430-LERINDA E RACO VENGONO OSPITATI DAL FACOLTOSO SOSIMO
Le stesse persone, le quali nel mattino avevano fatto colazione insieme presso Lucebio, nel pomeriggio si ritrovarono a discutere su due argomenti importanti. Il primo riguardava il trasferimento della principessa Lerinda e di suo fratello Raco presso la casa di Sosimo; mentre il secondo era attinente al ritorno di Gerud alla reggia, sebbene fosse trascorso parecchio tempo, dopo che se ne era allontanato senza avvisare nessuno del suo allontanamento. Stando così seduti al solito posto, il quale veniva prescelto ogni volta a tale scopo, mostrandosi alquanto preoccupato, Lucebio incominciò a dire:
«Amici, il territorio edelcadico tra non molto diverrà scottante e noi non possiamo fare niente, perché ciò non accada. Visto però che siamo in grado di fare due cose, le quali sono necessarie, non voglio rinunciare ad esse. Con la prima, intendo togliere dai concreti disagi, a cui la principessa Lerinda andrebbe incontro, se restasse nel nostro campo. Mi riferisco a quelli che il re Raco ha tollerato fino ad oggi con grande pazienza, essendogli venuti a mancare gli agi e le comodità di corte. Con la seconda, ho intenzione di prendere nei suoi riguardi lo stesso provvedimento, che ho deciso di adottare a favore della sorella.»
«Mi spieghi, saggio Lucebio,» gli domandò il nuovo re di Casunna «in che modo vorresti generosamente privare mia sorella Lerinda e me della scomoda vita che ci proviene dalla permanenza in questo posto, non potendo esso offrirci un tenore di vita adatto a noi?»
«La risposta è assai semplice, re Raco. Entrambi sarete trasferiti presso il mio carissimo amico Sosimo. La sua casa, anche se non è una reggia, è riccamente arredata e potrà mettere a vostra disposizione molti comfort, dei quali qui non potrete mai godere per le ragioni che conosci. Nel palazzo, però, a parte i padroni di casa, nessuno dovrà venire a conoscenza della vostra identità, per meglio cautelare la vostra incolumità. Sono convinto che voi due sarete d'accordo con la mia iniziativa.»
«Certo che lo siamo, esimio Lucebio;» senza alcuna esitazione approvò la principessa Lerinda «però vorrei con me anche la mia nutrice Telda. Perciò occorrerà fare in modo che ella mi raggiunga nell'abitazione del tuo facoltoso amico. Sei d'accordo anche tu?»
«Invece, principessa, non ci sarà bisogno di trasferire la tua nutrice dalla reggia al palazzo di Sosimo, per il semplice fatto che ella si trova già in quel luogo. Dove tuttora si sta disperando per la tua sparizione. Il comandante Gerud si fece accompagnare da lei per raggiungere il palazzo del mio amico e anche per farsi accettare come persona gradita da chi ne era il padrone. Da quel giorno, ella non ha mai più lasciato il palazzo in questione, perciò te la ritroveresti già al tuo servizio!»
«Allora, Lucebio, se Telda si trova già in quella casa, è meglio che io e mio fratello ci affrettiamo a raggiungerla, ad evitare di farla disperare oltre. Per questo dobbiamo partire all'istante per Dorinda e pervenire entro stasera alla casa di colui che generosamente dovrà ospitarci.»
«Ve lo consiglio anch'io, principessa Lerinda. Invece l'intera scorta del principe Raco stazionerà su questo altopiano, per tutto il tempo che sarà necessario. Inoltre, non essendo presenti Solcio e Zipro, i quali avrebbero dovuto farvi da accompagnatori, sarò io stesso ad accompagnarvi alla casa del mio amico. Così vi presenterò a lui e lo pregherò di ospitarvi. Comunque, c'è un altro problema da risolvere entro oggi, prima di metterci in viaggio per la città. Si tratta della situazione di Gerud, il quale, dopo l'avvenuta uccisione nascosta di vostro fratello, è rimasto a fare il consigliere di Ghirdo. Ammesso che costui lo consideri tale! Egli dovrà ritornare alla reggia come nostra spia e starvi attento a non farsi sfuggire niente, circa i futuri eventi che riguardano l'Edelcadia.»
