nel nostro villaggio e sei venuto a trovarci e a salutarci. Vedrai che, alla bellissima notizia, i Lutros accorreranno a migliaia per osannarti e renderti merito di quanto hai fatto per loro un tempo, il quale non è neppure molto remoto. Perciò, se vorrai incontrarli tutti quanti, dopo occorrerà trasferirci nel grande spiazzo del villaggio, quello che già hai avuto modo di conoscere.»

«Da parte mia, Sitruo, non ho intenzione di sottrarmi al loro desiderio di salutarmi, poiché sono venuto in Lutrosiak appunto per incontrarli e distribuire a tutti loro il mio fervido saluto. Inoltre, a coloro che si mostreranno desiderosi di una mia stretta di mano non la farò mancare. Anzi, sarò ben lieto di stringere la mano a quanti me la porgeranno!»

«Scommetto, Grande Eroe, che ci sarà un bagno di folla nell'estesa piana adiacente al villaggio. Per cui avrai un notevole da fare nell'allungare il tuo arto superiore destro verso ognuno di loro per stringergli fortemente la mano! Ma sono convinto che tante strette di mano non ti risulteranno né faticose né fastidiose. Non è vero che ho ragione?»

«Non sei nel torto, degno capo dei Lutros. Il mio braccio, pur andando incontro a tanto disagio fisico, invece non avvertirà alcun segno di stanchezza. Mentre esso si darà da fare per accontentare tutti i convenuti, il mio animo andrà assaggiando la migliore commozione esistente. Inoltre, mi mostrerò orgoglioso del loro rispetto nei miei riguardi, il quale è dovuto ai miei trascorsi servigi resi all'intero popolo lutrosino.»

Così prima si ebbe il breve colloquio tra Iveonte e Sitruo. Dopo, come previsto, nell'arco della giornata ci furono: a mezzogiorno, il pranzo in casa del lutrosoan; nel pomeriggio, la massiccia invasione dello spiazzo da parte dei Lutros. Nel primo caso, il nostro eroe poté gustare ancora una volta le succulente pietanze preparate dalla brava Scitea. Nel secondo caso, invece, egli si trattenne fino a sera ad incontrare i numerosi abitanti del villaggio, i quali si erano presentati a lui per salutarlo e stringergli la mano. Essi erano persuasi che quel loro gesto gli sarebbe risultato in seguito assai propizio. Soltanto al calare delle tenebre, dopo averli salutati caldamente, Iveonte si congedò da Sitruo e dalla sua affabile consorte, avendo premura di raggiungere Kronel e il divino Luciel suo fratello. Egli doveva mettersi d'accordo con loro due circa il proprio rientro alla base, dove era atteso dal cugino Leruob e dall'amico Tionteo. Naturalmente, con lui ci sarebbe stata anche Kronel, che aveva stabilito di fargli compagnia durante il ritorno. Infatti, così avvenne, dopo essere giunto presso i due divini fratelli, che lo attendevano.


Quando Iveonte aveva lasciato Leruob a guidare l'esercito beriesko, per avere deciso di seguire la sua diva protettrice nel territorio lutrosino per le ragioni a noi note, le truppe berieske erano di stanza sul territorio che si estendeva sul lato destro della via maestra. La quale adesso procedeva alla volta dell'Edelcadia. L'accampamento, se si vuole definire meglio l'esatta sua ubicazione, ad est lambiva tale via; mentre ad ovest si trovava la Foresta della Paura. Inoltre, non molto lontano, in direzione sud-ovest, c'era il villaggio degli Sceican. Costoro giustamente se ne stavano preoccupando da vari giorni, pur essendo all'oscuro della loro reale consistenza. In verità, quel loro atteggiamento d'inquietudine si stava avendo già prima che Iveonte si desse alle sue due assenze dall'accampamento; però non avevano mai dato segni di una vera insofferenza nei confronti dei Berieski, dei quali ignoravano ogni cosa: l'identità, la provenienza e le intenzioni. Per la qual cosa, non c'era stata da parte loro neppure la minima ostilità, per cui non si erano messi ad osteggiarli apertamente con dimostrazioni di protesta oppure addirittura con atti di guerriglia diretta oppure indiretta, per cercare di rendersi conto della reale situazione.

