419°-FRANCIDE E RINDELLA RISCHIANO DI NON SPOSARSI

Sette giorni dopo, il re Francide, la principessa Rindella e la loro scorta finalmente erano pervenuti ad Actina, dove avevano raggiunto la reggia. In quel luogo, congedati Urimmo e gli altri soldati che li avevano scortati per l'intero viaggio, il sovrano e la sua avvenente amata si erano affrettati a presentarsi a corte. Il primo era ansioso di far conoscere la sua amabile ragazza alla madre; mentre la seconda si mostrava trepidante nell'attesa di tale importante incontro. Ma pur essendo grande la sua ansia di fare avvenire la reciproca conoscenza delle due donne che gli stavano particolarmente a cuore, il re Francide innanzitutto aveva voluto permettere alla principessa Rindella di riposarsi prima un poco. Nel frattempo, ella avrebbe approfittato per lavarsi ed adornarsi con gli abiti più appropriati, rendendosi più presentabile. Ad essere obiettivi, bastava la sola sua bellezza, senza alcun trucco, a renderla già un incanto e a consentirle di fare un figurone. Lo stesso però il sovrano aveva incaricato due ancelle di corte di servirla, come se fosse già la loro regina, aiutandola nelle diverse abluzioni del suo corpo. Inoltre, aveva affidato ad esperte cortigiane il delicato compito di curarne l'abbigliamento e di scegliere per lei quei gioielli e quei monili, i quali erano più indicati per conferire grazia e splendore al suo fiero portamento.

Così, dopo aver affidato la sua ragazza a tali esperte donne di corte, perché la facessero brillare ancora di più agli occhi altrui, il re Francide si era affrettato ad incontrarsi con la madre, con la sorella e con Astoride. Quest'ultimo, al suo arrivo a corte, si trovava nelle carceri, dove si era condotto per risolvere un problema, che in quel luogo si era presentato due giorni prima. Altrimenti, egli si sarebbe precipitato da lui per abbracciarlo e salutarlo con grande affetto. Perciò il festoso incontro era potuto avvenire soltanto con la genitrice e con la sorella Godesia. Entrambe, nel vederselo apparire davanti, ne erano state felicissime e si erano lanciate di corsa al suo collo, abbracciandoselo e baciandoselo. Ma erano rimaste deluse dal fatto che non lo accompagnava la sua incantevole Rindella. Perciò la madre si era affrettata a domandargli:

«Come mai, Francide, ti sei presentato a noi senza il tuo gioiello? Hai dimenticato che io e tua sorella non vediamo l'ora di conoscere la tua futura consorte, che assai presto sarà anche la regina di Actina? Spero proprio che le cose non siano andate contrariamente a quanto da te previsto! Ma non posso crederci, figlio mio, considerata la gioia che si legge sul tuo volto, il quale si mostra assai soddisfatto e sereno!»

«Le cose, madre mia, non potevano andare altrimenti, trattandosi della mia donna! Adesso vi tocca portare pazienza! Non potevo mica presentarvela stanca morta, senza prima permetterle di riposare e di rifarsi il look! Sappiate che farete la sua dolce conoscenza all'ora di pranzo, ovviamente poco prima di sederci a tavola.»

«Hai fatto bene, figlio mio, ad agire come ci hai riferito. Al posto suo, prima d'incontrarmi con la mia futura suocera, anch'io avrei badato a rendermi presentabile il più possibile, allo scopo di apparire ai suoi occhi senza il minimo difetto esteriore!»

«Ne sono convinto anch’io, madre mia, avendo imparato a conoscere a fondo voi donne! Ma adesso devo lasciarvi, poiché un bel bagno rilassante attende anche me.»

Era mezzogiorno, quando il re Francide aveva accompagnato la principessa Rindella nella sala da pranzo, dove stavano ad attenderli con impazienza le due care consanguinee ed Astoride. Quest'ultimo, per l’intera mattinata, non era ancora riuscito ad incontrarsi con lui. Ma il principale desiderio del Terdibano, visto che conosceva già la ragazza, era quello di rivedere l'amico, il quale presto sarebbe diventato pure suo cognato. Egli, avendo sofferto a lungo la sua assenza dalla reggia e dalla Città Santa, fremeva tantissimo per l'impazienza d'incontrarlo e di accoglierlo con un caldo abbraccio. Così, alla loro attesa comparsa, mentre Astoride era corso ad abbracciarsi il re Francide, dopo essersi scambiato un veloce saluto con Rindella; le due donne si erano precipitate ad andare incontro alla fidanzata del loro congiunto, la quale si era mostrata un po’ impacciata. Comunque, essendo desiderosa d'imitarle, ella si era data a largheggiare nei vari convenevoli richiesti dalla bella circostanza, dimostrandosi nei loro confronti di una affettuosità genuina e galante.

Quando infine si era posto termine alle presentazioni e ai convenevoli tra la principessa Rindella e le due consanguinee del suo amato, la nobildonna Talinda, la quale aveva rinunciato al titolo di principessa, aveva esclamato ad alta voce al figlio:

«Francide mio, non potevi scegliere di meglio come tua regina! Per questo mi complimento con te per l'ottima scelta! Che il divino Matarum benedica la vostra unione, la quale, come prevedo, ci sarà in un prossimo futuro! Sono certa che io e Rindella inizieremo a volerci bene e a stimarci assai presto! Sarà senz'altro così, figlio mio!»

«Anch'io non posso essere di diverso avviso, fratello!» aveva aggiunto Godesia «La tua Rindella è un fior di ragazza, che gli altri sovrani non possono che invidiarti! Anch’io auguro ad entrambi tantissima felicità, sperando che tra me e mia cognata venga a nascere un rapporto di affetto e di sana amicizia, come quello che stanno vivendo i nostri fidanzati, che sono mio fratello ed Astoride. Che esso non abbia mai fine, durante l’intera nostra esistenza!»

«Vi ringrazio, cara madre e dolce sorella, per i complimenti fatti a Rindella e per gli auguri rivolti a noi due. Adesso, però, avendo una fame da lupo, conviene sederci a tavola e metterci a pranzare, essendo gl’inservienti già pronti per portare le varie pietanze a tavola. Anzi, sopra di essa già ci attendono dei vini pregiati, che aspirano ad accompagnarsi alle saporite vivande con speciale brio e con una nota di umorismo!»

Dopo essersi riuniti intorno al desco, intanto che mangiavano e libavano dell’ottimo vino bianco, i cinque commensali non se n'erano rimasti muti come pesci. Al contrario, essi avevano dato il via ad una piacevole conversazione, discorrendo su svariati argomenti e attenendosi al detto "Chi più ne ha più ne metta!". Ma noi ci limiteremo a riportare solo quelli che si confanno alla nostra meravigliosa storia infinita, essendo essa tanto accattivante quanto coinvolgente.

