434-ACTINA VIENE POSTA SOTTO ASSEDIO DAGLI ESERCITI ALLEATI
Nel giorno fissato dagli Umanuk per l'inizio del loro assedio, il baluginio delle stelle appariva oramai morente negli accampamenti dei sette eserciti che circondavano Actina da ogni parte, allorché, all'improvviso e in tutta la loro estensione, vi si levarono infinite grida. Esse erano dovute alla massa infinita di soldati, i quali, mostrandosi forsennati ed imperterriti, si erano dati ad emetterle con il massimo clamore. Tutti apparivano furiosi di assediare la Città Santa, essendo persuasi che il loro intervento armato contro la città actinese era legittimo, doveroso, inderogabile ed indifferibile. Secondo loro, esso vi doveva ristabilire l'ordine di carattere religioso, il quale era stato reso instabile dai suoi abitanti, che avevano smesso di ragionare nel modo giusto. Gli Umanuk, infatti, nelle vesti dei loro sovrani, li avevano convinti che il popolo actinese aveva stabilito di demolire il tempio dedicato alla massima divinità dell'Edelcadia, che era il dio Matarum. Perciò tutti i soldati assedianti ignoravano che stavano intraprendendo una lotta del tutto ingiustificata ed ingiusta contro un popolo fratello. Invece gli Actinesi, per come stavano le cose, non meritavano affatto il loro odio e il loro disprezzo. L'uno e l'altro erano stati rinfocolati nel loro animo da quelli che, sotto mentite spoglie, indossavano l'abito della menzogna e della perversità.
Lasciando da parte questo particolare spiacevole e per nulla gradito dal lettore, adesso ci conviene interessarci all'enorme conflitto, che stava per scatenarsi tra la marea degli assedianti e gli assediati. I primi miravano alla presa di Actina e all'uccisione dei suoi strenui difensori, conducendo l'assedio mediante assalti da inferno diretti a destabilizzare la ferma volontà degli Actinesi, magari anche con intimidazioni psicologiche. I secondi, al contrario, avendo deciso di difenderla con le totali loro forze ed energie, lungi dal farsi intimorire da loro, avevano promesso a sé stessi di tenere duro illimitatamente nel tempo, perseverando perciò nei loro sforzi di difesa e di resistenza. Allora, dandoci alla cronistoria dell'assedio appena iniziato con una turbolenza fisica e psicologica, nel momento attuale si udivano le urla dei soldati che si lanciavano in massa verso le mura, anche se non era facile tentare di superare l'ostacolo costituito dal fossato. Se volevano passare dall'altra parte, essi dovevano destreggiarsi sui pioli delle scale che loro stessi avevano poste coricate su di esso per lungo.
Inoltre, in ogni angolo dei vari accampamenti, si levavano le sorde emissioni sonore di migliaia di corni, i quali strumenti cornei per loro avevano un duplice scopo. Da una parte, cercavano di infiammare gli animi degli assedianti. Dall'altra, invece, avevano il compito di demoralizzare i soldati, che erano intenti a difendere Actina dall'alto delle sue mura e delle sue torri. Con la loro cupezza, essi facevano tutto il possibile per angosciarne gli animi. Nello stesso tempo, palle di fuoco, proiettili di pietra e nugoli di saette si davano a squarciare il cielo, dirigendosi sinistramente alla volta della città assediata. Il loro evidente obiettivo era quello di colpirne la parte merlata oppure di riversarsi sui loro cammini di ronda. Così facendo, vi avrebbero danneggiato cose e vi avrebbero fatto strage di quegli Actinesi, che vi si trovavano a difendere le mura con strenuo coraggio. Ma anche sulle mura, dove si era messa in moto la macchina bellica, come risposta immediata all'attacco nemico, si innescò pronta e violenta la reazione dei suoi difensori. Costoro avevano dato il via al lancio di qualsiasi oggetto e di qualunque elemento materiale che potesse arrecare danno agli assedianti della loro città o alle loro spropositate torri di legno. Le quali, comunque, non potendo superare il fossato ed avvicinarsi alle ciclopiche mura cittadine, stazionavano in prossimità del suo lungo margine esterno. In quel modo, consentivano ad un esiguo numero di soldati alleati di salirvi sopra e di lanciare dalla loro sommità frecce incendiarie ed altro materiale in grado di dimostrarsi devastante e decimante tra gli attivi difensori. Essi potevano agire in quella maniera, grazie agli archi, alle balestre, ai mangani e agli onagri, che avevano a loro disposizione in numero esorbitante.
