433°-GLI UMANUK APRONO LE OSTILITÀ CONTRO ACTINA

Fatto ritorno alla propria città, ogni Umanuk si era dato da fare per sbrigare prima possibile gl'incarichi che gli erano stati affidati, i quali avevano come obiettivo il buon esito delle varie operazioni belliche preparatorie. Perciò, adesso che ci ricolleghiamo di nuovo al presente della nostra storia, ciascuno di loro si sentiva soddisfatto di averne portato a termine fino allora una parte consistente. Grazie al proclama che aveva fatto pervenire al popolo della sua città tramite il banditore reale, il medesimo era riuscito facilmente a giocare con la sua buonafede e ad intrigarlo con un forte ardore. Ricorrendo ad esso, ogni Umanuk aveva spinto i propri cittadini a tifare per la guerra in arrivo. Quasi fossero diventati ad un tratto i paladini della fede. Per questo erano state molte le adesioni di quei giovani, che avevano preferito volontariamente ingrossare le file del loro esercito. Ciò, perché gli era stato fatto credere che esso avrebbe operato in nome e in difesa del loro dio, che era Matarum. Quanto all'arruolamento che c'era stato seguendo l'iter burocratico, ossia come regolare chiamata alle armi, l'obbligatorietà al servizio militare era stata estesa agli adulti fino a sessant'anni, anziché fino ai cinquantacinque anni; nonché ai giovani, dai quindici anni in poi, anziché dai diciotto anni. Era stata prevista per i renitenti una pena capitale immediata, da infliggersi tramite decapitazione. Facendo ricorso a simili imposizioni draconiane, ciascun Umanuk non si era affaticato molto a mobilitare e ad ingrossare il proprio esercito. Esso alla fine era risultato formato da circa sessantamila soldati. Facendo un po’ di conti, è possibile prevedere che gli Umanuk, una volta giunti sotto le mura di Actina, avrebbero avuto a disposizione un esercito il cui numero di soldati non sarebbe stato inferiore alle quattrocentoventimila unità.

A quel punto, perciò, gli otto protetti delle divinità negative Sartipan, Kurcan, Sivus, Besium, Cirrust, Daspor, Ettios e Fostep si diedero a portare a termine la seconda parte del lavoro, che era stato assegnato a ciascuno di loro. Si rammenta che esso nella prima parte aveva riguardato l'allestimento di un esercito particolarmente numeroso e bene equipaggiato. Adesso invece occorreva che un numero così ingente di soldati venisse condotto da loro sotto le mura della Città Santa, badando che non ci fossero troppi disagi ed inconvenienti durante la lunga marcia forzata, la cui durata sarebbe stata diversa per ciascun esercito. Tali difficoltà, secondo il loro parere, con il trascorrere del tempo, avrebbero potuto far nascere varie intolleranze fra i soldati delle città più lontane da Actina. Forse esse avrebbero perfino alimentato in loro mugugni e malcontento, inducendoli a ribellarsi ai loro re e a rifiutarsi di seguirli fino ad Actina, sulla quale regnava il re Francide.

Allo scopo di prevenire episodi del genere presso il proprio esercito, il mago Ghirdo, che suggerì agli altri Umanuk di fare la medesima cosa, ricorse al seguente espediente. Quando il suo esercito non si era ancora messo in cammino alla volta della Città Santa, predispose il prelevamento di un centinaio di soldati presi a caso. Avvenuto il quale, ordinò ai loro catturatori di legargli prima le mani dietro la schiena e poi d'imbavagliarli, affinché essi non potessero difendersi né con le mani né a voce. In seguito a ciò, egli organizzò un pubblico spettacolo, durante il quale sarebbe dovuta esserci la condanna a morte dei poveretti, avendo stabilito di farli impalare alla vista dei loro commilitoni. Così, accusandoli di defezione davanti all'intero esercito per avere essi tentato di defilarsi, accusa che era del tutto falsa, li condannò al supplizio del palo. Gli sventurati condannati, i cui corpi giacevano già distesi al suolo ed aggiustati per essere sottoposti all'imminente impalamento, essendo impediti a parlare dal bavaglio che gli tappava la bocca, non poterono controbattere le accuse del loro sovrano e difendersi. Dopo averli puniti iniquamente, il mago, che per tutti era il re Cotuldo, aggiunse che l'uguale pena era prevista per i soldati che avrebbero seguito le orme dei cento traditori appena giustiziati.

