416°-A CORTE RIUNIONE DI FAMIGLIA CON BARUFFA

Nel pomeriggio di quello stesso giorno, a pranzo ultimato, i due fratelli e la sorella di casa reale si erano ritrovati a conversare insieme. Essi si erano trasferiti nel parco della reggia per passeggiarvi e favorire così la loro digestione. Tale luogo, a causa della primavera avanzata, si presentava oramai con gli alberi in pieno rigoglio e con le piante sovrabbondanti in fioritura. Per cui i loro fiori dai vivaci colori lo rendevano di una bellezza incomparabile, oltre che fragrante di gradevoli aromi, i quali si espandevano in ogni angolo. Dei tre germani, era stata Lerinda ad esprimersi per prima in questo modo:

«È bello ritrovarsi ogni tanto insieme, fratelli, per esprimerci i nostri pensieri e palesarci le nostre vedute, intanto che facciamo serenamente due passi! Quando siamo in compagnia e ci mettiamo a conversare, mi sembra di rivivere il lontano passato, come se ci fossero presenti anche i nostri genitori ad ascoltarci e a compiacersi dei nostri discorsi. Perciò mi sento prendere da una vampa piacevole di dolce focolare domestico. Un tempo esso riusciva perfino ad infondermi un certo che di elettrizzante e di magico, facendomi sognare tante belle cose!»

«Anch’io, sorella,» Raco aveva interloquito «ritengo molto positivi e costruttivi questi incontri tra noi familiari. Ma non avverto neppure un poco di quanto hai dichiarato di provare in una simile circostanza. A tale proposito, vorrei conoscere il parere di nostro fratello Cotuldo. Magari egli avrà una sua opinione personale, la quale potrebbe discostarsi nettamente dalla tua e dalla mia; però è lui che ce lo deve confermare.»

«Per favore, Raco,» gli aveva risposto il fratello sovrano «tu e tua sorella non fatemi intervenire in un ragionamento, che trovo davvero stolido, oltre che ridicolo, melenso e patetico! Se avevate intenzione di aprire un discorso del genere dopo pranzo, che potrebbe perfino bloccarmi la digestione, voi due potevate pure restarvene in disparte. Così avreste fatto in santa pace la vostra commovente chiacchierata, perché voi ci siete abituati a parlare dei fatti vostri senza la mia presenza!»

«Ehi, fratello,» lo aveva ripreso Lerinda «ci dici cos’è che oggi ti fa avere la luna? Quali pensieri ti turbano e non ti fanno stare tranquillo, per cui te la prendi con noi? Sappi che la tua reazione offensiva fuori luogo non mi è affatto piaciuta! Sono sicura che pure al nostro germano Raco essa è risultata incomprensibile, non potendo essere altrimenti!»

«Si vede, Lerinda,» aveva aggiunto il viceré di Casunna «che egli non sta gradendo la nostra compagnia e cerca di sbarazzarsi di noi al più presto. Ci sarà di certo qualche serio motivo, se egli mira a perseguire tale obiettivo! Non è forse vero, Cotuldo, che ho ragione?»

«Se ritenete che io vi abbia offesi, miei cari Lerinda e Raco, allora vi chiedo scusa, poiché non era mia intenzione risultarvi offensivo. Probabilmente, anche se non me ne accorgo per niente, ci sarà dentro di me un certo nervosismo, il quale non mi fa comportare con voi come dovrei. Perciò scusatemi e permettetemi di congedarmi da voi, poiché in questo modo andrò a recuperare un po’ di calma con un dolce pisolino!»

Il re Cotuldo aveva appena finito di esprimersi in quel modo con i due germani e stava per lasciarli soli, allorché si era presentato a loro tre il comandante della Guardia Reale. Egli, mostrandosi prima molto riverente all’intero terzetto regale, si era poi rivolto al solo suo sovrano. Così, apparendo un po’ confuso, gli aveva annunciato:

«Sire, è giunto il re Francide nella reggia. Egli insiste a volere essere ricevuto da te. Devo accompagnarlo in tua presenza oppure non sei disposto a concedergli udienza? Dimmi tu come devo comportarmi con il sovrano di Actina, il quale sta aspettando nel mio ufficio.»

Alla notizia del suo braccio destro, il re Cotuldo dapprima era rimasto molto perplesso, non sapendo cosa rispondergli, a causa della presenza dei due consanguinei. Dopo, turbandosi, aveva esclamato:

«Questo pomeriggio ci voleva anche la visita di quel grande scocciatore per rovinarmi ancora di più la digestione!»