«Per come la vedo io, Lucebio,» gli si oppose Croscione «non trovo sensata ed accorta la tua idea di rimandare alla reggia il nostro Gerud, dopo che egli è stato assente dalla corte per oltre un mese. Se lo facessimo, quasi di sicuro lo condanneremmo a morte certa. Credi forse che il mago, scaltro com'è, se la berrà facilmente, qualunque sarà la scusa che egli gli addurrà, a giustificazione della sua assenza dal suo ufficio?»
«Se si tratterà di una semplice scusa, Croscione, certamente no! Ma io ho quella che fa al caso suo. Essa lo renderà credibile al cento per cento, agli occhi del mago Ghirdo, se costui volesse indagare su di lui.»
«Allora, Lucebio, sentiamo in che modo Gerud dovrebbe giustificarsi davanti all'Umanuk di Dorinda, ovviamente sempre continuando a fingere di crederlo il suo vero sovrano. Ad ogni modo, conoscendoti bene, sono certo che avrai delle validissime ragioni, se sei convinto che a Gerud non accadrà nulla di brutto, da parte del mago!»
«Ricordi, Croscione, la vecchia palestra dismessa di via della Prudenza, dove i Tricerchiati portavano le ragazze da sacrificare al loro fasullo dio, dopo averle rapite?»
«Certo che me ne ricordo, Lucebio! Ma essa cosa ha a che fare con il mio ex subalterno? Me lo vuoi spiegare, per favore? Comunque, adesso vai pure avanti, poiché continuo ad ascoltarti!»
«Gerud dovrà riferire al mago di essere stato catturato dai ribelli, i quali ve lo hanno tenuto prigioniero proprio in quell'abitazione per tutto il tempo che è sparito dalla circolazione. Ma poi egli, con un po' di fortuna, è riuscito a liberarsi dai legacci che lo tenevano immobilizzato e a scappare da quel posto. Logicamente, prima che egli si presenti a Ghirdo, occorrerà rendere il luogo della sua finta prigionia credibile e convincente, qualora l'Umanuk intendesse controllarlo e rendersi conto della veridicità del racconto del suo braccio destro. Così non si metterà a rischio la vita di Gerud, quando la sua attività di spionaggio sarà appena iniziata. In questa maniera, inoltre, persuaderemo il mago a credere che la sua liberazione e quella della principessa siano due cose l'una indipendente dall'altra. Allora che te ne pare, Croscione?»
«In un certo senso, Lucebio, il tuo piano potrebbe funzionare. Ma non ho compreso come intendi trasformare la dismessa palestra di Via della Prudenza a noi nota, perché la sua trasformazione giovi a Gerud.»
«Innanzitutto faremo calpestare più volte la patina di polvere del suo pavimento da quattro o cinque dei nostri uomini, in modo che le loro pedate vi risultino fresche ed evidenti. Dopo la qual cosa, vi getteremo delle strisce di pelle. Per il mago, esse dovrebbero essere quelle da cui Gerud si sarebbe liberato. Questo è tutto, mio caro Croscione!»
«Come vedo, Lucebio, hai pensato proprio ad ogni cosa per trarre in inganno il mago Ghirdo, nel caso che volesse darsi a controllare. Perciò, avendo convinto anche me, sono pienamente d'accordo con te circa la riuscita del tuo piano. Ma prima di buttarsi a capofitto in tale impresa, dovrà capacitarsene pure il nostro Gerud. Non sembra pure a te?»
Invece, da parte di chi un tempo era stato il bracco destro del defunto re Cotuldo, non ci furono né obiezioni né opposizioni. Allora si decise di dare corso al piano del saggio capo degli ex ribelli, con l'augurio che esso non sarebbe risultato problematico in nessuna fase della sua concreta esecuzione. Anzi, qualche ora più tardi, fu lo stesso Gerud, con quattro ribelli, a perlustrare la citata dismessa palestra. Così apportò al suo ambiente interno gli opportuni cambiamenti suggeriti da Lucebio. Essi dovevano farla apparire un luogo frequentato ed adibito alla detenzione di qualche persona, da parte dei suoi carcerieri. Completate le modifiche alla vecchia palestra dagli uomini che egli aveva guidato fino ad essa, Gerud li rimandò indietro. Invece lui, anziché fare rientro al campo con loro, preferì affrontare subito il mago, camuffato da re Cotuldo.