Com'era da aspettarselo, tutti i soldati, che assistettero alla loro pena capitale, non provarono nessuna pietà, mentre i poveretti venivano straziati a morte; né dopo subentrò in loro la benché minima pena per i cento sventurati ammazzati così crudelmente, per ordine del loro sovrano. Per la totalità dei soldati, avendo assunto un contegno oltremodo offensivo nei confronti della loro massima divinità, la condanna che essi avevano subito era stata più che giusta, per cui non meritavano alcuna loro commiserazione. A dire il vero, delle eccezioni ci furono tra i soldati, cioè quelli che non avevano creduto alle ingiuste accuse del loro sovrano contro i poveretti, poiché li ritenevano innocenti. Si era trattato dei loro amici e parenti, i quali in precedenza non li avevano mai sentiti parlare di defezione oppure di ribellione, fino al momento della loro condanna.

Già il giorno dopo che era stata eseguita la pena capitale a danno dei soldati giustiziati senza alcuna colpa, il mago Ghirdo diede ordine al suo esercito di mettersi in marcia alla volta di Polca, nei cui pressi era atteso dall'esercito comandato dall'Umanuk Mastok. In quel luogo, i due eserciti si sarebbero poi dovuti unire per raggiungere insieme la città di Stiaca. Nelle cui vicinanze, li attendevano l'esercito stiachese e quello di Statta, i quali erano sotto il comando rispettivamente dell'Umanuk Otrun e dell'Umanuk Pazuol. Di lì poi i quattro eserciti sarebbero dovuti marciare uniti in direzione della Città Santa. In contemporaneità, l'esercito di Terdiba, al comando dell'Umanuk Izzon, si era mosso verso Bisna, dovendo unirsi all'esercito comandato dall'Umanuk Lixez, per poi marciare insieme con meta Cirza, nelle vicinanze della quale li attendeva l'esercito dell'Umanuk Neddov. Da tale città, infine, i tre eserciti si sarebbero affrettati a raggiungere le mura della Città Santa, dove, nel caso che non si fossero ancora fatte vive, avrebbero dovuto attendere l'arrivo delle truppe dei restanti quattro eserciti. Soltanto dopo, infatti, gli Umanuk si sarebbero dati a pianificare insieme l'assedio di Actina. Comunque, l'unione degli eserciti comandati dai sette Umanuk avvenne, come era stato previsto dai loro capi.

In seguito, l'avanzamento degli eserciti alleati sul suolo edelcadico non comportò difficoltà di sorta, per cui essi andarono avanti speditamente sulla loro strada, rispettando i tempi stabiliti dai loro condottieri. Anzi, al termine delle loro marce forzate, i sette eserciti, che adesso ne formavano uno solo, apparvero in vista delle mura di Actina, accampandosi tutt'intorno ad esse, alla distanza di un miglio. Per la precisione, i tre eserciti, che avevano marciato sul lato sud, si erano disposti lungo il semicerchio meridionale che circondava la città; mentre i quattro, che avevano percorso il lato nord, si erano collocati lungo il suo semicerchio settentrionale. Perciò, dopo che vi si furono sistemati come appreso, essi si convinsero di avere accerchiato interamente la Città Santa, evitando ad ogni cittadino actinese di uscirne, senza venirne intercettato dai loro numerosi contingenti. Avvenuto infine l'accerchiamento della città del re Francide nel modo indicato, il mago Ghirdo convocò gli altri Umanuk nella sua tenda, volendo concordare con loro le modalità dell'assedio, considerato che molto presto i loro eserciti lo avrebbero sferrato contro Actina. Esso avrebbe avuto lo scopo di espugnare la città, di saccheggiarla e di distruggerla, riducendola infine in miseri ruderi.

Così, quando tutti furono presenti, il mago si diede a dire loro:

«Miei cari colleghi, adesso che i nostri sette eserciti hanno accerchiato da ogni lato la Città Santa, con l'intenzione di cingerla d'assedio, bisogna decidere come procedere nell'assaltarla e nel costringerla alla resa. Come abbiamo notato, essa presenta lungo l'intero perimetro cittadino un fossato, il quale non era stato previsto da noi; anzi, stranamente, vi è stato scavato da poco tempo. Esso, in un certo senso, renderà alquanto difficoltoso le varie operazioni di assalto alle mura, impedendoci di servirci di torri e di arieti, che avrebbero potuto farci avvicinare ad esse con perdite limitate. Quindi, ci si permetterà di superarle soltanto con scale ed arpioni, mettendo a grande rischio la vita dei soldati che le useranno per scalare le mura. Infatti, su di loro verranno fatti cadere dagli assediati olio bollente ed una gran quantità di sassi.»