Almeno nella fase iniziale dell'assedio, come si constatava, per la città del re Francide non si intravedeva il pericolo che i nemici potessero avvicinarsi talmente alle sue mura, da rendergli fattibile un superamento delle medesime mediante scale e funi arpionate. Gli infallibili e solerti arcieri actinesi erano attenti a colpire quanti osavano prendere una simile iniziativa, lanciandosi contro le mura con il proposito di raggiungere i loro merli mediante gli strumenti adatti. Per il momento, prima ancora di pervenire alla loro base, essi finivano quasi tutti per essere colpiti ed uccisi dalle saette fulminanti dei difensori. Le quali, facendoli stramazzare al suolo, rendevano vana ogni loro arditezza intenta ad esprimersi in tal senso. Anzi, molti finivano esanimi nello stesso fossato, nel momento esatto che tentavano di oltrepassarlo. A dire il vero, pure tra coloro che difendevano la città, non mancavano ferimenti ora lievi ora gravi, da parte dei nemici che operavano sulla sommità delle torri di legno. Costoro cagionavano la morte specialmente a quegli Actinesi, che improvvidamente si tenevano troppo allo scoperto. La qual cosa avveniva, mentre si davano da fare a colpire i nemici che tentavano di avvicinarsi alle mura, mostrando molta protervia nel fare ciò.
Volendo chiarire le cose nel modo migliore, con il loro primo assalto ad Actina, gli Umanuk cercavano di rendersi conto dell'effettiva potenza militare nemica nel difendersi e delle varie strategie difensive che essa adottava nella difesa della loro città. Comunque, era anche intenzione dei medesimi appurare quali difficoltà reali comportasse il loro assedio. Infatti, osando in quel modo, essi miravano a correggere quegli eventuali errori che sarebbero venuti fuori dall'arte poliorcetica messa in atto da loro nella fase iniziale. Perciò, siccome il loro obiettivo era stato quello che abbiamo chiarito, gli Umanuk non fecero durare l'assedio più di mezza giornata, poiché a mezzogiorno in punto diedero ai loro ufficiali l'ordine di sospenderlo. Così permisero ai soldati che vi venivano impiegati di rientrare nei rispettivi accampamenti e di consumarvi il rancio.
La sospensione dell'assedio, che c'era stata dopo appena mezza giornata di assalto, sopraggiunse inattesa agli Actinesi e gli permise di tirare un breve sospiro di sollievo. Ma essi non si illudevano che l'inspiegabile tregua sarebbe durata per lungo tempo. A loro parere, probabilmente la temporanea cessazione delle ostilità doveva servire ai capi degli eserciti nemici per dare una diversa impostazione al loro piano di attacco. Difatti esso, in quelle poche ore, non si era rivelato massiccio, come in precedenza lo si era temuto dai difensori actinesi; invece era stato sferrato dai nemici in modo poco consistente e senza alcuna pretesa di poter già decidere le sorti dell'aspra lotta. Come si ipotizzava, quindi, si era trattato esclusivamente di un loro tentativo rivolto a saggiare la consistenza delle forze avversarie e il tipo di difesa posto in essere dalle medesime.
