436°-IVEONTE E KRONEL LIBERANO IL DIO MATARUM E IL DIO MAINANUN

Quando Iveonte rientrò nella sua tenda, dopo avere ultimato la sua incursione sopra la Città Santa a favore degli Actinesi, vi trovò la sua diva protettrice, che lo attendeva con una certa apprensione. Ella era impaziente di avere una conversazione con lui su un argomento che non la faceva stare tranquilla. Difatti il giovane eroe se la vide all’istante dinanzi, come non era mai successo prima, siccome in passato gli era apparsa ogni volta, all'improvviso e quando meno se lo aspettava. Ovviamente, la sorpresa da parte di lei gli risultò abbastanza gradita; ma essa, nello stesso tempo, lo fece meravigliare a tal punto, da spingerlo a domandarle senza indugio:

«Posso sapere, Kronel, perché mai eri già qui ad attendere il mio ritorno e in una maniera del tutto inusuale, se confrontiamo l’attuale tua apparizione con quelle precedenti? Sono sicuro che non hai potuto fare a meno di preoccuparti, a causa di qualcosa di molto grave, che non ti dà pace! Se è stata giusta la mia prima impressione sulla tua presenza qui da me, diamoci sotto e cerchiamo di ragionarci sopra con calma per venirne a capo al più presto!»

«Hai ragione, Iveonte, a pensarla così, dal momento che hai colpito nel segno! Se vuoi conoscere la verità, qui non c'è da risolvere un bel niente, poiché non spetterà a noi trovare la soluzione a taluni fatti anomali, i quali stanno succedendo sul vostro pianeta Geo. Occorrono invece l'intervento di mio padre Kron e quello di mio zio Locus, se vogliamo ottenere dei chiarimenti su di essi. Solo così approderemo a dei risultati che non lascino dubbi in proposito. Ecco come stanno realmente le cose, mio eroe, i quali mi fanno anche preoccupare moltissimo!»

«Vedo, Kronel, che non mi sei stata di nessuno aiuto, ammesso che tu abbia voluto farmi intendere qualcosa riguardante la tua attuale preoccupazione. Perciò mi fai il favore di dirmi, chiaro e tondo, cos'è che ti procura tanta apprensione e non ti fa stare per niente tranquilla?»

«Ho il vago sospetto, Iveonte, che su questo pianeta stiano accadendo alcune strane cose, le quali dovrebbero impensierirci non poco, se attribuiamo ad esse un'interpretazione in chiave pessimistica. In base alle quali, potrebbero esserci per noi dei tempi terribilmente inquietanti e per niente eludibili. Ma quelli che ce lo possono confermare senza dubbi sono soltanto mio padre Kron e mio zio Locus»

«Allora mi dici, Kronel, cosa ti porta ad esprimerti come stai facendo? Se per te non costituisce un grosso problema, preferirei che tu me ne parlassi con maggiore chiarezza, esponendomi quei fatti che, come noto, ti stanno allarmando in modo particolare! Perciò ho assolutamente bisogno di conoscerli, se voglio farmene anch’io almeno una meza idea!»

«Trovi normale, Iveonte, che dei mostri si siano dati a demolire le abitazioni di Actina e a fare strage dei suoi abitanti, senza che Matarum sia intervenuto a difendere l'una e gli altri? Inoltre, mi sono accertata che egli non si trova più né in città né nelle sue vicinanze. Ciò mi lascia supporre che la massima divinità edelcadica, pur essendo un dio maggiore, sia stata ridotta al silenzio da un altro dio di grado superiore al suo. Perciò, dando per certo che non si tratta del dio Buziur, poiché la sua presenza in Kosmos sarebbe stata immediatamente rilevata da mio padre e da mio zio, quale altro dio abbia potuto nuocergli con estrema facilità? Te lo dico io: nessuno! Allora devo ammettere che solo il mio genitore Kron e suo fratello Locus potranno darci la risposta a tale quesito e scioglierci così il rebus. Ti garantisco, mio pupillo, che non c'è un diverso percorso da seguire, se vogliamo pervenire alla verità!»

«Kronel, non hai pensato al fatto che, come io possiedo l'anello che proviene da tuo padre e da tuo zio, così anche qualche divinità negativa sia giunta in Kosmos, dopo che abbia ricevuto dall'Imperatore delle Tenebre un oggetto che possa farle esprimere la sua potenza di divinità somma? In quel caso, essa facilmente sarebbe riuscita a sconfiggere e a fare suo prigioniero forzato il dio Matarum! Secondo me, su Geo sarà successo qualcosa di simile. Anzi, ne sono sicuro!»

