417°-IL RE FRANCIDE COSTRINGE IL RE COTULDO A LIBERARE RINDELLA

Nel frattempo, prima d'incontrarsi con il re Cotuldo, il sovrano di Actina come aveva trascorso le due ore di attesa, quelle che Gerud gli aveva imposto con il sotterfugio che conosciamo? Certamente, egli non se n'era andato a zonzo per la città insieme con Liciut, tanto per far passare il tempo. Non avendo affatto creduto alla scusa addotta dal comandante della Guardia Reale, il re Francide aveva inteso subito che a corte le cose non sarebbero andate senza intoppi, cioè per il verso giusto. Allora aveva cercato di organizzarsi alla meglio per portare a buon fine la liberazione della sua Rindella. Egli, cioè, era ricorso alla progettazione di un piano, il quale gli avrebbe dovuto consentire di liberare la sua futura consorte, senza che la medesima potesse correre il più piccolo rischio durante la sua esecuzione. Per tale motivo, anziché ritornare al palazzo di Sosimo ed attendere che trascorresse il tempo che aveva a disposizione, il sovrano actinese aveva preferito ritornare all'altopiano dei ribelli ed incontrarsi al più presto con Lucebio e con Croscione.

Dopo averli raggiunti, egli li aveva resi edotti di quanto era avvenuto all’interno della reggia, facendo anche presente ad entrambi che non c'era più alcuna ragione di fidarsi del re Cotuldo. Infine, mostrandosi molto amareggiato e dispiaciuto, aveva concluso:

«Stando così le cose, amici miei, sono costretto ad affrontare la questione con il monarca di Dorinda non più pacificamente, ma con il ricorso alla forza. Allo scopo di liberare la mia Rindella, sono disposto anche a dar luogo ad una strage nella reggia, se si cercherà di ostacolarmi nella mia giusta pretesa. Ma non potrò presentarmi a corte, senza aver prima preparato un ottimo piano, il quale mi permetta di facilitarmi l'impresa. Soprattutto esso dovrà mettere la mia amata al riparo da ogni pericolo, in vista del mio intervento a corte!»

«Re Francide, come vorresti affrontare il tiranno Cotuldo e liberare la principessa Rindella, senza farle correre alcun rischio?» gli aveva domandato Lucebio «Se hai già pronto un piano, ti prego d'illustrarcelo. Così dopo io e Croscione lo valuteremo e ti esprimeremo il nostro giudizio in merito, compreso il grado di fattibilità e di pericolosità che esso potrebbe presentare nella sua fase attuativa. Allora ce ne parli?»

«Adesso vi spiego ogni cosa del mio ottimo piano, Lucebio. Quando sarò nella reggia, la mia scorta di Actina, al comando di Urimmo, stazionerà presso le carceri. Con loro ci sarà anche Liciut, poiché insieme dovranno attendere in quel posto lo sviluppo degli avvenimenti. I quali, secondo le mie previsioni, dopo aver preso l'avvio a corte, dovranno concludersi all'esterno della prigione.»

«Francide, ci dici perché essi avranno termine in tale luogo? Ce lo vuoi spiegare, visto che non riusciamo ad immaginarcelo?»

«Lucebio, siccome a corte sarò costretto a sterminare le guardie che cercheranno di arrestarmi per ordine del loro sovrano, dopo che avrò finito con loro, assalirò il monarca. Tenendolo poi sotto la minaccia della mia spada, lo costringerò ad inviare Gerud nel carcere con l'incarico di fare liberare Rindella. Costui, però, attenendosi agli ordini precisi che gli avrò impartiti, andrà a liberare la mia futura consorte. Egli non la condurrà a corte; ma la consegnerà ai miei soldati, i quali, come già detto, si troveranno già fuori ad attendere la sua uscita dai reparti carcerari.»

«In seguito, Francide, mi fai capire chi ti darà la garanzia che Gerud si è prestato ad eseguire l'ordine del suo sovrano, quando egli ritornerà a corte per confermarti l'avvenuta scarcerazione della principessa Rindella? Ci fai il favore di spiegarci anche questo pezzo del tuo piano?»

«La risposta è molto semplice, Lucebio. Il braccio destro di Cotuldo dovrà ritornare dal suo sovrano in compagnia di Liciut, il quale mi assicurerà che tutto si è svolto secondo il mio piano, cioè che la mia Rindella è stata liberata. Ovviamente, eviterà di riferirmi che la mia scorta la sta conducendo fuori città nel luogo da noi già stabilito. Così, una volta che ci sarà stata la conferma della scarcerazione di Rindella, io e Liciut lasceremo la reggia in gran fretta, ciascuno con un proprio compito. Mentre io e Rindella proseguiremo il cammino con la nostra scorta alla volta di Actina, l'amico di Polen, di Solcio e di Zipro verrà ad avvertirvi che tutto si è svolto secondo le previsioni. Perciò mi tocca salutarvi già adesso, dal momento che per molto tempo non ci rivedremo più. La stessa cosa farò a Dorinda con quanti mi conoscono e si trovano nella casa del tuo amico Sosimo. Anzi, dovrò pure ringraziarlo immensamente, per aver messo la sua casa per lungo tempo a disposizione della tua donna e della mia adorata principessa.»

Il piano del re Francide aveva riscosso il plauso di Lucebio e di Croscione, avendolo trovato ben congegnato in ogni minimo dettaglio. Perciò, non essendoci stata alcuna critica in merito ad esso da parte loro, subito erano seguiti i caldi abbracci di addio, senza che nessuno dei tre riuscisse a controllare le proprie intense emozioni e a trattenere le copiose e calde lacrime. Pervenuto poi a Dorinda insieme con Liciut e la sua scorta, la quale vi era entrata ancora in ordine sparso per non dare nell'occhio, il re Francide era andato a fare una frettolosa visita a quanti lo conoscevano, i quali si trovavano tutti nella casa di Sosimo. Gli altri, però, non lo avevano accompagnato fino al palazzo del facoltoso Dorindano. Invece, sempre spostandosi in ordine sparso con Liciut che li guidava, si erano condotti nei pressi delle carceri, siccome al momento opportuno vi avrebbero dovuto prelevare la giovane principessa, dopo averla avuta in consegna dall'alto ufficiale Gerud.