Dopo aver impartito ai loro eserciti l'ordine di sospendere l'assedio alla città di Actina, gli otto Umanuk si incontrarono nella tenda del mago Ghirdo. Costui, che ve li aveva preventivamente convocati, si diede a parlare a suoi pari, come viene riportato qui di seguito:
«Miei gentili colleghi, da quanto abbiamo potuto capire, il nostro assedio alla Città Santa non sarà una impresa facile, considerata l'ottima difesa che essa ha dimostrato di opporci validamente, durante il nostro piccolo assaggio di stamani. Ma ciò che mi ha sorpreso di più nel nostro breve assedio è stato il fatto che esso mi ha indotto a sospettare che gli Actinesi fossero già al corrente di ogni particolare circa la nostra intenzione di assediarla. Per cui essi non hanno perso tempo ad approntare una efficace difesa atta a resistere egregiamente ai nostri assalti. Lo comprova anche la costruzione di un fossato, il quale è stato scavato tutt'intorno ad essa, allo scopo di impedirci di portare le nostre torri di legno sotto le mura e di rendere difficoltoso l'avvicinamento dei nostri soldati alle stesse. Stando così le cose, non ci è permesso di prendere sotto gamba la situazione; al contrario, occorrerà apportare una o più modifiche al piano strategico messo a punto da noi a suo tempo. Chi di voi può già suggerirne qualcuna, a tale proposito? Gliene sarei assai grato, se l'avesse e intendesse proporcela!»
«Non c'è dubbio che bisognerebbe riempire il lungo fosso che circonda Actina con qualsiasi tipo di materiale per consentire dopo alle nostre torri di avvicinarsi alle mura.» cominciò a fargli presente per primo, Neddov, che era l'Umanuk di Cirza «Ma, non essendoci nelle vicinanze né pietraie né boschi per abbattervi alberi e ricavarne pezzi di legno da usare come elemento riempitivo, tale problema non si presenta risolvibile. Per cui il nostro assedio è destinato a continuare allo stesso modo di come lo abbiamo iniziato, a meno che qualcun altro di noi non abbia da avanzare una differente proposta. La quale sia in grado di presentarsi, oltre che idonea al nostro caso, anche facilmente attuabile!»
«Se mi consentite di esprimervela,» intervenne a parlare per secondo Kosep «io avrei una mia idea inerente al nostro caso. Ma ciò che sto per proporvi ci costringerà a rinunciare all'esile vantaggio che adesso ci proviene dalle torri. In compenso, da parte dei nemici, avremo meno uccisioni dei nostri soldati. I quali, se si eseguirà ciò che tra poco vi proporrò, non dovranno più oltrepassare il fossato, barcamenandosi sui pioli delle scale poste su di esso di traverso a formare dei piccoli ponti. Questi, come abbiamo sperimentato nell'assedio di questa mattina, si rivelano totalmente inefficienti a conseguire il nostro obiettivo primario. Non lo credete anche voi, che la situazione è quella che vi ho esposta?»
«Kosep, non hai affatto torto, circa la nostra situazione attuale.» Ghirdo trasse le sue conclusioni «Ma se ho bene inteso, tu non vorresti eliminare le nostre torri, in quanto tali; ma sarebbe tua intenzione farne un diverso uso. Non ancora, però, riesco ad afferrare il concetto di ciò che desideri proporci. Per favore, vuoi farci conoscere in quale altra maniera dovremmo servircene per ricavare da esse un profitto maggiore di quello che ci offrono adesso? Perciò abbi la compiacenza di chiarircela!»
«Per prima cosa, servendoci delle corde, dobbiamo privare le torri delle loro macchine belliche collocate in cima ad esse, che poi adopereremo direttamente da terra. Dopo le vuoteremo dei vari ripiani, che presentano un'apertura centrale e varie scale che li collegano fra loro. Una volta eseguiti in esse tali modifiche e le abbiamo anche fatte trovare coricate sopra il fossato, faremo diventare le torri degli spezzoni di gallerie, attraverso le quali i nostri soldati potranno transitare e raggiungere le mura senza il pericolo di venire colpiti dall'alto. Ovviamente, dopo che le torri avranno assunto la nuova struttura da me escogitata, occorrerà la dovuta accortezza, intanto che le rovesciamo e le adageremo sul fossato per servircene come vi ho appena manifestato. Allora cosa pensate della mia idea? Secondo me, essa dovrebbe riscuotere anche il vostro consenso, dando mandato agli esperti della loro trasformazione!»