«Potresti e non potresti avere ragione, mio eroe! Ma io sono convinta che, se il dio Buziur non può trasferirsi in Kosmos, senza che il dio del tempo e il dio dello spazio ne vengano a conoscenza, non può farlo neppure qualunque prodotto esprimente la sua potenza. Anch'essa verrebbe intercettata da loro alla stessa maniera che avviene con l’Imperatore delle Tenebre. Comunque, me lo potrà confermare soltanto mio padre, quando tra poco lo chiederò direttamente a lui. Perciò prepàrati ad impugnarmi, non appena sarò ritornata ad essere la tua spada. Smetterai di tenerla stretta nella tua mano destra, dopo che dalla sua punta sarà uscita una nuvoletta di fumo biancastro, poiché essa ti segnalerà che il colloquio tra me e il mio genitore è terminato. Allora non tarderò ad apparirti di nuovo, come mi vedi adesso, e a riferirti su quanto avrò appreso da lui sullo strano fenomeno. Ci siamo intesi?»

Dopo avere annuito alle parole della diva, Iveonte attese che ella ridiventasse spada e si lasciasse scorgere in qualche angolo della sua tenda. Così l'avrebbe ripresa ed impugnata, come già era abituato a fare, quando la diva cercava di mettersi in comunicazione con il proprio genitore. Avvenute poi entrambe le cose, egli aspettò che la sua divina protettrice finisse di colloquiare con il potentissimo suo genitore e gli riapparisse. Naturalmente, non gli era consentito né di avvistare l'uno e l'altra, mentre si parlavano; né di ascoltare le cose che essi si dicevano a tu per tu nella loro conversazione. Noi invece, diversamente dall'eroe umano, seguiremo l'evento e faremo da loro ascoltatori.

«Padre,» Kronel cominciò a dire con foga all'eccelso genitore «in questa parte di Geo stanno accadendo talune cose, alle quali non riesco a dare una spiegazione. Per favore, potresti aiutarmi tu a sbrogliarle, in modo che esse smettano di apparirmi occulte?»

«Innanzitutto, mia diletta figlia, raccontami ciò che non ti fa stare serena. Anzi, come vedo, l'evento ti sta perfino turbando! Così dopo, venendoti incontro, ti chiarirò ogni cosa.»

«Bene, padre, adesso inizio subito a fartene un resoconto. In ognuna delle città dell'Edelcadia, fatta eccezione di Actina, per conto della sua divinità protettrice, operava un Umanuk da tempo immemorabile. Ma se fino a poco tempo fa ciascuno di loro non ha dato grossi problemi ai suoi abitanti, ad un certo punto, tutti insieme, essi si sono messi a sconvolgere il normale andamento della vita pubblica dei rispettivi grandi centri urbani. In che modo? Innanzitutto hanno ucciso i sovrani delle loro città, assumendone le sembianze e il potere sui propri sudditi. In un secondo momento, hanno istigato i loro popoli contro la Città Santa, facendogli credere che i suoi cittadini abbiano deciso di abbattere il tempio consacrato al dio Matarum, il quale è la massima divinità della regione edelcadica. Infine, dopo averli resi consenzienti ad una guerra contro gli Actinesi, hanno armato sette eserciti e li hanno condotti all'assedio di Actina. Vedendo poi che i loro soldati non si mostravano in grado di espugnarla, essi stessi si sono metamorfosati in mostri terribilmente perniciosi ed invincibili, allo scopo di riuscire là dove i loro eserciti stavano fallendo. A quel punto, però, ho sollecitato il mio protetto ad intervenire contro tali mostri. Allora egli, in quanto amante del bene e della giustizia, non ha perso tempo a disintegrarli con il tuo anello.»

«Davvero, figlia mia, gli Umanuk hanno osato tanto? In questo caso, essi hanno commesso un atto gravissimo, per cui ha fatto bene Iveonte a distruggerli tutti! Ma noto che uno di loro è riuscito a sottrarglisi in tempo, ossia il Talpok, rappresentato dal mago Ghirdo.»

«Certo che è come ti ho detto, padre mio! Dopo il mio racconto, mi sento in dovere di rivolgerti due domande. Con la prima, ti chiedo come mai Matarum, pur essendo una divinità maggiore, ha lasciato che tutto questo avvenisse, senza muovere neppure un dito contro gli Umanuk e i loro eserciti, che erano intenzionati, come lo sono tuttora, a distruggere la sua città? Pensa che, se non fosse intervenuto il mio pupillo in aiuto del popolo actinese, adesso la Città Santa si ritroverebbe ad essere un cumulo di macerie! Con la seconda, ti domando come sia stato possibile che, senza farne accorgere a te e a tuo fratello, sia intervenuto Buziur oppure un suo prodotto a mettere a tacere il dio, pur essendo egli una divinità maggiore, che gode la stima dell'intera Edelcadia?»