Divenuto poi alquanto pensieroso, aveva risposto al suo consigliere:

«Gerud, sai cosa ti dico? Per il momento, evita di condurlo da me, facendogli presente che sto schiacciando il mio abituale pisolo pomeridiano. Aggiungigli anche che, siccome non posso riceverlo adesso, gli converrà ripassare fra due ore. Ma una volta che te ne sarai liberato, ritorna da me. A quanto pare mi toccherà darti delle disposizioni in merito a lui, anche se mi rincresce! Intesi?»

«Re Cotuldo, farò esattamente come mi hai detto! Ma se egli mi manifestasse l’intenzione di volersi incontrare con il viceré Raco oppure con la principessa Lerinda, considerato che ha ottimi rapporti con l'uno e con l'altra, in tal caso come dovrò comportarmi con il sovrano di Actina? Vorrei saperlo, prima di essere di ritorno da lui!»

«Allora gli riferirai le stesse cose, Gerud, ossia che stiamo tutti e tre facendo il nostro sonnellino di dopopranzo. Come vedi, la risposta, che dovrai dare al re Francide sul mio conto, sarà la medesima anche in riferimento a mio fratello e a mia sorella. Adesso vai e fammi sapere al più presto come te la sei cavata con lui! Ti rammento che dopo ti voglio presso di me, principalmente per concordare insieme il modo di accoglierlo, quando egli si ripresenterà a corte tra un paio di ore.»

Mentre ascoltavano le due risposte date dal loro fratello al comandante della Guardia Reale, il viceré Raco e la principessa Lerinda non volevano credere alle loro orecchie. Com’era possibile che egli, nei riguardi del re Francide, il quale era anche l’amico fraterno del cognato Iveonte, stesse assumendo un atteggiamento del genere? Il fatto appariva ad entrambi inconcepibile e non riuscivano a spiegarselo in nessun modo. Perciò ognuno di loro sarebbe voluto intervenire per contestarglielo; però la presenza di Gerud li aveva frenati.

Quando poi il comandante della Guardia Reale si era allontanato dal patio e li aveva lasciati soli, per portare la risposta al sovrano di Actina, era stato il viceré Raco ad assalire per primo il fratello re. Egli lo aveva ribattuto con foga e con sdegno, esprimendosi a lui in questo modo:

«Non mi spiego, Cotuldo, perché mai non hai voluto ricevere a corte il re Francide. Se lo vuoi sapere, il suo incontro avrebbe fatto molto piacere anche a me e a nostra sorella Lerinda! Inoltre, hai negato pure a noi la possibilità d’incontrarlo, come se fossimo due tuoi ostaggi! Ma ti senti bene, fratello, per comportarti in questa maniera? Per favore, ci dici cos’altro c’è sotto, che ti ha spinto ad assumere un simile atteggiamento verso chi merita molto rispetto da noi? Desidero saperlo!»

«Anch’io sono immensamente adirata, Cotuldo,» Lerinda si era unita al fratello Raco «per non aver voluto ricevere subito a corte con il dovuto onore l’amico fraterno del mio Iveonte. Egli adesso è anche un sovrano con maggiore prestigio di te, essendo divenuto re di Actina. Perciò devi una spiegazione sia a Raco che a me, per il tuo folle comportamento, il quale ci ha del tutto spoetizzati!»

«Un sovrano non deve spiegazioni a nessuno, anche quando a richiedergliele sono i suoi due fratelli! Perciò adesso voi due avete capito come stanno realmente le cose! In avvenire, dunque, cercate di non dimenticarlo, se non volete essere trattati da me come persone estranee! In qualità di sovrano di Dorinda, nel mio regno decido e faccio tutto ciò che è di mio gradimento, senza che qualcuno, fosse egli anche un mio pari, osi contrastarmi oppure disapprovare il mio operato! Vado io forse negli altri regni a dire ai rispettivi sovrani quello che devono o non devono fare? Certo che no, come sapete!»