L’incontro più commovente del sovrano actinese era stato quello avuto con la donna di Lucebio. Nell'apprendere che per molto tempo non avrebbe più rivisto la sua Rindella, ella gli si era rivolta, piangendo:

«Mi dici, re Francide, come farò a vivere senza avere più accanto la mia principessa, che per me vale quanto la luce dei miei occhi? Ma so che tu lo sai e riesci anche ad immaginartelo!»

«Ti comprendo, Madissa; ma il destino di Rindella è quello di lasciare Dorinda e di venire a fare la regina ad Actina, nella mia reggia, per cui dovrai rassegnarti. Se tu non fossi legata sentimentalmente a Lucebio, la qual cosa ti obbliga a restare a Dorinda al suo fianco, con gioia avrei condotto anche te nella Città Santa, siccome il vederti accanto alla mia Rindella mi avrebbe recato un sollievo immenso. Comunque, per come si sono messe le cose, non priverei mai il mio grande amico Lucebio, che adesso è il tuo uomo, della felicità incommensurabile che egli ha iniziato ad assaporare accanto a te!»

«Allora, re Francide, se nella casa di Sosimo dovrò essere privata della mia carissima Rindella, non c'è più motivo che io vi rimanga. Perciò desidero andare a vivere presso il mio Lucebio. Ma chi mi condurrà da lui, se Solcio, Zipro e Polen non possono ancora lasciare questo palazzo per esaudire il mio ardente desiderio? Me lo dici?»

«Non preoccuparti per questo, Madissa! Incaricherò Liciut di venire a prenderti e di accompagnarti dal tuo saggio Lucebio. Ma ciò potrà avvenire, soltanto dopo che egli si sarà liberato da me. Sei contenta adesso, impagabile tutrice della mia Rindella?»

«Grazie, re Francide, per aver pensato pure a me! Che il divino Matarum vegli sempre su di te, quando ti darai a compiere la tua ardua impresa per liberare la nostra dolce Rindella!»

Poco più tardi, il re Francide aveva lasciato il palazzo di Sosimo, per avere già salutato tutti. Così, dopo meno di mezzora, egli aveva raggiunto la reggia. Vi si era rifatto vivo, poiché doveva incontrarsi con il re Cotuldo, come aveva stabilito in precedenza.


Era stato il comandante della Guardia Reale ad accogliere cordialmente il sovrano della Città Santa, anche se nell'intimo non si mostrava del tutto sereno. Nello scorgerlo, gli era andato incontro premuroso; ma il suo atteggiamento appariva impacciato nei suoi confronti. Le prime parole, che gli aveva rivolte, erano state le seguenti:

«Bentornato, sovrano di Actina! Adesso ti accompagno dal mio sovrano, il quale ti sta aspettando nella sala del trono. Ma prima di giungere in quel luogo, voglio che tu sappia che non condivido affatto l'agire del mio re nei tuoi confronti, poiché lo trovo per niente edificante! Tu meriti rispetto e stima da parte di tutti, specialmente da un tuo pari. Perciò non tollero che ti si tratti nel modo sbagliato dal mio sovrano, come sta facendo, essendo contrari anche i suoi due germani!»

«Grazie, Gerud, per l'ammirazione che provi per me. Comunque, conoscendo il re Cotuldo, non mi meraviglio più di tanto, se egli non si mostra nei miei riguardi come sarebbe tenuto a fare. Ma egli si sbaglia, se crede di riuscire ad avere ragione di me, ricorrendo ad atti di forza oppure facendo la voce grossa. Tra breve dovrò dimostrargli che sono capace di riprendermi quanto mi spetta di diritto e non permetto a nessuno di soverchiarmi in alcun modo! Ma tu, come vedo, lo comprendi benissimo e vorresti che questo giorno non ci fosse mai stato.»

Quando poi entrambi avevano fatto il loro ingresso nell'ampia sala del trono, il re Francide all'istante aveva notato l'agguerrito dispiegamento di forze disposto sulle due pareti laterali. Comunque, non se n'era meravigliato, avendolo già previsto, prima di accedervi insieme con il comandante della Guardia Reale. Il quale, con il breve suo preambolo iniziale da noi udito, in un certo senso, aveva voluto metterlo al corrente delle sorprese che lo attendevano nella sala di udienza. Ma neppure c'era stato il suo disappunto, a causa della presenza di un numero ingente di guardie. Giunto infine davanti al trono regale, dove sedeva il re Cotuldo, ai lati del quale c'erano pure la principessa Lerinda e il viceré Raco, quest'ultimo si era affrettato ad andargli incontro. Dopo averlo raggiunto, abbracciandoselo, gli aveva esclamato:

«Che grande gioia rivederti, sovrano di Actina, amico mio! A dirti la verità, speravo tantissimo d'incontrarti qui a Dorinda, presso la reggia di mio fratello. E così è stato! Almeno in questo, la sorte mi è stata davvero molto prodiga. Perciò la ringrazio sentitamente!»

«La tua apparizione, fortunato amico fraterno del mio Iveonte,» da parte sua, aveva aggiunto la principessa Lerinda «ha procurato anche a me sommo piacere! Spero che fra di noi giammai ci saranno malumori!»

«Posso io asserire il contrario nel riferirmi a voi due, amici miei? No di sicuro! Per certi aspetti, anche a me la vostra presenza in questo luogo mi rinfranca. Infatti, sono convinto che vorrete sposare la mia causa, quando tra poco mi rivolgerò a vostro fratello e gli esporrò le ragioni, che mi hanno condotto qui da lui. In tal modo, grazie anche al vostro intervento, la questione tra noi due si risolverà pacificamente. Ed è quello che più bramo, per il bene di coloro che, senza avere alcuna colpa, oggi potrebbero finire assai male in questa sala, facendo diventare vedove le loro mogli ed orfani i loro figli! Me lo auguro vivamente, cari amici miei, che oggi mi si permetta di non arrivare a tanto!»

Allora, con un'aria seccata, il re Cotuldo era intervenuto a dirgli:

«Quando ti deciderai a rivolgerti a me e a parlarmi da tuo pari, sovrano di Actina, sarà sempre troppo tardi, siccome fino a questo istante sono stato completamente ignorato da te! Mi dici allora perché mai mi hai domandato udienza con una certa urgenza, se poi ti comporti come se io non esistessi? Come giustifichi tale tuo atteggiamento?»