«La risposta alla tua seconda domanda, Kronel, ti è presto data. Né Buziur né un suo prodotto esprimente la sua energia di divinità somma giammai sarebbero potuti entrare in Kosmos, senza che tuo zio Locus ed io li intercettassimo in tempo. Ciò chiarito ed ammesso per ipotesi che un fatto del genere non sia avvenuto sul serio, anch'io mi chiedo come mai Matarum, il quale è una divinità combattiva di tutto rispetto, non è intervenuto a favore del suo popolo. Allora, per comprenderci qualcosa, sono costretto a seguire da vicino la vicenda del dio del cielo, iniziando a scrutarla dal tempo in cui la sua esistenza si svolgeva sovrana sulla sua amata Actina. Nel contempo andrò a rendermi conto se anche Mainanun, che è il dio del vento, sia incorso in una disavventura del genere. Perciò devo lasciarti per alcuni attimi per potere approfondire questo strano caso, visto che esso non promette nulla di buono. A tra poco, dunque, carissima figlia mia!»

Quando l'eccelso dio del tempo si ripresentò alla figlia, dopo che era trascorso non molto tempo, le fece il seguente rapporto:

«Per prima cosa, Kronel, ti faccio presente che ci troviamo di fronte a due casi analoghi, poiché Matarum e Mainanun, che è anche scomparso ai suoi fedeli Berieski, hanno subito l'identico trattamento da parte di quelle divinità che molto tempo addietro erano state punite da loro come meritavano. Acclarato questo particolare, passo a raccontarti il modo in cui si sono svolti effettivamente i fatti, che hanno visto l'uno e l'altro dio di grado maggiore cadere nella trappola delle stesse divinità negative, che in un passato remoto avevano subito la loro punizione senza scampo. A tale riguardo, devi sapere che il dio del cielo, volendo vendicare la morte della contadinella Actina uccisa dalla malvagità di Strocton, fece sprofondare il dio malefico in una voragine infernale senza fondo e ve lo seppellì per un tempo infinito. Invece, dopo appena due millenni, lo si è visto aggirarsi di nuovo nell'Edelcadia, poiché qualcuno è riuscito a liberarlo. Adesso egli vi circola, avendo con sé uno scettro, che può essere solamente opera di Buziur. Esso, perciò, ci è sfuggito, per non averlo preso in considerazione.»

«Mi dici, padre, pure ciò che è accaduto a Mainanun, per favore?»

«Quanto al dio del vento, anche a lui è stato riservato un trattamento dello stesso tipo, da parte di una terna di divinità, che egli qualche millennio prima aveva castigato per farle smettere di perseguitare il suo popolo prediletto. Il trio divino era costituito dai gemelli uterini Oxus, dio dei serpenti, Tolun, dio delle locuste, e Trapes, dea delle inondazioni. Una volta liberati allo stesso modo dal dio, che per il momento possiamo solo sospettare, il quale ha pure dotato Oxus di un suo scettro, essi sono corsi a vendicarsi del dio del vento. Così lo hanno fatto cadere nella loro trappola, sempre grazie allo scettro dell'Imperatore delle Tenebre, e lo hanno perfino imprigionato nella stessa caverna, in cui egli un tempo aveva stabilito che vi restassero loro tre per una infinità di secoli. Per questo adesso, all’inverso, è lui che sta espiando la medesima pena!»

«Allora, padre, sono sicura che interverrai tu a liberare Matarum e Mainanun, perché entrambi ritornino ad essere venerati dai rispettivi popoli. Inoltre, farai anche pentire le divinità negative, che hanno osato tanto nei loro confronti. Non è forse vero, che ci sarà il tuo intervento?»

«Invece, figlia mia, non sarò io ad occuparmi della loro vicenda sfortunata, siccome sarò impegnato a risolvere un problema di portata ben più rilevante, il quale dovrà condurre me e tuo zio Locus ad indagare sull'avvenuta presenza di Buziur in questa regione di Geo, nonostante essa si presenti assurda. Al posto mio, sarete tu e il tuo amato Iveonte ad interessarvi di entrambe le vicende e a dare ad esse una soluzione positiva, anche perché i mezzi non vi mancano per portare a termine l'una e l'altra impresa nel migliore dei modi. Perciò adesso ci salutiamo; ma ti prometto che, non appena verrò a conoscenza di qualcosa di più preciso riguardante la somma divinità di Tenebrun, mi rifarò vivo e ti metterò al corrente di ogni cosa. Sei soddisfatta, Kronel?»

«Certamente, padre mio; però non dimenticarti di salutarmi tantissimo la mamma Ebla, alla quale penso sempre, insieme con mia madre Lux, siccome a loro due ho assegnato un posto privilegiato nel mio cuore, volendo sentirle sempre vicine a me!»

