425°-GLI UMANUK FANNO PIAZZA PULITA DEI SOVRANI EDELCADICI

Si era nelle prime ore pomeridiane, quando Ghirdo si presentò alla reggia della sua città natale, che era Dorinda. Fu Morchio a riceverlo con una patente diffidenza, essendo il comandante dei gendarmi che stazionavano presso il corpo di guardia. La postura del mago, la quale era quella di un vecchio sciancato e claudicante, non gl’ispirò neppure un po’ di simpatia. Perciò, nello scorgerlo, l'ufficiale si affrettò ad avvicinarlo con l'intenzione di farlo sloggiare al più presto da davanti all'ingresso della reggia. Il motivo? Secondo lui, la sua presenza in quel posto non poteva essere tollerata neppure per un attimo. Così, quando si trovò ad un passo da lui, si diede a ripigliarlo con le seguenti parole offensive:

«Ehi, tu, essere senza valore, come ti sei permesso di occupare uno spazio, che per nessuna ragione avresti dovuto scegliere, neppure per una tua sosta temporanea, a causa della stanchezza?»

«Se lo vuoi sapere, gendarme scortese,» gli rispose il mago «non si tratta di una mia fermata transitoria, per esserci stato costretto per qualche motivo qualsiasi. Invece sono venuto appositamente presso il palazzo reale, poiché ho deciso di chiedere udienza al mio illustre re Cotuldo. Adesso che ne sei venuto a conoscenza, cerca di cambiare atteggiamento e tono nei miei confronti. Altrimenti mi costringi a parlare male di te al sovrano, quando tra poco mi abboccherò con lui per riferirgli delle cose di una certa rilevanza! Mi ti sono spiegato bene?»

«Ah, ah! Questa sì che è bella! Un misero accattone del tuo stampo come può pretendere di farsi ricevere dal re di Dorinda e di Casunna? Si vede che non hai senno in quella zucca, per osare tanto! Dunque, se non sloggi da questo luogo in un tempo uguale ad una manciata di secondi, ti farò sgomberare a pedate sul posteriore! Intesi?»

«Se sei di questo avviso, millantatore di un gendarme, allora mi costringi a dimostrarti che sei tu ad avere poco sale in quella testa vuota! Per farlo, però, dovrò farti passare un brutto quarto d’ora, il quale, durante la restante tua esisetnza, non si farà più scordare da te!»

Alle parole del mago Ghirdo, Morchio stava già per sparargli contro una sghignazzata, allorché le sue orecchie prima si arroventarono, poi presero fuoco ed infine si liquefecero. Ma lo straordinario fenomeno non avvenne, senza che lo sventurato comandante del corpo di guardia lo avvertisse. Egli, intanto che i due organi bruciavano, pensava solo a dolersene parecchio. Il malcapitato gendarme, infatti, si era dato ad emettere disperate urla di dolore, le quali attirarono fuori dal locale le guardie sue subalterne, che vi erano di servizio. Il loro intervento, però, poté fare ben poco, oltre che assistere al disfacimento delle orecchie del loro comandante, attraverso le tre fasi suddette. Anzi, sentendolo urlare così disperatamente, accorse sul posto anche Gerud, il consigliere del re Cotuldo, il quale in quel momento si aggirava non molto lontano. Egli vi giunse, quando le orecchie di Morchio si erano già fuse totalmente. Perciò gli venne spontaneo chiedere cos’era successo sia a colui che si lamentava sia a quanti avevano assistito allo stupefacente evento a danno del loro capo. Le sue domande ai presenti furono le seguenti:

«Mi dite cosa sta succedendo qui in mezzo a voi? Tu, Morchio, mi riferisci perché continui a lamentarti tantissimo, come se ti stessero tirando le unghie con le tenaglie? Faresti meglio a smetterla con questo tuo piagnisteo, che non si fa tollerare dalle altre persone!»

Appresa infine ogni cosa sui fatti accaduti in quel luogo, Gerud, allo scopo di sapere chi era lo sconosciuto e di apprendere da lui le ragioni del suo incredibile operato lesivo, domandò al mago:

«Sarai senz’altro una persona speciale, se hai privato il mio subalterno Morchio di entrambi i padiglioni auricolari, nel modo che mi hanno riferito gli altri gendarmi del corpo di guardia, che sono suoi subalterni. Perciò prima dimmi chi sei e poi mi riferirai anche il movente, che ti ha indotto a trattarlo nella maniera che conosci. Ti prometto che ti ascolterò con la massima attenzione, non volendo correre il suo stesso rischio!»

«Io sono il mago Ghirdo e posso rendermi autore di cose ben più strabilianti di quella, in cui mi sono esibito qualche attimo fa. Se ho reagito nel modo che hai appreso, è stata tutta colpa del tuo uomo, il quale non mi ha accolto come si conveniva alla mia persona. Quindi, non avendo egli voluto darmi ascolto per niente, ho deciso di punire le sue orecchie a sventola. Così la prossima volta esse capteranno meglio le mie parole e mi faranno evitare di darmi a spettacoli del genere, al fine di sfogarmi come ho fatto poco fa in questo posto!»

«Adesso, provetto mago, posso conoscere il motivo che ti ha condotto qui alla reggia? Se me ne parli, dopo vedrò se sarà il caso di contentarti, visto che meriti tutta la mia stima!»

«Devo necessariamente incontrarmi con il re Cotuldo, illustre Gerud. Ho da comunicargli delle notizie riservate molto interessanti, che posso svelare soltanto a lui. Ma ti faccio presente che, anche se tu non dovessi essere d’accordo, lo stesso lo raggiungerei, senza che tu potresti vietarmelo. Per questo, se vuoi continuare a restare integro, accompagnami subito da lui! Nel caso contrario, quanto ho fatto a Morchio risulterebbe ben poca roba, se paragonato a ciò che arrecherei alla tua persona. Secondo me, intelligente quale sei, sono sicuro che hai inteso benissimo il mio pensiero, per cui baderai a non opporti al mio desiderio!»

«Se le tue parole hanno voluto avere il sapore di una minaccia, Ghirdo, potevi fare a meno d’incavolarti tanto! Come già ti avevo fatto presente, siccome ora ti tengo in grande considerazione, giammai mi permetterei di contrariarti. Ecco perché rispetterò la tua volontà e farò in modo che tra breve tu incontri il mio sovrano. Sei contento adesso?»

