418°-KRONEL INTERVIENE IN SOCCORSO DEGLI ACTINESI FUGGIASCHI

Dei due percorsi che si potevano seguire e che entrambi li obbligavano ad effettuare la loro prima tappa a Casunna, il re Francide aveva stabilito di rifare quello compiuto nell'andata. Esso, prima di arrivare alla Città Santa, prevedeva come tappe intermedie Casunna e Cirza, nelle quali città gli Actinesi avrebbero fatto rifornimento di acqua e si sarebbero procurati le necessarie cibarie. Comunque, lungo il viaggio, non gli sarebbero mancate ottime carni fresche, dal momento che essi potevano procacciarsele facilmente con la caccia. A tale riguardo, viene fatto notare che le terre percorse dai viaggiatori, ai quali ci stiamo interessando con simpatia, erano ricche di selvaggina sia di penna che di pelo. Dopo queste informazioni, possiamo andare avanti.

I giorni, dunque, l'uno dopo l'altro, trascorrevano senza fatti di rilievo, siccome non veniva ad aversi nella loro quotidianità nulla di particolare. In ognuno di essi, infatti, si assisteva al solito trantran di stanchezza e di noia, da parte di coloro che si stavano sobbarcando al lungo viaggio, che sembrava non aver più termine. Durante la giornata, si galoppava per delle ore intere, ma con soste intermedie, la cui durata si aggirava intorno alla mezzora. Forse i soli ad avvertire di meno la stanchezza erano il re Francide e la principessa Rindella, poiché il vedersi e il sentirsi vicini faceva sparire in loro i sintomi della spossatezza, per le ragioni che possiamo immaginarci!

Si era ad un giorno di cammino da Casunna, quando il sovrano di Actina aveva dato ordine che si effettuasse l’ennesima sosta di mezzogiorno. Per questo si erano accampati nei pressi di una pineta, la quale proteggeva bene dai cocenti raggi del sole le persone che vi si trattenevano, permettendo a tutti loro di riposarsi. Siccome erano tre giorni che non si mangiava carne fresca, il re Francide aveva incaricato una parte della scorta di andare a procurarsela con la caccia nell'interno della selva di pini. Quando i cacciatori ne erano ritornati con una grande provvista di cacciagione aviaria, la quale era stata appena cacciata, uno di loro si era presentato al suo sovrano e, consegnandogli un pezzo di cartapecora arrotolato e legato con del filo, gli aveva fatto presente:

«Sire, questo era unito ad una zampa di un piccione, del cui corpo restavano tra l'erba solo qualche ossicino. Nei giorni scorsi, probabilmente, il volatile domestico sarà stato aggredito e sbranato da un rapace del luogo, il quale dopo se ne sarà anche cibato!»

Quando lo aveva aperto, il re Francide aveva letto il contenuto che vi era stilato, il quale diceva testualmente: "Merion, il sovrano di Actina, contro la mia volontà, è riuscito a scarcerare la donna che dovrà sposare. Perciò, al comando di mille soldati, ti ordino di dargli una caccia spietata su tutto il territorio di Casunna, d'intercettarli e di arrestarli. Ho inviato questo messaggio anche a tutti i re nostri alleati."

Avvenuta da parte sua la lettura di quanto era scritto sulla candida lamina di pergamena, il giovane re subito aveva voluto che il contenuto di esso divenisse di dominio pubblico. In questo modo, ci sarebbe stata nei soldati della sua scorta una maggiore consapevolezza di quanto a cui sarebbero potuti andare incontro lungo il restante viaggio che li separava dalla loro città. Ma la sola principessa Rindella si era preoccupata un poco, quando il suo amato aveva comunicato agli altri il contenuto del messaggio multiplo inviato dal re Cotuldo agli altri sovrani alleati. Allora il re Francide si era premurato di rassicurarla e di riportarla al suo precedente stato di serenità. Secondo il suo parere, almeno sul territorio di Casunna, non ci sarebbe stata alcuna caccia nei loro confronti, considerato che il messaggio diretto a Merion aveva subito un incidente di percorso. Perciò, facendo stupire la sua scorta e la stessa Rindella, egli aveva deciso di far riposare la sua ragazza e di vettovagliarsi nel palazzo reale di Casunna. Egli era certo che in esso sarebbe stato messo a loro disposizione quanto occorreva per farli riposare, lavarsi e ristorarsi.