«Kosep,» osservò il mago «la tua idea non è male, per cui sono pronto ad accoglierla e a dare ad essa il mio voto favorevole. Se poi anche gli altri sono disposti ad appoggiarla, daremo immediatamente ordine ai nostri ufficiali di fare apportare alle torri le modifiche da te suggerite, affinché esse abbiano la nuova funzione durante l'assedio. Tra poco, prima di metterla in pratica, raccoglierò pure i loro pareri in relazione alla tua intelligente proposta, poiché intendo avere la certezza che anch'essi, condividendola, l'approvano senza trovarvi dei difetti.»
Invitati i restanti Umanuk ad esprimere la loro opinione in relazione all'argomento in corso, sulla scia del mago Ghirdo, essi non esitarono ad assecondare l'iniziativa del loro collega Kosep. Per cui promisero che avrebbero fatto apportare alle loro torri le modifiche da lui proposte. Così, avendo raggiunto tale accordo unanime, agli Umanuk non rimase altro da fare che concludere la riunione in atto e ritornarsene presso il rispettivo accampamento, dovendo impartire il nuovo comando ai loro subalterni. Costoro, a loro volta, dopo avere appreso il lavoro che era da effettuarsi, lo affidarono al gruppo dei carpentieri in servizio attivo presso il loro esercito, perché gli dessero inizio e lo ultimassero nel minor tempo possibile.
Nel frattempo, dopo esserci stata la sospensione dell'assedio da parte dei nemici, nella reggia di Actina essa aveva suscitato una certa perplessità, fino a spingere il re Francide a fare un giro di consultazioni su quell'evento inatteso, interrogando le giuste persone con le quali poter discutere su di esso. Perciò l'indomani le aveva convocate individualmente presso di lui per parlarne con la massima oculatezza. Il primo ad essere invitato a corte era stato il comandante in capo dell'esercito actinese, al quale, dopo che costui gli si era presentato nel primo pomeriggio, subito aveva domandato:
«Puoi tu motivarmi, Olko, la cessazione dell'assedio, da parte dei nostri nemici? A mio avviso, se essa c'è stata ad un certo punto, qualche motivo avrà pur spinto gli Umanuk ad intimarla ai loro soldati! Spero proprio che tu sappia avanzarmi qualcosa in merito!»
«Sire, in verità, la penso anch'io come te. Per il momento, però, mi riesce davvero arduo immaginare a cosa sia dovuto tale loro provvedimento. Ti posso solo garantire che ci sarà di sicuro un cambiamento nella sua impostazione, quando l'assedio verrà ripreso dai nostri nemici. Ad altro non riesco a pensare, nel modo più assoluto!»
«Di preciso, Olko, sul serio non ti senti di anticiparmi la prossima mossa degli Umanuk? Secondo me, se potessimo prevederla in anticipo, essa ci permetterebbe di prendere già da adesso i dovuti provvedimenti idonei a neutralizzarla!»
«Mio re, dovrei stare nella loro testa, per essere in grado di leggere tutti i loro pensieri, di conoscere ogni loro intenzione e di prevenirla in tempo reale. Ma ciò, come puoi renderti conto, non è possibile e ci tocca brancolare nel buio, fino al nuovo ordine degli Umanuk, il quale spingerà i loro innumerevoli soldati alla ripresa dell'assedio.»
In seguito al colloquio avuto con il comandante supremo del suo esercito, il re Francide si era incontrato anche con alcuni tecnici preposti alle varie operazioni concernenti la difesa della città, naturalmente sempre per la medesima ragione. Ma i risultati di tali incontri separati erano stati gli stessi, poiché nessuno dei convocati era stato capace di prospettargli qualche ipotesi riguardante il caso in questione. Neppure uno di loro aveva avuto il benché minimo sentore, circa quanto sarebbe successo nel conflitto, non appena la ripresa dell'assedio nemico avesse avuto il suo violento inizio.