«Come non potrei esserlo, sagace consigliere del re Cotuldo? Se alla mia richiesta anche Morchio si fosse comportato come hai fatto tu, egli non si ritroverebbe privato delle sue orecchie! A questo punto, però, cerca di sbrigarti a farmi avere l’abboccamento con il tuo sovrano, se non vuoi farmi spazientire! Se lo vuoi sapere, l’attesa m’innervosisce.»

Gerud, volendo evitare d’inimicarsi il temuto mago e d’incorrere nella sua punizione, avendogliela costui annunciata più severa di quella inflitta al suo subalterno, si affrettò ad accompagnarlo presso il suo sovrano. A lui poi si rivolse, usando le seguenti parole:

«Sire, ti presento il mago Ghirdo. Grazie ai suoi poteri prodigiosi, egli è capace di fare cose straordinarie, che lasciano a bocca aperta chiunque! Secondo quanto mi ha partecipato, egli avrebbe per te alcune notizie, che senz'altro gradirai con sommo piacere. Se egli non mi fosse risultato credibile, stanne certo che non lo avrei condotto in tua presenza, senza avvisarti!»

«Invece, Gerud, lo stesso non ho accolto con gradimento il tuo proposito di prenderti una simile libertà, per cui me ne renderai conto in altra sede: puoi esserne certo! In relazione poi al presente mago, la prossima volta lascerai a me il compito di valutare la sua bravura. Mi ti sono spiegato per bene, mio incapace consigliere?»

«Più chiaro di così, mio illustre sovrano, non potevi essere! Ma ti prometto che non capiterà più di commettere una sciocchezza simile! Vorrà dire che un'altra volta gli permetterò di fare di me ciò che desidererà, pur di non cadere nel medesimo errore odierno!»

Dopo aver richiamato il suo braccio destro, il re Cotuldo, prima squadrò il vecchio mago da capo a piedi in segno di disprezzo e poi gli si rivolse, cominciando a dirgli:

«Tu perché mi hai chiesto udienza? E quali sarebbero queste notizie di una certa importanza, delle quali hai da rendermi edotto? Bada che, se esse non saranno di mio gradimento, prepàrati a subire la mia punizione, poiché essa ti giungerà senza meno!»

«Re Cotuldo, le informazioni, che ho da darti, sono strettamente confidenziali. Perciò posso rivelarle a te soltanto. C’è un posto riservato, dove possiamo appartarci e parlare liberamente, lontani da ogni occhio indiscreto? Neppure il tuo consigliere Gerud, quando te le darò, potrà essere presente, poiché la nostra conversazione, se non ti disturba, dovrà avvenire a quattr’occhi! Allora sei d'accordo a darmi retta come ti ho testé specificato? Altrimenti chiudiamo qui il nostro discorso!»

«Mago da strapazzo, vorrà dire che, mentre noi due ci apparteremo nel mio salottino rosso, il mio braccio destro aspetterà qui fuori. Vi rimarrà, almeno fino a quando non mi avrai rivelato quanto hai da riferirmi ed io non ti avrò congedato, ad ascolto avvenuto. Dopo sarà ancora il mio consigliere a riaccompagnarti fino all’ingresso della reggia, se mi avrai soddisfatto. Invece non ti dico cosa ti accadrebbe, se le tue notizie dovessero risultarmi deludenti! Adesso, però, spicciamoci ad abboccarci nel luogo, di cui ti ho fatto menzione poco prima. Io non ho alcun tempo da perdere con degli sconosciuti, i quali vengono a spacciarsi per provetti maghi e vorrebbero farmi credere di operare dei grandi portenti!»

Di lì a poco, avendolo essi raggiunto in pochi passi, il re Cotuldo e il mago Ghirdo si appartarono nel salottino rosso, dove il sovrano era abituato a condurre unicamente le persone che stimava di più. Invece Gerud, come da ordini ricevuti dal suo sovrano, prese posto davanti all’uscio del locale in questione. In quel luogo, egli si tenne pronto a ricevere e ad eseguire eventuali sue direttive, nel caso che ce ne fossero state per lui, da parte del proprio sovrano, durante il suo incontro con il mago. Comunque, l'alto ufficiale, avendo la mente rivolta a tutt’altro, ossia alla precedente strigliata ricevuta dal suo re, evitò di mettersi ad origliare dietro la porta per pura curiosità. Inoltre, non fece nemmeno caso al fatto che, nel breve tempo della permanenza nel salottino dei due interlocutori, in esso non c‘era stato neppure un bisbiglio, poiché il silenzio vi aveva regnato sovrano. Invece poco dopo egli venne distratto dalla sua momentanea meditazione da chi credeva ancora il re Cotuldo. Costui, dopo essere uscito dal confortevole ambiente, gli fece presente:

«Gerud, sono stato costretto a fare ciò che non volevo! Quel mago maledetto ha tentato di uccidermi nel mio salottino rosso, cercando di prendermi alla sprovvista. Invece io l’ho preceduto nella sua perfida intenzione e l’ho infilzato con la mia spada! Adesso pensaci tu a farlo portare via dai gendarmi di Morchio, prima che esso insozzi ulteriormente il mio angolo di tranquillità. Nel frattempo, vado a sbrigare alcune faccende indifferibili, avendole tralasciate nei giorni precedenti per mancanza di tempo. Ti raccomando di far pulire per bene dai gendarmi!»

Dopo che il re Cotuldo sparì alla sua vista, Gerud volle accertarsi di persona di quanto era avvenuto nel famoso salottino rosso del sovrano. Quando poi vi fu entrato, i suoi occhi scorsero sul pavimento il corpo senza vita del mago, il quale appariva insanguinato e trafitto dalla spada del monarca. Allora, dopo essersene allontanato, egli andò a dare al suo subalterno le disposizioni che aveva ricevuto dal proprio sovrano. Ovviamente, se il consigliere del re Cotuldo non si era insospettito di nulla sulla morte di Ghirdo, la quale era avvenuta in modo strano, il lettore non si comporterà come lui, essendo egli a conoscenza di fatti che gli faranno ritenere assurda l’uccisione del mago, da parte del re Cotuldo. Secondo lui, non era possibile che essa ci fosse stata sul serio per mano sua, se si sapeva che l’antipatico protetto del dio Sartipan era immortale. Allora come bisognava intendere la cosa, se vogliamo evitare di commettere un madornale errore? Comunque, tra breve la verità circa l’autentica versione dei fatti, quella non data dal falso sovrano, ci verrà fatta conoscere dalla narrazione reale di quanto era accaduto, dopo che il re e il mago si erano appartati nel salottino rosso.