Dirigendosi verso la reggia, lo sfiduciato alto ufficiale era indeciso se mettere al corrente di quella intricata vicenda anche Morchio, il quale sovrintendeva al corpo di guardia, che era situato presso l'ingresso della reggia. Alla fine, però, egli ritenne più giusto che per il momento fosse meglio tenerlo all'oscuro di ogni cosa su quanto era avvenuto e stava succedendo nella reggia, volendo evitare di complicargli l'esistenza. Magari, in seguito e in una circostanza più adatta, lo avrebbe messo a conoscenza di tutto. Inoltre, lo avrebbe invitato a fare le sue giuste scelte, dopo averlo posto di fronte a delle responsabilità, le quali gli sarebbero risultate abbastanza serie, per non cercare di salvare la pelle.
Era trascorsa all'incirca una mezzora, da quando l'ex subalterno di Croscione aveva lasciato l'edificio che un tempo era appartenuto ai Tricerchiati, allorquando si ritrovò già davanti ai cancelli della reggia. Innanzitutto egli andò ad informarsi presso Morchio se per caso il sovrano lo avesse cercato. Ma il comandante, nel vederlo apparire nel corpo di guardia, stupendosene, immediatamente gli andò incontro. Dopo averlo abbracciato, senza aspettare che il superiore gli rivolgesse la parola per primo, si diede ad esclamargli:
«Grazie al dio Matarum, sei ancora vivo e tutto intero, illustre Gerud! Dopo un così lungo tempo che sei mancato dalla reggia, tutti noi del corpo di guardia ti abbiamo creduto vittima di qualche incidente mortale. Dunque, vuoi dirmi cosa ti è successo, per non esserti fatto più vedere per un mese intero? Spero niente di brutto, se non vuoi rattristarmi!»
«Prima che mi metta a spiegarti ogni cosa, Morchio, vorrei sapere da te se e quante volte il sovrano è venuto a chiedere di me. La tua risposta per me è molto importante!»
«Sai che non me lo ricordo, mio insigne superiore? Se non rammento ciò che mi hai domandato, probabilmente egli non sarà mai venuto da me per avere tue notizie. E se così è stato, trovo davvero strano un fatto del genere! Adesso che ci penso, non si sono viste in giro neppure la principessa Lerinda e la sua nutrice Telda, che prima vedevo spesso. Per questo vuoi farmi sapere cosa sta succedendo in questa reggia, da un mese a questa parte?»
«Morchio, per il momento non posso dirti niente, in merito ai fatti di corte, che tu giustamente hai trovato insoliti. Ma ti prometto che al più presto ti racconterò ogni cosa che li riguarda, facendoti rizzare i capelli sulla testa, quando te ne parlerò! Nel frattempo, mi limito soltanto a riferirti le ragioni che mi hanno obbligato ad assentarmi dalla reggia e dal mio ufficio. Per cui apri bene le orecchie nell'ascoltarle!»
«Vorrà dire, mio illustre superiore, che per quest'oggi farò a meno di conoscere i fatti ai quali ti sei riferito; ma mi contenterò unicamente di apprendere i motivi, che ti hanno trattenuto lontano dalla reggia. Perciò dai subito inizio al tuo spiacevole racconto!»
«Un pomeriggio, mio valido subalterno, mentre mi aggiravo per le strade di Dorinda, qualcuno mi ha colpito all'occipite e mi ha tramortito. Più tardi, quando mi sono risvegliato, ero legato come un salame all'interno di un'abitazione molto ampia. Per fortuna i miei carcerieri, sempre con il volto coperto, venivano ogni giorno a portarmi del cibo e dell'acqua. Inoltre, essi mi permettevano di soddisfare i miei bisogni corporali. Soltanto nel terzo giorno della mia prigionia, gli incaricati a sorvegliarmi e ad accudirmi mi rivelarono che erano dei ribelli e che assai presto mi avrebbero fatto conoscere la sorte che mi attendeva. Fino a ieri, però, non mi è stata mai comunicata. Solo stamattina sono riuscito a slegarmi, a liberarmi e a condurmi alla reggia. Adesso sto arrivando proprio dalla mia ex prigione, Morchio, essendo stato assistito dalla fortuna.»
«Mio eminente Gerud, ti dico che davvero l'hai scampata bella! Sono sicuro che i ribelli te l'avrebbero fatta pagare salatamente, se tu non fossi riuscito a slegarti e a salvarti da solo. Ad ogni modo, ne sono molto contento! Ma c'è un modo di punire i ribelli tuoi carcerieri?»