Nel corso dell'ilare chiacchierata, in seno alla quale l’elemento brioso continuava ad essere presente sovrabbondante, la nobildonna Talinda, rivolgendosi ad un tratto alla sua futura nuora e manifestando pure un grandissimo stupore, aveva voluto farle presente:

«Lo sai, Rindella, che il tuo volto mi ricorda tantissimo quello d'Iveonte, l'amico fraterno di mio figlio? C'è forse qualche parentela fra voi due, per somigliarvi tanto? Te lo chiedo, poiché mio figlio non mi ha mai accennato alla vostra somiglianza, né mi ha mai detto che siete parenti! Allora puoi darmi tu tale risposta, per favore?»

«Se non te ne ho mai parlato, madre,» l'aveva contraddetta il figlio «è perché tra la mia ragazza ed Iveonte non c'è alcun vincolo di sangue! Ad ogni modo, non sei l'unica ad aver notato tale somiglianza, la quale non può essere messa in discussione da nessuno.»

«Invece, amore mio,» Rindella subito era intervenuta a contraddirlo «Iveonte ed io siamo fratello e sorella. Per cui, dopo che ci saremo sposati, il tuo intimo amico diventerà pure tuo cognato! Non sei contento di questa novità, che ti ho appena fatto apprendere?»

«Rindella, mi dici da quando in qua Iveonte è diventato tuo fratello? Lo sai che una relazione del genere fra voi due mi riempirebbe di somma gioia? Puoi anche esibirmi delle prove sussistenti, circa quanto hai affermato in questo istante? Allora, puoi farlo, amore mio?»

«Ci penserà a farlo Iveonte, al posto mio, Francide, non appena sarà di ritorno dal suo viaggio. Pure Lucebio crede nel nostro rapporto di fratellanza, essendo convinto che egli è il primogenito del re Cloronte, che è pure mio padre. Prima che si venisse a sapere, dimmi se avresti mai pensato che io fossi la quartogenita del re di Dorinda, il quale era stato spodestato illegalmente da altri sette sovrani dell’Edelcadia.»

«Certo che no, Rindella! Ma ritornando al mio amico, se Lucebio era al corrente dei genitori naturali e legali del mio amico Iveonte oppure aveva dei forti sospetti che essi lo fossero, perché mai non glielo ha fatto subito presente? Così gli avrebbe risparmiato l'interminabile viaggio all'isola di Tasmina, che egli ha intrapreso per giungere a tale verità! Comunque, per ora consiglierei di essere prudenti e di soprassedere a queste affermazioni, di cui non si hanno ancora delle prove certe!»

«Non sono d'accordo con te, Francide, per cui séguito a parlarne. Rispondendo alla tua domanda circa il viaggio di mio fratello, secondo me, saranno state le divinità benefiche a decidere in tal senso. Per loro, molto probabilmente, il suo viaggio, oltre ad avere lo scopo di apprendere chi sono i suoi genitori, aveva anche quello di far mettere mio fratello a disposizione di genti bisognose del suo aiuto e di liberarla dal sopruso oppure dalla tirannia, di cui esse si ritrovavano a soffrire da molto tempo! Ecco quanto penso, in riferimento al suo viaggio.»

«Forse hai ragione tu, cara Rindella! Noi esseri umani non possiamo conoscere i disegni divini. Essi non cesseranno mai di essere arcani ed imperscrutabili per noi esseri umani!»

«Adesso, figlio mio,» si era ancora intromessa nel discorso la ex regina di Actina «posso sapere quando intendi sposare Rindella e farla regina della nostra città? Secondo me, potresti già iniziare a pensarci, visto che la tua ragazza si trova qui con te! Domani verranno a corte la mia amica sacerdotessa Retinia e il Sommo dei Sacerdoti Dumio. Così ne approfitteremo per parlarne con loro.»

«Per il momento, questo non te lo so dire, madre. Ad ogni modo, intendo prima trattare tale argomento con Rindella. Quando avremo stabilito insieme la data del nostro matrimonio e le cose da fare in occasione delle nostre nozze, ne metteremo a conoscenza tutti, a cominciare da te, da Godesia e dal mio amico Astoride! Contenta?»

Rivolgendosi poi alla sua ragazza, Francide le aveva domandato:

«Non è forse vero, tesoro mio, che qualunque decisione noi due intenderemo prendere circa il nostro rapporto matrimoniale, sia prima che dopo, essa sarà ogni volta presa di comune accordo? Anche perché io considero che sia giusto così!»

«Sarà senz'altro come hai fatto presente, Francide mio, poiché è in questo modo che si comportano due persone che si amano davvero! A tale riguardo, vorrei chiederti un favore, considerandolo il più bel regalo di nozze che potresti farmi da parte tua!»

«Fammi subito la tua richiesta, Rindella. Comunque, considerala da me accolta, già prima di farmela conoscere, siccome la esaudirò senza meno, qualunque essa sarà!»

«Desidero, amore mio, che Lucebio e Madissa assistano al nostro sposalizio! La loro presenza alla cerimonia nuziale mi procurerà una gioia maggiore di quella che mi deriverà dall'essere incoronata regina di Actina. Solo se il mio desiderio dovesse risultare inappagabile, pur rattristandomi la cosa, rinuncerei dispiaciuta ad esso!»

«Invece sarai senz'altro accontentata, gioia mia! Ti prometto che oggi stesso invierò tre corrieri a Dorinda, tra quelli che facevano parte della mia scorta, poiché essi sapranno districarsi benissimo sul suo territorio. Manderò a dire a Lucebio di farsi accompagnare da Solcio, da Zipro, da Polen e da Liciut, i quali sono dei formidabili combattenti. Sono certo che negli ultimi tre, quando i miei messaggeri li raggiungeranno, le loro ferite si saranno già completamente rimarginate. Perciò potranno viaggiare e rendersi utili all'insigne maestro e alla sua donna! Quando poi il loro gruppo si troverà a passare per Casunna, i miei corrieri porteranno il nostro invito anche al viceré Raco e a sua sorella Lerinda. Sono convinto che, dopo quanto c'è stato nella reggia di Dorinda, la fidanzata di Iveonte avrà abbandonato tale città ed avrà seguito il secondogenito della famiglia.»