Ebbene, una volta che si erano trovati nel suo interno e si era anche richiusa la porta dietro di loro, il mago Ghirdo non aveva dato al suo interlocutore neppure il tempo di voltarsi, con l’intento d’invitarlo ad accomodarsi. Con una sua magia, lo aveva fatto svenire e cadere per terra come un pesante masso. Di lì a poco, facendo assumere al sovrano le proprie sembianze e prendendo egli quelle di lui, unitamente al tono di voce, il protetto del dio Sartipan non aveva perso tempo ad impadronirsi della sua spada, che era appesa ad una parete. Con essa poi lo aveva ridotto in fin di vita ed aveva fatto scempio del suo corpo. Agendo in quel modo, egli, in quattro e quattr'otto, si era ritrovato ad essere il nuovo sovrano di Dorinda e di Casunna, naturalmente sotto le mentite spoglie del re Cotuldo. Per fortuna del mago Ghirdo, nella città di Dorinda era assente la sola persona che avrebbe potuto smascherarlo, ossia Iveonte, anche se costui era all’oscuro di tutte le sue magagne operate contro di lui per mandarlo in rovina. In verità, sarebbe stata la dea Kronel a metterlo al corrente dell’avvenuto scambio di persona, per cui quello che appariva il fratello scellerato della sua Lerinda in realtà aveva smesso di esserlo. Invece egli era stato ucciso da chi aveva pure assunto le sue sembianze per ragioni che nemmeno la sua divina protettrice avrebbe saputo comprendere od intenderne i reconditi fini futuri.

A questo punto, però, conviene andare a renderci conto di quanto era successo nelle rimanenti città edelcadiche e controllare se gli Umanuk in esse residenti avessero già portato in porto l’incarico ricevuto dal loro Imperatore delle Tenebre. A tale riguardo, si fa presente che il solo Umanuk di Casunna era stato dispensato dal commettere il suo atto nefando, siccome il sovrano di quella città risultava lo stesso che regnava abusivamente su Dorinda. Per la quale ragione, era stato demandato al mago Ghirdo la sola uccisione del re Cotuldo e la sostituzione del medesimo da parte sua, siccome già bastava quel provvedimento preso contro il solo sovrano dorindano.


In contemporaneità dei fatti accaduti a Dorinda, in merito all’operato del protetto del dio Sartipan, anche a Terdiba l’Umanuk Izzon aveva provveduto ad eliminare il sovrano della città e a sostituirlo dopo nel governo del regno. Ma si può sapere chi egli era e in che modo c’era riuscito in tale città? A quell’epoca, regnava su Terdiba il re Romundo, il quale era lo zio di Astoride. Egli, per salire al trono, aveva dovuto fare ammazzare il fratello Elezomene da alcuni suoi sicari, mentre dormiva.

Ebbene, nella città natale dell’amico d'Iveonte e di Francide, anni addietro Izzon rappresentava un comune fabbro, senza le velleità avute dal mediocre mago Ghirdo. Ma poi un bel giorno aveva ricevuto la visita del dio Sivus, il quale, prospettandogli un’esistenza immortale e la fruizione di alcuni poteri da considerarsi straordinari, era riuscito a fargli accettare quanto gli proponeva. Mensilmente, il suo protetto avrebbe dovuto immolargli una vergine nel modo che viene riferito qui appresso. Prima doveva decapitarla e cavarle gli occhi dalle orbite. Dopo doveva squarciarle l’addome e rinchiudervi dentro la testa mozza, ricucendo i suoi due lembi. Infine doveva introdurle gli occhi nella cavità dello stomaco attraverso l’esofago. Condotte a termine le quali operazioni, egli avrebbe dovuto cremarla sopra un rogo. Mentre poi la donna così conciata bruciava, il suo protetto doveva anche rivolgersi a lui, esclamando: "Offro a te, dio Sivus, questa vittima sacrificale, in cambio dei favori che mi elargisci senza parsimonia. Che tu possa godertela in pace e con la grande voracità, che ti è congeniale! Gloria a te, mio divino protettore!"

Da quel remotissimo giorno, l’ex fabbro di Terdiba aveva immolato al dio dell’impudenza più di dodicimila vittime, essendo trascorso da allora oltre un millennio. Comunque, non gli erano mancate altre circostanze in cui egli era stato costretto ad ammazzare almeno un altro migliaio dei suoi concittadini, per aver subito da loro degli sgarbi di vario genere, avendoli ritenuti offensivi. Allora, come risposta immediata, l’Umanuk li aveva uccisi, facendoli bruciare vivi, tra lo sgomento di tutte le altre persone che erano presenti.

Veniamo adesso all’Izzon che appartiene ai tempi della nostra storia e cerchiamo di apprendere qualche notizia su come egli conduceva l’esistenza in mezzo al popolo terdibano. Nello stesso modo che Ghirdo era temuto a Dorinda, anch'egli incuteva timore nella città di Terdiba. Le ragioni erano due. La prima era la sua esagerata longevità che non convinceva i Terdibani, i quali l’attribuivano ad una sua relazione con qualche forza malefica. La seconda riguardava lo strano modo con cui aveva ucciso i suoi concittadini, quando ciò era successo. Infatti, ogni volta li aveva fatti perire bruciati, tramite un semplice gesto della mano. Naturalmente, quelle uccisioni all’istante avevano fatto il giro delle vie cittadine, propalandosi per l’intera città ed infondendo in tutti i suoi abitanti un grande terrore. Pure l’inviso sovrano di Terdiba era a conoscenza di ciò che si diceva e si pensava intorno al misterioso Izzon, per cui aveva sempre evitato di mettersi contro di lui. Egli neppure aveva cercato di farlo arrestare, quando qualche suo suddito si era presentato ai suoi gendarmi e lo aveva denunciato, a causa di certe sue soverchierie e prepotenze commesse ai propri danni. Invece aveva preferito disinteressarsene ed invitare il denunciante a badare ad altro per la sua sicurezza. Il sovrano fratricida non si era comportato diversamente, quando Izzon gli aveva chiesto udienza. Ignaro che il famigerato suddito gli recava la morte per sostituirlo nel governo della città, egli gliel’aveva concessa senza esitazione. Ciò che poi era accaduto nella reggia terdibana non ci è difficile immaginarlo, poiché Izzon aveva adottato la stessa tecnica del suo collega di Dorinda, mettendo in atto il medesimo rituale.