«Se mi sono comportato come hai detto, re Cotuldo, è perché ci sarà stato un motivo. Io rispetto solo le persone che fanno altrettanto con me! Mi spieghi cosa significa questo spiegamento di forze predisposto nella tua sala del trono, in previsione del mio arrivo? Ovviamente, non per applaudirmi, visto che né scorgo né odo dei calorosi battimani, da parte delle tue numerose Guardie Reali! Allora vuoi spiegarmi tu lo scopo della loro presenza in questo posto, se non ce n'era bisogno, non avendo a che fare con un barbaro totalmente privo di buone maniere?»

«Esse ci sono, mio pari, ammesso che tu lo sia per davvero, perché ho voluto io che esse ci fossero. Inoltre, non devo rendere conto a te, nel mio regno, di ogni cosa che decido o non decido di fare. A questo punto, per non tirare troppo per le lunghe quello che ha il sapore di un battibecco, sentiamo ciò che ti ha indotto a rivolgerti a me senza il dovuto rispetto, tra parentesi! Sono qui per fare unicamente giustizia!»

«Stamattina siamo riusciti a trovare Stiriana, la diabolica donna che, insieme con i suoi amici Tricerchiati, aveva stabilito di sacrificare la mia Rindella al loro dio; ma esclusivamente per vendetta personale. Così l'abbiamo costretta a rivelarci la verità sulla loro prigioniera. Secondo la perversa strega, ella aveva fatto arrestare la mia ragazza dai tuoi gendarmi, qualche giorno prima che noi la raggiungessimo. Per questo ora ella si trova nelle tue carceri, quasi fosse una comune delinquente. Quanto poi ad essere un re come te, sappi che io lo sono con la R maiuscola, considerato che regno nella città più prestigiosa dell’Edelcadia, anziché in una città conquistata a tradimento insieme con altri sei sovrani scellerati come te. Inoltre, non mi considero un tuo pari, per il semplice fatto che giammai calpesterei gl'intrinseci valori della giustizia, dell'onore e della dignità umana, come qualcuno di mia conoscenza è abituato a fare in questa città martoriata e nella sua stessa famiglia!»

«Se così fosse, sovrano di Actina, cosa sei venuto a pretendere da me? Dopo le ingiurie che mi hai arrecate, puoi scordarti che io faccia scarcerare la tua fidanzata, al fine di farti un favore! Neppure se tu strisciassi ai miei piedi come un verme, esaudirei la tua preghiera rivolta a farla liberare! Concludo che, in qualità di figlia del re Cloronte, ella resterà rinchiusa nelle carceri della città vita natural durante. E non sarai tu a cambiare il corso del suo destino: puoi esserne certo! Questa è la mia risposta alle tue offese, persona indesiderata nella mia reggia!»

«Ciò è ancora da vedersi, tiranno di Dorinda!» gli aveva gridato contro il re Francide, sguainando all'istante la spada «Sappi che in quel luogo dove la ragionevolezza viene ignorata appositamente, che ben venga allora la forza a dettare la sua legge! Così si smetterà pure di vilipendere e di calpestare la giustizia nella città di Dorinda! La cosa che mi disturba di più è che, a causa della tua follia, dovrò rendere centinaia di famiglie con vedove ed orfani di padre, le quali dopo si daranno al pianto e ad un inconsolabile dolore!»

«Per favore, fratello,» il viceré Raco era intervenuto a fare da paciere «accogli la richiesta del sovrano di Actina, il quale è anche l'amico fraterno di nostro cognato Iveonte! Non costringerlo a fare una carneficina dei tuoi soldati, i quali alla fine moriranno senza un nobile scopo, ma solamente per il tuo gusto di mandarli al macello! Ti rendi conto che sei tu ad avere un torto marcio, a causa del tuo insensato proposito, che insisti a perseguire senza un solo briciolo di senno? Allora sappilo: io non condivido il tuo operato!»

«Nostro fratello Raco ha ragione, Cotuldo.» era stata poi la volta della principessa Lerinda a riprenderlo «Se non ne hai ancora preso coscienza, devi sapere che ti stai comportando come un essere abietto! Nei confronti di chi poi? Della persona che dovrebbe godere del tuo massimo rispetto! Perciò rinsavisci in tempo, fratello, prima che la situazione precipiti! In quel caso, parecchi poveretti qui presenti si troveranno ad affrontare per colpa tua un destino funesto, che la tua pazzia avrà decretato per tutti loro!»

«Invece, fratelli, di sicuro non sarete voi a farmi recedere dalla mia decisione, che oramai ho preso in maniera irrevocabile. Tutti nella città di Dorinda devono rendersi conto che sono io l'autorità in persona, per cui in essa si fa soltanto ciò che viene deliberato da me! Vi assicuro che chiunque intenderà andare contro corrente, rifiutandosi di sottostare alle mie sagge leggi, avrà i giorni contati. Parola del re Cotuldo!»

Rivòltosi poi alle guardie reali in preda al delirio, gli aveva ordinato:

«Arrestatelo, sebbene egli sia un sovrano! Nel mio regno il re di Actina non è nessuno e tale deve essere considerato da voi! Specialmente adesso che egli ha posto mano alla spada con la chiara intenzione d'intimidirmi! Perciò, non essendoci più attenuanti per la sua persona, il re Francide va punito come un criminale comune!»

All'ordine del loro sovrano, le guardie subito avevano sfoderato le loro spade. Fatto ciò, esse avevano iniziato ad avanzare in duplice fila verso colui che intendevano arrestare, l'una dal lato destro e l'altra da quello sinistro. Spostandosi lentamente, le due agguerrite file di soldati cercavano di stringersi alle due estremità e di assumere così una posizione di accerchiamento. Allora il re Francide aveva invitato il viceré Raco ad allontanarsi da lui e a sistemarsi in un posto più sicuro. Dopo egli si era accinto a contrastare l'avanzata di quanti ignoravano a cosa stavano andando incontro. In un primo momento, il sovrano di Actina aveva stabilito di disorientarli, ricorrendo alla micidiale arma della trottola. Per questo, quando mancava poco che le guardie gli fossero addosso, tesa in avanti la spada che impugnava con entrambe le mani, all'improvviso si era dato a giravoltolare con grande rapidità. Eseguendo quel celere movimento su sé stesso, alla fine egli si era reso invisibile alle guardie che lo accerchiavano. In verità, neppure i tre germani di casa reale e Gerud riuscivano più a scorgerlo in quella sala.