Difatti era avvenuto proprio così il giorno successivo, quando gli Actinesi si erano presentati nella reggia casunnana con disinvoltura. L'alto ufficiale, che faceva le veci del viceré assente, si era fatto in quattro nel ricevere degnamente il re Francide e la sua futura moglie nel palazzo reale, permettendo anche alla loro scorta di usufruire dei vantaggi derivanti dal trovarsi in quel luogo. Inoltre, il giorno successivo li aveva fatti ripartire, solo dopo averli riforniti delle vettovaglie necessarie per proseguire il viaggio fino ad Actina. Da parte sua, il sovrano actinese, dopo aver ringraziato vivamente Merion per l'ottima accoglienza ricevuta, lo aveva incaricato di salutargli il viceré Raco, al suo ritorno da Dorinda.

Il giorno dopo la partenza degli Actinesi, il fratello del re Cotuldo, stupendo il suo consigliere, aveva fatto presto ritorno dalla visita che era andato a fare ai suoi due germani di Dorinda. Anzi, si era unito a lui pure la sorella Lerinda, la quale aveva voluto così fare un dispetto all'autorevole familiare, per avere egli assunto un atteggiamento sommamente negativo ed oltraggioso nei confronti del nobile re Francide. Vedendoselo apparire nella reggia insieme con la sorella parecchio tempo prima della data prevista per il rientro, Merion se n'era meravigliato tantissimo. Perciò, volendo conoscerne le ragioni, non aveva potuto fare a meno di domandargli basito:

«Possibile, mio illustre viceré, che sei già di ritorno? Se i miei calcoli sono giusti, sei rimasto a Dorinda appena un giorno! Allora potrei conoscere il motivo del tuo affrettato ritorno, se non sono indiscreto?»

«Certo che è così, Merion; ma vorrei evitare di parlartene! Voglio sapere da te, invece, come ti sei comportato con la questione del sovrano di Actina, poiché è la cosa che maggiormente m'interessa in questo momento! Quindi, gentilmente, me ne vuoi informare?»

«Potevo mai mostrarmi inospitale con una persona come lui, viceré Raco? Se lo avessi fatto, tu mi avresti fatto impiccare! A proposito, prima di lasciare il palazzo reale, egli mi ha incaricato di salutarti cordialmente al tuo ritorno a Casunna. Ma soprattutto ti ha lasciato un vivo ringraziamento, siccome la tua servitù, per mio ordine, si è messa così generosamente a loro disposizione, che meglio non avrebbe potuto fare! Hai qualcosa da ridire oppure da obiettare in merito, mio illustre viceré? Sono sicuro di no!»

«Per fortuna, le cose sono andate come mi stai informando, mio consigliere! In questo modo, si è evitato il peggio! Ciò vuol dire che il piccione del tuo re non ti è giunto e non ti ha portato il suo messaggio!»

«Non capisco, onorevole Raco, perché le cose sarebbero potute andare diversamente con il re Francide. Soltanto se fossi stato un folle, avrei potuto assumere una condotta abnorme nei suoi confronti! Ma perché hai temuto che io lo fossi? Inoltre, mi dici quale messaggio avrebbe dovuto recapitarmi il piccione del re tuo fratello?»

«Non si tratta di ciò che pensi tu, Merion. Invece, grazie al cielo, esso non ti è affatto giunto! È stato meglio così, se lo vuoi sapere! Comunque, è acqua passata ed è meglio non pensarci più!»