Un attimo dopo, essendo terminata la sua conversazione con il proprio genitore, la divina Kronel riapparve al suo pupillo. Egli allora si ritrovò a non impugnare più la propria arma, essendo adesso intento ad ammirare la bellezza della sua diva. Essa calamitava sia la sua attenzione che il suo interesse, non sentendosi di fare altro in quel dolce momento. Per cui tale suo atteggiamento, che lo presentava ubriaco di contentezza, spinse la figlia del dio Kron a rivolgersi a lui con queste parole alquanto leziose:

«Cosa ti succede, mio amato eroe? Hai smarrito forse la strada, che ti conduce a me, nonostante io ti stia a poca distanza? Ciò è grave, da parte tua! Ma te ne rendi conto? Spero che rientrerai presto in te e comincerai a darmi retta! Altrimenti mi toccherà sorbirmi un noioso soliloquio, il quale di certo non mi recherà alcuna felicità. Dovresti sapere che i monologhi mi tediano da morire! Adesso ti decidi ad accogliermi come si deve, dandomi il tuo gentile "Ben ritornata a me, Kronel!"?»

A quelle poche frasi della sua diva protettrice, dal tono volutamente affettato, Iveonte si affrettò a risponderle, con la palese intenzione di non essere da meno rispeto a lei:

«Kronel, è così che tratti la mia ammirazione per te? Che colpa ho io, se la tua dolcezza e la tua grazia m'inducono ad ammirarti oltre ogni immaginazione, fino a stordirmi l'intelletto e a rendermi incapace di reagire con un comportamento normale, sebbene io abbia di fronte l'essere divino che sei tu? Vorrà dire che la prossima volta mi comporterò come se tu per me rappresentassi un essere insignificante, degno di nessuna mia adulazione! Anzi, ci ho ripensato. Inizio già da questo preciso istante ad agire come ti ho detto, accogliendoti come una comune mortale, la quale non merita neppure una goccia della mia considerazione. Perciò, adesso che mi sei riapparsa, comincia pure a riferirmi quanto hai appreso dal tuo potentissimo genitore sulla scomparsa del dio Matarum!»

Alle parole apparentemente risentite del suo amato pupillo, la diva Kronel, ritenendo il tono della sua reazione altrettanto scherzoso, si affrettò a fargli presente:

«Ehi, Iveonte, adesso è meglio che la smettiamo di tirare avanti, facendoci degli scherzi! Dunque, lasciamo da parte i finti rimproveri e le simulate permalosità, poiché abbiamo due missioni abbastanza serie da compiere, le quali dovranno essere portate a termine da noi due al più presto. Per questo adesso passo a narrarti ogni cosa appresa da mio padre, affinché pure tu ne prenda coscienza. Dopo stabiliremo il modo d'intraprendere le due difficili imprese che ci attendono, evitando ad ogni costo di partire con il piede sbagliato!»

Quando la graziosa figlia del dio del tempo ebbe terminato di raccontargli tutto quanto sulle divinità positive Matarum e Mainanun, Iveonte intervenne a dichiararle:

«Se le divinità in questione aspettano noi per essere tirate fuori dalle loro attuali disgrazie, Kronel, allora non indugiamo oltre e andiamo subito a liberarle. Ma prima dovrò informare Leruob e Tionteo del mio nuovo allontanamento dall'accampamento, impartendogli anche le necessarie disposizioni, alle quali essi dovranno attenersi in mia assenza. Quindi, il nostro colloquio termini qui, mia graziosa diva, dovendo noi darci da fare per liberare i divini protettori del popolo edelcadico e di quello beriesko, i quali ora mi sono assai cari!»


Già l'indomani Iveonte e la diva Kronel si misero alla ricerca del luogo, nel quale il dio negativo Strocton aveva confinato il divino Matarum, ad un miglio sottoterra, intenzionato a farcelo restare sepolto per un tempo senza fine. Mentre essi volavano, l'uno accanto all'altra, la quartogenita del dio Kron fece presente al suo pupillo:

«Nell'ultima missione, Iveonte, sei stato saggio a prendertela soltanto con i mostri, senza infierire anche contro gli eserciti assedianti. A proposito della loro meritata uccisione, uno di loro è riuscito a sfuggirti e a salvarsi, trovando rifugio sottoterra. È stato mio padre a farmelo presente. Vuoi sapere anche quale degli Umanuk non ha subito il tuo giusto castigo? Oppure hai già una vaga idea su di lui?»