«Hai ragione, Ghirdo.» gli fece presente Lixez, l'Umanuk di Bisna «Ma noi abbiamo a disposizione anche parecchi trabucchi, con i quali possiamo lanciare nella città assediata da noi proiettili di pietra e palle di fuoco, arrecando fra la gente scompiglio e terrore. Inoltre, non dimenticare che il rapporto esistente tra i nostri soldati e quelli actinesi è di sette a uno! La qual cosa ci permetterà di prendere con grande sicurezza Actina, senza badare al fatto che la sua presa alla fine ci costerà un numero enorme di soldati. Lo sappiamo benissimo che la loro uccisione non ci farà né caldo né freddo, poiché essa ci lascerà del tutto indifferenti! Per noi ciò che conta è fare capitolare la Città Santa e farla sparire per sempre dalla faccia della terra. Non è forse vero, miei cari colleghi, quanto ho voluto a farvi presente?»

«Certo che è come hai detto, Lixez!» approvò Otrun, l'Umanuk di Stiaca «Se non fossimo condizionati dal tempo, che per noi è assai esiguo, proporrei di costringere gli Actinesi alla resa per fame e per sete, impedendogli di rifornirsi di provviste alimentari e di acqua. Invece noi abbiamo premura di concludere l'assedio in una decina di giorni.»

«Ciò vuol dire, Otrun,» chiarì il mago Ghirdo «che c'è un solo modo di assediare Actina, ossia assaltandola direttamente in un primo momento con lancio di frecce, di proiettili e di palle di fuoco. Soltanto dopo questa prima fase bellica, i nostri soldati supereranno il fossato con le medesime scale, che dovranno poi servirgli per raggiungere le parti merlate della Città Santa e i suoi cammini di ronda. Naturalmente, durante l'attraversamento del fossato perirà un enorme numero dei nostri soldati, siccome essi verranno colpiti dalle frecce nemiche. La cui perdita, però, come ci ha ricordato Lixez, c'importerà ben poco, essendo essi adoratori del dio Matarum.»

«Ma se si richiede da noi parecchia sollecitudine nel portare a termine il nostro assedio,» Kosep, l'Umanuk di Casunna, chiese al mago «mi spieghi, Ghirdo, perché mai non possiamo trasformarci nei mostri che, quando lo desideriamo, diventano i nostri alter ego dotati di straordinarie armi offensive? Con tale mutazione, impiegheremmo pochissimo tempo a terrorizzare i soldati actinesi posti a difesa della città, facendoli arrendere in un batter d'occhio! Allora cosa mi rispondi in merito?»

«Se non erro, Kosep, mi sembra di avervi già dato entrambe le risposte in altra circostanza. La fretta ci viene imposta dal fatto che Actina va espugnata prima che il dio Buziur ritorni dalla sua missione. Inoltre, la nostra trasformazione in mostri ci viene vietata per un semplice motivo. Essa non sfuggirebbe alle eccelse divinità Kron e Locus, le quali, considerando l'assedio opera di divinità negative, subito prenderebbero i dovuti provvedimenti contro di noi e contro i nostri divini protettori.»

«Allora, Ghirdo,» pretese un chiarumento Pazuol, l'Umanuk di Statta «possiamo almeno sapere quando dovrà essere dato il via all'assedio di Actina? I soldati già fremono e non vedono l'ora di lanciarsi contro le sue mura per superarle ed iniziare il saccheggio della città! In riferimento a ciò, ci dici anche quali sono le disposizioni che ci indicano com'esso dovrà avvenire? Dopo averle apprese, andremo subito a comunicarle ai nostri luogotenenti. I quali, a loro volta, le dirameranno ai propri subalterni perché si conformino ad esse, durante l'intero svolgimento dell'assedio. Anche gli altri Umanuk sono in attesa di riceverle.»