In seguito gli Sceican avevano iniziato ad allarmarsi molto di più. Ma non volendo intervenire da soli contro quella marea di armati, la quale pareva non finisse più in quei territori, come loro prima mossa, avevano pensato di coinvolgere anche le altre quattro tribù del posto, visto che con esse stavano in ottimi rapporti. A tale proposito, il loro capo Zart aveva inviato delle staffette ai rispettivi capitribù, i quali erano: Nond, quello della tribù dei Tucar; Gudra, quello della tribù dei Moian; Ribov, quello della tribù dei Surcos; Ipus, quello della tribù dei Patva. Tramite i suoi messaggeri, egli li aveva messi al corrente della reale situazione del momento e li aveva anche invitati a riunirsi presso il villaggio dei Moian, trovandosi esso a metà percorso dagli altri quattro. Dando per scontato che essi avrebbero aderito al suo invito, Zart si era anche messo immediatamente in viaggio per raggiungere gli altri capitribù. Infatti, al suo arrivo nel villaggio moianese, egli li aveva già trovati tutti ad attenderlo in quel luogo. Allora essi si erano affrettati a riunirsi nella capanna del capo Gudra che li ospitava, allo scopo di discutere insieme sulla grave situazione. La quale era stata prospettata dal capo sceicano per i loro cinque villaggi. Una volta poi che essi si erano accomodati e la seduta era stata aperta, il capo moianese si era rivolto a colui che aveva richiesto quella riunione, domandandogli:

«Ci spieghi, Zart, perché hai voluto che noi c'incontrassimo con urgenza presso la mia dimora e ci hai pure fatto intendere che un pericolo minaccia i nostri cinque popoli? Puoi provare quanto temi?»

«Perché questa è la pura verità, Gudra; altrimenti non mi sarei permesso d'incomodarvi. Il pericolo diventerà di certo fatalmente reale per le nostre tribù, se non adottiamo al più presto le necessarie contromisure, che si dimostrino atte a far fronte ad esso!»

«Vuoi chiarirci, Zart, chi dovrebbe costituire per noi una minaccia imminente? Se devo esserti sincero, a parte te, nessuno dei restanti capitribù ne ha ancora ravvisato qualcuna, che possa metterci in allarme oppure farci preoccupare in maniera seria!»

«Invece, Gudra, le cose stanno diversamente da come le vedete tu e gli altri capi della zona: ve lo garantisco! Se ragionate in questo modo, è perché non vi trovate nel mio villaggio e non avete alcun sentore del pericolo. Esso adesso incombe soltanto su di noi!»

«Zart, vuoi riferirci, una buona volta per sempre, di cosa si tratta realmente? Gli altri capitribù presenti ed io attendiamo che tu ce ne parli, smettendo di girarci intorno.»

«Ebbene, Gudra, alcuni miei collaboratori, eseguendo la solita perlustrazione nelle parti situate a nord del nostro villaggio, sono venuti a conoscenza che a cinque miglia dalle nostre capanne vi bivacca un esercito sterminato. Sono sicuro che esso presto si darà a saccheggiare prima il mio villaggio e successivamente quelli vostri, assalendoli nell'ordine in cui li incontrerà. Perciò, se non ci muoviamo con tempestività e con la dovuta fermezza, finiremo per essere soggiogati e calpestati da coloro che tra non molto invaderanno i nostri territori e li metteranno a ferro e a fuoco! Vi sembra cosa da niente la presenza in queste nostre zone di un numero consistente di armati, la cui provenienza non si riesce a comprendere? Secondo me, noi dobbiamo iniziare ad allarmarci!»

«Ammesso che tu abbia ragione, Zart (ma voglia il cielo che non sia come pensi!), cosa ci suggerisci in merito? Anzi, cosa vorresti che facessimo per arginare l'avanzata di un nemico, di cui non conosciamo neppure qual è la reale consistenza? Può anche darsi che l'esercito scoperto dai tuoi uomini, numericamente parlando, sia molto superiore a quello di cui verremmo a disporre noi con la nostra coalizione! A mio avviso, quindi, prima di osteggiarlo con ogni mezzo possibile a nostra disposizione, conviene apprendere di più su questo esercito in transito dalle nostre parti e conoscerne le vere intenzioni!»

«Anch'io sono dello stesso parere di Gudra,» era intervenuto nella discussione pure Ribov, il capotribù dei Surcos «dal momento che non sappiamo a quale disastro andremmo incontro, se agissimo imprudentemente con una mossa sbagliata. Anzi, non siamo neppure certi che le intenzioni dell'esercito straniero sono davvero ostili verso tutti i villaggi che incontra sul proprio cammino, avendo in programma di razziarli e di distruggerli. Inoltre, ignoriamo perfino quali sono le ragioni della sua presenza nelle nostre vicinanze.»