«Certo che ce l'ho, Kronel! Egli può essere soltanto il mago Ghirdo, il quale, quando lo desidera, ha la capacità di trasformarsi nel mostro Talpok, da me già affrontato nel bosco presso Dorinda per liberare la mia Lerinda. In quella circostanza, potei resistergli e metterlo in fuga, grazie al tuo aiuto, che mi desti attraverso la spada. Ma se allora avessi avuto l'anello di tuo padre, in quel giorno stesso egli avrebbe cessato di esistere per sempre e di farsi vedere ancora in circolazione. A quanto pare, ogni volta che lo affronto, egli ha sempre una fortuna sfacciata di sfuggirmi e salvare la pelle! Ma non sarà sempre così, poiché sono sicuro che, alla prossima occasione che me lo ritroverò di fronte, il mago dorindano non se la caverà più, come ha fatto fino adesso. Lo sai, mia graziosa diva, che il mago Zurlof, mentre mi allontanavo da lui, mi gridò alle spalle di guardarmi da Ghirdo, essendo egli un irriducibile mio nemico? Ora che ci penso, fu lui a far decretare anche la mia morte da mio padre, secondo il racconto di Lucebio.»

«Mi dici in quale maniera, mio amato pupillo, egli cercò di farti sopprimere, pur di continuare a godersi la sua immortalità?»

«Il maligno mago appositamente interpretò male il sogno fatto dal mio genitore, appunto per farmi condannare alla pena capitale. Invece egli, agendo in quella maniera perfida, contro le sue previsioni, mi procurò soltanto benessere. Infatti, dopo essere stato abbandonato da Lucebio nella foresta, ebbi la buona sorte d'incontrare Tio, l'insuperabile maestro d'armi e di arti marziali, il quale riuscì a far di me un combattente invincibile. In seguito ebbi anche la grande fortuna d'imbattermi in te, che esistevi come Spada dell’Invincibilità nel Castello Maledetto. A proposito del mio mancato intervento contro i sette eserciti alleati, al fine di punirli per il loro assedio contro la Città Santa, se ho evitato d'intervenire contro di loro, c’è stata una ragione. Essi non hanno alcuna colpa delle loro azioni ostili contro Actina. Inoltre, in quel momento nessuno di loro era impegnato ad assediare la città, della quale il mio amico fraterno e mia sorella si ritrovano ad essere i legittimi regnanti.»

«Sì, Iveonte, quanto affermi è senz'altro esatto. Ad ogni modo, non può essere negato che in te predomina sempre un sano concetto del bene e della giustizia. Esso ti fa discernere senza errori ciò che è giusto e ciò che è sbagliato in ogni situazione, soprattutto quando vieni chiamato ad agire per il bene della collettività oppure del singolo individuo. Non ho mai riscontrato nella tua condotta personale nessuna parzialità, dei modi di comportamento errati e la rinuncia al senso del dovere. Ciò, specialmente quando quest'ultimo è da mettersi in pratica a favore dei bersagliati dalla sorte avversa!»

«Grazie, Kronel, per questo tuo riconoscimento, il quale m'inorgoglisce tantissimo. A questo punto, però, cerchiamo di appurare dov'è situata la prigione del divino Matarum.»

«Hai forse dimenticato, Iveonte, che non dovremo essere noi a cercare il dio del cielo nelle profondità della terra? Al nostro posto, invece, dovrà farlo il tuo anello. Dopo che abbiamo raggiunto un'altezza considerevole, ordinagli di cercare il dio Matarum nel sottosuolo della zona che stiamo sorvolando, visto che questa dovrebbe essere quella giusta che lo tiene sepolto. Vedrai che all'anello non sarà difficile perlustrare le sue profondità e raggiungerlo nel punto esatto dov'egli è costretto a restare pressato ed inattivo, oltre che impotente ad esprimersi in qualche maniera! Perciò comincia a dare all’anello un tale ordine!»

Allora, fatto tesoro della lezione ricevuta dalla diva e pervenuti ad un'altezza ragguardevole insieme con lei, Iveonte, indicando al suo amuleto il suolo sottostante, si diede ad ordinargli: "Perlustralo nelle sue profondità e ricerca in esso la divinità positiva che deve essere liberata!"

A quell'imperioso comando impartito dal giovane eroe, si staccarono separatamente dal prodigioso anello tre raggi energetici di diverso colore. Il primo, che era azzurro, penetrò la superficie terrestre fino ad un miglio di profondità e la perlustrò entro un raggio di dieci miglia, poiché bastò tale spazio per trovare il divino Matarum. Il secondo, che era rosso, si diresse direttamente nel luogo dove il dio risultava immobilizzato da una energia potentissima. Il raggio, però, nell'introdursi nel sottosuolo, vi creò pure una voragine avente un diametro di dieci metri. Il terzo, che era giallo, pervenuto presso il divino prigioniero, rese inerte l'energia che lo avvolgeva e gli permise di ritornarsene in superficie, dove lo stavano aspettando con impazienza la diva e l'umano eroe. Ma quando il dio positivo venne fuori, fu Kronel ad accoglierlo, dicendogli:

«Bentornato all'esistenza fattiva, Matarum! Attendevamo la tua uscita dal profondo budello, il quale ti ha permesso di arrivare fino a noi per farci rallegrare con la tua presenza! Dovresti esserne soddisfatto!»