Poco dopo, i cinque commensali amici, avendo già terminato di mangiare, avevano lasciato la sala da pranzo e si erano separati. I quattro giovani se n'erano andati a coppie per fatti loro; mentre la matura nobildonna si era ritirata da sola. Per cui era venuta meno tra loro cinque anche la discussione, che stavano tenendo prima con piacere.


Nel pomeriggio del giorno seguente, con l'arrivo a corte della sacerdotessa Retinia e del Sommo dei Sacerdoti, si erano trasferiti tutti nel patio, dove non era mancata la voglia di una bella chiacchierata. Ad essa, però, stavolta non avevano preso parte Astoride e la sua ragazza Godesia, poiché entrambi avevano preferito andarsene a spasso per la città. In tale circostanza, il re Francide, approfittando della presenza dei due religiosi, aveva voluto raccontare lo strano fenomeno a cui avevano dato luogo le frecce lanciate contro di loro dai soldati del sovrano di Cirza. Allora Dumio, giudicandolo opera del divino Matarum, aveva cercato di approfondire la vicenda, volendo comprendere perché mai c'era stato l'intervento della somma divinità dell'Edelcadia.

Quando poi aveva appreso a quale stratagemma era ricorso il giovane re di Actina, pur di sfuggire allo scontro armato con l'intero esercito del re Luvius, non ne aveva avuto più dubbi. Ma se il racconto del suo sovrano aveva fatto sorridere sia Talinda che Retinia, aveva infuso invece nel proprio animo parecchia preoccupazione. Anche se non all’istante, la sacerdotessa sua amica l'aveva avvertita facilmente. Così, poco dopo, rivolgendosi impensierita al suo superiore, gli aveva chiesto:

«Del racconto del nostro sovrano, Dumio, cos'è che ti ha turbato e che non comprendo? Ce ne rendi partecipi, per favore? Spero che non sia stato quanto in questo istante pure a me sta balenando nella testa! Ma non sarebbe affatto giusto, se davvero fosse come penso!»

«Invece, Retinia, hai colto nel segno! Quanto a noi, non possiamo ignorare il problema, mettendoci una pietra sopra, opponendoci alla nostra potente divinità! Non so neppure come dirlo al re Francide!»

«Potrei apprendere anch'io quello che sta succedendo fra voi due, se non pretendo troppo?» Talinda era intervenuta a chiedere ai due preoccupati religiosi «A dire il vero, non mi piacciono le varie impressioni che scorgo sui vostri volti impietriti!»

«Cosa dici mai, madre mia?!» l'aveva ripresa il figlio, prima che il sacerdote Dumio e la sacerdotessa Retina le rispondessero «Non comprendo affatto la tua enorme inquietudine! Secondo me, ti stai allarmando troppo, senza un giustificato motivo!»

«Figlio mio, chiedilo a loro due se ho torto oppure ragione. Solamente dopo che avrai ricevuto la risposta dai religiosi nostri ospiti, potrai giudicare il mio allarme, che può essere soltanto giustificato!»

Il giovane sovrano allora, dando retta all'inquieta genitrice, si era rivolto al Sommo dei Sacerdoti e alla sua consorella Retinia, chiedendo all'uno e all'altra quasi incuriosito:

«Avete ascoltato le parole di mia madre, reverendi religiosi? Certo che sì! Ebbene, volete dirmi quanto c'è di vero in esse? Vi prego d'intervenire a tranquillizzarla, affermandole che c'è stata da parte sua un'interpretazione erronea delle espressioni trapelate dai vostri sguardi! Allora mi fate questa cortesia e la tranquillizzate?»

«Vorremmo poterlo fare, sovrano di Actina; però non possiamo.» aveva iniziato a rispondergli il Sommo dei Sacerdoti Dumio «Purtroppo l'intuizione della tua nobile madre è stata esatta e ci è negato di smentirla, unicamente per compiacerti, da parte nostra!»

«A questo punto, pretendo che tu mi dica cosa preoccupa te e la tua consorella, oltre che mia madre, eminente Dumio. Così dopo cercherò di liberarvi tutti e tre dall'apprensione che si è radicata in voi dopo il mio racconto. A mio avviso, essa vi ha assaliti senza una ragione plausibile! Per sua fortuna, la mia Rindella ne è stata risparmiata, non avendo percepito esattamente ciò che si agita nella mente di voi tre!»

«Re Francide, quanto sto per dirti giungerà molto sgradito sia a te che alla principessa Rindella, oltre che all’amabilissima nobildonna Talinda, che è tua madre. Te ne persuaderai tu stesso, non appena avrai preso atto del suo contenuto, che risulterà brutto solo per voi due!»

«Sto aspettando che tu me lo riferisca, Sommo dei Sacerdoti. Ma sappi che dopo sarò io a decidere, per me e per la mia Rindella, se preoccuparcene oppure non tenerne conto!»

«Ebbene, mio sovrano, le cose stanno, come adesso t'informo. Hai commesso un grosso errore nell'inventarti che avevi liberato la ragazza condotta con te per volere del divino Matarum, dovendo ella diventare una sua sacerdotessa. Se non erro, il dio vi ha salvati tutti dalla pioggia di frecce, facendo in modo che esse colpissero i loro stessi lanciatori. Quindi, non potrai più sposare la principessa Rindella, ma dovrai permetterle di diventare sacerdotessa della nostra divinità. Per il dio, la sua consacrazione è divenuta ormai irreversibile, per cui cercare di ostacolarla da parte tua equivarrebbe ad una sacrilega trasgressione. Inoltre, poiché essa verrebbe intesa da lui come una sfida, egli applicherebbe nei tuoi confronti delle pesanti sanzioni, le quali alla fine potrebbero rivelarsi anche mortali. Adesso che ti ho schiarito bene le idee su come si sono messe le cose per voi due, t'invito a saperti regolare con giudizio! Ecco: questo è tutto!»

Alle parole dell'illustre religioso Dumio, la nobildonna Talinda e la principessa Rindella all’istante si erano sbiancate in viso e stavano quasi per svenire. Invece il re Francide, adirandosi parecchio e non dandosene per inteso, gli aveva risposto:

«Sono convinto che non c'è stato alcun intervento del dio Matarum nel prodigioso comportamento delle frecce; invece sono state le divinità che proteggono il mio amico Iveonte a venirci in soccorso. Esse hanno voluto preservare dal pericolo che stavamo correndo innanzitutto la mia Rindella, la quale è sua sorella, e poi me, che sono il suo amico fraterno. Per tale motivo, non devo niente alla somma divinità dell'Edelcadia!»