A Bisna, invece, Lixez non aveva potuto ancora attuare il piano comune messo a punto dai vari Umanuk della regione edelcadica. In verità, non era dipeso da lui, se l’uccisione e la sostituzione del sovrano della città non erano avvenute nel tempo da loro stabilito. Il giovane re Esurbo, che da un biennio era succeduto al padre Listro, morto all’età di novantacinque anni, da qualche mese si trovava a Polca, essendo ospite del re Ozuco. Perciò, intanto che egli non ritornava a sedere sul suo trono, cerchiamo d’indagare un po’ sulla figura di quest’altro Umanuk, il quale era protetto dal dio Besium. Anche per lui erano trascorsi un migliaio di anni, da quando aveva ricevuto la visita del dio degl'incesti.

A quel tempo, Lixez svolgeva il mestiere del calzolaio e non era legato sentimentalmente a nessuna donna. Un giorno il ciabattino lavorava nella sua bottega, allorquando aveva avuto la visita del dio Besium. Anzi, la divinità negativa si era presentato a lui, facendo sentire soltanto la sua voce. Perciò aveva iniziato a dirgli ciò che intendeva fargli sapere:

«Ti garba, Lixez, la professione che eserciti? Secondo me, essa, umiliante com’è, non può risultarti affatto gratificante. Ma nel caso che tu lo desiderassi, io potrei mutarti completamente l’esistenza, facendola diventare molto migliore. Mi hai inteso per bene, visto che parlo a te?»

«Tu chi sei e perché mi parli senza farti vedere?» gli aveva risposto il calzolaio, facendogli altrettante domande «Mi riferisci in che modo vorresti cambiare la mia vita, se mi è permesso chiedertelo? Sono proprio curioso di apprendere da te queste novità, che ritengo impossibili!»

«Se posso parlarti così e prometterti cose impossibili, Lixez, è perché sono un dio. In riferimento al motivo per cui ti ho contattato, t’invito ad aprire bene le orecchie, visto che ho intenzione di farti un uomo fortunato in ogni senso. Innanzitutto voglio renderti immortale, la qual cosa ti permetterà di sfidare l’inclemenza del tempo, senza che il tuo corpo venga leso in qualche modo dallo scorrere dei millenni. Inoltre, sarai dotato da me di prerogative portentose, che conoscerai a suo tempo. Allora sei contento di questi miei doni preziosi, che presto metterò a tua disposizione, facendoti smettere la tua umile professione attuale?»

«Come potrei non esserne lieto, dio invisibile? A proposito, posso conoscere il tuo nome? Se me lo dici, dopo potrò cominciare a chiamarti con esso, senza più sentirmi a disagio nel rivolgermi a te. Non sei d’accordo anche tu con la mia richiesta, che considero del tutto giustificata in questa circostanza? Ne sono più che convinto!»

«Anch'io lo trovo senz’altro un fatto normale, Lixez. Perciò non ho difficoltà a rivelarti il mio nome, il quale è Besium. Adesso ti ritieni finalmente appagato oppure non ancora? Devi soltanto dirmelo!»

«Certo che lo sono, dio Besium! Ma ora vorrei sapere da te cosa pretendi che io faccia per te, in cambio dei tuoi preziosi favori. Essi, devo riconoscerlo, sono davvero inestimabili!»

«Invece non dovrai fare per me nulla di particolare, Lixez, ma solamente qualche bagattella di valore insignificanet. Ti sembra parecchio ciò che in seguito pretenderò da te? Non lo credo affatto.»

«Come posso risponderti, generosa divinità, se non mi hai ancora specificato quanto in avvenire esigerai da me per compiacerti? Forse la cosa potrà apparire a te una bazzecola, solo perché sei un dio. Ma per me, che sono un comune mortale, essa potrebbe dimostrarsi molto diversa e tutt’altro che semplice! Allora mi chiarisci meglio di cosa si tratta, se vuoi che io la giudichi per quella che è veramente?»

«Ogni mese dovrai combinare un rapporto sessuale tra un genitore ed un figlio di sesso opposto oppure tra un fratello ed una sorella. Insomma, pretendo da te che nella tua città ci sia un incesto, lasciando a te l’iniziativa di come farlo accadere. Lo ritieni forse un compito difficile quello che in seguito intendo affidarti? Non lo credo affatto!»

«Secondo te, dio Besium, basta che io inviti i due protagonisti dell’atto incestuoso ad accoppiarsi, perché essi mi ubbidiscano all’istante? Io non ci scommetterei nel modo più assoluto! Al contrario, quasi di sicuro rischierò anche di essere malmenato, dopo che avrò fatto loro una simile proposta! Ma per quale motivo ci tieni tanto ad assistere all’incesto tra consanguinei, che, almeno per il momento, non riesco neanche a comprendere, giudicandolo come essere umano? »

«Rispondendo alla tua seconda domanda, ti faccio presente che io sono il dio degli incesti, per cui godo tantissimo, ogni volta che esso avviene tra le pareti domestiche. Quanto alla prima domanda, chi ti ha detto che dovrai essere tu ad invitare tali consanguinei a darsi ad un rapporto intimo? Le cose, invece, dovranno avere uno svolgimento del tutto diverso. Oltre all’immortalità, da me avrai anche la facoltà di trasformare solo in apparenza i corpi delle persone, facendoli sembrare non quelli reali ma appartenenti a persone differenti. Per cui un padre ed una figlia oppure una madre ed un figlio oppure un fratello ed una sorella non dovranno riconoscersi fra di loro, intanto che si danno ad uno sfrenato atto sessuale. Le coppie dovranno ridiventare sé stessi e riconoscersi, soltanto dopo che esse avranno raggiunto l’acme dell’orgasmo, poiché sarà proprio quello il momento che mi farà godere maggiormente, fino alla pura follia! Mi hai inteso ora? Vedrai che dopo essi, poiché glielo farò risultare piacevole al massimo, continueranno ad accoppiarsi di propria volontà, avvertendolo come un desiderio insopprimibile.»

Com’era da aspettarselo, Lixez aveva accettato la proposta del dio degl'incesti, diventando un essere immortale e dotato di alcuni speciali poteri. Come tale, egli mensilmente era riuscito sempre a combinare un incesto presso qualche famiglia bisnese, consentendo al suo divino protettore di provare il massimo godimento, mentre esso si consumava.

Ritornando poi al presente della nostra storia, l’Umanuk di Bisna, non appena il re Esurbo fece ritorno nella sua città, non perse tempo a chiedergli una udienza. Durante la quale, egli adottò lo stesso espediente dei suoi colleghi di Dorinda e di Terdiba per riuscire ad eliminare facilmente il sovrano e a sostituirlo nel governo del suo popolo.