La reazione del fratello, che li aveva sia stupiti che indispettiti, aveva fatto restare Raco e Lerinda senza parole. Lì per lì, essi trovavano difficoltà ad affrontare la nuova situazione, quella che mai si sarebbero aspettata da lui. Entrambi erano indecisi se rispondergli a caldo e con altrettanta asprezza oppure attendere l’arrivo del re Francide a corte, per allearsi poi con lui nell’assalirlo con il tono dovuto. Alla fine essi avevano deciso di far prevalere in loro due la seconda opzione, ritenendola la più giusta, allorché il comandante della Guardia Reale si era ripresentato a loro tre. Naturalmente, egli si era ancora rivolto al suo sovrano e gli aveva affermato:

«Mio re, almeno per il momento, ci siamo sbarazzati del sovrano di Actina, nel modo che mi hai suggerito. Ma devo farti presente che egli è rimasto alquanto incredulo, oltre che seccato, circa la scusa che mi hai consigliato di addurre a lui. Specialmente poi, quando si è visto negare anche l'incontro con i nobili tuoi germani!»

«In che senso, Gerud? Non mi dire che gli hai dato modo di annusare che gli stavi mentendo, dandogli ad intendere anche che appositamente non ho voluto riceverlo a corte con i riguardi che egli si attendeva! Spero proprio che non sia stato così!»

«Io non c’entro, sire: dovresti saperlo benissimo! Secondo me, a farglielo sospettare, invece, può essere stato il motivo per cui egli è venuto a chiederti udienza!»

«Come fai ad esserne certo, Gerud? Il re Francide te lo ha forse fatto capire? Oppure è una tua mera congettura, la quale ti ha condotto a ragionare come hai detto?»

«Re Cotuldo, il sovrano di Actina non mi ha detto apertamente che diffidava di quanto ero andato a riferirgli. Ma il suo disappunto è stato molto eloquente, avendolo esternato con le seguenti parole: "Senz’altro sarò qui tra due ore: contaci! Se poi il tuo re lo ha fatto apposta a non darmi udienza, la sua è stata una pessima idea! Quando ritornerò, non gli consentirò un altro pretesto per non ricevermi a corte. Sappia egli che l’obbligherò ad incontrarmi anche contro la sua volontà!"»

«Davvero, Gerud, si è espresso con tali frasi, riferendosi a me?»

«Senza ombra di dubbio, maestà! Egli è pure apparso assai determinato, mentre pronunciava le sue parole di sfida! A mio avviso, quando egli si ripresenterà alla reggia, ti converrà fare buon viso a cattivo gioco, ricevendolo con la massima naturalezza. Anche perché noi due neppure siamo sicuri che egli verrà a pretendere da te quanto immaginiamo! Il motivo potrebbe anche essere un altro a noi ignoto!»

«Non lo credo più, Gerud, dopo avermi riportato le parole che egli ti ha riferito. Ad ogni modo, gli darò udienza, come mi hai suggerito. All'interno della sala del trono, però, gli faremo trovare un dispiegamento di forze tale, da convincerlo che chi detta leggi in Dorinda sono soltanto io! Ci penserai tu a sistemare le tue guardie, prima del suo arrivo. Esse dovranno essere non meno di due centinaia. Mi sono spiegato bene?»

«Se questo è il tuo ordine, sire, sarà fatto. Ma permettimi di chiarirtelo: non credo che la tua sia una buona idea! Così facendo, predisporrai l'animo del re Francide ad un clima conflittuale, già subito dopo aver messo piede nella sala delle udienze! In quel caso, come prevedo, dovremo aspettarci da lui il peggio che potrà egli rivelarsi, ossia di un'entità catastrofica non comune! Perciò t'invito a rivedere la tua rigida presa di posizione, che potrebbe avere dei risvolti inimmaginabili anche nei tuoi confronti! Pur di giungere a te, egli sarebbe capace di seminare un mucchio di cadaveri nell'intera tua reggia!»

«Credi che tale fatto m'importi, Gerud? Egli potrà pensare ciò che vuole sulla mia iniziativa; ma non gli permetterò d'ignorare che sono io il sovrano di Dorinda. Per cui sta solo in me l'autorità di decidere le sorti dei Dorindani, oltre che di quei forestieri che si trovano a transitare sul mio territorio, in qualunque veste vi si presentino!»

A quel punto, il viceré Raco, fingendo d'ignorare il nocciolo della questione intavolata dal fratello e dal suo consigliere, aveva desiderato saperne qualcosa di più, dicendogli:

«Mi fai la cortesia, Cotuldo, di mettermi al corrente di ogni cosa riguardante la vostra discussione? Come mai il re Francide, che è anche un mio amico, è stato da voi tirato in ballo in essa, quasi fosse un acerrimo tuo nemico? Posso sapere quando e perché è nata tale conflittualità fra te e lui? Eppure una cosa del genere non sarebbe mai dovuta verificarsi tra voi due, in quanto siete rispettivamente cognato ed amico fraterno d’Iveonte! Sono certo che pure nostra sorella è del mio medesimo parere e vorrebbe comprenderci qualcosa anche lei su quanto sta succedendo. Allora vuoi essere gentile ed informarci su ogni cosa?»