«Se questa è la tua convinzione, mio sovrano, sposa pure la tua amata! Ma se tu dovessi sbagliarti, dopo ti mancherebbe il tempo per ritornare sui tuoi passi. Allora la punizione del dio Matarum ti colpirebbe inesorabile, senza avere alcuna misericordia di voi due! Ti consiglio di ponderare bene la situazione, re Francide, se in avvenire non vorrai pentirtene, facendoci andare di mezzo anche la tua futura consorte!»

«No, non voglio assolutamente che mio figlio si metta contro il nostro dio!» era intervenuta a dire la madre del re «Ma un modo ci deve pur essere, perché egli possa sposarsi con la ragazza che ama, senza che il divino Matarum se l'abbia a male! Retinia, scovalo tu, per favore, se esso esiste. Così dopo ce lo farai presente!»

«Certo che c'è, amica mia carissima!» le aveva risposto la dispiaciuta sacerdotessa «Esso, però, in un certo senso, si presenta umanamente impossibile. Te lo potrà spiegare meglio il mio confratello Dumio, se davvero desideri che egli lo faccia.»

«Nobildonna Talinda, la mia consorella ti ha detto il vero; ma tu non potrai rallegrarti di tale verità, siccome essa non risulterà di alcun giovamento a tuo figlio. Infatti, un uomo può dimostrare di godere della benevolenza del divino Matarum, solo superando una delle due prove, che egli ci ha messo a disposizione. La prima, che è l'attraversamento dell'Arco della Sacralità, già la conosci. Essa fu imposta al re Francide per fare annullare la Legge di Tutuano e potere sposare la sua amata Rindella, perché allora ella era creduta una donna comune. In seguito, invece, abbiamo appreso che egli poteva risparmiarsela, essendo la ragazza una principessa verace.»

«Ma adesso, Sommo dei Sacerdoti, ci dici qual è l'altra prova?» il re Francide aveva domandato al religioso «E come mai mia madre non ne è al corrente, dopo tanti anni che è stata la regina di Actina? Vorrei che tu mi spiegassi tale fatto!»

«In verità, mio sovrano, non essendoci mai stata la circostanza che avrebbe potuto farci ricorrere ad essa, tale prova è caduta nel dimenticatoio. Ecco perché, durante l'interminabile scorrere dei secoli, la medesima è stata ignorata da tutti i sovrani.»

«Prima, però, vediamo cosa pretenderà da me la nuova prova, reverendissimo Dumio. Così dopo saprò come regolarmi. Ad ogni modo, ti premetto che, mai e poi mai, rinuncerò alla mia Rindella, con o senza il beneplacito del dio Matarum!»

«Si tratta di una specie di ordalia, mio sovrano, che adesso passo a spiegarti. Chiunque, per un motivo o per un altro, venga ad avere una vertenza a qualsiasi titolo con il dio Matarum, anche senza volerlo, deve dimostrare che la divinità non ne ha preso atto ed ha il suo favore in ciò che intende attuare per sé e per gli altri.»

«Come si fa a dimostrarlo, eminente Dumio? Se mi si chiede di combattere contro qualcuno o qualcosa, sono pronto a farlo, pur di difendere il nostro matrimonio!»

«Invece, re Francide, non trovandoci di fronte ad una comune ordalia, la cosa non si prospetta semplice, come credi. La prova non consiste in un combattimento contro un altro guerriero; ma dovrai essere in grado di superare una difficoltà, la quale è del tutto diversa. Essa, se lo vuoi sapere, è impossibile a qualsiasi uomo, se il dio non gli è favorevole e non gli viene incontro nell'ardua impresa!»

«Allora deciditi a parlarmene senza altre divagazioni, Sommo dei Sacerdoti, siccome fino adesso hai evitato di venire al nocciolo della questione. Parimenti Rindella e mia madre attendono di venire a conoscenza della prova che mi si vorrà imporre, allo scopo di provare che possiamo sposarci, essendoci favorevole la somma divinità edelcadica!»

«Devi sapere, illustre sovrano, che il dio Matarum dimora in una grotta immensa, la quale si trova a cento metri sotto terra. Tale luogo è inaccessibile ad ogni essere umano, per il semplice fatto che il cunicolo diretto ad essa, ad un certo punto e per oltre trecento metri, si presenta invaso dalle acque. Per questo motivo, chi tenta di attraversarlo è costretto ad annegarvi già a metà percorso. Ritornando poi alla dimora del dio, al suo interno si trova una polla da cui sgorga un'acqua speciale, la quale viene chiamata Aquen. Essa, alla stessa maniera di quella comune, ha la caratteristica di scorrere su un piano inclinato e di dissetare chi la beve; però non bagna le cose che ne vengono a contatto. Per cui il fuoco continua a bruciare, anche se immerso in tale liquido, senza venirne spento. Ebbene, la prova consiste nell'andare nella grotta del dio con un otre e ritornarne, dopo averlo riempito di Aquen.»

«Dopo avermi parlato di quest'acqua magica, amico della sacerdotessa Retinia, mi dici adesso dove è situato l'ingresso del cunicolo, che conduce alla dimora del dio?»

«Esso prende inizio nella cripta del tempio, dove vengono conservate le reliquie di Actina. Così si chiamava la contadinella sposata dal dio, che fu assassinata dal rivale dio Strocton. Perciò, mio sovrano, se decidi di cimentarti con la temibilissima prova, che io ti sconsiglio, è in quel luogo che dovrai recarti per compierla.»

«Non voglio risolvermi su due piedi, insigne Dumio; però intendo prima rifletterci sopra. Poiché la notte porta consiglio, mi affiderò ad essa per avere chiare le idee nella testa. Dunque, la mia decisione si avrà domani, dopo che avrò ponderato bene la situazione che mi hai gentilmente esposta. Ma essa sarà di sicuro quella giusta!»

«No, Francide,» era intervenuta Rindella «tu non andrai incontro alla morte, con il solo scopo di poterti sposare con me! Non mi serve un marito cadavere, il quale neppure mi metterà a disposizione le sue spoglie per permettermi di piangere e di consumarmi in lacrime su di esse. Piuttosto preferisco rinunciare al mio matrimonio con te! La qual cosa, se da una parte mi rattristerà un mondo, dall'altra mi terrà serena, al pensiero che tu sei rimasto vivo e potrò vederti dove e quando voglio!»

«Anch'io, figlio, la penso come la tua Rindella.» la madre si era unita alla ragazza «Perciò, prima di suicidarti, riflettici bene e a lungo! Secondo il mio parere, tentare la prova è come renderla vedova senza sposarla. Inoltre, tramuteresti in un calvario la nostra esistenza, il quale non smetterebbe fino alla fine dei nostri giorni!»