«Non credo proprio, Morchio. Essi non si faranno più rivedere in quel posto, dopo che si saranno accorti che sono riuscito a liberarmi. In verità, non mi importa più niente di loro, visto che sono ritornato ad essere un uomo libero. Adesso, però, devo lasciarti, poiché mi tocca andare a presentarmi al mio sovrano per spiegargli ciò che mi è successo nei giorni passati. Per questo, per forza di cose, sono dovuto restare assente dalla reggia. Speriamo che oggi egli sia di buonumore e che non sia in vena di trattarmi male a tal punto, da intossicarmi l'intera giornata!»
A dire il vero, il comandante del corpo di guardia rimase sorpreso dal fatto che Gerud si fosse mostrato contrario ad una immediata azione punitiva contro i suoi ex secondini, ordinando di andare a sorprenderli nell'ora che abitualmente gli facevano visita. Ma poi, ritenendo anche il suo diretto superiore una persona divenuta da poco strana, decise di non pensarci su.
Quando poi Gerud si presentò al mago, che non lo considerava suo consigliere per il fatto che non era il suo vero sovrano, Ghirdo non mostrò nessuna meraviglia. Il motivo? Poiché aveva avuto un gran da fare nei suoi rapporti interpersonali con gli altri Umanuk, egli non aveva avuto il tempo di accorgersi della sua assenza da corte. Perciò, dopo che l'ufficiale ebbe terminato di raccontargli ogni cosa sul suo rapimento da parte dei ribelli, emettendo un lungo sbadiglio, gli rispose:
«Se non lo hai ancora compreso da te, mio braccio destro, te lo dico io: con il tuo racconto, sei riuscito solo ad annoiarmi! Adesso cerca di trovarti una occupazione qualsiasi e lasciami in pace, siccome sono impegnato con il mio amico Kosep, con il quale dovrò discutere di problemi molto seri, anziché ascoltare le tue bazzecole. Per caso ti sono giunte notizie di mio fratello Raco? Lo attendo da parecchio tempo qui a corte; però fino ad oggi non ho saputo niente di lui. Quando mi sarà davanti, gliene canterò quattro: te lo garantisco!»
«Sire, pure a me non sono giunte notizie del viceré. Dovresti saperlo che a volte i viaggi possono riservare delle sorprese. Perciò ti toccherà avere ancora un po' di pazienza!»
«Va bene, Gerud! Ma adesso lasciaci soli e raggiungi subito il tuo ufficio, mentre io e Kosep ci appartiamo nel mio salottino rosso! È inutile avvertirti che non ci sono per nessuno, se mi cercassero!»
Invece il suo consigliere non gli diede retta; al contrario, preferì condursi nel vano degli attrezzi per la pulizia, essendo intenzionato a seguire di nuovo la conversazione dei due Umanuk ed apprendere tutto quanto essi avrebbero continuato a dirsi in gran segreto. Il primo ad aprire bocca fu il mago Ghirdo. Egli, mentre si dava a parlare al suo collega di Casunna, si mostrava agitato. Adesso gli stava dicendo:
«Ciò che è accaduto questa notte non ci voleva proprio, Kosep! L'evento mi ha messo addosso parecchia stizza, che non riesco ancora a fare sbollire dentro di me!»
«A quale evento ti riferisci, Ghirdo? Vuoi mettermi al corrente di esso? Davvero la cosa è così grave, da farti uscire fuori dai gangheri? Ma se mi racconti ogni cosa, dopo vedremo insieme se ci sarà possibile trovarvi un celere rimedio appianatore!»
«Invece, Kosep, non potrà esserci più niente da appianare. Durante la scorsa notte, la principessa Lerinda è sparita dalla nostra prigione di Pervust. Naturalmente, non con le proprie gambe, siccome un fatto del genere le sarebbe stato impossibile! Quindi, sono portato a credere che sia stata una divinità a prelevarla dal nostro castello e a condurla altrove. Ma non si può escludere che ci sia stato anche il suo protetto Iveonte a prestarle manforte! Vorrei sapere dove l'avranno portata per cercare di carpirgliela di nuovo e farla diventare ancora mia prigioniera! Intanto posso soltanto rifletterci su!»
«Ghirdo, come fai ad asserire che c'era pure il suo fidanzato ad aiutarla, se sappiamo che egli si trova a molte miglia dalla Selva Perversa e non avrebbe potuto trovarsi lì?»