Nella città di Polca, neppure l’Umanuk Mastok era riuscito a portare a termine la sua missione in tempi rapidi, poiché il re Ozuco aveva avuto come ospite il sovrano di Bisna e non aveva potuto concedergli un colloquio privato. Ma non appena il re Esurbo si era congedato dal collega di Polca, egli si era dato da fare ed aveva assolto il compito che gli era stato assegnato. Adesso, però, conviene documentarci sulla personalità dell’Umanuk polchese e venire a sapere quale divinità lo proteggeva. Perciò tra breve ci occuperemo anche di lui e faremo nello stesso tempo la conoscenza del suo divino protettore.

Circa ottocento anni prima della nostra storia, Mastok lavorava come mandriano ed era a servizio di un ricco allevatore di cavalli della zona. Un giorno, in seguito ad una bufera di vento, alcune stecche vicine del recinto erano state divelte dal ciclone. Allora la quasi totalità dei quadrupedi equini si erano lanciati fuori dello steccato e si erano dati alla fuga, costringendo nove dei mandriani ad inseguirli, poiché essi erano intenzionati a recuperarli. Così il solo Mastok era rimasto a badare alle poche bestie, che non erano scappate dal recinto. Mentre poi curava gli equini rimasti, egli era stato avvicinato da un essere misterioso, il quale gli si mostrava sotto forma di un autentico spettro. A quella visione, il poveretto si era spaventato a morte; ma subito dopo, essendosi riavuto, aveva deciso di domandargli:

«Tu, che mi appari come un fantasma, mi dici chi esattamente sei e cosa vuoi da me? Non ti nascondo che la tua presenza m'incute un certo terrore, per cui potrei pure andare incontro ad un infarto!»

«Gli spettri non esistono, Mastok, poiché nessun morto può ritornare tra i vivi. Neppure nei panni di un fantasma! Perciò non devi pensare a me, come se io fossi uno spettro. Quindi, cerca di stare calmo!»

«Allora cosa sei, essere strano, che mi appari trasparente, anziché col tuo corpo? Scommetto che potrei anche attraversarti, se decidessi di farlo! Comunque, non credo che tu possa essere una divinità.»

«Invece, Mastok, sono proprio un essere divino, ossia il dio Cirrust, ed amo proteggere i tradimenti. Per il qual motivo, non deve stupirti il fatto che conosco il tuo nome e tutto quanto ti riguarda!»

«Come mai ti trovi a passare da queste parti, divino Cirrust? Sappi che la tua comparsa per poco non mi faceva venire un accidente! Vuoi rispondere a quest'altra mia domanda, se ne hai voglia?»

«Se vuoi saperlo, Mastok, la mia venuta in questo luogo non è stata casuale, ma ha avuto come scopo proprio il mio incontro con te. Anzi, è stato meglio che ti ho trovato tutto solo in questo recinto di cavalli!»

«Posso conoscere, divino Cirrust, le ragioni che ti hanno spinto ad avvicinarmi? Spero almeno che esse non siano cattive per me! Comunque, confido nella tua bontà, se ci tieni a saperlo.»

«Stai tranquillo, Mastok! Da oggi la vita comincerà a sorriderti! Voglio farti diventare un essere immortale e dotarti di prerogative, che ti permetteranno di compiere dei prodigi che non puoi immaginare. Per questo un giorno in Polca tutti gli abitanti inizieranno a temerti. Non sei contento di queste mie intenzioni, che possono esserti solo vantaggiose?»

«Certo che lo sono, dio Cirrust! Ma in cambio, cosa devo fare per meritare tali tuoi favori? Secondo il detto “do ut des”, sicuramente pretenderai da me qualcosa non di poco conto! Perciò mi domando se dopo sarò in grado di ricambiartelo nel modo che tu vorrai.»

«Mi fa piacere, Mastok, apprendere che ti sei reso conto di come stanno realmente le cose. Ad ogni modo, non devi preoccuparti di ciò, poiché non ti verranno richieste cose impossibili. Adesso ti faccio apprendere quale incarico intendo affidarti. Da oggi dovrai espletarlo per me con la massima cura, in cambio dei miei preziosi doni.»

«Allora parla pure, divino Cirrust, e spiegami cosa pretendi da me, in cambio degli eccezionali vantaggi, di cui mi hai fatto menzione. Già adesso ti prometto che dopo mi adopererò con tutte le mie forze nell’assolvere pienamente il mio dovere nei tuoi confronti!»

«Ogni mese, Mastok, dovrai procurarmi gli occhi di un essere umano, uomo o donna che sia. Per ovvi motivi, ti toccherà prima ammazzarlo, se dopo vorrai cavarli dalle sue orbite. Una volta in tuo possesso, dovrai conservarli in un cofanetto, che ti farò avere a tempo debito, e portarmeli nella mia dimora. Ti faccio presente che dovrai recapitarmeli entro il terzo giorno dall’avvenuta uccisione della tua vittima.»

«Se il mio futuro incarico consisterà solo in questo, generosa divinità, puoi ritenere il nostro accordo già concluso! Ma mi chiarisci a cosa ti serviranno gli occhi, che ti procurerò mensilmente? Inoltre, vorrei apprendere da te anche dove è situata la tua dimora.»

«A qualcosa mi serviranno senz’altro gli occhi, che mi procaccerai ogni mese, Mastok! Per il momento, però, non ho alcuna intenzione di palesartelo. Forse in seguito ne verrai a conoscenza. Intesi? Nella stessa circostanza, comprenderai anche la loro necessità nella mia esistenza divina; nonché ti convincerai che essi mi sono molto utili, se voglio esistere senza problemi in mezzo agli uomini. In relazione poi all'ubicazione della mia dimora, essa è situata sopra una delle colline che circondano la tua città. In seguito, apprenderai anche quale di loro è stata scelta da me per costruirci la mia abitazione.»

Da quel giorno, l’Umanuk polchese non era mai venuto meno al suo dovere, per cui il dio dei tradimenti aveva potuto condurre in Kosmos un’esistenza meno gravosa di quella che aveva trascorsa prima di allora. Ad ogni modo, non staremo qui a cercare di approfondire per conto nostro il segreto che il dio negativo non aveva voluto svelare al suo protetto, anche perché non siamo neppure sicuri che egli in seguito lo abbia fatto. Mastok, invece, da quel momento in poi, era divenuto l’Umanuk di Polca a completo servizio del suo magnanimo protettore divino, senza mai cercare di contraddirlo oppure di opporglisi in qualche modo.