«Ho detto che ne riparleremo domani, madre mia, avendo stabilito di fare in questa maniera. Dunque, invito te e Rindella a non fasciarvi il capo, prima di rompervelo!»


Una volta che i due religiosi si erano congedati, la restante parte della giornata non era trascorsa come di consueto. Questa volta a corte si era respirata un'aria pesante, siccome il re Francide, sua madre e la principessa Rindella si erano mostrati con le loro facce da funerale. Al loro rientro, immediatamente Astoride e Godesia se n'erano accorti ed avevano preteso di conoscerne il motivo. Apprese poi le ragioni della loro evidente costernazione, anch'essi erano annegati in un grandissimo dispiacere, il quale era difficile da contenersi.

A sera, dopo essere stata consumata la cena, durante la quale aveva predominato il mutismo più assoluto da parte di tutti, il giovane sovrano di Actina si era alzato da tavola in preda alla sua mestizia ed era volato nel suo alloggio per trovarvi il sonno. Ma si era appena coricato, allorché gli era apparsa nell'oscurità l'immagine di una dolce fanciulla. Egli aveva subito ravvisato in lei la larva divina che un anno prima gli era apparsa per avvisarlo del pericolo che stava correndo la madre e per esortarlo a correre in suo aiuto. Allora, essendo convinto di non sbagliarsi, si era affrettato a rivolgersi a lei e a chiederle:

«Non è vero che sei la divina Kronel, la protettrice del mio amico fraterno? Come mai ti ripresenti a me a quest’ora di notte? Forse mi rechi sue notizie? Non sai quanto esse mi farebbero piacere, sebbene ora io mi trovi a vivere la mia esistenza in uno stato davvero pietoso! Comunque, lo stesso le apprenderei con somma gioia!»

«Sono qui da te, Francide, a causa della tua terribile situazione. Voglio continuare a soccorrerti, come ho già fatto qualche giorno addietro. Comunque, il tuo amico Iveonte, che è anche tuo cognato, sta bene e procede nel suo viaggio verso Tasmina, compiendo le sue eroiche imprese dal fine prettamente filantropico. Esse possono soltanto dargli delle grandi soddisfazioni e fargli parecchio onore!»

«Che felicità per me, divina Kronel, apprendere le due meravigliose notizie che mi hai dato, ossia che Iveonte continua a non smentirsi e che Rindella è davvero sua sorella! Quanto al tuo precedente aiuto, posso immaginare quale sia stato! Eppure il Sommo dei Sacerdoti Dumio è convinto che quel giorno fu il dio Matarum ad intervenire sulle frecce che ci erano state scagliate contro dai soldati cirzesi, inducendole a colpire i loro stessi lanciatori. Per la qual cosa, adesso pretende da me la prova che già conosci, se voglio sposare Rindella. Ma ti sembra giusto una cosa del genere?»

«Invece tu gliela fornirai ugualmente, re Francide; o, almeno, glielo farai credere, dopo avergli consegnato l'otre pieno di Aquen! In vece tua, sarà Iveonte a compiere l'impossibile impresa, che nessun essere umano potrebbe portare a termine, come già ti ha fatto presente il sacerdote Dumio. Perciò puoi stare tranquillo, circa la dimostrazione che ingiustamente si pretende da te per poter sposare la tua Rindella!»

«Ma come farà il mio amico Iveonte, divina Kronel, a sostituirsi a me nella cripta, quando domani mi sottoporrò alla prova, se egli si trova molto lontano da qui? A questo tu non avevi pensato forse? L’altra volta Iveonte era presente in Actina!»

«Di ciò non devi preoccuparti, Francide. Farò in modo che egli si trovi in tempo nel posto esatto al momento giusto! Devi avere soltanto fede in me. A tutto il resto penserò io!»

«Una cosa non riesco a comprendere, divina Kronel. Perché non hai detto al tuo pupillo chi sono i suoi genitori, evitandogli così un viaggio interminabile? C'è forse un motivo, per cui non lo hai fatto? Se questa è la verità, vorrei tanto conoscerla!»

«Devi sapere, Francide, che ciò che è stato decretato dal destino nei confronti di un essere umano neppure le divinità possono rivelarglielo o cambiarglielo. Se lo facessero, il loro linguaggio risulterebbe del tutto incomprensibile per lui. Soltanto un altro essere della sua specie potrebbe farlo, ammesso che si verificasse la circostanza adatta per dirglielo. Adesso penso che tu abbia compreso come stanno le cose!»

«Ho capito così bene, divina Kronel, che mi sono reso conto che posso mettere Iveonte al corrente di chi sono i suoi genitori. Così egli interromperà il suo viaggio e presenzierà anche la cerimonia religiosa, la quale unirà in matrimonio me e sua sorella Rindella! Non era ciò che volevi dirmi oppure mi sono interamente sbagliato?»

«Ah, ah, Francide, sei proprio un ingenuo! Tu non vedrai Iveonte, quando lo condurrò nella cripta del tempio. In quell'istante, sarai immerso in un sonno profondo. Anzi, rimarrai in tale stato per tutto il tempo che il tuo amico porterà a termine l'ardua impresa. Quando ti sveglierai, troverai accanto a te già pieno l'otre che dovrai consegnare al Sommo dei Sacerdoti. Egli vorrà accertare l'autenticità del liquido in esso contenuto. Solo dopo aver preso coscienza che la vostra unione è benedetta dal dio Matarum, egli permetterà a te e alla tua graziosa Rindella di sposarvi felicemente.»

Chiarito quel particolare al sovrano di Actina, il quale lo aveva accolto con rincrescimento perché avrebbe voluto incontrarsi con l'amico, l'immagine della diva Kronel si era totalmente dissolta nel nulla. Allora il re Francide, anziché mettersi a dormire, come aveva stabilito di fare poco prima, si era alzato dal letto. Poi era corso giubilante ad avvertire le persone, alle quali avrebbe fatto maggiore piacere, che non dovevano più preoccuparsi per il suo matrimonio con Rindella. Egli le aveva trovate tutte e quattro raccolte nella saletta di soggiorno adiacente alla cucina, dove si era soliti intrattenersi per conversare sui più disparati argomenti.

In quella occasione, però, la conversazione non poteva che vertere sui fatti sopravvenuti a corte durante il pomeriggio. I quali avevano scompigliato l'armonia e la serenità che vi stavano vivendo, in previsione della disdetta delle nozze regali. Scorgendo la sua ragazza e la madre con i loro visi smorti, poiché esse si piangevano già la sua morte, il giovane sovrano era intervenuto a tirarle su di morale. Abbracciandosele, gli aveva esclamato:

«Ehi, voi due, smettetela di mostrarvi così mortalmente angosciate! Non c'è bisogno più di rattristarci tantissimo, come poco fa. Conviene invece darci alla massima gioia! Mi avete udito?»