«Di quale messaggio parli, esimio viceré? Esso cosa avrebbe dovuto comunicarmi? Perché, inoltre, hai tirato un sospiro di sollievo, per il fatto che non mi è pervenuto?»

«Con il suo messaggio, mio consigliere militare, mio fratello re ti ordinava di metterti alla testa di un migliaio di soldati e di ricercare il sovrano di Actina sul territorio casunnano. In quel caso, avresti dovuto arrestarlo e non fargli raggiungere la Città Santa con la sua futura consorte. Adesso comprendi meglio il mio attuale atteggiamento?»

«Perché mai questo bislacco ordine, illustre viceré Raco, da parte di tuo fratello? Possibile che un sovrano possa ordinare l'arresto di un altro sovrano, quasi fosse un comune delinquente? Perciò mi tocca rinunciare a capirci qualcosa su tale fatto, se non voglio scervellarmi!»

«Merion, io ero contrario all'ordine di cattura spiccato da mio fratello. Esso mi ha fatto incavolare a tal punto, da farmi anticipare il ritorno a Casunna. Adesso conosci anche il motivo, per cui sono rientrato prima del previsto. Ciò che conta è che il re Francide non è stato costretto a compiere un'altra carneficina, questa volta a scapito dei miei soldati, come aveva già fatto alla corte di mio fratello!»

Dopo il suo ultimo chiarimento, il viceré Raco e la sorella Lerinda si erano subito congedati da Merion e si erano ritirati nei rispettivi alloggi. Entrambi, mediante tiepide e rilassanti abluzioni, erano desiderosi di ritemprarsi dalle fatiche, che avevano dovuto sostenere, a causa dell'estenuante cammino affrontato durante il viaggio.


Nel frattempo, siccome essi si spostavano ancora sul territorio di Casunna, il viaggio degli Actinesi era proseguito senza che ci fosse stato alcun inconveniente. Il quale avrebbe potuto rallentarne la marcia oppure indurli a fermarsi per qualche motivo legato ai messaggi del re Cotuldo. Così il tragitto era continuato a svolgersi in quel modo, ossia privato di ogni problema di sorta. Anzi, esso sarebbe seguitato a presentarsi tranquillo, fintantoché le loro cavalcate sarebbero avvenute sul territorio non appartenente a Cirza. Invece sulle terre di tale città, le cose sarebbero cambiate senza dubbio, almeno dal punto di vista psicologico. Su di esse i viaggiatori actinesi avrebbero potuto avere una brutta sorpresa, quando meno se l'aspettavano; ma non era certo.

Quattro giorni dopo, gli Actinesi si trovavano già a percorrere il territorio cirzese. Allora essi avevano iniziato ad avanzare con la massima cautela, pur di eludere qualche inatteso assalto non di loro gradimento, da parte dei soldati cirzesi. Il re Francide faceva andare avanti una coppia di perlustratori con il compito di saggiare il terreno, prima che la totalità di loro vi si potesse lanciare a capofitto ed andare così incontro a qualche agguato da parte del nemico. Ad ogni modo, l'avanzata sul nuovo territorio era proceduta senza problemi per i primi tre giorni. Al contrario, nella mattinata del quarto, il drappello actinese si era trovato a gestire una situazione molto difficile. Ma esso avrebbe fatto volentieri a meno di averla tra i piedi e di affrontarla controvoglia.

Poco dopo l'alba di quel giorno, gli Actinesi si erano appena svegliati e si preparavano a riprendere il cammino, avendo già fatto colazione, quando il loro campo era stato accerchiato da un'intera armata di soldati cirzesi. Essi, il cui numero si aggirava sulle millecinquecento unità, erano guidati dal loro re Luvius e formavano un lungo cordone che si allungava tutt'intorno al campo actinese. Esso si trovava ad una distanza di trecento metri e non lasciava varchi che potessero permettere la fuga a qualcuno dei circondati. Alla loro vista, nella scorta actinese e nella principessa Rindella si era avuta una tale preoccupazione, da spingere Urimmo a rivolgersi al suo sovrano. Ma egli, al contrario di loro, assisteva a quello spiegamento di forze con indifferenza e senza battere ciglio. Così, dopo essersi avvicinato a lui, gli aveva domandato:

«A questo punto, mio sovrano, essendosi la situazione aggravata davvero, cosa si fa? Non credi che essi siano troppi pure per un guerriero formidabile del tuo calibro? Ma sappi che, se decidi di affrontarli, noi siamo disposti a morire insieme con te con molto piacere!»