Spostandoci adesso nella città di Cirza, dove l’Umanuk era Neddov, innanzitutto possiamo informarci se costui aveva già portato a termine la sua missione oppure se le circostanze avverse non glielo avevano ancora permesso. A dire il vero, nemmeno lui era riuscito ad assolvere il suo incarico, a causa di torbidi che erano scoppiati per vari giorni di seguito nei pressi della reggia. Essi si erano avuti, dopo che il re Luvius aveva imposto un nuovo gravoso balzello a tutti i suoi sudditi, nessuno eccettuato. Costoro allora si erano immediatamente ribellati. Ma prima di entrare nel merito, dandoci una rinfrescata di memoria, non facciamo fatica a ricordare che in quella città il suo divino protettore era Daspor, il dio dei rapinatori. Giustamente, anche con l’Umanuk della nuova città in questione, come già abbiamo fatto con i precedenti, ci preoccuperemo di avere di lui una sommaria conoscenza e di apprendere prima quando e con quale artificio il dio malefico lo aveva contattato.

A detta dell’abitante più longevo di Cirza, che era Fuber ed aveva sulle spalle novantotto anni compiuti da circa un semestre, il personaggio chiamato in causa poteva avere non meno di seicento anni. Cosa glielo faceva credere? Egli stesso ammetteva che era da quel tempo che i vari suoi ascendenti patrilinei avevano iniziato a fare la conta dei suoi precednti anni, in modo approssimativo. Essi avevano fatto bene a parlare di calcolo per approssimazione, poiché non si era potuto da parte loro calcolare i reali anni di Neddov, quelli che andavano dalla sua nascita alla data in cui avevano iniziato a contarli e a registrarli. Ma se il lettore ci tiene proprio a conoscere i suoi giusti anni, non lo priveremo della sua curiosità. Essi si aggiravano intorno ai mille e cento; invece ne aveva trenta, quando era stato avvicinato dal dio Daspor. Anch'egli non aveva famiglia ed esercitava il mestiere del boia.

Un giorno, quando Neddov era tutto solo nella sua abitazione, che era costituita di un solo vano e del luogo di decenza, dove poter effettuare i suoi bisogni fisiologici, il poveretto aveva scorto la porta aprirsi con violenza e poi subito richiudersi. Ma il fatto strano era stato che, dopo l'apertura e la chiusura dell’unica imposta dell’uscio, non si era visto entrare e comparire nessuna persona. Chiunque ci avrebbe anche scommesso che era stato così! Invece, secondo quanto Neddov aveva creduto, le cose erano andate diversamente. Essendosi sul calare della sera, il boia della città si stava accingendo a cenare, allorché aveva avvertito un rapido refolo alle sue spalle. Allora, pur meravigliandosi di ciò, egli aveva cercato di convincersi che la folata di vento non c’era stata affatto e che si fosse trattato di una sua autosuggestione. Mentre poi consumava la cena, una voce profonda gli era giunta all’orecchio ed aveva incominciato a parlargli nella seguente maniera:

«Ehi, tu, Neddov, perché non smetti di cenare per un po’ e cominci a darmi ascolto? Se ci tieni a saperlo, ti reco delle ottime notizie, che potranno farti soltanto piacere! Allora smetti di darti alla tua cena?»

«Prima di ogni cosa, essere invisibile, mi dici chi sei? Inoltre, quali sarebbero poi queste notizie che sei venuto a recarmi, dichiarandomi che mi giungeranno molto gradite? Comunque, la tua presenza mi stupisce oltremodo, non sapendo cosa pensare di te! Ma dovevi venire a trovarmi proprio adesso, che sto consumando il mio pasto serale? Potevi almeno attendere che finissi prima di mangiare! Oppure non avevi altro tempo, per degnarmi della tua visita?»

«Neddov, smetti di esprimerti in modo insensato, come adesso stai facendo, e cerca di darmi ascolto! Se mi trovo qui, è solo per il tuo bene! Prima di spiegarti il vero motivo che mi ha condotto da te, desidero metterti a conoscenza che sono il dio Daspor e posso fare avverare ciò che sto per prometterti, facendoti diventare un uomo importante. Allora vuoi porre attenzione alle mie parole, che ti risulteranno dolce musica?»

«Non sono mica matto, divino Daspor, a non continuare ad ascoltarti! Non è poi vero che, pur non volendolo, lo stesso mi obbligheresti a darti retta, essendo tu una divinità ed io un miserabile essere umano?»

«Certo che è come tu affermi, Neddov! Ma io non intendo costringere ad ubbidirmi con la forza l’essere umano che ho prescelto come mio protetto, siccome desidero instaurare con lui un rapporto di volontaria e totale sottomissione. Adesso comprendi come io la penso? Perciò, dopo averti chiarito questo particolare essenziale, posso andare avanti a parlarti, siccome ho da riferirti su tutto quanto intendo elargirti, allo scopo di premiarti nel modo che non potresti mai immaginare?»

«Allora, dio Daspor, sèguita ad informarmi delle restanti cose e fai di me l’uomo più fortunato della mia città, poiché sono tutt’orecchi ad ascoltare quanto hai stabilito di propormi, in quanto tuo protetto!»

«La tua professione di boia, Neddov, fino ad oggi, ti ha fatto decapitare ed ammazzare un sacco di condannati a morte. Sopprimendo tante persone, non hai fatto altro che servire il tuo re, ricevendo in cambio una misera paga. Invece, pur chiedendoti di fare per la mia divinità lo stesso lavoro, i cui particolari te li farò conoscere in seguito, in cambio riceveresti da me dei magnifici doni, che potranno soltanto stupirti! Dovresti solo cambiare padrone nel continuare a commettere gli assassini che attualmente ti vengono commissionati da altri. Ma adesso passo a dirti come stanno realmente le cose!»

«Abituato come sono ad uccidere persone, divino Daspor, la cosa non mi ripugna. Perciò prevedo che l’affare tra noi due potrà essere senz’altro concluso. Ora, però, perché non mi parli dei doni che riceverei da te, in cambio del mio lavoro da boia? Ammesso che io accetterò ad occhi chiusi, prima di rendermi partecipe del tipo di delitti che dovrei commettere per conto tuo, a scapito di qualche sventurato!»

«Ebbene, Neddov, in cambio dei tuoi servizi, ti farò diventare immortale. Inoltre, ti doterò di straordinari poteri, che ti verranno invidiati perfino dai sovrani. Allora ti sentiresti di dichiarare che quanto riceverai da me ti appare poco, a confronto dei pochi quattrini che percepisci dal tuo sovrano, per la tua opera di boia incallito?»