«Francide, come mai vieni a parlarci con tanta euforia, se neppure mezzora fa ti mostravi più distrutto di noi nell'animo? Ti è forse successo qualcosa di portentoso?»

«Vi reco la bella notizia che io supererò la prova, per cui il matrimonio mio e di Rindella si farà senza meno. Un quarto d'ora fa, quando mi ero appena messo a letto, mi è riapparsa la diva protettrice del mio amico fraterno, la stessa che mi avvisò che tu eri in pericolo, madre. Ebbene, ella mi ha esortato ad affrontare la prova impostami dal Sommo dei Sacerdoti, siccome sarà Iveonte ad agire al posto mio, come l'altra volta. Inoltre, mi ha rivelato che egli è davvero il primogenito del re Cloronte. Ella ci ha anche tenuta a farmi presente che è stata lei a salvarci dai soldati cirzesi e non il dio Matarum, come ha supposto il sacerdote Dumio. Nonostante ciò, la diva vuole che io affronti ugualmente la prova, dal momento che il religioso non lo comprenderebbe.»

«Com'è possibile un fatto del genere, Francide, se il tuo amico è assente da Actina? Egli sarà lontano da qui chissà quante miglia! Perciò come farà a prendere il tuo posto, durante lo svolgimento della prova? Me lo vuoi spiegare tu, per favore?»

«Questo lo so anch'io, madre! Ma ella mi ha garantito che il suo intervento ci sarà senza difficoltà, anche se non mi sarà dato modo di vedere e di abbracciare il mio amico fraterno. Quindi, fidiamoci della prodigiosa diva, la quale sa quello che dice e quello che fa, senza che ci siano errori da parte sua! Mi sono spiegato per bene?»

Oltre alla nobildonna Talinda, non c'era stato nessun altro a fare domande, essendo ognuno intento a bearsi e a gongolare per la bella nuova recata dal re Francide. Allora, insieme, avevano abbandonato il locale in cui stavano a conversare e se n'erano andati a dormire serenamente. Ma il giorno dopo, il re Francide aveva convocato a corte il Sommo dei Sacerdoti e gli aveva manifestato la propria intenzione di affrontare la prova che gli veniva richiesta, perché gli si consentisse di prendere in moglie Rindella.

A quella notizia, il religioso Dumio, stupendosene, aveva alzato le spalle, dicendogli mestamente: "Che il divino Matarum ti assista nella difficile impresa!" Poi, insieme, avevano concordato che la prova sarebbe dovuta esserci nel pomeriggio di quello stesso giorno. Nel frattempo, i sacerdoti avrebbero pregato nel tempio, invocando la benevolenza del dio verso il sovrano, siccome se lo meritava.

Non appena il re Francide era entrato nella cripta con il suo otre vuoto, richiudendo dietro di sé la porta, egli era stato sorpreso da un pesante sonno, il quale lo aveva fatto accasciare per terra. In quel preciso momento, grazie al prodigio operato dalla sua diva protettrice, era comparso anche l'amico Iveonte nell'angusto luogo, che era illuminato da una fioca luce. Essendo già stato istruito dalla diva sull'impresa che aveva da compiere, all'istante egli si era impadronito dell'otre del sovrano e si era introdotto nel cunicolo che conduceva alla dimora del dio. A metà percorso, però, il nostro eroe si era trovato davanti ad una massa d'acqua. Essa, occupando fino alla volta l'intero spazio della galleria che stava percorrendo, lo aveva obbligato ad arrestarsi. Allora il pupillo della divina Kronel aveva ordinato al suo anello di fare sparire da lì sotto il totale liquido che gl'impediva di raggiungere la meta. Al suo comando, esso aveva obbedito immediatamente ed aveva permesso ad Iveonte di portare a termine l'impresa. Ma poi il giovane eroe, servendosi di nuovo del suo talismano anulare, aveva fatto sì che il cunicolo ritornasse allo stato iniziale. Di lì a poco, lasciato accanto all'amico che dormiva l'otre contenente l'Aquen, egli era ripartito con la sua diva tutelare per raggiungere Tionteo, Speon e i Lutros loro accompagnatori. Ad Iveonte, logicamente, era dispiaciuto moltissimo l'aver dovuto lasciare l'amico fraterno, senza potere abbracciarlo e salutarlo, come avrebbe desiderato. Comunque, egli appariva molto soddisfatto di avergli recato il suo valido aiuto. Esso, oltre a salvare la vita a Francide, gli avrebbe anche consentito di sposare la sua adorabile Rindella.

Al suo risveglio, il sovrano di Actina aveva ritrovato accanto a sé l'otre già pieno di Aquen, per cui era corso a consegnarlo nelle mani del religioso Dumio. Il Sommo dei Sacerdoti, allora, dopo averne accertato le magiche proprietà, si era convinto che la loro divinità era propensa alle nozze del loro sovrano con la principessa Rindella. Perciò aveva dichiarato che sarebbe stato lieto di congiungerli in matrimonio, una volta che fosse giunto il fatidico giorno. Ma esso era ancora da stabilirsi per vari motivi. Il primo dei quali, senz'altro il più importante, era quello che prevedeva l'arrivo di Lucebio e di Madissa nella Città Santa dalla remota Dorinda. L'uno e l'altra sarebbero stati accompagnati dai tre soldati actinesi e dai quattro giovani che già conosciamo. Infatti, essi rappresentavano per loro due una scorta molto affidabile, nel caso che ci fosse stato un pericolo inatteso lungo il viaggio che li conduceva ad Actina.


Giunti nelle vicinanze di Dorinda, coloro che erano stati inviati dal re Francide con l'incarico d'invitare Lucebio e Madissa al suo matrimonio con Rindella, conoscendo già bene la strada, si erano condotti direttamente sull'altopiano dei ribelli. Una volta poi che furono in presenza del loro capo carismatico, Urimmo, il più autorevole della terna degli Actinesi, non aveva perso tempo a fargli il seguente annuncio del loro re: “Illustre Lucebio, il mio sovrano e la principessa Rindella invitano te e la tua compagna nobildonna Madissa al loro matrimonio, la cui cerimonia si terrà nella città di Actina, non appena vi sarete pervenuti. Essi attendono il vostro arrivo, prima di dar luogo alla solenne celebrazione nuziale. Subito dopo la quale, è prevista anche l'incoronazione della sposa, che farà diventare la principessa Rindella regina della Città Santa. Il re Francide, inoltre, non ha dubbi che voi durante il viaggio vi farete accompagnare da Solcio, Zipro, Polen e Liciut, i quali costituiranno per voi un’ottima scorta, fino a quando non avrete raggiunto Actina. Egli ripone in loro la massima fiducia, essendo essi degli animosi ed intrepidi combattenti. Con ciò, avrei finito, grande amico del mio sovrano.”