«Invece, Urimmo, me la vedrò personalmente contro i soldati del re Luvius. A voi lascio il solo compito di badare alla vostra futura regina, intanto che cercherò di convincere il re di Cirza a lasciarci passare attraverso i suoi territori, senza tener conto del messaggio che gli è pervenuto da parte del re Cotuldo. Vedrai che, in un modo o in un altro, riuscirò a sbrogliarmela, senza farvi correre dei rischi!»

Il re Francide aveva appena finito di parlare, quando era stato scorto un soldato cirzese staccarsi dagli altri e dirigersi verso di loro. Dopo averli raggiunti, aveva domandato:

«Mi dite chi di voi è il re di Actina? Ho un'ambasciata per lui da parte del mio sovrano. Egli vuole evitare inutili spargimenti di sangue. Allora posso sapere chi è il sovrano fra di voi?»

«Ce lo hai proprio di fronte, soldato, dal momento che la persona che cerchi sono io.» gli aveva risposto il re Francide «Perciò riferiscimi prima ciò che egli ti manda a dirmi, al fine di evitare fatti di sangue fra voi e noi. Così dopo ti darò la giusta risposta per il tuo re!»

«Ebbene, sire, il mio sovrano non intende farvi del male; ma desidera soltanto prendere in ostaggio te e la tua scorta. Quindi, se accettate la sua proposta, non dovete fare altro che seguirmi senza fare storie. In tal modo, avrete salva la vita!»

«Per il momento, la mia scorta e la ragazza restano qui, soldato. Invece verrò io solo insieme con te, dovendo parlamentare con il tuo sovrano e mettere in chiaro alcune cose. Perciò sei pregato di accompagnami immediatamente da lui. Allora andiamo?»

Una volta che si era trovato faccia a faccia con il sovrano di Cirza, il re Francide, mostrandosi per niente intimidito, senza perdere tempo si era dato a chiedergli:

«Posso sapere, re Luvius, perché mi si tratta come un prigioniero di una guerra che non c'è stata e non c'è tra noi? Cosa ti abbiamo fatto di tanto grave, da indurti a prendere un provvedimento del genere contro di noi? Un sovrano di rispetto non prenderebbe mai una simile decisione contro un suo pari, senza una giusta causa. A mio parere, si tratta soltanto di una vigliaccata bella e buona!»

«Invece, sovrano di Actina, una ragione c'è, la quale mi obbliga ad agire come sto facendo. Tu hai sottratto al re Cotuldo, che è un mio alleato, una sua prigioniera. Per questo adesso devo, non solo recuperare la ragazza, ma anche arrestare gli autori della sua liberazione. Dopo sarete trasferiti tutti quanti a Dorinda, cioè da dove state fuggendo. Ma ricorrerò a questo modo pacifico, a meno che non vogliate costringermi a risolvere la questione in maniera diversa, la quale è quella cruenta!»

Non potendo giustificarsi con il sovrano di Cirza, il re Francide aveva previsto che da lui non avrebbe ottenuto alcuna concessione di favore. Allora, per risolvere la questione, egli aveva pensato di servirsi di un sotterfugio bene architettato, il quale gli era venuto in mente all’ultimo istante. Perciò aveva detto al suo interlocutore:

«Credi, re Luvius, che sia stata una mia banale idea andare a prelevare a Dorinda la ragazza che oggi è con noi? Con tutte le donne che ci sono in Actina, saremmo stati degli sciocchi a fare una cosa simile, sobbarcandoci ad un viaggio di un mese! Inoltre, non mi sarei mosso di persona per averla nella mia città! Non ti pare?»