A quel punto, il resoconto del mago dorindano fu il seguente:

«Ebbene, colleghi, l'assalto alla Città Santa ci sarà, a cominciare da domani, alle prime luci del nuovo giorno. Esso dovrà seguire le operazioni strategiche, come studiate dai nostri divini protettori, delle quali v'informerò fra un attimo. Come inizio, ci sarà il suono di un migliaio di corni, il quale dovrà farsi udire tutt'intorno alle mura, squarciando sinistramente l'aria e terrorizzando gli Actinesi, che ci sorvegliano dall'alto delle stesse. Dopo che i corni avranno messo in grande subbuglio le coscienze degli assediati, inizieranno il lancio di palle di fuoco e di proiettili di varia natura e l'avanzata dei nostri diecimila scalatori, che saranno accompagnati da altrettanti soldati forniti di arpioni. Gli uni e gli altri, durante il loro lavoro, saranno coperti da cinquantamila arcieri, i quali senza interruzione faranno pervenire in direzione dei merli grossi nuvoli di dardi. In verità, i primi avranno il compito di sistemare le scale sopra il fossato che circonda la città per permettere a loro stessi e agli arpionai di superare il fossato. Ma anche dovranno riprendersi subito dopo la metà delle scale e condursi con esse presso le mura per tentare di scalarle. I secondi, invece, una volta passati dall'altra parte del fossato, si affretteranno ad accostarsi alle mura per arpionarle e raggiungere i merli tramite le lunghe funi. A quel punto, la maggioranza dei nostri soldati si lancerà all'assedio, scagliando fitte gragnole di frecce contro le merlature; mentre la minima parte di loro rivolgerà i propri sforzi ad appiccare e ad attizzare il fuoco presso le varie porte di Actina, dovendo farle bruciare e consentire alle nostre copiose truppe di entrarvi. Questo è il piano strategico al quale daremo attuazione all'alba di domani per portare avanti il nostro assedio contro la Città Santa; ma sono convinto che essa non ci resisterà molto. Dopo avervelo comunicato, ciascuno di voi può ritornarsene presso il proprio esercito ed iniziare ad attivare le operazioni belliche, secondo l'intelligente piano dei nostri protettori.»

A quel punto, preso congedo da Ghirdo, ciascun Umanuk pervenne al suo quartier generale, avendo premura di comunicare agli ufficiali del consiglio di guerra il piano appreso dal mago. Esso era da approntarsi per l’alba del giorno seguente, quando era stato stabilito l'assedio.


Durante il lasso di tempo che gli Umanuk si erano riuniti nel loro castello Pervust, i quali in seguito si erano anche preparati ad intervenire contro Actina per assediarla, in tale città com'erano procedute le cose? Ci si riferisce al tempo in cui gli eserciti alleati non si erano ancora presentati sotto le sue mura e non l'avevano ancora cinta d'assedio. Vogliamo pure sapere cos'era successo a corte, dopo che ciò era puntualmente accaduto, come nelle previsioni. Per venire a conoscenza dei fatti accaduti in entrambe le circostanze, ci basterà ritornare al passato in cui essi si erano avuti. Infatti, soltanto quest'ultimo potrà illustrarceli nel modo migliore e farceli vivere con apprensione e trepidazione, siccome era stata quella la realtà che li aveva visti aver luogo e svolgersi in un clima sempre più inquietante. Per questo, senza rimandare oltre una simile decisione, diamoci a ripercorrerli nello stesso tempo in cui essi si erano svolti.

Ebbene, dopo che i cinque giovani dorindani si erano presentati al re Francide e lo avevano messo al corrente dell'esistenza degli Umanuk e delle loro reali intenzioni avverse alla sua città, il giovane sovrano non aveva perso tempo a prendere alcuni provvedimenti che la riguardavano. Oltre a dare avvio alle opere di fortificazione, le quali dovevano fare della Città Santa un baluardo ancora più inespugnabile di quanto non lo fosse già, aveva messo su una fitta rete spionistica. Essa ininterrottamente doveva tenerlo informato di ciò che succedeva nelle altre città edelcadiche, fatta eccezione di Dorinda, da cui non si prevedeva la partenza di alcun esercito, per il semplice fatto che il popolo dorindano non lo avrebbe mai consentito al finto re Cotuldo. Per la quale ragione, costui avrebbe potuto contare unicamente sul popolo di Casunna, dove non avrebbe avuto difficoltà a reclutare abbondanti armati nelle file del proprio esercito. In poco tempo, perciò, era venuto a sapere dall'efficiente attività spionistica dei suoi agenti segreti ciò che stava fermentando nelle sette città nemiche di Actina, nell'ambito delle operazioni militari disposte dagli Umanuk. In seguito a quelle informazioni, il re Francide aveva ritenuto opportuno convocare il consiglio di guerra. Egli aveva voluto che ad esso prendessero parte, insieme con gli altri, i tecnici edili. I quali sovrintendevano alle varie opere fortificatorie della città ed avevano ciascuno una propria specifica competenza nell'arte della difesa di una città. Quando poi i membri del consiglio si erano ritrovati riuniti nella sala del trono, il sovrano actinese si era dato a parlare a tutti loro, come appresso:

«Abbiamo fatto bene ad intraprendere a difesa della nostra Actina le opere che conoscete, avendo avuto la conferma che nelle altre città edelcadiche si vanno arruolando uomini, approntando mezzi e procacciando vettovaglie con l'obiettivo di muoverci guerra ed attaccarci mediante un duro assedio. Allora vorrei apprendere da voi ingegneri ed architetti come procedono i lavori intrapresi per difendere la nostra città dagli assedianti in arrivo. Vorrei anche sapere dagli esperti militari qual è la situazione dell'esercito dal punto di vista logistico. Ossia, intendo essere messo al corrente se i soldati stanno conseguendo la giusta preparazione fisica e psicologica, poiché essa gli consentirà di affrontare l'imminente conflitto con animo ardimentoso. Solo così essi non andranno incontro a timori e a sbandamenti nella dura e furiosa lotta, che presto dovranno affrontare.»

Il primo a rispondergli era stato Lepius, l'ingegnere che soprintendeva ai lavori del fossato, il quale li stava facendo eseguire con grande sollecitudine. Egli si era dato a fargli presente:

«Sire, sono quasi venti giorni che sono iniziati i lavori del fossato e già posso garantirti che sono a buon punto. Per cui ti assicuro che essi saranno ultimati prima dell'arrivo dei nostri nemici, il quale, secondo ciò che ti hanno rapportato le nostre spie, è previsto tra un mese circa. Comunque, l'opera va avanti a gonfie vele, siccome quelli che vi sono impiegati lavorano sodo e si sono messi sotto con profusa laboriosità. Nello stesso tempo, essa viene realizzata come ci eravamo proposti, senza disattendere le nostre aspettative e senza che ci siano sul lavoro incidenti di alcun genere. Quando il fossato sarà terminato, oltre a non permettere alle torri nemiche di avvicinarsi alle mura, esso renderà difficoltoso l'avvicinarsi in massa delle truppe assedianti, consentendoci di colpirli con le frecce che faremo piovere su di loro a ripetizione. Esse quasi oscureranno il cielo, durante il loro lancio contemporaneo.»

«Ti ringrazio, ingegnere Lepius, per le belle notizie che mi hai dato. Adesso, però, sentiamo se pure il capomastro dei carpentieri, cioè il nostro provetto Pelteo, ha da darmi delle informazioni altrettanto belle, circa la costruzione dei quattro ponti levatoi. Infatti, è stato investito lui del mandato di curarne l'esecuzione e di dirigere le maestranze impegnate in tale opera di carpenteria. Per questo egli è pregato di riferirmi ogni cosa su quanto gli ho domandato.»

«Ti annuncio, maestà, che anche le mie informazioni sono ottime! Fino ad oggi sono stati già costruiti due ponti levatoi, quelli relativi alla porta di levante e a quella di ponente. Ciascuno, per forza di cose, è risultato lungo sedici metri ed è stato costruito con una coppia di sponde distanti fra loro cinque metri. Esse sono state ottenute con tronchi interi appartenenti ad alberi di alto fusto. Su entrambe, a partire dai quattro metri dalla porta, è stato costruito un tavolato con assi ravvicinate inchiodate sulle stesse, il quale permette di oltrepassare il fossato, nonché consente l'ingresso alla città e l'uscita da essa di quanti vi transitano. Ad un metro dall'estremità delle due sponde, all'interno di un incavo circolare, sono state legate due funi massicce. Esse, che hanno gli altri due capi legati ai tamburi girevoli di due argani distinti e fermati sui baluardi situati ai lati delle porte, possono essere tirate od allentate da tali macchine, facendo così abbassare e sollevare il ponte levatoio. Con il suo abbassamento, si dà alle persone la possibilità di transitarvi sopra. Con il suo sollevamento, al contrario, viene negata alle medesime la stessa azione, che è quella di circolazione in entrambi i sensi.»