«In un certo senso,» aveva aggiunto Ipus, il capotribù dei Patva «non posso dare torto a Ribov, poiché la sua potrebbe essere una buona idea. Nel qual caso, però, per noi potrebbe essere molto tardi per porvi riparo, se sfortunatamente ci rendessimo conto all'ultimo momento che un esercito così potente è sul serio intenzionato a danneggiarci. Perciò anch’io non voglio assolutamente correre questo rischio, cari colleghi!»

«Dunque, come vedo,» aveva dichiarato Nond, il capotribù dei Tucar «siamo ad un punto morto, siccome ci sono due idee contrapposte che si equivalgono e a nessuna di esse possiamo aggrapparci per dirimere la questione, con la sicurezza che in seguito non ci pentiremo. Comunque, senza che Gudra e Ribov se la prendano a male, io mi sento di parteggiare più per la tesi dei capitribù Zart ed Ipus, anche se ad entrambi la mia decisione risulterà imprudente e pericolosa nei confronti dei nostri popoli!»

«Bene, a quanto pare, io e il mio amico Ribov abbiamo torto a non pensarla come voi!» quasi amareggiato, Gudra aveva voluto sfogare la propria contrarietà «Allora, essendo noi due in minoranza, democraticamente siamo disposti a seguire la tendenza della maggioranza. Adesso, però, vorremmo apprendere da quelli che hanno le idee discordanti dalle nostre quali provvedimenti si dovrebbero adottare contro le milizie straniere, che si trovano dislocate nella zona indicata dal collega Zart.»

«Bisogna approntare subito un grande esercito per farlo scontrare con le truppe invaditrici, affinché le ricacci nel loro luogo di origine.» gli aveva risposto il capotribù sceicano «Secondo i miei calcoli approssimativi, con gli abili alle armi che recluteremo nelle nostre cinque tribù, ne avremo uno formato da cinquantamila guerrieri.»

«Zart, se sono d'accordo anche Ipus e Nond, i quali prima si sono associati a te, si dia allora immediata attuazione a quanto hai proposto. Ogni capo, dopo essere ritornato presso la propria tribù ed avervi arruolato tutti gli uomini idonei alla guerra, al loro comando dovrà marciare alla volta del tuo villaggio per unirsi al tuo esercito. Quando la nostra coalizione sarà effettiva, penseremo al resto!»

Così, essendoci stato anche il parere favorevole dei capitribù dei Tucar e dei Patva, si era posto fine alla riunione, al termine della quale Zart, Nond, Ipus e Ribov si erano affrettati a fare ritorno presso le rispettive tribù, dove ognuno non aveva perso tempo ad armare il proprio esercito. Eccettuato il capotribù sceicano, ciascuno degli altri quattro, alla testa dei propri guerrieri, aveva dovuto lasciare il rispettivo villaggio per raggiungere quello degli Sceican. Naturalmente, in quest'ultimo erano entrati i soli capitribù, mentre i loro eserciti erano rimasti accampati nella pianura situata a nord del villaggio, dove già si era stabilito pure quello sceicano. Poco dopo, quando si erano ritrovati tutti all'interno di esso, i cinque capitribù si erano riuniti nella capanna di Zart, dove si era deciso a unanimità che a comandare gli eserciti coalizzati sarebbe stato Gudra, poiché gli venivano riconosciute particolari doti di stratega. Il capo moianese, però, prima di accettare l'incarico, aveva preteso ed ottenuto dagli altri capitribù carta bianca in ogni suo futuro provvedimento in quelle difficili operazioni di guerra, senza che da nessuno di loro gli provenissero delle interferenze. Addivenuti a tale intesa, Gudra senza perdere altro tempo si era dato un gran daffare per rendersi conto meglio possibile della grave situazione. La quale, da un momento all'altro, poteva trascinare i loro popoli in una guerra sanguinosa dai risvolti potenzialmente disastrosi.