A quella splendida notizia, Lucebio e Madissa ne erano stati immensamente felici ed orgogliosi, per cui subito avevano messo in moto la macchina dei preparativi per l'imminente partenza. Ma prima di mettersi in viaggio per la remota Actina, essi avevano fatto visita alla casa del possidente Sosimo per i seguenti tre motivi: primo, volevano avvertire tutti coloro che vi abitavano della loro partenza e della ragione che li stava facendo andare nella remota Città Santa; secondo, intendevano avvisare i quattro formidabili giovani che gli avrebbero fatto da scorta durante il lungo viaggio, anche perché essi non erano più in convalescenza e quello era il desiderio del re Francide. Riguardo al terzo motivo, invece, Lucebio intendeva pregare il padrone di casa di ospitare il cieco Croscione, per tutto il tempo che egli sarebbe rimasto assente dal campo dei ribelli. In quel modo, il poveretto avrebbe continuato ad avere nel nuovo ambiente qualcuno che si prendesse assiduamente cura di lui, accudendolo nel modo migliore. Dopo la sistemazione dell'ex consigliere del re Cotuldo nel palazzo di Sosimo, la comitiva aveva lasciato Dorinda ed aveva intrapreso l’interminabile viaggio verso Actina. Essa era formata dalle nove persone che conosciamo, poiché vi erano compresi anche i tre militari actinesi. Ci si riferisce a quelli che avevano fatto da messaggeri della stupenda notizia.

Da parte nostra, però, eviteremo di darci subito a seguirli nel loro tratto di strada, che da Dorinda li stava conducendo fino alla città di Casunna, la quale città sarebbe stata la prima tappa del loro viaggio. In essa li stavano aspettando la principessa Lerinda e l'autorevole fratello, avendo essi deciso di unirsi a loro per raggiungere Actina. Durante il cammino, li avrebbe anche accompagnati la scorta personale del viceré Raco, la quale era formata da una ventina di soldati. Invece siamo costretti a soffermarci prima su taluni fatti che, durante tale periodo di tempo, si erano svolti nel palazzo dell'amico di Lucebio. I quali, per alcuni particolari aspetti della vicenda, avranno per noi molta importanza. Per fortuna i fatti, ai quali si è fatto riferimento, se all'inizio si erano prospettati alquanto tragici, in seguito invece avevano avuto dei risvolti privi di gravi conseguenze per le persone che, loro malgrado, ne erano state coinvolte senza aspettarselo. Perciò, affrettiamoci a conoscerli nella loro vera natura, anche perché il lettore si mostra già impaziente di apprenderli nella loro versione integrale. Egli vuole goderseli meglio possibile nella loro dettagliata esposizione, che presto ne seguirà.


Una decina di giorni dopo la partenza di Lucebio e di Madissa da Dorinda, in casa di Sosimo, quando trascorreva la prima parte del pomeriggio, c'era stato un fattaccio, autore del quale era risultato lo stalliere Comun. Egli aveva abusato della ragazza Eltas, che era una delle cinque ancelle addette alle faccende casalinghe, le quali avevano più o meno la stessa età. La sventurata era capitata per caso nella scuderia, poiché vi era stata attirata dall'insistente gnaulio di un gattino. Il quale continuava a farsi sentire insistente in tale luogo. In quel momento, la ventenne fantesca non si era sentita d'ignorarlo, poiché andava pazza per i felini domestici, perché le facevano molta tenerezza. Per questo aveva sempre voglia di accarezzare il loro lucido pelo, da cui traeva anche un certo rilassamento. Ebbene, una volta pervenuta nel reparto stalle, Eltas si era data alla ricerca della bestiola, la quale seguitava a miagolare; ma senza farsi scorgere da nessuna parte. Eseguendo così le sue ricerche tra le balle di paglia e quelle di fieno, ella, ad un tratto, si era trovata a due passi dallo stalliere, del quale abbiamo conosciuto già il nome. La cui attenzione veniva calamitata dall'accoppiamento che si stava avendo proprio in quell'istante tra uno stallone ed una delle puledre, venendone a un tempo anche eccitato parecchio.

All'apparizione improvvisa della ragazza, Comun, essendo totalmente in preda alla sua eccitazione sessuale, non era riuscito a trattenersi e a frenarsi. Perciò, senza pensarci due volte, aveva assalito la domestica con tutta la sua voluttà. Così prima l'aveva denudata e poi l'aveva stuprata. Comunque, da parte di Eltas, mentre veniva violentata, non c'era stata alcuna reazione, ossia né aveva urlato né si era difesa con calci e graffi. Divenuta vittima di un blocco psicologico, ella era rimasta totalmente scioccata, senza avere un grammo di forza per reagire e ribellarsi al suo assatanato violentatore. Dopo aver consumato la sua violenza carnale a scapito di Eltas, la quale aveva significato per lei anche la perdita della verginità, lo stalliere aveva ammonito la fantesca a non parlarne con nessuno, altrimenti le avrebbe fatto passare un brutto quarto d'ora. Invece ella, una volta uscita dalla scuderia, era corsa da Ruska e le aveva raccontato piangente quanto le era capitato nella scuderia, facendole presenti anche le minacce che le aveva fatte lo stalliere.

La governante, da parte sua, aveva messo al corrente il padrone di casa di quanto era avvenuto nella scuderia. Allora Sosimo, dopo aver mandato a chiamare lo stalliere Comun, lo aveva licenziato in tronco, per avere egli abusato della domestica Eltas. Ma non erano servite le giustificazioni addotte dal reo confesso a fare accettare il suo misfatto con qualche indulgenza. Secondo lo stupratore, era stata la particolare circostanza a farlo cadere in tentazione e a spingerlo alla violenza carnale, alla quale si era dato subito dopo nella più piena incoscienza.

Il viscido uomo, però, non avendo accettato di buon grado il suo licenziamento, aveva voluto vendicarsi senza pensarci due volte e senza temere la ritorsione dei ribelli. Perciò era corso al corpo di guardia della reggia ed aveva riferito al comandante dei gendarmi che il palazzo del facoltoso Sosimo era un covo di ribelli, mentre il padrone di casa era grande amico di Lucebio, il quale era il loro capo venerato. Morchio, da parte sua, una volta appresa la notizia, subito l'aveva passata al suo diretto superiore Gerud. Costui, allora, senza perdere tempo, aveva ordinato al suo subalterno di andare ad arrestare, con una buona scorta di armati, Sosimo e quanti avrebbero trovato nella sua casa, cioè tanto i familiari quanto gl'inservienti. Dopo aver spiccato quell'ordine di cattura, il consigliere del re Cotuldo si era ripromesso di parlarne in seguito con il sovrano, ossia ad arresto effettuato, per avere il suo avallo.