«Se nei lavori a te affidati le cose stanno come hai detto, Pelteo, allora possiamo stare tranquilli, anche per quanto riguarda la costruzione dei ponti levatoi. A questo punto, però, tocca all'architetto Borius ragguagliarmi sulla sua opera di difesa della città, la quale si svolge interamente sulle torri e sui cammini di ronda. Dove è prevista la costruzione di molteplici ed efficaci macchine da getto nel contrattaccare il nemico e colpirlo, mietendo fra le sue schiere un gran numero di vittime. Spero che anche nel suo pregevole lavoro tutto proceda bene e che non possiamo lamentarci di nulla! Allora posso contarci?»

«Ne puoi essere certo, mio sovrano! Sotto la mia guida, tutti i vari tipi di lavoro attinenti alla balistica seguono il loro corso, senza problemi di sorta. Ma prima di riferirti sulle varie opere che vengono eseguite sulle mura di Actina, intendo farti presente che le porte della città sono state tappezzate totalmente con i succulenti cladodi di fichidindia. In questo modo, esse, quando verranno colpite dalle frecce incendiarie dei nemici, non prenderanno fuoco e non bruceranno. Così deluderanno gli assedianti nei loro propositi di entrare in città attraverso le porte, dopo averle fatte divorare dalle fiamme e rese inconsistenti.»

«Lo trovo un ottimo espediente, Borius: te ne do atto!» aveva approvato il re Francide «Ma adesso vai avanti a parlarci della parte restante dei tuoi lavori, siccome essi sono abbastanza interessanti.»

«Mio re, per prima cosa abbiamo piazzato cento balestre ed altrettanti piccoli mangani lungo l'intero cammino di ronda, la cui lunghezza, se non vado errato, supera i dieci chilometri. Per questo i due tipi di macchine da lancio risultano collocati alternativamente ogni quindici metri. Invece, nei giorni che seguiranno, si provvederà ad ammassare nei pressi delle une e degli altri una grande quantità di proiettili di vario tipo, comprese le palle di fuoco. Essi saranno lanciati contro i nostri nemici, con l’obiettivo di uccidere soldati, di abbattere e bruciare tende, nonché di danneggiare le loro macchine con la medesima funzione. Da domani in poi, inoltre, ogni giorno un centinaio dei nostri soldati usciranno dalla città con venti carri ed andranno in cerca del materiale necessario da scagliare contro gli eserciti nemici, i quali, a quanto si dice, sono prossimi ad arrivare.»

«Come vedo, Borius, grazie a te, anche sotto quest'aspetto la difesa di Actina si prospetta molto efficiente. Perciò elogio le tue spiccate doti basate sulla strategia balistica. A questo punto, però, è il turno di Nostep. Egli, come nostro esperto nella difesa piombante, dovrà relazionarci sulla sua opera, con la quale si dovranno respingere i nostri nemici durante il loro prossimo assedio. Comunque, sono certo che anch'egli si sta impegnando al massimo nel fare eseguire dalla manovalanza alle sue dipendenze i lavori che gli competono, affinché anch'essi vengano ultimati in tempi brevi.»

«Né potrebbe essere altrimenti, sire, dal momento che la necessità me lo impone!» aveva dichiarato Nostep «Lungo l'intero cammino di ronda, precisamente nello spazio esistente tra ogni balestra ed un mangano, è stato sistemato un grosso vaso di terracotta pieno d'acqua; però ci sono anche di quelli che sono colmi di olio o di pece. Ai tre liquidi menzionati, a tempo debito, verrà fatta raggiungere un'alta temperatura, prima di essere lanciati addosso a coloro che ci assedieranno con arpioni oppure con scale. E poiché per il loro surriscaldamento occorre fare ardere parecchia legna sotto i vasi, tra qualche giorno inizierò ad inviare trenta carri nelle boscaglie circostanti perché i manovali al mio servizio ne procurino a sufficienza mediante le loro scuri e le loro accette. Altra manovalanza, invece, è dedita a fabbricare frecce e non smetterà la loro fabbricazione, fino a quando non ne avrà costruite un numero che risulti quattro volte quello dei soldati nemici. Ti assicuro, mio sovrano, che l'uno e l'altro lavoro a me affidati saranno portati a termine prima dell'arrivo nei pressi della nostra città dei sette eserciti comandati dagli Umanuk. Con questo, io avrei finito di relazionarti.»