«Re Francide, mi dici chi è stato ad ordinarti di andare a prelevare la ragazza a Dorinda, se non è stato un tuo ghiribizzo? E chi avrebbe ordinato qualcosa ad un re, quale tu sei?»

«Nella Città Santa, re Luvius, nessuno umano poteva comandarmi qualcosa. Soltanto il dio Matarum ha potuto farlo, dopo avere prescelto come sua sacerdotessa la ragazza, la quale in questo momento è con noi. Egli ha pure preteso da me che fossi io di persona ad andare a liberarla dal carcere di Dorinda. Secondo te, potevo rifiutarmi di accogliere la richiesta della nostra somma divinità? Certo che no! Al posto mio, tu invece gli avresti forse disubbidito?»

«Re Francide, se pensi che io creda alle tue corbellerie, offendi la mia intelligenza! Ma poi puoi dimostrarmi che è stato il divino Matarum a spingerti all’impresa che hai compiuta?»

«Non ho alcuna difficoltà a dartene la dimostrazione, re Luvius. Poiché adesso sono sotto la protezione del dio Matarum, da solo, posso combattere anche contro duecento dei tuoi soldati. Per cui t'invito a fare il seguente patto con me: se ne esco vincitore, poiché questa è la volontà della divinità di Actina, dopo lascerai andare indisturbati alla nostra città me, la ragazza e la mia scorta personale. Allora accetti quanto ti ho proposto, al fine di dimostrarti la mia buonafede?»

«Certo che accetto, sovrano della Città Santa! Così assisterò alla tua fine miseranda, quella che i miei soldati sapranno assegnarti senza pietà! Ma dove e come dovrebbe avvenire il combattimento? Comunque, lascio a te scegliere il luogo e le modalità di esso!»

«Combatteremo a piedi e ad un centinaio di metri da qui, re Luvius, precisamente in quello spazio piano, il quale si trova a metà strada tra la mia scorta e il luogo dove ora sei situato tu con l'intero tuo stato maggiore. Hai qualcosa da obiettare in merito a quanto ti ho suggerito? Se non sei d'accordo, puoi benissimo dirmelo!»

«A me stanno bene entrambe le tue proposte, re Francide. Quindi, puoi avviarti sul luogo dello scontro, poiché tra poco t'invierò duecento dei miei soldati ad affrontarti. Ma consentimi, mio folle collega, di dirti "Addio!" adesso, dal momento che, a combattimento avvenuto, noi due non avremo più l'occasione di rivederci e di salutarci, almeno in questa vita sensibile, non potendo essere altrimenti!»

Il re di Actina non aveva dato nessun peso alle ultime parole del re Luvius; invece si era comportato, come se non le avesse ascoltate per niente. Inoltre, si era affrettato a raggiungere la sua Rindella e la sua scorta, mettendoli al corrente di quanto aveva pattuito con il re cirzese. Subito dopo egli si era condotto a piedi sul luogo del combattimento.

Una volta che si era visto serrare da ogni parte dai suoi numerosi avversari, i quali avanzavano senza scudi e facendo balenare le loro spade, il sovrano actinese almeno all’inizio aveva deciso di accoglierli con la micidiale tecnica della trottola. Così, quando quelli più avanzati di loro si erano trovati a pochi passi da lui, egli si era trasformato nella letale arma falciatrice. Allora essa, senza indugio, si era data a mietere decine di morti tra i suoi assalitori, i quali intendevano ridurlo in mille pezzi per ingraziarsi il loro re Luvius. A quel punto, la morte aveva iniziato a regnare invisibile e sovrana tra i soldati cirzesi, i quali si dibattevano senza poter concludere alcuna azione offensiva, ma subendo quella del loro avversario, che non riuscivano a scorgere in alcun posto. La sua azione invece risultava a tutti loro travolgente, mutilante, catastrofica e cruenta al massimo. Anche perché il sangue andava a spargersi dappertutto e a non finire, rendendo rosseggiante il terreno circostante. Al riguardo, nessuno degli spettatori riusciva a rendersi conto come un prodigio di quel tipo potesse verificarsi e rendersi artefice di una strage così enorme. Se per gli esigui soldati actinesi non c'era dubbio che si trattava della valentia del loro sovrano, per il re Luvius e per i suoi soldati esso poteva essere unicamente opera di una divinità, la quale, com'era chiaro, era intervenuta a combattere al posto del sovrano della Città Santa.