«Questo non te lo so dire, Kosep; però avverto che Iveonte c'è stato senza meno. La sua divinità protettrice può averlo messo in condizione di volare insieme con lei fino a Pervust. Comunque, ciò che mi rende più rabbioso è il fatto che non possiamo arrivare alla principessa con l'intento di farla ridiventare nostro ostaggio!»
«Non ti capisco, Ghirdo. Hai dimenticato che noi Umanuk possiamo trovare qualsiasi persona, sebbene si nasconda a grandissima distanza, anche quando di essa abbiamo un solo capello? Quindi, perché non sei ricorso a tale nostra prerogativa per rintracciare la principessa con facilità? Sono sicuro che la sorella del morto re Cotuldo avrà lasciato nella nostra prigione di Pervust un sacco di capelli, dal momento che tutti gli esseri umani ne perdono ogni giorno tantissimi, come sappiamo!»
«Invece, Kosep, al suo interno non sono riuscito a rinvenire neppure un capello della ragazza, nonostante io abbia effettuato un'accurata ricerca! Senza dubbio sarà stata la divinità sua liberatrice a farli sparire tutti, prima di allontanarsi dal nostro castello. Si vede che essa era a conoscenza di questa nostra straordinaria dote di ricerca.»
«Adesso, Ghirdo, estromettendo la principessa dalla nostra conversazione, sai dirmi quando, a capo dei nostri eserciti, marceremo contro la remota città di Actina?»
«Kosep, il mio protettore Sartipan mi ha comunicato che ciò dovrà avvenire con l'avvento del prossimo plenilunio. Per cui bisogna già iniziare a fare affilare le armi ai nostri eserciti, perché essi siano pronti per la guerra entro la citata lunazione!»
«Per quanto concerne il problema del viceré Raco, il quale resta ancora in sospeso, mi dici come mi consigli di risolverlo, Ghirdo? Sono convinto che a te le idee non mancano!»
«Non potendosi fare diversamente, Kosep, assumerai le sembianze del mio consigliere Gerud; ma dopo che lo avrai eliminato. Assunte poi le sue sembianze, ti condurrai alla corte di Casunna e ti incontrerai con il viceré per ripetere il cambio di persona con lui. Nel caso poi che tu dovessi incontrarlo lungo la strada che collega le nostre due città, ti trasformerai nella sua persona in quel luogo stesso. Eseguita la trasformazione, anziché proseguire per Dorinda, te ne ritornerai con la tua scorta nella città casunnana per preparare il tuo esercito alla futura guerra, la quale è ormai prossima.»
A quel punto, Gerud non ebbe né la voglia né la forza di continuare ad ascoltare il resto della conversazione dei due Umanuk. L'avere appreso poco prima che ben presto Kosep lo avrebbe ammazzato per impossessarsi del suo corpo e sostituirlo nella sua funzione gli fece andare giù il morale. Per cui non vedeva l'ora di allontanarsi dalla reggia prima possibile. Così, senza perdere altro tempo, abbandonò lo stanzino in cui si trovava e si precipitò verso l'uscita della reggia. Giunto presso il corpo di guardia, egli si imbatté di nuovo in Morchio, il quale poco prima lo aveva cercato nel locale, dove egli svolgeva abitualmente il suo ufficio, senza però trovarvelo. Il motivo, che lo aveva spinto a rivolgersi al suo diretto superiore, era stato il seguente: egli voleva farsi chiarire da lui quelle cose che nel precedente incontro non lo avevano persuaso per niente. Perciò intendeva chiedergli un ulteriore chiarimento in merito.
Nell'incrociarsi con lui presso il cancello, il quale rasentava la guardiola del corpo di guardia, egli fece appena in tempo ad arrestare la sua corsa e a domandargli:
«Perché così di fretta, illustre Gerud? Alcuni attimi fa ero venuto a cercarti per farti delle domande su quanto mi avevi accennato nel nostro precedente incontro. Ma perché hai anche una faccia, la quale mi fa pensare solo a un funerale? Me lo vuoi spiegare?»
«Assolutamente non posso fermarmi qui, Morchio, per farti il resoconto di quanto mi è successo a corte! Ti conviene far sellare i nostri cavalli e andarcene via dalla reggia insieme per raggiungere un luogo sicuro, dove poter parlare senza pericoli. Sappi che ho da farti delle rivelazioni di una importanza capitale, quelle che prima ho evitato di farti per precauzione, ignorando come le avresti considerate. A questo punto, non avendo più nulla da perdere, sono disposto a correre ogni rischio!»