«Altro che poco, mia generosa divinità! Essi hanno per me un valore incalcolabile! Perciò sbrìgati a mettermi al corrente di ogni cosa che pretenderai da me, in cambio di tali tuoi favori, poiché non vedo l'ora di mettermi devotamente a tuo completo servizio!»

«Ogni tre mesi, Neddov, dopo che avrai rapito due adolescenti di sesso opposto, dovrai spingerli ad un vero rapporto intimo. Infine, nel momento che i due praticano l’attività sessuale e stanno raggiungendo l'orgasmo, dovrai infilzarli con una spada, trafiggendo insieme i loro nudi corpi. Subito dopo che essi avranno emesso l’ultimo respiro, ti rivolgerai a me, dicendo: "Adesso queste due salme appagate dal recente coito sono tue, dio Daspor, che sei il mio divino protettore! Per questo puoi farne quello che preferisci. Lode a te!"»

«È tutto qui, dio Daspor, ciò che pretendi da me? Pensavo che mi avresti chiesto qualcosa di più impegnativo! Ebbene, sono pronto a mettermi a tua completa disposizione e a servirti con vero zelo e devozione. Ma se te lo chiedessi, saresti disposto a rivelarmi perché dovrò ammazzare i due adolescenti nella maniera che hai detto? Inoltre, quale emozione ti procurerà assistere ad un ammazzamento del genere? Gradirei molto venire a saperlo, se per te non costituisce un problema!»

«Forse non ci crederai, mio prossimo devoto; ma sappi che da esso mi deriverà una gioia immensa. Per la precisione, sarà la fragranza di quei loro attimi di orgasmo assaporati prima del loro decesso a trasportare il mio spirito in un’estasi sublime. Essa condurrà il mio spirito alle più alte vette del godimento più soddisfacente e più intimamente avvertito. Dopo avertelo detto, Neddov, ci hai forse compreso qualcosa? Ma sono convinto di no, a guardare l’espressione del tuo volto!»

Infatti, il suo protetto davvero non ci aveva capito granché di ciò che gli aveva espresso il dio Daspor. Comunque, egli aveva accettato la sua proposta senza esitazione e senza riserva. Per di più, gli aveva promesso che non si sarebbe mai tirato indietro nell’assolvere il suo dovere e lo avrebbe appagato nella maniera più impeccabile, intanto che si dedicava al suo compito trimestrale. Per secoli, egli lo aveva continuamente accontentato. Così, alcuni giorni addietro, quando il dio Daspor gli aveva domandato il nuovo tipo di lavoro, Neddov non si era rifiutato. Anzi, non appena i tumulti venero meno intorno alla reggia, egli si fece ricevere dal suo re Luvius a corte. Così, in un incontro prettamente privato, lo incastrò e lo rese sua vittima, subentrandogli nel governo dei Cirzesi.


A Statta, invece, i fatti si erano svolti in simultaneità con quelli della città di Dorinda. L’Umanuk Pazuol era riuscito ad operare nella sua città con molta sagacia. Perciò egli era stato anche lodato dal suo divino protettore, per come aveva agito nel portarla avanti. Ma anche di lui sarà meglio apprendere alcune cose inerenti alla sua vita trascorsa, nonostante gli anni della sua longeva esistenza sembrassero non aver termine, fino a sparire nel passato più profondo. Per tale motivo, essi ne avrebbero impedito la conta, se si fosse tentato di numerarli tutti. Per la precisione, il nostro nuovo Umanuk, al tempo della nostra storia, vantava non meno di due millenni. A quell’epoca, prima che venisse contattato dal dio Fostep, egli esercitava il mestiere del pescatore, per cui ogni mattina andava a pescare nel piccolo lago, che era situato a cinque miglia da Statta. Ne ritornava ogni volta nel tardo pomeriggio, sovraccarico di abbondante pesce fresco, pescato durante le ore del mattino e del primo pomeriggio. Una volta in città, intanto che rincasava, egli ne vendeva per strada la maggior parte, mentre il resto se lo cuoceva tra le mura domestiche.

Un giorno, però, Pazuol aveva appena lanciato la lenza nell’acqua lacustre, quando aveva udito alle sue spalle una voce che lo chiamava. Egli subito si era voltato indietro, ma non aveva scorto nessuna persona che si rivolgesse a lui. Quando poi era ritornato a guardare il lago, il pescatore aveva scorto sopra lo specchio dell’acqua una specie di sagoma flessuosa. Essa, dandosi ad osservarlo, aveva seguitato a dirgli:

«Sono davanti a te, Pazuol, e non alle tue spalle, come hai creduto! Mi scorgi così, perché sono un essere divino. Per l’esattezza, sono il dio Fostep e proteggo tutti coloro che stuprano le donne.»

«Come mai, essere divino, mi hai onorato di una tua visita? Altrove non avevi forse altro da fare, per venire ad interrompere la mia faticosa pesca? Se hai da riferirmi qualcosa d’importante, allora affréttati pure a farlo e permettimi dopo di continuare a pescare, poiché il pesce per me significa quattrini e possibilità di sfamare la mia famiglia! Ma penso che dovresti già saperlo, essendo tu un dio, come ti sei qualificato!»

«Possibile, Pazuol, che preferisci il pesce che ti procuri con la pesca ai preziosi doni, che sono venuto ad offrirti? Non ci posso credere! Vorrà dire che andrò a proporli a qualcun altro più intelligente di te. Il quale ben si guarderà dal commettere la tua stessa sciocchezza! Perciò ti saluto e vado via all’istante a cercare un uomo molto più furbo di te.»

«Divino Fostep, non puoi andare via, senza prima avermi detto quali doni eri venuto ad offrirmi. Magari deciderò di accettarli, senza che tu vada a proporli a qualcun altro. La qual cosa potrebbe anche farti perdere tempo, dovendo ancora cercarlo in lungo e in largo nella città!»

«Forse non hai tutti i torti a pensarla così, Pazuol! Perciò adesso te li faccio conoscere e tu dopo mi farai sapere se essi sono di tuo gusto. Comunque, sono convinto che li troverai così accattivanti, da restare con la bocca aperta per molto tempo, a causa della sorpresa! Ebbene, il primo dei miei doni è l’immortalità? Non ti piacerebbe non morire mai più, a dispetto di quanti ti vogliono male a tal punto, da desiderarti morto? Solo ai gonzi non piacerebbe ricevere un simile dono!»