Messi fuori combattimento i tre quarti dei suoi rivali, il re Francide si era dato poi a combattere il resto di loro, smettendo di ricorrere alla tecnica della trottola. A quel punto, lo si era scorto nuovamente tra i suoi nemici, mentre pugnava con fierezza, apparendo simile ad un leone che si trovava in mezzo ad un branco di lupi intenzionati a divorarselo senza meno. Per tale ragione, tutti i presenti si erano dovuti stupire del suo modo straordinario di combattere. Esso rendeva possibile l'impossibile, attraverso la sua inimitabile scherma e le sue sbalorditive arti marziali. Sia l'una che le altre, avevano recato morte dove non poteva essere prevista ed avevano improvvisato una difesa insormontabile, anche quando il re actinese si era trovato in pari tempo ad incrociare la sua spada con quelle di una ventina dei suoi nemici. Anzi, gliele aveva fatte saltare di mano con mosse tattiche ed impeccabili, riducendo poi i loro maneggiatori in fin di vita.

Al termine dello scontro, avendo eliminato tutti i suoi aggressori, il sovrano della Città Santa si era rivolto a colui che glieli aveva inviati contro per ridurlo molto male, parlandogli in questo modo:

«Come vedi, re Luvius, ho vinto io e ci rivediamo ancora per salutarci! Adesso tocca a te stare ai patti, come si era stabilito, permettendo a me e alla mia scorta di proseguire indisturbati verso la nostra Actina! Se sei un uomo d’onore, li rispetterai di sicuro!»

«Lo farei senz'altro, re Francide, se i miei duecento soldati da te uccisi non mi gridassero vendetta. Perciò non se ne parli neppure! Voi, perciò, dovrete seguirli al più presto nel regno dei morti!»

«Allora mi obblighi a dichiarare, davanti ai tuoi soldati presenti, che stai infrangendo un patto da noi stretto in precedenza. La qual cosa ti disonora, poiché dimostra soltanto che sei un sovrano vigliacco, meschino e privo di ogni dignità. Perciò i tuoi sudditi dovranno vergognarsi di avere un sovrano come te! Perfino gli dèi si ribelleranno alla tua viltà!»

«Blatera pure quanto vuoi, sovrano di Actina, siccome qui tra poco tutti voi sarete diventati un mucchio di cadaveri, anche se il re Cotuldo vi avrebbe voluti vivi!»

Pronunciate quelle sue parole palesemente altezzose, il re di Cirza aveva fatto cenno al suo cornista di dare fiato al suo curvo strumento di tessuto osseo. A tale suono, che costituiva il primo ordine regale, il cordone formato dai cavalieri cirzesi si era dato ad avanzare verso gli Actinesi, dandosi a stringerli in uno spazio sempre più angusto. Quando poi essi si erano avvicinati ad un tiro di arco da loro, si erano arrestati, rimanendo in attesa di ricevere il secondo ordine del loro sovrano. Costui allora lo aveva subito impartito, facendo emettere dallo stesso cornista un ulteriore suono di corno. Esso aveva incitato tutti i soldati a cavallo a porre mano agli archi e a cominciare a tirare le loro frecce in direzione del gruppo degli Actinesi. I quali, ad evitare di essere colpiti da esse, si erano riparati sotto i loro scudi, formando una specie di testuggine.