«Mio insigne Gerud, le tue parole mi intrigano molto, per non darti retta! Ecco perché ti seguirò ovunque vorrai, pur di venire a conoscenza delle misteriose tue rivelazioni!»
Alcuni istanti dopo, Gerud e il suo subalterno avevano già montato i loro cavalli e si dirigevano fuori le mura della città. Ma una volta che si furono ritrovati in aperta campagna, l'ex consigliere dell'ucciso re Cotuldo innanzitutto fece presente al suo accompagnatore che in precedenza gli aveva mentito circa la propria carcerazione da parte dei ribelli. Subito dopo iniziò a narrargli l'intera vicenda attinente a Ghirdo, la quale comprendeva pure l'uccisione del loro re Cotuldo da parte del mago e la sua contemporanea sostituzione del loro sovrano.
Quando ebbe termine il racconto del suo superiore, che lo aveva terrorizzato e scioccato, Morchio non si astenne dal domandargli:
«Quindi, mio illustre superiore, secondo quanto mi hai raccontato, il nostro sovrano Cotuldo non esiste più e dobbiamo considerare nostro sovrano il fratello Raco?»
«Esatto, Morchio! Non pretenderai mica essere governato da un defunto! A tale proposito, ti faccio presente che il fratello Raco ha già dichiarato che egli sarà il re dei soli Casunnani e che non ci saranno più ribelli nella città di Dorinda; mentre i Dorindani ritorneranno ad avere il loro legittimo sovrano, il quale è il re Cloronte. Quindi, non metterò mai più piede nella reggia dorindana, dove verrei ucciso senza indugio dall'Umanuk Kosep. Inoltre, ho stabilito di raggiungere il mio nuovo sovrano, il quale adesso è il re Raco.»
«Anch'io verrei insieme con te, mio caro superiore, se non avessi famiglia: però ce l'ho e non posso ignorarla. Invece tu puoi farlo, soltanto grazie al tuo stato di celibe. Perciò non so come decidermi.»
«Morchio, forse non hai compreso un particolare importante, se consideri senza pericolo il tuo ritorno alla reggia. Allora tocca a me illustrartelo nel modo migliore.»
«Esimio Gerud, secondo te, esso quale sarebbe e perché dovrebbe farmi preoccupare? Spiégati meglio, per favore, e non farmi correre un brutto pericolo, poiché ho famiglia, come ti ho detto!»
«Morchio, quando l'Umanuk non avrà più me nelle sue mani per raggiungere il suo perfido scopo, con chi altro egli penserà di ottenerlo, se non con la tua persona?»
«Hai proprio ragione, mio superiore! A questo non avevo pensato. Mi hai convinto che anch'io dovrò abbandonare la reggia. Ma poi dove ci rifugeremo io e la mia famiglia? Tu sai indicarmi un posto, dove la mia consorte e i miei figli potranno stare al sicuro?»
«Per il momento, Morchio, potete trovare rifugio nel luogo dove sto andando io. Ti garantisco che lì starete al sicuro e te ne convincerai pure tu, quando vi ci trasferirete.»
«Ma c'è un problema, esimio Gerud. Se ci vai adesso in tale posto, quando ritornerò qui con i miei familiari, non ti troverò più ad aspettarci per condurci dove hai detto.»
«Morchio, se mi prometti che mi raggiungerai con i tuoi cari in questo luogo, sono disposto ad attendervi anche due ore. Trascorse le quali, mi rimetterò in viaggio!»
Il comandante del corpo di guardia si rifece vivo dopo un'ora e mezza nella contrada, dove lo stava aspettando il suo superiore. Egli conduceva con sé l'intera sua famiglia, la quale era composta dalla moglie Efrina e da una mezza dozzina di paffutelli pargoletti. A quel punto, tutti insieme, essi si avviarono verso il campo dei ribelli.