Alcuni istanti dopo, però, tutti e quattro avevano iniziato ad assistere ad uno spettacolo inverosimile e truculento, che non avrebbero mai ritenuto possibile da parte di un essere umano. Essi, infatti, non si sarebbero mai aspettato un fatto del genere dall'amico fraterno d'Iveonte, pur attendendosi da lui delle grandi cose in fatti d'armi. Al posto della figura del sovrano di Actina, ad un tratto, essi avevano iniziato a scorgere una forza impercettibile, la quale si dava a seminare tra le guardie reali lo sterminio più incredibile ed irrefrenabile. Poi, mentre lo consumava in mezzo a loro senza un attimo di tregua, essa faceva volare e cadere in ogni parte braccia, gambe, teste e altre parti del corpo dei suoi numerosi assalitori. Nel frattempo una gran copia di sangue vermiglio aveva iniziato a schizzare dappertutto, lordando il pavimento e le pareti della sala d’udienza. Non mancavano neppure le urla disperate di quelli a cui venivano amputati in modo impietoso i vari organi menzionati. Esse, esprimendo la disperazione più desolante nelle guardie gravemente ferite, arrecavano l'inquietudine più sconcertante in quanti assistevano terrorizzati all'immane ecatombe, mostrando in pari tempo un viso terreo. Quanti erano presenti non volevano credere ai loro occhi e speravano che essa terminasse al più presto, pur di privarsi della visione di atti efferati.

Una volta eliminati i tre quarti della guarnigione reale mediante la perniciosa tecnica della trottola, il re Francide aveva deciso di affrontare le restanti guardie reali con un normale combattimento, ricorrendo al solo uso della spada, del pugnale e delle arti marziali. Perciò egli era ritornato ad essere visibile ai suoi avversari e agli altri che facevano da spettatori inorriditi. I quali venivano impressionati dall'ingente caterva di morti, sparsi ovunque per l'ampia sala del trono. A quel punto, il sovrano della Città Santa aveva potuto far mostra della sua formidabile preparazione nelle armi e nelle arti marziali. Essa aveva iniziato a dare il meglio di sé, stupendo grandemente quanti erano presenti all'impari lotta. Benché fosse solo contro le restanti cinquanta guardie reali, egli le assaliva, le scompigliava, le azzannava e le trasformava nelle proprie mani in veri giocattoli. In quel modo le faceva diventare sue vittime, quando lo riteneva opportuno. Ma prima le trattava, come fa il gatto con il topo, negando loro ogni possibilità di sfuggire alla procella dei suoi colpi tremendi, che giungevano ai nemici demolitori ed esiziali da ogni direzione. I suoi spostamenti aerei, che strabiliavano a non dirsi i suoi nemici e ne disorientavano le diverse iniziative, risultavano qualcosa di prodigioso al re Cotuldo, al viceré Raco, alla loro sorella e al comandante della Guardia Reale. Tutti e quattro ne venivano incantati e, nello stesso tempo, ne traevano le debite conclusioni. Ossia, avendo avuto lo stesso maestro d'armi d'Iveonte, il re Francide non poteva mostrarsi da meno, eccellendo come l'amico fraterno nell'ardire, nel combattere e nel mostrarsi all'altezza degli eventi. Nell'esprimersi ad alto livello in ogni sua prodezza e in ogni sua azione offensiva e difensiva, egli appariva un vero fenomeno nell'arte del combattere. Anzi, si trasformava in un'autentica macchina da guerra, la quale senza difficoltà alcuna si mostrava in grado di seminare cumuli di cadaveri in quei posti della sala, che ne restavano ancora privi.

Se prima si era abituati a credere che soltanto Iveonte potesse operare simili miracoli nel combattere, avendo egli più volte dato prova di esserne all'altezza, adesso invece quanti lo pensavano e ne erano persuasi dovevano assuefarsi anche a quest'altra nuova realtà. Essa li invitava a convincersi che pure il re Francide possedeva delle doti miracolose nell'arte del combattere ed egli le metteva in mostra, solo quando la necessità glielo imponeva. Nel qual caso, le sue azioni bellicose sconfinavano nell'impossibile, per cui anche le sue gesta e le sue imprese, senz'altro dal tocco leggendario, potevano presentarsi mirabolanti.

Dopo aver posto fine alla sua mattanza tra le guardie reali, alla quale egli non sarebbe mai voluto arrivare, facendosi strada con la spada in pugno tra la moltitudine dei cadaveri sparsi ovunque, il re Francide si era avvicinato al re Cotuldo. Così, rasentandogli il collo con la punta della sua arma, gli si era rivolto con rabbia, dicendo:

«Adesso ti senti soddisfatto, usurpatore del trono di Dorinda, della carneficina che mi hai obbligato a fare? Essa, se non hai un cuore di pietra, di sicuro ti peserà sulla coscienza come un greve macigno per l'intera tua esistenza. A questo punto, però, se ci tieni alla tua pelle e non vuoi essere sgozzato come un maiale, manda subito il tuo consigliere a liberare la mia Rindella dalla prigione. Ma una volta che l'avrà fatta scarcerare, gli proibisco di condurla qui. Egli dovrà consegnarla ad alcuni miei amici che stanno aspettando nelle vicinanze delle carceri la sua scarcerazione per prelevarla e portarla via in un posto sicuro. Invece sarà uno di loro a venire a corte con Gerud. Egli dovrà assicurarmi che ogni cosa si è svolta come da me ordinato. Solo allora avrai salva la vita, anche se sarebbe meglio che io ponessi fine alla tua ignobile esistenza con una bella decapitazione e permettessi a tuo fratello Raco di sostituirti nel regno. Naturalmente, mi riferisco a quello di Casunna e non a questo di Dorinda, avendo questa città già il suo legittimo sovrano, proditoriamente delegittimato da tantissimi anni!»