«Ne vorrei essere messa a conoscenza anch'io, Cotuldo, come giustamente poco fa ti ha fatto presente Raco.» aveva acconsentito la principessa Lerinda «Comunque, trovo assurdo che tra la nostra famiglia e il re Francide siano sorti dei dissapori, i quali non sarebbero mai dovuti esserci! Perciò attendiamo la tua risposta, fratello!»

«Ebbene, miei curiosi germani, visto che volete saperlo con insistenza, eccomi ad informarvi delle ultime novità che ci sono state a corte! Qualche giorno addietro, dopo avercela indicata come la quartogenita dell'ex re Cloronte, una persona ci ha permesso di arrestare la ragazza del re Francide, ossia la principessa Rindella. Come tale, quindi, ella non può che meritare la prigione, anche se è la promessa sposa del sovrano di Actina. Per questo ho deciso di agire di conseguenza, reputando mio dovere procedere al suo arresto. La ragazza rappresentava in Dorinda una concreta minaccia alla mia corona. Così, pur di non farlo sapere a nessuno, ho ritenuto opportuno tenere nascosta a tutti la sua segregazione. Questi sono i fatti che avete voluto conoscere!»

Dopo esserne stato messo a conoscenza, il viceré Raco prima di tutto si era rivolto al comandante delle Guardie Reali, pregandolo di congedarsi da loro, non essendo più richiesta la sua presenza nel patio. Allora Gerud non aveva tardato più di un secondo nell'accomiatarsi dai tre germani di casa reale e nel lasciarli soli. Così, una volta che erano rimasti senza la compagnia di nessuno, il viceré di Casunna aveva assalito Cotuldo assai adirato, dandosi a dirgli:

«Prima di ogni altra cosa, fratello, mi duole rinfacciarti che hai commesso un grosso errore a fare arrestare la principessa Rindella, dovendo ella andare in moglie al sovrano della Città Santa. Mi dici quale pericolo avrebbe potuto rappresentare per te, se ella andava a fare la regina nella remotissima Actina? Inoltre, giammai avresti dovuto farlo, sapendo che la principessa era la fidanzata dell'amico fraterno di tuo cognato Iveonte. Egli, in qualità di guerriero invincibile, stanne certo che non si lascerà intimorire da te, pur essendo tu un re. Già Korup, facendoti presente che non temeva i tuoi soldati, ti dimostrò che era anche capace di farne una grande strage. Se non ci fosse stato Iveonte in quella circostanza nella sala del trono a prendere le nostre difese e a levarci le castagne dal fuoco, avrei voluto vedere come noi ce la saremmo cavata! Perciò il re Francide, se è stato messo al corrente dell'arresto della sua futura consorte, tra poco ritornerà qui a pretendere la sua liberazione. Sappi che non saranno i tuoi soldati a spaventarlo e a fermarlo; ma causerai solo la loro morte, pur essendo delle persone senza colpe!»

«Fratello Raco, Francide non è Korup, quell'infernale essere che ancora mi capita di sognare alcune notti! Perciò i miei soldati avranno di sicuro la meglio con lui e gli faranno ringoiare la sua baldanza, se proverà a fare il gradasso con me! Quindi, egli non mi costringerà a liberare la figlia di Cloronte, ma metterà solo a rischio la propria vita, se avrà la pretesa di farmi agire come non penso e come non voglio! Puoi esserne certo che avverrà come ti sto dicendo!»

«Ammesso pure che tu l'avrai vinta con il re Francide, Cotuldo, dopo come la metterai con Iveonte? Oppure credi che ti andrà bene anche con lui? Questo te lo puoi scordare! Egli, oltre ad essere il guerriero più formidabile del mondo, è anche protetto dalle divinità benigne, come già ha ampiamente dimostrato. A parte la guarigione di nostra sorella Lerinda, operata in brevissimo tempo in questo stesso luogo dal suo anello taumaturgico, dovresti sapere qualcosa anche della sua spada miracolosa, la quale ti ha anche impedito di portare a termine una tua iniziativa contro di lui!»