Nel momento stesso che il piccolo gruppo arrivò sull'altopiano, Lucebio, la principessa Lerinda e il fratello Raco si presentavano nel palazzo del possidente Sosimo. Erano con loro anche due ex ribelli, poiché dopo avrebbero dovuto riaccompagnare il loro capo al campo. La qual cosa sarebbe avvenuta, non appena i due germani di casa reale fossero stati sistemati in uno degli alloggi situati nel palazzo, in qualità di ospiti di riguardo del padrone. In verità, Lucebio preferì raggiungere l'amico nella legnaia, dove egli era intento ad aggiustare parte del carico di legna, che gli era stato consegnato nel pomeriggio. Ma prima aveva consigliato la principessa Lerinda e il viceré Raco di attenderlo nell'ampio cortile insieme con i suoi due uomini. Egli aveva voluto evitare di chiedere a Sosimo ospitalità per i due illustri germani in loro presenza, poiché intendeva fargli la propria richiesta, solamente dopo averlo messo al corrente dei fatti avvenuti nei giorni precedenti nella reggia e sull'altopiano.
Nel vedersi apparire all'improvviso davanti il grande amico, che considerava un vero cervellone, Sosimo se ne rallegrò e corse immediatamente ad abbracciarselo, dicendogli:
«Che magnifica sorpresa mi hai fatta, Lucebio! Non bisogna mai disperare che, prima o poi, scenda dal cielo la provvidenziale pioggia a bagnare l'arso terreno dei campi! Allora, amico mio, mi dici il motivo che ti ha spinto nella mia casa? Oppure vuoi farmi credere che, essendo di passaggio da queste parti, tu abbia ritenuto opportuno onorarmi di una tua visita? Se così fosse, convinciti che non prenderei la cosa sul serio!»
«Invece, Sosimo, sono venuto direttamente da te e non sono solo, poiché ho condotto con me una coppia di persone, precisamente un fratello e una sorella. Comunque, hai già avuto modo di conoscere la ragazza nel tuo palazzo, per la quale non dubito che ti faresti in quattro, pur di accontentarla al massimo. Ebbene, essi hanno bisogno della tua ospitalità a tempo indeterminato, non potendosi prevedere per quanto tempo dovrai ospitarli in casa tua. Allora vuoi farti carico pure di loro ed accettarli come tuoi ospiti graditi? Altrimenti, dovrò provvedere a loro in maniera differente!»
«Non osare parlarmi in questo modo, Lucebio! Tu non andrai da nessuna parte: ci siamo intesi? Se li hai condotti qui da me, sono certo che non posso rifiutarmi di ospitarli, godendo essi della tua fiducia e della tua stima! Ma prima vorrei sapere chi sono quelli che hai condotti nel mio palazzo, poiché non voglio trovarmi in imbarazzo, quando me li presenterai ed io dovrò concedere loro la mia ospitalità. Ci siamo intesi?»
«Certo che ti farò i loro nomi, Sosimo; ma a suo tempo! Se te li facessi adesso, almeno quello dell'uomo giustamente urterebbe la tua sensibilità e ti farebbe reagire molto male. Perciò, ad evitare una tua reazione istintiva del tutto fuori luogo, prima intendo metterti a conoscenza di alcuni avvenimenti, che ci sono stati nella reggia e nel mio campo. Dunque, adesso ti metterai a sedere sopra un ceppo che somigli ad uno sgabello e mi starai ad ascoltare tranquillo e buono, fino a quando non avrò finito di raccontarti ogni cosa! Mi sono spiegato?»
Essendosi capacitato dell'importanza del racconto del caro amico, Sosimo accettò di porgergli ascolto, senza fare alcuna opposizione. Per cui entrambi si posero a sedere comodamente sopra due ceppi, perché essi permettessero all'uno di narrare i fatti accaduti e all'altro di ascoltarli in silenzio. Quando infine Lucebio ebbe terminato di riferire all'amico ogni cosa che aveva da fargli apprendere, gli si rivolse, affermando:
«Adesso, Sosimo, non occorre che ti dica chi sono coloro che attendono la tua risposta, per quanto riguarda la loro richiesta di ospitalità. Sono certo che, a questo punto, conosci bene i loro nomi!»
«Come potrebbe essere altrimenti, Lucebio! Si tratta della principessa Lerinda e di suo fratello Raco, il quale ora è diventato re di Casunna. E solamente di questa città, per sua volontà! Non è forse così che mi hai garantito, mio carissimo amico?»
«Senza dubbio, Sosimo! Sua sorella, però, tra non molto diventerà la nostra regina, siccome sposerà il nostro futuro sovrano, il quale sarà Iveonte, dopo che il suo genitore avrà abdicato in suo favore, per ragioni di età e di salute. Ti rendi conto, amico mio?»
«Giammai avrei pensato che un giorno potrò vantarmi di avere ospitato in casa mia due re e due regine! Ciò, grazie a te, saggio Lucebio! Non smetti mai di stupirmi!»