«Ma voi chi siete? E come mai eravate al corrente della mia liberazione? Non capisco perché mai parlo anche al Materiade, quando invece è a te soltanto che dovrei rivolgermi, dolce diva! Allora mi dici chi sei e mi racconti ogni cosa che m'interessa apprendere da te?»

«Noi siamo i tuoi liberatori, Matarum. Se lo vuoi sapere, era stato uno scettro di Buziur, di cui Strocton era in possesso, a ridurti in cattività. Adesso, però, grazie al nostro intervento, sei nuovamente libero e puoi fare quello che ti pare e piace! Sei contento?»

«Visto che mi tocca crederti, diva, riguardo a ciò che un momento fa mi hai riferito sullo scettro dell'Imperatore delle Tenebre, altrimenti non si giustificherebbe la vittoria di Strocton su di me, mi dici ora come posso accettare per vero il fatto che siete stati tu e l'essere umano a fare di me un dio libero? Anzi, preferirei estromettere lui dalla nostra conversazione, siccome egli non potrebbe avere niente a che vedere con la mia liberazione! Comunque, prima rivelami chi sei, simpatica diva, e dimostrami che davvero sei stata tu ad annientare l'energia che lì sotto mi avvolgeva e mi rendeva una vera nullità!»

«Io sono Kronel, la quartogenita dell'eccelso Kron; però di sicuro non sono stata io a fare di te una divinità libera, contrariamente a quanto sei stato portato a credere!»

«Allora chi è stato il mio liberatore, se tu non c’entri con la mia liberazione? Ci tengo a saperlo, figlia del dio del tempo!»

«Forse non ci crederai; ma a liberarti dalla prigionia di Strocton, è stato proprio l'umano, che tu hai voluto escludere dalla nostra conversazione, non ritenendolo all'altezza di compiere un simile prodigio. Questa è la pura verità, dio del cielo, che tu lo voglia oppure no!»

«Vuoi dimostrarmi, Kronel, com’egli avrebbe fatto ad operare il miracolo della mia liberazione? Infatti, quanto mi hai attestato non mi convince nel modo più assoluto, se non mi viene prima dimostrato!»

«Prima di darti la dimostrazione che mi hai chiesta, Matarum, ti faccio presente che il mio protetto si chiama Iveonte e nessun essere umano può paragonarsi a lui in tutti i sensi. Adesso t'invito a guardare la sua mano destra, dove puoi scorgere un anello infilato al suo dito medio. Ebbene, esso è un dono di mio padre ed esprime l'intera sua potenza. Fu Osur, il suo messaggero, a consegnarglielo, per permettergli di difendermi da qualche divinità negativa maggiore e di non farmi cadere in sua balia. Non sto qui a raccontarti perché non ne sono io in possesso, siccome la storia sarebbe molto lunga. Ti faccio solo presente che in Kosmos conduco la mia esistenza come diva latente, per cui il mio genitore ignorerebbe il mio cagionevole stato, se qualche dio malefico maggiore tentasse di approfittare di me. Ecco perché c'è il mio pupillo a togliermi dai guai, nel caso che tale dio malefico mi ci mettesse. Adesso non ti devi più preoccupare dello scettro di Buziur, che è in possesso di Strocton, poiché se ne sta occupando mio padre, il quale quanto prima glielo renderà inservibile.»

«Grazie, amabile diva! Te ne sono molto riconoscente per avermi informato di cose molto importanti!» la ringraziò il dio del cielo.

Subito dopo, egli volle essere riconoscente anche all’eroe umano, per cui gli si espresse con le seguenti parole:

«Anche a te, Iveonte, va la mia riconoscenza, per esserti adoperato in mio favore, facendomi diventare di nuovo un dio libero.»

«A questo punto,» la diva Kronel intervenne a congedarsi da lui «dobbiamo lasciarti, dio del cielo, poiché Mainanun, il protettore del popolo beriesko, è nella medesima situazione in cui ti trovavi tu poco fa; per questo intendiamo liberare pure lui. Visto che non lo sai, la tua città prediletta viene cinta d'assedio da sette eserciti edelcadici, i quali non ne hanno colpa, essendovi stati trascinati da coloro che essi hanno creduto i loro sovrani, ma che in realtà non lo erano, poiché si trattava di persone a servizio di divinità negative. Ad ogni modo, Iveonte li ha fatti fuori tutti, dopo che si sono trasformati in mostri e si sono messi a distruggere Actina e ad uccidere i suoi abitanti. Ora che sei libero, da questo momento, ci penserai tu a gestire la contesa in atto sotto le mura della Città Santa, cercando di essere non molto severo nei confronti dei soldati assedianti. I quali sono convinti che la loro lotta è a tuo favore.»