Il capo dei Moian era a quella fase iniziale di studio della complessa circostanza bellica, quando Iveonte aveva lasciato di nuovo il suo accampamento per accompagnare la diva Kronel a far visita al fratello Luciel, affidando il comando dell'esercito al cugino Leruob. Ma egli doveva essere coadiuvato da Tionteo, in qualità di conoscitore di quei posti. In quel luogo, il vicecapo Leruob, dopo aver mandato a chiamare il Terdibano nella propria tenda, servendosi del suo attendente, si era affrettato a comunicargli:

«Tionteo, poco fa il primus della nona legione, la quale è quella d'avanguardia, è venuto ad annunciarmi che i suoi perlustratori hanno avvistato a cinque miglia da qui un esercito di circa cinquantamila soldati. Esso, secondo loro, attende il nostro passaggio di là per assalirci. Tu puoi dirmi di quale tribù indigena possa trattarsi?»

«Siccome ci stiamo avvicinando al villaggio degli Sceican, Leruob, dovrebbero essere senz'altro proprio tali guerrieri a farci la posta. Solo che il loro numero appare un pochino esorbitante, visto che il loro popolo non dovrebbe superare i trentamila abitanti.»

«Se è vero quanto hai affermato, Tionteo, in che modo dobbiamo interpretare questo loro aumento spropositato? Tu come giustifichi un fatto di questo tipo?»

«Secondo me, Leruob, se innanzi a noi ci sta aspettando un simile esercito, posso unicamente pensare che tutte le tribù locali si siano coalizzate, non appena ci hanno visti arrivare, per far fronte comune contro il nemico invasore, che saremmo noi.»

«Sai dirmi, Tionteo, quante e quali sono le tribù che si sono stanziate in questi territori, indicandomi per approssimazione il numero degli abitanti di ciascuna?»

«Esse sono cinque, Leruob. Tralasciando quella degli Sceican, sulla quale già ti ho riferito, le restanti tribù che incontreremo sul nostro cammino sono le seguenti: la tribù dei Tucar, la quale non supera i venticinquemila abitanti; la tribù dei Moian, i cui abitanti dovrebbero essere all'incirca trentacinquemila; la tribù dei Surcos, che avrà quasi trentamila abitanti; la tribù dei Patva, con una popolazione di ventimila abitanti. Perciò, se li mettiamo tutti insieme, i guerrieri che si possono arruolare nelle cinque tribù, possono formare un esercito grande quanto quello che ti ho fatto presente. Quindi, se la matematica non è un'opinione, i conti tornano!»

«Certo che tornano, Tionteo! Ma adesso il problema è come affrontare la spinosa questione che ci ritroviamo a gestire, senza che ci sia neppure mio cugino Iveonte!»

«Te lo suggerisco io cosa fare, Leruob. Ci comporteremo come farebbe Iveonte, se fosse presente. Egli eviterebbe a qualsiasi costo uno scontro frontale tra il nostro esercito e quello delle tribù, che improvvidamente hanno deciso di guerreggiare contro di noi, anche perché i loro capi ignorano con chi hanno a che fare. Se invece essi avessero saputo che Iveonte è il capo supremo del nostro esercito, non se ne sarebbero preoccupati neppure un poco ed avrebbero seguitato a starsene tranquilli nei loro villaggi. Stando così le cose, non ci resta che andare a parlamentare con loro, facendoci riconoscere e rassicurandoli che noi siamo solo di passaggio da queste parti.»

«Spero che tu abbia ragione, Tionteo, e che il nostro tentativo di tranquillizzare i loro capi, dopo esserci presentati, dia dei buoni risultati! Così si eviterà un inutile spargimento di sangue tra i nostri e i loro soldati. Ma se le cose dovessero andare storte, contrariamente a quanto previsto da te, noi potremmo anche rimetterci la pelle!»

«Non preoccuparti, Leruob! Conosco molto bene Gudra, il capo dei Moian, il quale non esiterebbe a genuflettersi davanti a tuo illustre cugino, per cui si metterebbe subito a sua completa disposizione, se egli fosse presente. Comunque, sono sicuro che egli si rammenta pure di me. Perciò quasi certamente darà retta alle mie parole, dopo avermi ascoltato. Inoltre, si adopererà perché il loro esercito si smembri e il contingente di ciascuna tribù se ne ritorni al proprio villaggio. Infine un eccellente guerriero del tuo calibro di cosa dovrebbe aver paura? Se lo vuoi sapere, visto che verrò accompagnato da te nella nostra visita a tali capi, non temerò niente, quando ci recheremo a parlare a tutti loro!»