Volendo essere obiettivi, quel tipo di tettoia difensiva, che la comitiva actinese aveva messo in atto, specialmente se la procella di saette si fosse espressa con più lanci reiterati, non avrebbe retto a lungo. Per cui quanto prima sarebbe stata a rischio la loro incolumità. Invece, per loro fortuna, neppure il primo getto di saette sarebbe mai riuscito a raggiungerli, come tra poco vedremo. I dardi, infatti, mentre si dirigevano come una vera pioggia sui bersagli umani, ad un certo momento, avevano cambiato direzione. Levandosi prima verso l'alto e formando poi un'ampia curva all'indietro, essi erano stati scorti che si dirigevano contro i loro stessi emittenti. Così li avevano colpiti tutti allo stesso modo, ossia al centro della fronte, facendoli crollare privi di vita dai loro cavalli. Gli unici ad essere risparmiati erano stati quelli che non avevano fatto uso dell'arco, ossia il re Luvius e il suo cornista. Dopo esserci stato quel fenomeno prodigioso, essi erano scappati via come due lepri inseguite da una muta di levrieri. Da parte loro, il gruppo degli Actinesi, in preda anch'esso ad un grande stupore, ne aveva approfittato per sgombrare il campo e riprendere l'interrotto cammino verso casa.

Prima di congedarci da questa parte del racconto, possiamo capire cosa era successo realmente nella difficoltosa vicenda, che gli Actinesi stavano vivendo così negativamente, da ritenere ormai irrimandabile quella che si prevedeva la loro imminente fine? Si può ipotizzare che fosse stato il dio Matarum ad intervenire in loro favore, traendoli fuori dai guai in cui si erano ritrovati per volere del sovrano di Cirza, che a sua volta agiva per conto del re Cotuldo? Basandoci sulla visione diretta dei fatti, parrebbe proprio di sì. Ma siamo sicuri di stare poi nel giusto? Ebbene, non potendo rispondere con certezza, cerchiamo allora di capire meglio l’intera verità sulla storia delle frecce. Le quali, dopo essersi ribellate ai rispettivi arcieri, erano andate a colpire proprio loro.

In un'altra circostanza della nostra storia, la quale potrebbe anche risultare futura rispetto ai fatti che stiamo narrando, abbiamo appreso che la diva Kronel non sempre restava a rappresentare la spada del nostro eroe. A volte ella conduceva vita indipendente e se ne andava in giro per fatti suoi, senza che ne informasse il suo pupillo. Di norma, ciò accadeva soltanto di rado; ma da quando attendeva l'arrivo del fratello Luciel sul pianeta Geo, la giovane dea si distaccava da Iveonte con maggiore frequenza. Ella, infatti, non vedendo l'ora di rivederselo accanto, bramava avvistare il germano mentre giungeva da Luxan. Allora gli sarebbe corsa incontro e lo avrebbe accolto con il massimo affetto.

Ebbene, in una delle sue perlustrazioni spaziali, la diva si era trovata di fronte a quanto stava succedendo tra lo scarso numero degli Actinesi e quello schiacciante dei Cirzesi. E poiché tra i primi figuravano anche la sorella d'Iveonte e il suo amico fraterno, ella non aveva potuto fare a meno di seguire la travagliosa vicenda da vicino. Nel vedere poi il sovrano di Cirza comportarsi come una persona disonesta e fedifraga, venendo meno alla promessa fatta al re Francide con spudoratezza, ella non aveva esitato a parteggiare per gli esigui Actinesi, facendo andare le cose nel modo che abbiamo visto poco fa. Non bastando ciò, la diva aveva stabilito di seguirne anche gli sviluppi che ci sarebbero stati nella Città Santa, al fine di fare gl'interessi dei due futuri sposi e di proteggerli fino alla loro felice unione, la quale non sarebbe tardata ad esserci.