«La tua assicurazione, Nostep, mi tranquillizza al pari degli altri tecnici, i quali svolgono anch'essi quei lavori preziosi, che assai presto torneranno utili alla difesa di Actina.»

Subito dopo, il sovrano di Actina, cambiando il destinatario a cui dovevano giungere le sue parole, si era dato a dire:

«Adesso, però, m'interessa conoscere in modo particolare da Olko, che ho nominato comandante in capo dell'esercito actinese, come procedono le esercitazioni militari e gli allenamenti dei soldati, specialmente nel tiro dell'arco, nel lancio dei giavellotti e nell'uso della spada.»

«Maestà, posso garantirti che in tali allenamenti non potremmo pretendere di meglio, grazie anche ai quattro giovanotti che mi hai invitato ad affiancare i miei ufficiali subalterni. Solcio, Zipro, Polen e Liciut sono degli autentici assi nell'uso specialmente dell'arco e della spada; ma sono altrettanto bravi nell'insegnarlo ai loro allievi. Per questo, con il loro contributo, l'apprendimento da parte dei nostri soldati si dimostra molto efficiente e più veloce. Menomale che, dal ruolo iniziale di sorveglianti, essi, come da te disposto, sono passati a svolgere quello di maestri d'armi, siccome nello svolgimento dell'altro incarico erano davvero sprecati. Quindi, se è questo che vuoi sapere, prima dell'arrivo dei nostri nemici, includendo anche i riservisti, possiamo contare su uno schieramento organico di forze armate sufficiente per difendere la nostra città senza problemi di sorta. Si tratta di un numero di soldati che si aggira sugli ottantamila unità, tutti bene armati e preparati a far fronte ad un assedio. Per cui gli alleati, i quali, pur senza avercela dichiarata, stanno per muoverci guerra, troveranno pane per i loro denti e si accorgeranno che la loro impresa bellica non sarà tanto facile, come hanno previsto!»

«Se è come affermi, Olko, pure sotto quest'altro aspetto di primaria importanza, non abbiamo di che preoccuparci. Per questo anche a te, come agli altri, va la mia immensa gratitudine. Ma dopo i resoconti degli altri cinque componenti del team, attendo la sua relazione anche dall'insigne cortigiano Ludoz. Egli ha avuto da me l'incarico di provvedere al procacciamento dei viveri, i quali dovranno bastare a sfamare l'intera città durante l'imminente assedio. Esso si prevede abbastanza lungo, ammesso che riusciremo a resistere alle soverchianti forze nemiche, senza permettergli di espugnare Actina.»

«Ebbene, re Francide, anche per quanto concerne il mio settore logistico,» era intervenuto a rispondergli Ludoz, il quale era stato interpellato indirettamente «le cose procedono a meraviglia. A tale riguardo, la mia opera procede su due fronti. Il primo è quello di accumulare scorte di cibo e di acqua dentro enormi sili, requisendo i prodotti alimentari a tutti i contadini del nostro territorio e facendo trasferire gli stessi in città. Il secondo, invece, è quello di fare tabula rasa dei nostri campi coltivati, perché gli eserciti invasori non vi trovino nulla che possa servire a sfamarli. Infatti, per sostenere un lungo assedio, anche loro avranno bisogno di cibo e di acqua in quantità eccessiva.»

«Ludoz, pure tu stai facendo un eccellente lavoro e trovo ottima la tua idea di fare piazza pulita nelle campagne di tutte le piante fruttifere e cereali, visto che da esse i nostri nemici avrebbero potuto procacciarsi vari alimenti. Tenuto conto di quanto di cui mi hai messo a conoscenza, parimenti a te va il mio più vivo ringraziamento.»

«Comunque, sire, avrei da avanzarti una mia proposta nell'ambito della mia competenza, trovandola alquanto interessante. Naturalmente, dovrai esserte tu a consentirmela, una volta che l’avrai appresa da me.»

«Puoi cominciare a riferirmela, Ludoz, perché ti ascolto. Se dopo averla esaminata essa mi vedrà d'accordo con te, senza meno potrai iniziare a mettere in pratica il suo contenuto.»

«In previsione di un assedio più lungo del previsto, per cui le nostre scorte alimentari ed idriche potrebbero ad un certo punto scarseggiare in modo preoccupante, avrei pensato di fare evacuare Actina da tutti quelli che non potranno esserci utili nella nostra lotta. Così facendo, essi non peseranno più sul fabbisogno di cibo e di acqua della nostra città durante l'assedio. Allora come vedi mia iniziativa?»