Riallacciandoci adesso al presente della nostra storia, ossia quando si è a tre giorni dall'avvenuta riunione degli Umanuk, troviamo il sovrano di Actina aggirarsi per i cammini di ronda delle mura, essendo sua intenzione passare in rassegna le truppe che vi erano dislocate. Lo accompagnavano l'amico Astoride e i quattro giovani dorindani che, anziché ritornarsene a Dorinda, avevano preferito mettere le loro spade a difesa della Città Santa. Il marito della sorella Godesia fu il primo ad esprimere la propria impressione su quanto era stato fatto per la salvaguardia delle ciclopiche mura della loro città. Egli, dichiarandosi molto soddisfatto, alla fine fece il seguente commento:
«Francide, è innegabile che, sopra le mura, ogni lavoro eseguito a scopo difensivo è stato portato a termine con efficienza e con rigore. Per cui, quando l'assedio nemico riprenderà, sono certo che le fortificazioni che vi sono state effettuate dovrebbero contrapporre una valida resistenza a difesa delle mura, anche se adesso non so affermarti per quanti giorni esse potranno resistere. Ad ogni modo, prevedo che esse ci faranno stare tranquilli almeno per un tempo considerevolmente lungo!»
«In linea di massima, Astoride» gli rispose il sovrano «le cose dovrebbero procedere come mi hai fatto presente. Ma non dimenticare che i soldati nemici, i quali tra poco ricominceranno ad assediare la nostra città, superano le quattrocentomila unità. Nell'assedio iniziale, sappiamo con certezza che gli Umanuk hanno scatenato contro le nostre mura una minima parte dei loro contingenti, con l'esclusivo proposito di rendersi conto del nostro apparato difensivo. Tra poco, però, avendolo già saggiato e valutato, non sappiamo in quale altro modo essi porteranno avanti il loro assedio. Sono certo, comunque, che la loro potenza d'assalto sarà terribilmente sconvolgente!»
«Ciò è prevedibile, cognato mio; ma lo stesso ho la più piena fiducia nei nostri soldati, specialmente dopo che è stata fatta raggiungere alla maggior parte di loro una buona preparazione nell'uso delle armi. Invece ciò che mi preoccupa di più è quello che faranno i nostri nemici, quando riprenderanno le ostilità ed attaccheranno di nuovo le nostre mura. A proposito, Francide, hai notato che una parte di loro stanno smontando tutte le torri, come se avessero deciso di non servirsene più in futuro? Per la verità, non riesco a comprendere i loro nuovi interventi su tali costruzioni di legno!»
«Invece, Astoride, i nostri nemici non hanno alcuna intenzione di disfarsi delle loro torri, dal momento che l'opera che viene effettuata su di esse non è di smontaggio, bensì di svuotamento. Soltanto che non riusciamo a comprendere bene come mai gli stessi si danno tanto da fare per condurlo a termine nel più breve tempo possibile!»
«Nemmeno io, Francide, riesco ad ipotizzarlo. Se si fosse trattato del loro sfascio, avrei pensato che i nostri nemici lo facessero per servirsi delle lunghe assi delle torri per coprire il fossato e transitarvi sopra per raggiungere rapidamente le mura. Ma una volta rese totalmente cave, non mi risulta affatto facile spiegarmi in quale altra maniera le alte strutture lignee potranno essere utilizzate proficuamente da parte loro!»
«Né da parte mia posso illuminarti a tale riguardo, Astoride! Secondo la mia opinione, un motivo ci sarà senza meno, se gli alleati si sono dati anima e corpo a portare avanti quel loro lavoro, le cui finalità per ora ci sono ignote. Ma molto presto le conosceremo!»
A quel punto, Zipro si intromise nella conversazione dei due autorevoli cognati. Mostrandosi del tutto persuaso di quanto stava asserendo, fece loro presente:
«Eppure, se mi permettete di spiegarvelo, re Francide e nobile Astoride, io credo di aver compreso a quale scopo i nostri nemici hanno intrapreso il loro tenace lavoro sulle torri. Anzi, sono fermamente convinto di ciò che penso in merito!»
«Zipro, se davvero hai la convinzione che la tua idea riguardo alle torri è quella giusta, cosa aspetti a rendercene partecipi? Perciò affréttati a farcela conoscere, mio ex allievo, senza indugiare altro tempo, siccome stiamo impazienti di conoscerla!»