Avendo Leruob acconsentito alla proposta di Tionteo, essi senza alcun indugio si erano incamminati in direzione dell'esercito alleato, tenendo esposto in modo visibile un ramo di ulivo. Il quale in quei luoghi corrispondeva alla nostra bandiera bianca. Con esso, infatti, si dava ad intendere agli avversari che chi lo portava aveva solo intenzioni pacifiche, essendo il loro scopo quello di parlamentare e di chiarirsi con la parte avversa. Quando poi i due giovani si erano avvicinati abbastanza all'accampamento dove bivaccava l'esercito formato dalle cinque tribù indigene, subito era partito da esso un drappello di guerrieri a cavallo. Essi, dopo averli raggiunti, li avevano prelevati e condotti davanti al comandante in capo, il quale era Gudra. Di lì a poco, anche gli altri quattro capitribù avevano raggiunto la tenda del collega moianese, intenzionati ad assistere alla conversazione che stava per aversi tra lui e i suoi due interlocutori. Anzi, una volta entrati, essi lo avevano sorpreso che si stava addirittura abbracciando con uno dei forestieri venuti a parlamentare con loro, nel quale avevano riconosciuto l'amico dell'invincibile Iveonte. Difatti Gudra, qualche istante prima di abbracciarselo, scorgendolo entrare nella sua tenda, gli era corso incontro e gli aveva esclamato con grandissima gioia: "Sono felice di rivederti, Tionteo!"

Terminato poi il suo abbraccio con lui, aveva continuato a dirgli:

«Come mai non c'è con te anche il tuo amico Iveonte, a cui devo moltissimo? Mi dici anche chi è il giovane che ti accompagna? Mi dispiace soltanto che sei capitato qui nel momento meno adatto, ossia quando ci ritroviamo ad affrontare una situazione parecchio difficile per tutte le cinque tribù della regione. Magari ci fosse qui anche lo straordinario campione, qual è il tuo amico, a darci una mano contro i nostri nemici!»

«Adesso ti rispondo con ordine, Gudra, siccome siamo venuti in questo accampamento appunto per dare la risposta ad ogni tua domanda; ma soprattutto per risollevare te e gli altri quattro capitribù, che scorgo qui dentro, da ogni inquietudine e dallo sconforto. In primo luogo, vi faccio presente che l'esercito che bivacca a poche miglia da qui è comandato proprio da Iveonte, il quale è temporaneamente assente. Per cui lo sostituisce nel comando il cugino Leruob, che è il mio accompagnatore. Posso assicurarvi che anch'egli è un guerriero di eccezionale valore, considerato che cento dei vostri guerrieri non riuscirebbero ad averla vinta, se combattessero contro di lui. Quanto poi all'esercito, a cui ho fatto riferimento, esso conta oltre trecentomila soldati ed è formato esclusivamente dai bellicosi Berieski, come lo è anche Leruob.»

«Come mai, Tionteo, l'invincibile Iveonte adesso si trova a comandare un esercito così numeroso? Per quale arcano prodigio egli ne è venuto a capo? Vuoi essere così gentile da spiegarlo a me e agli altri capitribù, visto che non ci capacitiamo di tale avvenimento? Per giunta, non è neppure presente Iveonte a confermarcelo di persona!»

«Gudra, hai dimenticato che Iveonte stava raggiungendo l'Isola della Morte perché gli avevano riferito che solo lì sarebbe stato liberato della sua amnesia ed avrebbe perciò appreso chi erano i suoi genitori? Ebbene, sull'isola egli è venuto a conoscenza che i suoi genitori sono il re Cloronte, che fu privato del trono con l'inganno dagli altri re dell'Edelcadia, e la regina Elinnia, la quale è l'ultimogenita del leggendario Nurdok. Costui, sebbene ultracentenario, è ancora il superum della Berieskania. Quindi, come poteva Iveonte non andare a far visita al suo nonno materno e raccontargli ogni cosa sulle travagliate disavventure dei suoi genitori? A tali notizie, l'illustre superum, senza pensarci due volte, ha armato un esercito ingente e al suo comando ha messo i suoi due fenomenali nipoti: Iveonte, come comandante in capo, e Leruob, come suo vice. Perciò essi, con il loro esercito, si dirigono verso la regione edelcadica per portarvi la guerra a quei regnanti traditori che privarono del trono il re e la regina di Dorinda. Costoro sono loro parenti stretti, in quanto il sovrano è il genitore dell'uno e la sua consorte è la zia dell'altro. A questo punto, sono riuscito a chiarirti ogni cosa sul caso Iveonte?»