I soldati avevano bussato al portone del palazzo di Sosimo, poco prima del tramonto. Quando poi esso era stato aperto e i soldati erano entrati, Morchio si era dato a gridare:

«Comun, ex dipendente di questa casa, ci ha riferito che questo luogo è un covo di ribelli. Perciò siamo qui per arrestarvi tutti e per condurvi nelle carceri di Dorinda. Chi si opporrà all'arresto da parte nostra verrà ucciso all’istante e sarà peggio per lui!»

A quelle parole, nel palazzo si era creato un gran trambusto, anche perché le donne si erano messe ad urlare e a disperarsi. Dopo le parole minacciose del gendarme, non era servito a niente l'intervento di Sosimo, che aveva cercato di fargli presente che il suo stalliere aveva mentito spudoratamente. Il motivo? Egli era stato licenziato poche ore prima su due piedi, a causa di una sua violenza carnale perpetrata a danno di una serva. Per questo doveva essere lui ad essere arrestato, in qualità di colpevole del turpe misfatto. Mentre l’amico di Lucebio cercava di convincere colui che aveva guidato i soldati nella sua casa, facendosi accompagnare da un figlio di Sosimo, il cieco Croscione era apparso nel cortile. Venendo avanti alquanto corrucciato, egli si era messo a gridare:

«Morchio, i tuoi soldati dovranno forse arrestare anche me? Come vedi, a causa della mia cecità, attualmente pure io vivo in questa casa illustre. Un tempo la frequentavo assiduamente, per essere innamorato della figlia del padrone di casa, la quale adesso è morta. Da lei, se non lo sapevi, ebbi i miei due figli che conosci. Mi riferisco a Zipro e a Polen. Oppure osi pensare che io, allo stesso tempo, andavo in giro ammazzando i nostri ribelli e facevo poi comunella con loro? Crederesti mai una roba del genere, che non sei uno stupido?»

«Anche tu qui, illustre Croscione?! Certo che non oso pensarlo neppure minimamente! Per questo i miei soldati non si permetterebbero mai di arrestare il loro esimio ex superiore, non potendo tu essere un ribelle, dopo averne uccisi a bizzeffe! Ti confesso che la tua presenza in questo palazzo mi sta confondendo e mi lega le mani, poiché non so più cosa dire e fare. Invece suggeriscimi tu come mi devo comportare!»

«Morchio, devi interrompere ogni arresto nei confronti di quanti abitano in questa casa ed abbandonare al più presto l'edificio con tutti i tuoi soldati. Dopo me la vedrò io con il tuo superiore Gerud, al quale dovrò fare anche una tiratina di orecchi, per essersi fatto gabbare dall'infame Comun. Anzi, è lui che dovete trarre in arresto, poiché il solo fatto condannabile è lo stupro che egli ha consumato ai danni della povera fantesca Eltas! Te lo garantisco!»

«Se è così che mi consigli di agire, illustre Croscione, lo farò senza meno. Quando sarò alla reggia, spiegherò all'illustre tuo amico Gerud ogni cosa circa il mancato arresto del nobile Sosimo e degli altri suoi conviventi, familiari e domestici. Sono sicuro che egli si mortificherà a non dirsi, per essere stato gabbato da uno stalliere! Ma sono anche convinto che egli vorrà farti le sue scuse, per quanto è avvenuto oggi in questa casa rispettabile!»

Come abbiamo visto, grazie all'intervento di Croscione, il quale per fortuna in quei giorni veniva ospitato nella casa di Sosimo, era stata scongiurata una grande disgrazia, quella che avrebbe colpito l'amico di Lucebio e tutti i suoi familiari. Per questo il ricco Dorindano aveva ritenuto doveroso, a nome dell'intera sua famiglia e della sua servitù, ringraziare l'ex braccio destro del re Cotuldo. Egli li aveva salvati dall'arresto e da quant'altro di terribilmente brutto sarebbe potuto scaturire a tutti loro da esso. Il giorno dopo, Croscione si era anche fatto accompagnare da uno dei figli di Sosimo alla reggia, dove aveva avuto un incontro con il comandante della Guardia Reale, al quale aveva chiarito ogni cosa, circa il mancato arresto da parte del suo subalterno Morchio. Insieme, inoltre, avevano stabilito che il re Cotuldo non sarebbe dovuto venire a conoscenza dell'incresciosa vicenda. Invece si sarebbe dovuto arrestare l'ex stalliere di Sosimo, non appena si fosse presentato al corpo di guardia per riscuotere la ricompensa. Secondo lui, essa gli spettava per la spiata fatta contro il suo datore di lavoro, la quale non aveva neppure sortito gli effetti da lui sperati.

Così, quando l'ex stalliere del nobile Dorindano si era rifatto vivo presso il corpo di guardia della reggia, allo scopo d'intascare la ricompensa che gli era stata promessa, egli era stato arrestato all'istante. Inoltre, la spia era stata tradotta nel carcere di Dorinda, affinché vi scontasse la propria pena, per avere abusato di una ragazza al servizio di Sosimo. Non erano valse a qualcosa le sue ripetute rimostranze, mentre urlava come un ossesso nel dichiarare che il palazzo del suo ex padrone era un covo di persone che complottavano contro il monarca di Dorinda, a tutte le ore della giornata. L'addetto alle scuderie, però, non poteva sapere che la sua parola valeva soltanto un fico secco contro quella di un uomo del prestigio di Croscione. Costui, per Morchio e per Gerud, rappresentava senz'altro l'incorruttibile braccio destro del loro sovrano. Il quale aveva dato ai seguaci di Lucebio filo da torcere più di qualunque altro soldato alle dipendenze del loro re Cotuldo.

A questo punto, visto che siamo stati messi al corrente di quanto era avvenuto a Dorinda, presso la casa del danaroso Sosimo, nel frattempo che essi cercavano di raggiungere la città casunnana, è giusto ricollegarci di nuovo a Lucebio, a Madissa e ai quattro giovani, che formavano la loro preziosa scorta. Essi risultavano anche dei loro compagni di viaggio abbastanza arguti e divertenti; inoltre, non la smettevano di darsi da fare nel servirli come meglio potevano.