Dopo che si furono congedati dalla prestigiosa divinità dell'Edelcadia, la divina Kronel e il suo Iveonte intrapresero il viaggio, il quale avrebbe dovuto condurli in Berieskania. Nel loro volo cosmico, però, essi non poterono fare a meno di soffermare la loro attenzione sul dio Mainanun, il quale si presentava un'altra figura divina dal fascino straordinario. Ma una volta che ebbe terminato di ripercorrere i fatti salienti della sua passata esistenza, seppure a larghi tratti, la diva, dopo averci riflettuto, fece presente al suo pupillo:

«Lo sapevi, Iveonte, che tanto Matarum quanto Mainanun vengono ad essere entrambi divinità protettrici della tua famiglia? Infatti, essendo tua madre una Berieska e tuo padre un Edelcade, non può essere altrimenti! Perciò tutte e due le imprese odierne devono essere considerate da te di uguale importanza: rammentatelo!»

«Ad esserti sincero, Kronel, prima non ci avevo fatto caso; ma adesso non posso che darti ragione, dal momento che la tua osservazione è giusta ed inoppugnabile. Per questo dentro di me mi sento particolarmente portato a compiere la nuova impresa, ossia con la stessa foga e con lo stesso ardore che avvertivo nel mio intimo, quando ci stavamo recando a liberare il dio Matarum. Sono convinto che tu hai compreso ciò che ho voluto palesarti, poiché ti ho scorta che assentivi compiaciuta, mentre mi esprimevo.»

Avvenuto il loro breve scambio d'idee sulle due divinità positive adorate dagli Edelcadi e dai Berieski, il silenzio che ne seguì tra i due non durò a lungo, siccome la Berieskania fu avvistata poco dopo sotto di loro. Allora la diva comunicò ad Iveonte:

«La terra dei Berieski è già sotto di noi, mio caro pupillo. Occorre che ci prepariamo a liberare Mainanun e ad incontrarlo, dopo che ci sarà stata la sua liberazione. Tieniti pronto!»

«Sto già all'erta, Kronel, e non vedo l'ora di fare intervenire il mio anello per avviare le ricerche sul suolo beriesko. Prevedo che in questa regione esse saranno più difficoltose, dovendo noi condurle su una zona molto vasta. Comunque, confido nell'aiuto del mio prezioso amuleto, il quale arresterà all'istante la nostra corsa, non appena ci troveremo sopra la prigione del dio del vento. Ne sono sicuro!»

«La penso anch'io come te, Iveonte. Per cui non occorre preoccuparcene con ostinazione, facendoci prendere da uno stato ossessivo quasi patologico! A proposito poi del recluso dio Mainanun, secondo quanto ho appreso dal mio genitore, egli dovrebbe trovarsi in una grotta, per la qual cosa l'anello dovrà limitarsi a perlustrare la parte superficiale della regione berieska, senza che la sua perlustrazione avvenga molto sottoterra. Ciò vuol dire che esso si sbrigherà, prima nell'individuarne il luogo di reclusione e poi nel liberarlo, permettendoci di fare la sua conoscenza in brevissimo tempo!»

La divina figlia del dio Kron ebbe appena finito di fare la sua constatazione sull'anello, allorquando ella ed Iveonte avvertirono una frenata involontaria, a cui andarono incontro i loro corpi, poiché rimasero sospesi nel vuoto. A quel contraccolpo improvviso, essi si resero conto che erano giunti sul luogo, dove doveva trovarsi la caverna che si teneva rinchiuso il dio Mainanun. Allora toccò al giovane umano impartire all'anello l'identico ordine da lui emesso poco tempo prima per fargli liberare il dio Matarum. Esso non osò ignorarlo, poiché lo si vide emanare dal suo corpo i soliti tre raggi: quello azzurro individuò l'antro, che faceva da prigione al dio; quello rosso lo sventrò e vi creò un'apertura; quello giallo, dopo averlo raggiunto, neutralizzò la potente energia, che lo avvolgeva e lo immobilizzava. Dopo esserci state da parte dei raggi quelle tre azioni liberatorie, le quali si erano susseguite con un procedimento inappuntabile, il divino Mainanun si sentì nuovamente affrancato da ogni immobilità, libero di muoversi e di fare qualunque cosa volesse. Una volta liberato, il suo primo pensiero fu quello di venire fuori dall'antro per ricominciare ad esistere come una volta. Ma all'esterno di esso, c'erano ad attenderlo la diva Kronel e l'umano Iveonte. Trovandoseli davanti, come se lo stessero aspettando, il dio del vento chiese a loro due:

«Mi dite chi siete e perché mai vi trovate proprio in questo posto e nel momento esatto che mi affretto ad uscire all'aria aperta? Forse la mia domanda avrei dovuto rivolgerla alla sola diva, considerato che l'umano non fa affatto numero per noi divinità!»