In quell'istante, cioè quando siamo appena ritornati nel presente della nostra storia, il nostro eroe fece il suo ingresso nella tenda di Gudra. Egli, fatto ritorno nel suo accampamento, il primus Runt lo aveva informato delle ultime delicate vicende e di quanto Leruob e Tionteo si erano proposti di ottenere dai capitribù della regione. Allora si era precipitato a far valere la sua autorevolezza presso i capi delle cinque tribù, nel caso che non fossero bastati gli sforzi del cugino e dell'amico a fargli cambiare idea. Dopo essersi presentato con la sua abituale calma ed imperturbabilità, egli iniziò a dire:

«Salve a voi, capitribù della regione! Sono lieto di rincontrarvi tutti e cinque in questa tenda; nel contempo vi esprimo la mia simpatia e la mia amicizia. Anche se non ero presente e non ho potuto ascoltare le cose che il mio amico Tionteo e mio cugino Leruob sono venuti a farvi presenti, io le confermo, siccome esse possono essere state dettate unicamente dalla verità e dal buonsenso. Perciò v'invito a non avere alcun timore, a causa della presenza in questi paraggi del mio esercito. Inoltre, voglio che voi non nutriate verso di esso né diffidenza né ostilità, siccome, come già essi vi avranno informati, la nostra permanenza su questi territori è solo di passaggio. Anzi, prima di allontanarmi dal mio accampamento, avevo già dato ordine a mio cugino, che fa da mio vice, di riprendere la marcia verso l'Edelcadia. Infine, se per voi la mia richiesta non costituisce un grosso problema, vorrei che voi ci deste una mano a procurarci viveri ed acqua; ma solo nella quantità che vi è umanamente possibile. Nel caso poi che non foste disposti a farlo, lo stesso non dovete temere alcuna ritorsione da parte nostra, poiché il mio esercito proseguirà per la sua strada senza darvi il minimo disturbo. Ma prima di scambiarci una calda stretta di mano, attendo la vostra risposta per rendermi conto se ha un senso che essa ci sia fra di noi!»

Dopo che Iveonte con il suo intervento ebbe integrato il chiarimento di Tionteo ai cinque capitribù della zona, i quali avevano avvertito la necessità di coalizzarsi e d'intraprendere un'azione bellica contro l'esercito beriesko, intervenne Gudra a rispondergli. Il capo dei Moian, in verità, prima di parlare anche a nome dei suoi colleghi, ne aveva letto i pensieri attraverso i loro sguardi gioiosamente soddisfatti ed annuenti. Essi, infatti, facevano intendere la loro accettazione della richiesta che gli proveniva da colui che consideravano un eroe inimitabile. Così egli si diede a rispondergli:

«Iveonte, essendo tu il guerriero più grande della terra, noi non dubiteremmo mai della tua parola. Perciò io e gli altri capitribù siamo disposti a concedere al tuo esercito quanto ci hai richiesto, ma nei limiti delle nostre possibilità, come tu stesso hai detto! Con queste mie sagge parole, sono sicuro che ci siamo meritata la tua stretta di mano!»

«Certo che ve la siete meritata, Gudra! Perciò affrettiamoci a scambiarcela, poiché essa potrà solo inorgoglirci e consolidare fra di noi un'amicizia sincera e duratura. Nello stesso tempo, ci saranno anche le presentazioni fra voi e mio cugino Leruob, siccome soltanto adesso vi trovate ad essere l'uno di fronte agli altri. Ad ogni modo, prima di procedere a realizzare l'una e l'altra cosa, è nostro dovere ringraziare il mio amico Tionteo per avere avuto in questa vicenda l'acume di adoperarsi per ovviare ad ogni costo ad un conflitto che sarebbe potuto costare alle vostre tribù e a noi moltissimo, in termini di spargimento di sangue e di un'eccessiva quantità di vittime!»

Alle parole d'Iveonte, seguirono le strette di mano e le presentazioni. Esse ci furono tra un gaudio immenso, il quale pervadeva gli animi di quanti erano presenti. Al termine delle varie manifestazioni di amicizia e di simpatia, che si erano dimostrate sincere ed affettuose, i capitribù dei Patva, dei Surcos, dei Moian e dei Tucar, stando alla testa dei loro eserciti, se ne ritornarono tranquilli presso i rispettivi villaggi. Così facendo, permisero alla difficile e preoccupante situazione di avere uno sbocco positivo, senza che ci fosse neppure un morto in entrambi gli eserciti. I quali erano stati sul punto di scontrarsi con ingenti perdite.