«Tu farnetichi, Raco, nel fare un'insinuazione del genere sul mio conto! Io non avrei mai intrapreso alcuna azione lesiva contro il mio invincibile cognato. Per amore di nostra sorella Lerinda, non mi sarei mai permesso! Mi dici allora in quale circostanza e in quale maniera avrei cercato di nuocergli? Adesso lo voglio sapere!»

«Ci tengo a saperlo anch'io, Raco.» la principessa Lerinda aveva aggiunto subito dopo «Comunque, voglio precisare un particolare su quanto ha dichiarato nostro fratello. Egli si sarebbe astenuto dal mettersi contro Iveonte non per amor mio, come ha detto; ma solo per paura di essere poi punito da lui! E su questo non ci piove!»

«Ne sono convinto anch'io, sorella.» aveva ripreso a parlare il viceré Raco «Adesso, visto che non vuole ammettere la sua colpa, fammi dimostrare a nostro fratello che ho davvero ragione e non deliro. Ma perché io gli fornisca la dimostrazione che gli farà avere torto, ho bisogno di rivolgerti prima una domanda. Posso fartela, Lerinda?»

«Fammela, Raco. Così dopo ti risponderò senza alcuna difficoltà!»

«Ti ricordi, Lerinda, quando sei venuta a Casunna insieme con Iveonte e i suoi amici, i quali dovevano poi ripartire per Actina? Allora c'erano pure Rindella e la tua nutrice Telda.»

«Lo rammento senz'altro, Raco! Ma cosa c'entra la nostra visita a Casunna con quanto Cotuldo avrebbe fatto di male contro il mio fidanzato Iveonte? Me lo vuoi spiegare?»

«Invece tra poco vedrai che c’entra, sorella: eccome! Ma è meglio procedere con ordine. Ricordi pure che portasti con te un plico sigillato, da parte di nostro fratello, che avresti dovuto consegnare direttamente nelle mani del mio consigliere Nerso e che invece dopo fui io ad effettuare la consegna al posto tuo, per tua decisione?»

«Rammento bene pure questo, Raco! Non mi dire che allora venisti al corrente di ciò che c'era scritto nel misterioso plico! Se lo facesti, commettesti un grave errore!»

«Invece, sorella, lo feci solo dopo la sua morte, volendo conoscere chi lo aveva costretto ad agire in modo ignobile. Così venni a sapere che Cotuldo, con il suo messaggio, comunicava a Nerso di volergli assegnare la carica che Croscione ricopriva prima di diventare cieco. In cambio, egli, durante l'unica notte a sua disposizione, avrebbe dovuto sottrarre la spada al tuo Iveonte e portargliela a Dorinda. Se si fosse rifiutato di ubbidire, nostro fratello avrebbe considerato il suo rifiuto un affronto alla sua persona e non se lo sarebbe mai più dimenticato. Invece sappiamo come in seguito andarono le cose. Il poveretto fu punito dall'arma, che lo fece bruciare vivo!»

«Perché mai, Raco, in quella circostanza non mi mettesti a conoscenza di quanto nostro fratello Cotuldo aveva preteso da Nerso? Allora il tuo secondo consigliere, come apprendo oggi, fu l'unico a subirne le conseguenze, pur essendoci stato obbligato dal proprio sovrano a commettere un reato così infamante! Mi dispiace per lui!»

«Non te lo dissi, Lerinda, perché ero convinto che avresti raccontato ogni cosa al tuo adorato Iveonte. Ed io non volevo che egli venisse a conoscenza di quest'altra scelleratezza tramata in seno alla nostra famiglia, la quale avrebbe accresciuto il marciume che già vi abbondava. Sì, esso vi si è trapiantato, dopo che i legittimi regnanti di Dorinda turpemente furono spodestati da nostro fratello e dagli altri sovrani edelcadici, i quali lo assecondarono nella vituperosa impresa! Adesso mi comprendi, sorella: vero?»

«Hai proprio ragione, Raco! Perfino nostro padre cercò di farmelo comprendere in uno dei miei sogni. A questo punto, nostro fratello sta aggravando di più la sua condotta etica con il suo comportamento disdicevole. Se non si ravvederà in tempo, quando Iveonte ritornerà dal suo viaggio, egli andrà incontro ad una brutta fine!»