«Ma ricòrdati, Sosimo, che nessuno nel tuo palazzo dovrà essere messo al corrente dell'identità di chi oggi è da considerarsi il nuovo sovrano di Casunna. Bisognerà avvertire anche Telda di tenerla nascosta alle altre persone, che vivono oppure lavorano nella tua casa.»
«Tranne mia moglie, Lucebio, ti prometto che nessun altro verrà a saperlo. Perciò conduciamoci subito dai miei prossimi ospiti, poiché dovrò dargli il mio benvenuto e una degna accoglienza nella mia casa, che porrò tutta a loro disposizione!»
Nell'istante in cui Lucebio e il suo amico si presentarono nel cortile del palazzo, i due germani reali non erano più soli; ma li stava intrattenendo la nutrice della principessa Lerinda. La donna, che oramai aveva familiarizzato con la nuova abitazione dopo un mese di permanenza in essa, avendoli scorti soli e spaesati, era subito corsa loro incontro, manifestando una gioia incommensurabile, sebbene non comprendesse la presenza del principe Raco in quel luogo. Così ella prima aveva invitato i due uomini di Lucebio a trasferirsi altrove e dopo si era data a salutare e ad abbracciare Lerinda e il fratello. Non si era neppure risparmiata nel fare alla sua amata padroncina un sacco di moine. Infine Telda si era data a conversare con loro, senza rinunciare alla sua gradevole loquacità. Lucebio, invece, dopo aver raggiunto il viceré Raco e la sorella, che in quell'istante erano insieme con la loro conoscente, esclamò:
«Menomale che c'è stata la vostra Telda a tenervi compagnia, nobile re Raco e principessa Lerinda! Sennò il mio amico ed io vi avremmo fatti annoiare parecchio. Comunque, adesso entrambi siamo qui per recarvi delle ottime notizie. Sosimo, dopo avere ascoltato i fatti avvenuti nella reggia e nel mio campo, non ha posto il proprio veto circa la vostra sistemazione nella sua casa, almeno finché le acque non si saranno calmate nei vostri confronti. Tra qualche attimo, ve lo confermerà lo stesso mio amico.»
«È vero quanto vi ha annunciato Lucebio.» approvò il padrone di casa «Aggiungo che mi riterrò onorato di avervi ospitati per il tempo necessario. Tra poco darò disposizione alla servitù di prepararvi un alloggio, il quale sia degno di voi il più possibile; ma essa non sarà messa al corrente della vostra identità. Approfitto per invitare Telda a non divulgare nella mia casa la presenza di colui, che praticamente può già considerarsi l'attuale re di Casunna, dopo l'avvenuta uccisione del re Cotuldo. Inoltre, re Raco, desidero ringraziarti anche a nome di tutti i Dorindani per la tua saggia decisione di lasciare il trono di Dorinda al suo legittimo sovrano, ossia al tuo prodigioso cognato Iveonte. Ovviamente, lo hai deciso non per timore che in seguito l'invincibile fidanzato di tua sorella ti avrebbe costretto a rinunciare con la forza al tuo trono abusivo, ma per il tuo alto senso di giustizia. Esso, secondo Lucebio, è insito nella tua natura, essendo il tuo carattere diametralmente opposto a quello del tuo defunto fratello, il quale era inviso a tutti noi Dorindani.»
«Grazie, Sosimo, sia per le belle parole che hai espresso nei miei confronti sia per l'ospitalità che offri a mia sorella Lerinda e alla mia persona! Il grande uomo, che è il saggio Lucebio, non poteva avere un amico migliore. Anzi, se non erro, voi due vi trattate come se foste dei veri fratelli! Per me, l'amicizia è il più gran dono esistente nel mondo!»
Terminato l'incontro a cinque, il capo di coloro che avevano smesso di essere dei ribelli, giudicando che la sua presenza non era più necessaria nel palazzo dell'amico, fece avvisare i suoi due uomini di scorta che era giunta l'ora di ripartire alla volta della sua dimora. Quando poi essi si rifecero vivi e furono terminati i rituali saluti, Lucebio e i suoi accompagnatori si mossero dal palazzo di Sosimo e si incamminarono verso le porte di Dorinda. Usciti di città, essi si affrettarono a rientrare nel loro campo, dove la presenza di Gerud risultò una sorpresa per lui, poiché egli non se l'aspettava così presto.