Minacciato dalla spada del re Francide, la quale poteva tagliargli la gola o decapitarlo da un istante all'altro, il re Cotuldo aveva dato al suo braccio destro l'ordine di correre a far scarcerare e liberare la principessa Rindella. Allora Gerud non aveva perso tempo a lasciare la sala del trono e a condursi in gran fretta nei reparti carcerari per assolvere l’incarico che il suo sovrano gli aveva affidato, seppure a malincuore.

Nel frattempo, Liciut e la scorta actinese erano in attesa che dal portone del carcere venisse fatta uscire la principessa Rindella, nel caso che non fosse stato il re Francide in persona a condurla con sé in quel luogo. Ma Urimmo non si sentiva tranquillo ed aveva timore che le cose non fossero andate come previste dal suo sovrano. A suo parere, egli si stava avventurando in qualcosa che considerava molto rischioso, anche se glielo avevano descritto come un guerriero formidabile, senza averlo mai visto impegnato in un combattimento contro uno stuolo di armati. Allora l'ex Tricerchiato gli aveva parlato in questo modo:

«Urimmo, cerca di avere più fiducia nel tuo sovrano e non impensierirti affatto per lui. Diversamente da te, io confido nelle possibilità del re Francide, senza lasciarmi sfiorare dal minimo dubbio. Per tale ragione, sono convinto che, quando meno ce lo aspettiamo, vedremo uscire dal portone del carcere la sua futura consorte, poiché Gerud, dopo averla fatta liberare, la condurrà all'esterno e ce la consegnerà!»

Liciut aveva appena finito di tranquillizzare l'Actinese, allorché si era visto aprire il portoncino dell'ingresso, dal quale erano usciti la principessa Rindella e il suo accompagnatore, ossia il comandante della Guardia Reale. La quale adesso poteva considerarsi praticamente azzerata, dopo lo scontro falcidiante avuto con il re Francide. Allora Urimmo non aveva perso tempo a prendere in consegna la principessa e ad allontanarsi da quel posto insieme con gli altri soldati actinesi. Il solo amico di Polen aveva seguito Gerud a corte, dovendo andare a riferire al sovrano della Città Santa che la consegna era stata effettuata regolarmente, senza che ci fossero stati intralci di qualche genere.

Per la verità, la principessa Rindella non aveva accolto di buon grado la notizia che ella sarebbe stata condotta direttamente fuori Dorinda, in un luogo già stabilito dal suo amato, senza prima permetterle di salutare la sua Madissa. All'inizio avrebbe voluto opporsi; poi, stringendosi nelle spalle, aveva deciso di accettare con rassegnazione quanto a cui veniva obbligata. In verità, ella si era rassegnata ad un provvedimento di quel tipo, solo perché esso mirava alla sua sicurezza. Cioè, si era capacitata che, se la sua permanenza in città si fosse protratta più a lungo, sarebbero potuti sorgere per lei dei seri pericoli, che invece era meglio evitare, potendo essi mettere in forse la sua incolumità. Per lei, in quel momento, era importante che non risultasse più ospite del carcere dorindano e che tra breve l'avrebbe raggiunta anche il suo Francide. Il quale aveva intenzione di condurla nella sua Actina per farla diventare la sua amata e riverita regina.

Un quarto d'ora più tardi, il comandante della Guardia Reale e l’ex Tricerchiato si trovavano già nella reggia. Fatto infine ingresso nell’ampia sala del trono, il secondo dei due, restandone allibito, non aveva potuto fare a meno di esclamare a gran voce:

«Di qua è passata la falce della morte, comandante Gerud! Non avevo mai visto prima tanti cadaveri sparsi in poco spazio e nella maniera più orribile! Solo il re Francide ha potuto compiere in questa sala una strage così enorme. Dopo che egli c’è stato costretto, naturalmente, siccome egli è una persona d'indole buona ed onesta!»

Il consigliere del re Cotuldo non gli aveva dato alcuna risposta per ovvi motivi; invece aveva seguitato ad avanzare verso il trono, fino a quando non lo aveva raggiunto con il suo accompagnatore. Allora quest'ultimo, dandosi a parlare con gioia al sovrano della Città Santa, pienamente soddisfatto si era affrettato ad assicurargli:

«Re Francide, la principessa Rindella è stata liberata, come da te ordinato. Adesso i tuoi uomini la stanno portando al sicuro in gran fretta. Essi aspettano che tu li raggiunga, per potervi mettere in viaggio in direzione della remota città di Actina.»

«Allora, Liciut, poiché in questo posto immondo abbiamo finito la nostra missione, possiamo anche sfrattare da qui! Ma prima ho da dire qualcosa a chi siede abusivamente sul trono di Dorinda, avendolo usurpato tempo fa con un infame inganno!»

Rivolgendosi così al re Cotuldo, che mostrava un volto cereo, gli aveva affermato:

«Tu, imbelle di un sovrano, ringrazia tua sorella Lerinda, se ti ho risparmiato, essendo ella la donna d'Iveonte! Ho deciso di lasciare al mio amico fraterno questo ingrato compito, poiché sono sicuro che un giorno egli ci sarà costretto, sebbene tu sia un fratello della donna che adora! Ma sono convinto che l'obbligherai tu a farlo!»

Pronunciate quelle parole, il re Francide, dopo aver salutato con affetto la principessa Lerinda e il viceré Raco, aveva lasciato la sala del trono insieme con Liciut. Pervenuti infine nei pressi delle mura, essi si erano divisi, siccome avevano compiti differenti. Mentre il sovrano di Actina doveva raggiungere la sua scorta che vegliava sulla sua futura regina, l'ex Tricerchiato aveva ben altro da fare. In primo luogo, egli avrebbe portato al palazzo di Sosimo la bella notizia che la principessa Rindella era stata finalmente scarcerata, per cui già stava viaggiando con il suo adorato re verso la Città Santa. Ma era sicuro che sarebbe stata Madissa colei che ne sarebbe stata la più felice. Subito dopo, in compagnia della nobildonna, egli sarebbe corso al campo dei ribelli, per partecipare anche a Lucebio e a Croscione la liberazione della figlia del re Cloronte, poiché tale partecipazione li avrebbe resi colmi di giubilo.