«Ludoz, se prendessimo un simile provvedimento, mi dici come farebbero tante persone, perlopiù vecchi, donne e bambini, a sfamarsi e a difendersi dai nostri nemici?»

«Invece una cosa del genere non accadrebbe, maestà, per il semplice fatto che essi verrebbero trasferiti agli estremi confini orientali dei nostri territori, dove possono trovare sostentamento con la caccia e con i vari erbaggi esistenti nella zona. Inoltre, alle soldatesche nemiche giammai verrebbe in mente di essere noi ricorsi ad una iniziativa del genere, per cui li lascerebbero in pace. Ma se la mia idea deve essere messa in atto, bisogna iniziare da subito a fare evacuare la città da parte di tutti loro.»

«In un certo senso, Ludoz, dopo che mi hai delucidato la tua proposta, sarei anche propenso ad accoglierla. Prima, però, voglio chiedere agli altri esperti presenti se anch'essi sono disposti a considerarla con favore, trovandola necessaria e senza rischi per i nostri concittadini, che dovrebbero essere trasferiti nel luogo da te suggerito.»

Alla fine, essendosi raggiunta l'unanimità dei consensi sulla proposta fatta dal cortigiano Ludoz, essa era stata subito accettata. Allora, dopo il suo accoglimento, era terminata anche la riunione a corte tra il sovrano e i sei tecnici da lui convocati.

Circa un mese dopo quella data, i sette potenti eserciti comandati dagli Umanuk si erano presentati sotto le mura della Città Santa. Allora tutto l'organico delle soverchianti forze nemiche si era schierato lungo il loro intero perimetro, accerchiandole da ogni parte. Si attendeva soltanto l'ordine di sferrare l’assedio in grande stile. Ma esso sarebbe giunto dai loro comandanti in capo quanto prima, ossia dopo aver preso tale decisione ed averla comunicata ai loro ufficiali. Nel frattempo, però, i soldati dei vari contingenti si erano dati a portare avanti quei lavori, che dovevano condurre a buon fine il loro assedio. Per questo, prima di ogni cosa, essi si erano impegnati nell'assemblaggio delle varie macchine da getto, come le baliste e gli onagri, e poi erano passati a sistemarle in quei punti da loro ritenuti più strategici. Invece non avevano preso in considerazione le torri mobili, non potendo esse essere sfruttate appieno, a causa del fossato che cingeva interamente la città.

A preparare l'assedio non erano stati i soldati che dovevano combattere; invece vi si erano applicati gli architetti e gli ingegneri, il cui ruolo, trattandosi di mansioni alquanto delicate, veniva reputato di responsabilità molto ragguardevole. In verità, le persone, che assumevano tale qualifica, non erano altro che dei comuni artigiani e nient'altro. I quali avevano appreso oralmente simili conoscenze attraverso la pratica acquisita nelle botteghe dei loro maestri, in qualità di apprendisti, per poi tramandarle ai loro futuri discepoli, che avrebbero fatto lo stesso.

Secondo gli assedianti, gli addetti a manovrare le baliste e le catapulte, essendo inseriti nel quadro dei loro eserciti ed operando accanto alla fanteria, erano da stimarsi dei reparti affatto specializzati. Essi integravano l'opera delle forze attaccanti nell'assedio di una città.

Con l'arrivo degli eserciti degli Umanuk nei pressi delle mura della propria città, il re Francide, considerata l'oceanica massa dei soldati che la cingevano, se n'era preoccupato a non dirsi, anche se essi erano attesi da tempo. Per questo aveva immediatamente convocato il consiglio di guerra, siccome voleva che in seno alla riunione degli ufficiali si decidesse collegialmente la linea di difesa da intraprendere, nell'ambito dell'assedio che erano in procinto di subire. Ad ogni modo, qualche giorno prima egli era stato già rassicurato da ciascuno di loro che i vari provvedimenti rivolti a difendere e a sfamare Actina durante l'assedio erano stati ultimati in modo egregio. Per cui non avevano nulla da temere dal più terribile e violento degli attacchi nemici, anche se fosse risultato di lunga durata. Perciò, essendoci state le precedenti rassicurazioni, il consiglio aveva potuto soltanto confermarle, senza decidere nulla che non fosse già stato stabilito in precedenza, in relazione alle diverse strategie difensive da adottare.