«Invece, Mainanun, questa volta egli fa numero e lo fa anche a pieni voti! Adesso te ne spiego la ragione. In primo luogo, mi pregio informarti che sono Kronel, la quartogenita figlia dell'eccelso dio Kron; mentre il mio pupillo qui presente si chiama Iveonte, il quale deve essere considerato il più grande eroe fra tutti gli esseri umani. In secondo luogo, ti faccio presente che, se stai uscendo dall'antro in piena libertà, ciò lo devi solo a noi, poiché siamo venuti apposta dall'Edelcadia per liberarti.»

«Io mi rifiuto di credere ad un fatto del genere, poiché una giovane dea di grado minore ed un Materiade non possono avere neutralizzato un'energia che io stesso, sebbene sia una divinità maggiore, non sono riuscito a scrollarmi di dosso per liberarmene. Perciò non osate più dirmi che è bastato un vostro trucco per annichilarla e liberarmi da essa, poiché soltanto una divinità grulla vi prenderebbe sul serio!»

Alla ferma asserzione del divino protettore dei Berieski, Kronel, pur di convincerlo della realtà dei fatti, dovette ricorrere all'intera cronistoria già fatta al dio Matarum per lo stesso motivo. Alla fine il dio del vento non poté fare a meno di crederle e anche presentò all'umano Iveonte le proprie scuse, per non avergli attribuito il giusto merito. Dopo le quali cose, la diva e il giovane eroe si congedarono da lui e si apprestarono a raggiungere l'esercito beriesko, il quale era di stanza nel territorio che si estendeva tra il villaggio di Polsceto e quello di Brenco.

Quando vi giunsero, mentre Kronel ritornò ad essere la spada del suo pupillo, quest'ultimo si ripresentò al cugino Leruob e all'amico Tionteo, i quali in quel momento discutevano presso la tenda proprio di lui. Tra l'altro, essi si stavano chiedendo quando sarebbe ricomparso Iveonte in mezzo a loro; però non ci fu bisogno di darsi in proposito una ipotetica risposta, poiché se lo videro comparire davanti, all'improvviso e pienamente soddisfatto. Nello scorgerlo, essi corsero ad abbracciarselo e cominciarono a rivolgergli un mucchio di domande sulla sua nuova missione. Ma rimasero stupefatti nell'apprendere che questa volta egli aveva dovuto liberare due dèi positivi da divinità malefiche. Le quali li avevano reclusi in luoghi oscuri mediante avviluppamenti energetici.

Al termine del racconto d'Iveonte, tutti e tre si resero conto che era ormai mezzogiorno e che bisognava darsi a pranzare senza indugiare oltre, poiché nel pomeriggio era prevista la ripresa del cammino da parte dell'esercito, essendo l'Edelcadia ancora lontana. Difatti, dopo aver consumato il pranzo, puntualmente i soldati si rimisero in marcia, essendo desiderosi di giungere al più presto nella rigogliosa regione edelcadica. Infatti, essi ne avevano sentito parlare parecchio, a causa dello splendore delle sue opulente città. Intanto che l'esercito messogli a disposizione dal nonno materno avanzava verso la Città Santa, Iveonte si mostrava pensieroso. Egli non riusciva a non pensare ad Actina. Dopo l'uccisione dei mostri, egli l’aveva lasciata ridotta malconcia in alcuni suoi quartieri. Ma anche si rammaricava, per aver dovuto lasciare la città senza farvi una breve sosta e trattenersi ad abbracciare le persone a lui molto care, le quali in essa ora avevano fissa dimora. Soprattutto bramava stringere in un abbraccio infinito i suoi genitori, avendo appreso che essi adesso erano ospiti del suo amico fraterno.

Nello stesso tempo, il suo pensiero volava anche alla sua lontana Lerinda e il desiderio di averla accanto dentro di sé si rafforzava di giorno in giorno. Pensando a lei, il giovane s'infiammava d'amore, si sentiva addolcire il cuore, sospirava per lei, la desiderava come nessun'altra donna al mondo, rappresentando ella per lui la fonte della felicità più avvertita intimamente, nonché della serenità dell'animo più vissuta in modo beatifico. In pari tempo, lo tranquillizzava il fatto che egli non era più costretto a scontrarsi con il fratello di lei, il perfido Cotuldo, il quale aveva usurpato il trono di Dorinda al padre Cloronte. Infatti, per altri oscuri disegni, al posto suo, ci aveva pensato il mago Ghirdo a sopprimerlo e a sostituirlo come finto sovrano, dopo averne assunto abilmente le fattezze. Per il qual motivo, in un certo senso, egli doveva pure ringraziarlo.