C'era voluto un tempo quantificabile in poco più di un'ora, perché il re Francide raggiungesse la sua desiderata Rindella. Ella lo stava aspettando in un luogo situato ad una decina di chilometri dalla città di Dorinda, per la precisione nelle prossimità dell'ex tempio dei Tricerchiati. Il quale adesso, non essendo più frequentato dagli adepti della setta, restava disabitato o faceva da dimora ad alcuni animali selvatici locali.

Quando i due innamorati si erano ricongiunti, poiché erano trascorsi vari mesi da quando gli eventi li avevano separati, essi si erano dati ad un abbraccio improvviso ed incontrollabile. Mentre si tenevano avvinti intensamente l'uno all'altra, entrambi credevano che stessero sognando, per cui c'era il pericolo che la loro esperienza onirica potesse venir meno, da un momento all'altro. Allora, prima che essa sparisse a loro due, dall'una e dall'altra parte si cercava di approfittare di quei momenti meravigliosi per viverli nel modo più soddisfacente possibile. In quella circostanza incredibile, essi non si accorgevano che degli occhi indiscreti, trovandosi presenti, non potevano astenersi dall'osservarli. Ma l'involontaria indiscrezione da parte dei soldati che li scortavano, era durata poco tempo. Infatti, Urimmo, compreso che la loro presenza in quel luogo risultava alquanto indelicata, aveva fatto segno agli altri di allontanarsi e di lasciare soli il loro re e la loro futura regina.

Vivendo poi i due innamorati quel loro amplesso incantevole, nel quale i baci risultavano infuocati e i tocchi delle mani si rivelavano carezze indicibili, la loro esistenza attuale veniva a svolgersi in un magico incanto, che non conosceva avversità e rincrescimenti. Al contrario, esso si pasceva delle idealità più pure e fantastiche, che sublimavano le loro effusioni ed addolcivano ogni loro emozione con una carica di passione genuina, ardente e vissuta fin nelle midolla. Una volta però che l’evento passionale si era dissolto nell’impercettibile mondo del nulla, dopo averli tenuti stretti in preda ad una magica euforia, senza dare a nessuno dei due la possibilità di esprimersi con parole, era stata la principessa Rindella a parlare per prima al suo dolce tesoro, mettendosi a dirgli:

«Finalmente, mio adorabile Francide, ci ritroviamo di nuovo insieme, per cui possiamo goderci nel mare della gioia, nel fascino delle carezze, nella malia dei desideri. Non sai quanta sofferenza mi hanno arrecato il vedermi e il sentirmi lontano da te, priva del tuo fervido amore e travolta dall'impossibilità di spasimare tra le tue braccia! La tua lontananza per me ha significato la notte più nera, il mare più tempestoso, la crudeltà più atroce ed insopportabile! Adesso mi comprendi, amore mio?»

«Anche per me, mia dolce Rindella, durante l'intero tempo che siamo stati separati, l'esistenza non ha avuto una evoluzione migliore di quella tua. Quando mi liberavo dagli affari di stato, ma di più nelle ore notturne, mi sentivo la persona più sofferente della terra. La tua lontananza mi faceva penare in maniera indescrivibile, senza poter fare niente per sfuggire al mio immenso dolore, che la tua lontananza mi procurava. Purtroppo c’ero costretto a restare ad Actina, poiché mi mancava il tempo materiale di venire a prenderti a Dorinda!»

«Ma adesso, Francide mio, mettiamo una pietra sopra il nostro passato di patemi e di angosce. Trascorriamo il nostro presente sublime in preda alla felicità più grande, in attesa che il nostro roseo avvenire, col passare degli anni, venga a prendersi cura di noi due, proteggendoci con il suo sereno e suggestivo alone! È questo che bisogna fare!»

«Hai ragione, mia saggia Rindella, a pensarla in questo modo! Da oggi in avanti, dovremo badare esclusivamente ad amarci e a bearci di noi stessi, senza che nient'altro tenti di affliggerci. Io sarò il tuo adorato re e tu sarai la mia adorata regina, intanto che condurremo la nostra esistenza umana, in un gaudio indistruttibile e senza fine!»

«Certo che il nostro amore dovrà essere eterno, Francide! Lo vivremo anima e corpo, con entusiasmo e con fervore, senza che più niente e nessuno possa privarcene oppure renderlo in qualche modo privo della sua genuinità e della sua brillantezza iniziali!»

«Adesso, mia cara Rindella, ci conviene intraprendere il nostro lungo cammino verso la nostra Actina. In essa, c'è mia madre, la quale non vede l'ora d'incontrarti e di fare la tua conoscenza; ma soprattutto desidera abbracciarti come una vera figlia! Per questo tra poco comunicherò ai miei soldati che è arrivato il momento di muoverci e d'incamminarci verso la nostra meta. La sua lontananza, ovviamente, ci obbligherà a tanti e vari sacrifici. Essi si faranno avvertire da noi lungo l'intero interminabile percorso che ci aspetta, senza farci sconti e senza mostrarsi clemente nei nostri confronti!»

Di lì a poco, il re Francide aveva dato ordine alla sua scorta di prepararsi per l'immediata partenza. Perciò essa era avvenuta una decina di minuti dopo, essendo i suoi soldati già equipaggiati per il lungo viaggio, fin da quando avevano lasciato l'altopiano dei ribelli ed avevano prelevato Rindella.

A questo punto, perciò, siamo costretti a ritornare indietro nel tempo, però non di molto. Così seguiremo il tragitto di Liciut, dopo che si era separato dal sovrano della Città Santa, al fine di recare il lieto avvenimento a quanti stavano trepidando per l’imminente scarcerazione della principessa Rindella. Perciò la sua prima tappa sarebbe stata il palazzo di Sosimo; mentre la seconda lo avrebbe condotto al campo dei ribelli. Se per gli uni e per gli altri Liciut avrebbe recato la bella notizia riguardante la quartogenita figlia del re Cloronte, invece per il solo Lucebio egli avrebbe avuto in serbo anche un'altra sorpresa, siccome avrebbe viaggiato con lui Madissa, la quale da alcuni mesi era diventata la dolce donna dei suoi sogni.