«Come tu stesso hai notato, sovrano di Actina, i carpentieri dell'esercito alleato le stanno svuotando internamente sia dei vari ripiani sia delle scale, che li mettono in comunicazione fra loro. Il motivo di tale loro trasformazione può essere uno solo. Secondo me, essi intendono farle diventare dei brevi tratti di galleria. Ottenuto ciò, dopo le metteranno coricate sopra il fossato per consentire ai soldati assedianti di attraversarle internamente e di pervenire sotto le mura di Actina con perdite irrisorie, rispetto a prima. Dunque, al loro lavoro non può essere data una diversa interpretazione!»
«Probabilmente, Zipro, il tuo ragionamento ha centrato il problema in pieno! Ma noi non possiamo evitare che quanto da te sospettato si verifichi, non potendo bruciarle dall'alto delle mura con le nostre frecce incendiarie. Esse, essendo state ricoperte con vari materiali spugnosi imbevuti di acqua, non si lasceranno incendiare, come abbiamo avuto modo di accertarcene nel precedente assalto.»
«Allora, re Francide, se non possiamo dare fuoco alle torri dall'esterno, vorrà dire che andremo ad appiccarle dal loro interno, dopo che esse saranno state inclinate e poste per lungo trasversalmente al fossato che circonda la città di Actina. Io prevedo che tale lavoro verrà eseguito stanotte, per cui ne approfitteremo per operare delle rapide sortite notturne. Durante le quali, prima prenderemo di mira i soldati nemici impegnati a coricare le torri sul fossato, uccidendoli senza pietà. Dopo vi penetreremo e, appiccandovi il fuoco, le faremo ardere, senza che il resto dei nemici se ne accorga!»
«Vuoi chiarirmi, Zipro, come dovrebbero avvenire le sortite da te proposte? Non dimenticare che la circonferenza delle mura approssimativamente supera i dieci chilometri! Perciò la loro vasta estensione non ci agevolerà un compito così arduo.»
«Io suggerirei, sovrano di Actina, di fare uscire una centuria di soldati a cavallo da ognuna delle quattro porte della tua città. Una volta fuori, ciascuna, facendo il percorso situato sulla sua destra, si metterà ad uccidere i nemici che sul loro tragitto avranno già smesso di prestare la loro opera di coricamento presso le varie torri di legno loro assegnate e si sono dati poi anche a presidiarle. Una volta che li avranno fatti fuori tutti, i nostri soldati entreranno nelle strutture lignee. Così, dopo aver cosparso di olio le sue quattro superficie, le faranno bruciare. Ogni centuria continuerà ad eseguire tale tipo di lavoro, fino a quando non raggiungerà la successiva porta di Actina, attraverso la quale farà infine il suo rientro in città.»
«Il tuo piano, Zipro, mi ha pienamente convinto, ritenendolo anch'io bene architettato. Già da adesso, perciò, do ordine affinché la sua attuazione avvenga questa notte stessa, nel caso che alle torri venga data in nottata la nuova disposizione. Per quanto riguarda le quattro centurie, la prima sarà capeggiata da me, la seconda da Astoride, la terza da te e da Polen, la quarta da Solcio e da Liciut. Quindi, da parte nostra, sarà meglio apprestarci a scegliere gli uomini adatti alle sortite di stanotte e ad approntare i mezzi che ci occorreranno durante il loro svolgimento.»
Come aveva previsto il figlio della defunta Feura, non appena calò la notte, parte dei soldati alleati, in numerosi gruppi, si diedero a cambiare disposizione alle loro torri, mettendole coricate per lungo sopra il fossato. Terminato poi il lavoro intorno alla mezzanotte, ciascun gruppo di soldati, siccome c'era un'aria frizzante sul posto, preferì ritirarsi all'interno della torre da loro presa in carico per trovarvi riposo e dormirvi. Comunque, essi non si astennero dal lasciare fuori di essa due loro commilitoni con il compito di vigilare durante le ore notturne e prevenire sorprese da parte degli assediati.