«Dici davvero, dio Fostep, che mi faresti diventare immortale? Non posso crederci! Probabilmente, mi stai prendendo in giro! Secondo me, oggi ti va proprio di scherzare e di gabbare qualcuno. Perciò hai preso me a caso per soddisfare il tuo divertimento.»

«Invece parlo sul serio, Pazuol. Anzi, non solo non ti farò morire mai, ma riceverai da me anche vari poteri eccezionali, che conoscerai a suo tempo! Allora che ne dici della mia straordinaria offerta?»

«Se le cose stanno come hai detto, divino Fostep, puoi dirmi ciò che ti attendi in cambio da me, essendo certo che avrai un tornaconto in questa tua liberalità nei miei confronti! Non è vero forse?»

«Hai ragione a pensarla in questo modo, perspicace pescatore. Per cui adesso ti metto al corrente di ciò che tu dovrai fare per me, se vuoi meritare i doni che ti ho promesso, a cominciare dall’immortalità. Assumendo l’invisibilità, ogni quindici giorni dovrai stuprare una vergine adolescente, rendendola vittima della tua lussuria. Mentre la violenti, godrò più di te, proprio come se la stessi deflorando io al posto tuo! Allora pensi che potremmo metterci d’accordo, dopo che hai appreso quale sarà il tuo obbligo nei miei confronti?»

«Potrei mai rifiutarmi, generosa divinità, di fare per te quanto mi chiedi? Tu mi offri doni incredibili e in cambio pretendi che io mi diverta anche sessualmente con adolescenti fanciulle, alle quali non è stata ancora carpita la verginità. Quindi, consideriamo già concluso il nostro accordo, che, come prevedo, garantirà ad entrambi piacere e godimento!»

Da quel momento, Pazuol era diventato l’Umanuk di Statta ed aveva tutte le volte servito fedelmente il suo divino protettore Fostep. Lo stesso si era comportato, anche quando gli era stato chiesto di uccidere il suo re Scitone e di sostituirlo nel governo della città. Ricorrendo all’espediente che conosciamo, per averlo appreso dagli altri Umanuk, egli non aveva avuto difficoltà a raggiungere il suo malvagio obiettivo.


A questo punto, ci resta da controllare l’ultima città, ossia Stiaca, dove regnava il re Arper, succeduto da poco al padre Edrio. Il lettore ricorderà che costui era il nonno materno di Francide, per cui l’attuale sovrano era suo zio per parte di madre. Ebbene, in quella città l’Umanuk era Otrun, il quale non aveva disatteso le aspettative del suo protettore, il dio Ettios. Costui proteggeva i borsaioli e li aiutava nel loro illecito operato. Circa l’età dell’Umanuk Otrun, anch’essa era da stimarsi alquanto longeva, siccome la nascita del protetto del dio Ettios risaliva a qualche migliaio di anni prima. Difatti era stato allora che il suo protettore lo aveva avvicinato e gli aveva proposto il patto scellerato che conosceremo tra breve. A quel tempo remotissimo, Otrun viveva di stenti nella periferia della città, dove evitava di trattenersi per gran parte della giornata. Per sostentarsi alla meglio, egli si dava alla caccia, la quale, nei dintorni di Stiaca, non era considerevolmente abbondante. Quindi, i mezzi di sussistenza gli provenivano dalla sua attività di cacciatore insoddisfatto, siccome la cacciagione risultava sempre scarsa.

Un giorno il poveraccio inseguiva un cerbiatto a piedi, visto che non poteva permettersi neppure il lusso di un cavallo, allorché gli era apparsa davanti una figura. Essa pareva più un’ombra che un essere in carne ed ossa. A quell’apparizione repentina, Otrun si era arrestato nella sua corsa e, con un po’ di tremarella, gli aveva domandato:

«Mi dici chi sei e cosa vuoi da me, essere che mi appari in modo strano? Sono spinto a pensare che non sei una persona mortale come me; anzi, sono sicurissimo che non lo sei affato, se non m’inganno!»

«Né io ti ho detto che sono un essere mortale, Otrun! Al contrario, sono un’autentica divinità. Per la precisione, sono il dio Ettios e proteggo quanti sono dediti al borseggio nelle affollate strade della città.»

«Ma io cosa ho da spartire con i borseggiatori, dio Ettios? In vita mia, sebbene la povertà spesso mi abbia tentato di essere uno di loro, non ho mai derubato un passante, mentre si aggirava per le vie di Stiaca. All’ultimo istante, poiché la fifa è stata più forte della mia indigenza, mi sono tirato indietro. Perciò spiegami perché ti sei rivolto a me, se non posso essere protetto da te, non essendo un borseggiatore incallito.»

«Prima di ogni cosa, Otrun, tengo a farti presente che non c’entra per niente la mia presenza in questo posto con la nota attività, la quale è stata tirata in ballo da me per puro caso e non per discuterla. Chiarito tale particolare, passo a palesarti la vera ragione per cui ho stabilito di contattarti. Io voglio farti diventare l’uomo più fortunato della tua città. Non ti sembra ottimo il motivo, che mi ha spinto a presentarmi a te?»

«Uno migliore non poteva essercene, divino Ettios! Ma adesso mi dici come intendi trasformarmi in un uomo fortunato e magari pure beato? Attendo la tua risposta, che spero arrivi presto!»

«Ho deciso, Otrun, di farti dono dell’immortalità e di altri sovrumani poteri, i quali ti faranno diventare superiore perfino al tuo sovrano! Perciò dovresti esserne molto fiero, se hai un cervello che ragiona!»

«Ammesso che sia vero quanto affermi, generosa divinità, sono convinto che dopo dovrò contraccambiare tali tuoi favori. Mi riferisci, quindi, cosa pretenderai da me in cambio di quanto hai deciso di elargirmi?»

«Dovrai sottostare a tutto quanto ti ordinerò, senza mai disubbidirmi. Perciò quello, a cui tengo particolarmente, ti viene presto detto. Ogni mese dovrai immolarmi un bimbo neonato, dopo averlo rapito alla madre, che lo ha appena partorito.»

«Se è in questo modo che vorrai essere ricambiato da me, dio Ettios, possiamo accordarci senza problemi. Quindi, da questo momento, considerami competamente a tua disposizione!»

Riguardo all’ultimo incarico, che il suo protettore aveva ricevuto direttamente dall’Imperatore delle Tenebre, l’Umanuk Otrun si era dimostrato assai abile nel condurlo a termine. Per cui, dopo avere ucciso il re Arper, lo aveva sostituito nel governo di Stiaca.