Se fino a quel momento il re Cotuldo se n'era rimasto muto come un pesce, alle ultime parole della sorella, egli si era deciso a ribellarsi e a voler comprendere meglio perché ella aveva chiamato in causa il suo fidanzato, come se egli c'entrasse in qualche modo con la principessa Rindella. Per questo li aveva ripresi, dandosi a dire:

«Lo sapete, fratelli, che adesso mi state scocciando con i vostri sermoni recriminatori? Mi state quasi dipingendo come la persona più abietta e più cattiva di questo mondo! E tu, Lerinda, vuoi spiegarmi il motivo per cui hai tirato in ballo anche il tuo Iveonte? Perché dovrò temerlo, dopo che sarà ritornato dal suo intrapreso viaggio? Non ho compreso il senso delle tue parole e vorrei che tu me lo spiegassi!»

«La mia risposta, Cotuldo, non ti giungerà gradita. Quasi sicuramente Iveonte, quando ritornerà dall'isola di Tasmina, sarà a conoscenza che egli è il primogenito degli spodestati regnanti di Dorinda. Di conseguenza, si ritroverà ad essere anche il fratello di Rindella, la fidanzata del suo amico fraterno. Se non escludiamo che egli possa essere andato prima in Berieskania a trovare i suoi parenti, probabilmente il suo ritorno da Tasmina lo vedrà alla testa di un potentissimo esercito beriesko, il quale sarà capace di far tremare l'intera Edelcadia, come già aveva fatto tanti anni prima!»

«Chi ha messo in giro questa fandonia sul conto del tuo fidanzato, Lerinda? Come sei venuta a sapere della sua vera origine? Allora perché Iveonte è partito ugualmente, pur circolando una voce del genere in Dorinda sul suo conto? Secondo me, tale assurda diceria è solo un controsenso, del tutto difforme dalla verità!»

«Se vuoi pensarla in questo modo, Cotuldo, nessuno te lo vieta. Al posto tuo, invece, comincerei a fare l'unica cosa saggia possibile. Vuoi sapere quale? Me ne andrei a fare il re a Casunna e lascerei a regnare su Dorinda il re Cloronte, che tieni rinchiuso nelle carceri casunnane insieme con la consorte. Solo così eviteresti la vendetta d'Iveonte, il quale ti farebbe grazia della vita per mia intercessione!»

«Lerinda ha ragione, fratello.» aveva approvato il viceré Raco «Al posto tuo, farei quanto ella ti ha consigliato, prima che sia troppo tardi! Pensaci bene oggi, Cotuldo, se non vorrai trovarti in cattive acque domani con l'avvento del funesto cataclisma che nostro cognato darà origine nell'Edelcadia per soli motivi di vendetta!»

«Invece, fratelli, che bramate solo la mia rovina, mai e poi mai farò quanto mi suggerite, tradendo il vostro stesso sangue! Io non temo nessuno e neppure Iveonte! Che egli, quando ritornerà dal suo viaggio, ci provi pure a privarmi del trono di Dorinda! Vedremo se ne sarà capace, una volta che avrò avuto anche gli aiuti da parte degli altri sovrani miei alleati! Al contrario, sarà lui a scavarsi la fossa con le proprie mani, se ci tenete a saperlo! Quando tra poco si presenterà ancora il suo amico fraterno, darò già a lui un saggio della mia autorità e lo farò pentire, se oserà mancarmi di rispetto! Adesso vi lascio, miei indegni fratelli; ma vi prometto che nel frattempo soppeserò la vostra situazione in questa vicenda. Se sarà il caso, pure nei vostri confronti prenderò un idoneo provvedimento. Siatene certi, traditori del vostro stesso sangue!»

Dopo che il re Cotuldo se n'era andato insalutato ospite, il viceré di Casunna e la principessa Lerinda erano rimasti di stucco. Essi non riuscivano a credere che il fratello avesse potuto reagire in quel modo ai loro richiami e ai loro consigli fraterni, i quali miravano soltanto al suo bene. Dopo Raco, al fine di risollevare l'animo della sorella, che appariva alquanto abbacchiato, era intervenuto a parlarle così:

«Non avvilirti, cara Lerinda, come stai facendo in questo momento, perché nostro fratello Cotuldo ha solo voluto darsi ad una sfuriata momentanea. Vedrai che, tra non molto, si calmerà e dimenticherà ciò che si è proposto di fare nei nostri confronti. Egli sa bene che noi due siamo le uniche persone, sulle quali può contare nella maniera più assoluta, sebbene le nostre e le sue vedute siano state sempre e restino tuttora molto divergenti. A questo punto, conviene anche a noi ritirarci nel nostro alloggio ed attendere con animo sereno l'arrivo del re Francide a corte. Esso è previsto tra meno di un'ora e mezzo e dobbiamo esserci anche noi, quando ci sarà la sua venuta.»