Un'ora più tardi, ciascuna centuria actinese, dopo essere uscita dalla porta della città ad essa assegnata, incominciò ad intervenire contro ogni torre nemica che incontrava sul proprio cammino. Nell'operare contro di essa, i suoi componenti prima ne uccisero con il massimo silenzio le due sentinelle di guardia, colpendole con due frecce che trapassarono il loro collo. Poco dopo, entrate nella costruzione di legno, sorpresero nel sonno quelli che vi dormivano e li sgozzarono senza perdere tempo. Infine, cosparsa di olio ogni sua superficie interna, diedero fuoco alla torre, facendovi bruciare anche la cinquantina di nemici da loro massacrati. I soldati di ogni centuria, soltanto quando ebbero compiuto il loro intero percorso ed ebbero incendiato tutte le torri incontrate lungh'esso, uccidendo per forza di cose coloro che le presidiavano, alla fine fecero rientro in Actina attraverso la successiva porta della loro città.
Le fiamme delle torri brucianti non furono avvistate subito dai sette accampamenti nemici, poiché l'incendio divampò e si sviluppò prima al loro interno, senza che nessuno degli assedianti potesse prenderne atto e ricorrere a delle contromisure. In riferimento al fumo che veniva fuori dai due ingressi delle torri, per tutti esso risultò praticamente inesistente, mentre si espandeva nel buio delle tenebre. Infatti, non si faceva notare neppure minimamente da coloro che il fumo avrebbe potuto avvisare di quanto stava succedendo dentro le torri. Invece le lingue di fuoco iniziarono a farsi strada dalle loro superfici mezzora dopo, ossia quando ebbero divorato qua e là le masse legnose, bucherellandole in più parti. Solo allora esse si resero visibili e furono scorte tanto dagli assedianti quanto dagli assediati. Comunque, per coloro che avrebbero potuto farlo, era ormai troppo tardi per porvi riparo, poiché le fiamme avevano già arrecato alle numerose torri danni irreparabili.
Mentre le lingue di fuoco si trasformavano in grandi falò, gli Actinesi, che assistevano al loro incendio e al loro incenerimento dall'alto delle mura, se ne rallegravano immensamente ed anche si compiacevano dell'ottimo esito ottenuto dalle quattro missioni separate. Le quali erano state affidate ad altrettante centurie incaricate di perseguire nella notte tale obiettivo. Al contrario, gli Umanuk, mostrandosi rabbiosi, si rammaricavano del fatto che non avevano tenuto conto che un evento del genere si sarebbe potuto avverare, per cui avevano evitato di cautelarsi da esso. Adesso che la loro imperdonabile leggerezza c'era stata, occorreva che essi si riunissero nuovamente per dare, per quanto possibile, un diverso assetto all'assedio, il quale sarebbe stato ripreso all'alba.
Logicamente, dopo la distruzione delle torri da parte degli Actinesi, nella loro riunione gli Umanuk dovettero soltanto ammettere che la ripresa dell'assalto alle mura da parte dei loro eserciti non poteva svolgersi in modo differente da come era avvenuto in precedenza. L'assedio, però, si sarebbe differenziato per il semplice motivo che esso questa volta ci sarebbe stato senza risparmio di mezzi e di uomini. Per questo si sarebbe dimostrato una specie di massa oceanica, la quale, nella sua avanzata burrascosa, si sarebbe data a sommergere e a travolgere tanto le cose quanto le persone.
Allora non ci asteniamo dal chiederci: Avrebbero gli Actinesi permesso ai sette eserciti alleati di espugnare la loro Actina e di farne tabula rasa, dopo essersi fatti sopraffare dagli avversari, senza difendere strenuamente la loro città? Secondo il nostro parere, un simile fatto era del tutto improbabile, essendo a conoscenza che essi giammai si sarebbero piegati ai loro nemici, sebbene la loro preponderanza numerica risultasse enormemente esorbitante. Anzi, quando l'alba si affacciò sul settore orientale della regione, essi si fecero già trovare pronti a riceverli dotati di ogni sorta di armi; ma soprattutto con una voglia maledetta di farne un memorabile massacro!