Com'era logico che avvenisse, la prima tappa dell'ex Tricerchiato era stata la casa del possidente Sosimo. In quel luogo, tre falegnami stavano montando il nuovo portone d'ingresso, poiché il primo era stato bruciato dai Votati alla Morte di Ernos. Quanto alle persone che erano interessate alla sorte della principessa Rindella, naturalmente ci si riferisce ai padroni di casa e a Madissa, egli le aveva trovate tutte nella grande camera dove Solcio, Zipro e Polen trascorrevano la loro convalescenza. Comunque, i tre giovani avevano già iniziato a muovere i primi passi, spostandosi di pochi metri. All'apparizione improvvisa di Liciut, da parte loro, c'era stato un coro di voci, le quali si erano date a chiedergli con insistenza come si erano svolti i fatti alla reggia. Allora l'ex Tricerchiato aveva rasserenato i loro animi, garantendo a tutti che il piano del re Francide aveva funzionato alla perfezione ed aveva dato i frutti da lui sperati. Ciò, nonostante ci fosse stata nel re Cotuldo un'accanita opposizione alla scarcerazione della sua futura consorte. Ma perché la ottenesse, il sovrano di Actina aveva dovuto usare le maniere forti contro chi aveva le sue stesse funzioni in Dorinda. Per cui non si era risparmiato nell'aggiustare per le feste le Guardie Reali che volevano arrestarlo.

Alla sua ultima asserzione, l'acciaccata componente giovanile aveva preteso da lui l'esposizione dei fatti, come si erano svolti a corte in tutta la loro drammatica evoluzione per le sole guardie. Ma il referente non aveva potuto soddisfare la loro richiesta, non essendosi trovato presente al momento del loro svolgimento. Invece, in qualità di testimone oculare, in merito ad essa Liciut aveva potuto fare a loro tre la seguente esatta considerazione: "Amici miei, avresti dovuto vedere l'enorme falcidia che il re Francide già aveva portato a termine nella sala del trono, quando vi ho messo piede insieme con Gerud! Sono rimasto sgomento, a causa dell'ingente caterva di morti che vi si scorgevano. I cadaveri erano disseminati sul pavimento, in ogni sua più piccola parte, per la qual cosa si correva perfino il rischio d'incespicare su di loro, mentre si avanzava in mezzo a tanti corpi esanimi!"

Invece a Madissa, oltre alla liberazione della principessa Rindella, che aveva cresciuta come una vera figlia, era importato apprendere da Liciut se il re Francide gli avesse fatto accenno alla sua propensione a trasferirsi presso il suo uomo, non avendo più da badare alla quartogenita del re Cloronte. Avendone poi avuto conferma, ella era andata subito a prepararsi per il viaggio insieme con lui alla volta dell'altopiano, essendo desiderosa di trovarsi al più presto accanto al suo amato Lucebio.

Quando il tramonto si era appena presentato alla natura, il giovane e l'attempata donna erano già pervenuti al nuovo campo dei ribelli. Una volta sull'altopiano, essi non avevano perduto tempo a condursi all'alloggio del loro capo, al quale la presenza di Madissa era risultata una gradita sorpresa. Comunque, prima di darsi ad abbracciarla con ardore, Lucebio aveva preteso da Liciut che gli raccontasse come si erano svolti i fatti nella reggia. Appreso poi con gioia quanto il re Francide a corte era stato in grado di compiere e di ottenere con la forza per il bene della principessa, egli si era rasserenato. Ma anche si era affrettato a congedare il giovane, per privarsi in quei momenti del terzo incomodo. Così, rimasto solo con la sua donna, costei non gli aveva dato la possibilità di darle con parole il suo caldo e cortese benvenuto. In un attimo, ella lo aveva cinto con le sue braccia, iniziando a baciarselo in ogni parte del volto, benché la maggior parte di esso fosse coperto da una lunga e brizzolata barba, la quale si presentava ben curata. Anche Lucebio, con minore intraprendenza e con passionalità moderata, aveva risposto alla sua iniziativa di scottante amore. Essa lo aveva pervaso senza parsimonia di efficace gestualità e di esplosivo sentimento amoroso. Perciò egli, nei limiti della morigeratezza, aveva cercato di corrispondere all’esuberante passione di lei.

Una volta che in loro ogni moto del cuore si era esaurito, la qual cosa aveva fatto cessare in entrambi l'impeto sentimentale che era risultato equilibrato nell'uno e focoso nell'altra, i due innamorati si erano dati ad una conversazione piacevole. Essa aveva riguardato la principessa Rindella, dal momento che i suoi destini non potevano che calamitare il loro interesse più di ogni altra persona al mondo. Era stata Madissa ad esprimersi per prima, dicendogli:

«Oggi mi sento la più felice della terra, mio caro Lucebio! Sono due i motivi che mi spingono ad esserlo. Il primo è quello di sapere che la mia Rindella adesso si trova al sicuro sotto la protezione del suo Francide. Egli la sta conducendo nella sua reggia di Actina, dove la farà diventare sua regina. Il secondo, invece, è quello che mi sta dando la possibilità di vivere accanto a te, giorno e notte, ogni istante della mia esistenza. Da oggi in poi, quando al mattino aprirò gli occhi, ti scorgerò sempre accanto a me. Ciò mi riempirà di letizia e mi farà iniziare la giornata con il bel tempo dell'animo. Anche per te, ne sono convinta, sarà la stessa cosa: è vero, tesoro mio?»

«Difatti, mia amorevole Madissa, lo sarà senza alcun dubbio. Rindella, come dovresti sapere, occupa il primo posto nelle mie preferenze, riferite esse sia alle persone che alle cose. Ma sono certo che ho il tuo perdono, nell'anteporla anche a te! Quanto poi al tuo trasferimento presso il mio alloggio, esso mi potrà regalare unicamente una felicità immensa, dal momento che la tua perenne compagnia rallegrerà il mio cuore e ravviverà la mia anima, come non è mai avvenuto. Da questo istante, le mie ore non trascorreranno solo nel silenzio delle mie riflessioni; invece ogni tanto saranno allietate dalla tempesta delle tue moine. A tale riguardo, sono sicuro che me le dispenserai a iosa e senza freno!»

«Stanne certo, amore mio, che mi dedicherò ad esse anima e corpo, senza mai stancarmi, nonché con la devozione più profonda. Inoltre, non hai bisogno che io ti perdoni, per il fatto che Rindella per te conti più di me, considerato che anche per me ella è in cima alla lista delle persone più amate da me. Perciò tu, per forza di cose, vieni ad occupare il secondo posto; ma sono certa che neanche tu te ne rammaricherai. Adesso, però, è giunto il momento di pensare alla cena, poiché inizio ad avvertire un languorino allo stomaco, il quale non mi fa stare tranquilla. Per caso, puoi già anticiparmi qualcosa sul pasto di stasera? Si dice che tu sia pure un ottimo cuoco, oltre a personificare la saggezza!»

«Circa la mia bravura nell'arte culinaria, Madissa, non te la voglio confermare, poiché dovrai essere tu a stimarla come tale. Quanto alla cena di oggi, essa dovrà risultarti una vera sorpresa; però non dovrai starmi tra i piedi, mentre mi darò a cucinare tutto solo! Intesi?»

Comunque, da buon intenditore qual era della cucina, Lucebio aveva superato brillantemente la sua prova inerente al pasto serale. Per questo si era guadagnato l'apprezzamento e la stima della sua donna, poiché ella lo aveva trovato un eccellente cuoco.

Avendo riportato i fatti che si erano svolti presso il gruppo degli Actinesi, presso il palazzo di Sosimo e presso l'alloggio di Lucebio, adesso non possiamo esimerci dal conoscere quelli avvenuti presso la reggia di Dorinda, dopo che il re Francide l'aveva lasciata insieme con Liciut. Così dopo ci metteremo a seguire il sovrano actinese e la sua futura consorte, mentre si affrettavano a raggiungere la remota Actina con la loro scorta.

Ebbene, andati via il re Francide e Liciut, fra i tre germani era seguita una specie di baruffa familiare, ma non nella sala del trono, dove invece, per espresso ordine del re Cotuldo, si era proceduto alla rimozione degl'innumerevoli cadaveri da parte di un consistente numero di soldati. I quali, servendosi di carri, dopo averli traslati nella necropoli, li avevano gettati in una fossa comune, senza che venissero prima degnati delle estreme onoranze funebri. L'operazione era terminata all'imbrunire ed aveva comportato una fatica enorme per coloro che l'avevano dovuta effettuare. Essi, per forza di cose, erano stati obbligati a portare le salme a spalla dalla sala del trono ai carri, i quali ovviamente si trovavano all'esterno della reggia, appunto per riceverli e portarli via.

Ritornando poi al sovrano e ai suoi fratelli, essi si erano trasferiti nel patio, dove avevano dato inizio ad una discussione burrascosa, siccome erano numerose le rimostranze che Raco e Lerinda avevano da fare al fratello re. Infatti, una volta che si erano ritrovati nel nuovo ambiente situato all’esterno, senza che ci fossero degli occhi indiscreti, era stato il viceré di Casunna a sbottare e a lagnarsi contro il germano maggiore:

«Adesso sei contento, Cotuldo, di aver provocato l'eccidio di tanti tuoi soldati innocenti? Dovrai averli a lungo tutti sulla coscienza, ammesso che tu ce l'abbia! Spero che i più tremendi rimorsi vengano a farti visita stanotte, privandoti del sonno ristoratore! Allora mi dici a cosa è valsa la tua autorità, che il re Francide giustamente ha voluto calpestare, dopo che ti sei rifiutato di essere equanime nei confronti della principessa Rindella? Agendo in questo modo, alla fine ciò che tu hai voluto negargli con le buone, egli si è preso con le cattive, contro la tua assurda volontà di non accontentarlo!»

«Credi tu, fratello, che la questione con il re Francide sia finita qui? Non pensarlo neppure lontanamente! Prima di sera, invierò sette piccioni viaggiatori diretti uno a Casunna e gli altri sei alle città nostre alleate. Essi recheranno al tuo consigliere Merion e ai sovrani di tali città l'identico mio messaggio. Il quale li inviterà ad intercettare, sui loro territori e con almeno un migliaio di soldati a disposizione, il sovrano di Actina e la sua scorta. Gli stessi dovranno ricercare ad ogni costo gli Actinesi, arrestarli ed incarcerarli. Solamente allora potrà dirsi chiusa la mia vertenza con il vostro amico!»

«Come vedo, Cotuldo, insisti a perseguitare il re Francide e la principessa Rindella. Ma io non sono d'accordo e trovo ingiusto ciò che ti proponi ancora di fare contro di loro. Perciò, non approvando la tua condotta, che giudico insensata e riprovevole, domani ripartirò per Casunna. Lo farò, sebbene io non abbia ancora smaltito la stanchezza accumulata nel viaggio che ho appena affrontato, venendo qui da te!»

«Anch'io la penso alla stessa maniera di Raco, Cotuldo.» la principessa Lerinda si era accodata al fratello viceré «Perciò, non sopportando più la tua condotta del tutto folle, mi costringi a lasciarti e a seguire il mio fratello giudizioso a Casunna. Almeno nella nostra città trascorrerò delle giornate più serene e meno vomitevoli!»

«Prendete pure le decisioni che volete, voi due! Ma vi garantisco che esse non mi faranno né caldo né freddo! Mi costringeranno soltanto a preferire Croscione a voi, fratelli, visto che egli mi dà più soddisfazioni del mio sangue. Se egli non fosse cieco, lo nominerei subito viceré di Casunna e mi priverei della collaborazione di un fratello, il quale non ha mai voluto condividere il mio operato: in nessuna circostanza!»

Con quelle ultime parole del re Cotuldo, si era posto termine alla discussione che si era avuta fra i tre fratelli di casa reale. Essa, come ci siamo resi conto, aveva visto contrapposti il sovrano di Dorinda da una parte e i restanti componenti della famiglia reale dall'altra. Perciò non ci resta che spostarci sull'altro fronte della nostra storia infinita, dove potremo seguire da vicino la comitiva degli Actinesi che sono diretti alla loro Città Santa, la quale si trovava agli estremi confini orientali della vasta regione edelcadica.