413°-LA VITA DI RINDELLA NELLE MANI DEL RE COTULDO

Tradotta nelle carceri di Dorinda e relegata in una cella dove risultava l’unica reclusa, la principessa Rindella si era convinta che quella sua situazione disagiata sarebbe stata soltanto di breve durata. Perciò, con alquanta pazienza, aveva atteso che andassero a liberarla da un momento all’altro. Anzi, era sicura che sarebbero andati a scarcerarla, non appena a corte fossero venuti a conoscenza della sua identità, poiché ella era la fidanzata del re Francide e la futura regina di Actina. Contrariamente alle sue previsioni, le cose erano andate in modo del tutto differente, siccome il sovrano aveva preferito considerarla soltanto la figlia dell’ex re Cloronte e non anche colei che stava per diventare la moglie del sovrano di Actina, trattandola come tale a tutti gli effetti. Non bastando una carognata simile, egli si era pure proposto di tenere nascosto il suo arresto a quanti la conoscevano di persona, compresa la principessa Lerinda sua sorella.

Ebbene, la quartogenita figlia del re Cloronte, almeno per un paio di ore, si era sentita tranquilla, anche perché aveva trovato nel gendarme Morchio un uomo disposto a crederle. Per cui egli senz’altro avrebbe chiarito ai suoi superiori l’eclatante errore commesso nei suoi confronti, in seguito all’infame accusa di Stiriana. La quale l’aveva denunciata come figlia dell’ex sovrano Cloronte, con il solo proposito di vendicarsi del suo fidanzato. Trascorso però quel tempo iniziale, il quale per lei era stato di relativa calma, la ragazza aveva incominciato a preoccuparsi, non sapendo spiegarsi le ragioni di quello strano ritardo della sua liberazione e del totale isolamento, nel quale veniva ingiustamente tenuta. Nel frattempo, le ore della sua detenzione andavano aumentando sempre di più; inoltre, le medesime scorrevano l’una dopo l’altra, senza che la situazione per lei venisse a sbloccarsi positivamente.

Al calare del sole, la principessa Rindella aveva iniziato a disperare di ogni possibilità di venire scarcerata. Infatti, aveva supposto che qualcuno, il quale poteva essere solamente il re Cotuldo, avesse preferito credere più alla versione di Stiriana, anziché a quella da lei dichiarata. Così facendo, egli si era mostrato incurante della sua nota amicizia con la sorella Lerinda. Così pure di proposito non aveva voluto prendere in seria considerazione il fatto che ella stava per diventare la regina della Città Santa, avendolo decretato il re Francide. In lei era perfino sorto il sospetto che il tiranno avesse stabilito di tenere nascosto il suo arresto a tutti quanti, compresa la sorella, per certi suoi scopi reconditi. I quali, almeno per il momento, le risultavano del tutto all'oscuro e che in seguito probabilmente avrebbe anche conosciuto. Insomma, se le sue supposizioni erano giuste, il suo avvenire non si lasciava prevedere affatto roseo, poiché l’attendevano tempi abbastanza duri. Anzi, essi le avrebbero riservato dei brutti giorni intrisi di angosciante travaglio. Nel medesimo tempo, la principessa Rindella si rifiutava di credere che la sua vita non sarebbe stata quella di una regina. All’inverso si sarebbe trasformata in quella di una reclusa a vita, deprivata degli affetti di coloro che le erano più cari e dell’amore immenso del suo Francide. Perciò, ad un certo punto, la poveretta aveva cercato di opporsi a tale triste realtà, la quale iniziava a delinearsi davanti a lei all’interno di una prospettiva in fuga verso sentieri tristi e raccapriccianti. Allora, pensando a qualcosa del genere, si era data a gridare forte dalla sua cella:

«Carcerieri, mi trovo qui per errore! Sono l’amica della principessa Lerinda e la futura regina di Actina. Il mio fidanzato, il re Francide, ha stabilito per me tale destino. Presto egli verrà a prendermi a Dorinda per condurmi nella Città Santa e per farmi incoronare sua regina! Per favore, avvisate la sorella del vostro sovrano che mi trovo in questa cella iniquamente, soltanto perché qualcuno ha stabilito ciò per me. Vi assicuro che, non appena sarà avvisata, ella mi farà scarcerare immediatamente, rendendomi così giustizia!»

Alle sue grida, con le quali la carcerata seguitava a dichiarare cose da loro ritenute inverosimili, le guardie carcerarie la prendevano per una demente e a volte ci ridevano anche sopra. Alla fine una di loro, non potendone più di sentirla urlare in quel modo folle, dopo essersi staccata dalle altre, aveva raggiunto la grata della sua cella con l’intenzione di calmarla. Perciò, scherzando, si era messa a dichiararle:

«Se continui ad urlare come stai facendo, maestà, domattina ti ritroverai completamente afona. Quindi, cerca di moderare il tono della tua voce, senza strillare come una bambina! Anche perché nessuno di noi carcerieri, se volesse aiutarti, ha la facoltà di contattare la sorella del nostro re. Invece avresti dovuto far presente quanto affermi ai gendarmi che ti hanno tradotta nelle carceri presso di noi! Perché non lo hai fatto in tale circostanza? Adesso sprechi soltanto fiato a riferire tali cose a noi, che contiamo meno di una ramazza!»

«Certo che li ho avvertiti, secondino! Il loro comandante Morchio mi ha perfino garantito che ne avrebbe parlato con il suo diretto superiore Gerud! Fino a questo momento, però, nessuno è venuto a farmi scarcerare. Perché si stanno comportando in questo modo nei miei confronti, che sono la futura regina di Actina? Questa è una vera vigliaccata!»

«Si vede, bella ragazza, che egli non avrà ancora avuto l’occasione di parlargli oppure non ti ha affatto creduta, all’opposto di quanto dici. Allora, volendo darti il contentino per essergli risultata simpatica, ti ha fatto una promessa che poi non ha mantenuta. Secondo me, egli l'ha addirittura ignorata, non appena si è liberato della tua presenza!»

Dopo le parole della guardia carceraria, ad un tratto, la principessa Rindella si era chiusa in un mutismo assoluto e non aveva più badato a niente e a nessuno. Agendo in quella maniera, ella aveva costretto il suo interlocutore ad allontanarsi da lei e a raggiungere i suoi colleghi, che erano intenti a discutere animatamente tra di loro. Di lì a poco, aveva perfino rifiutato la cena che le avevano portato: tanto grande si manifestava in lei la stizza, che non la faceva più ragionare! Anzi, se fosse stato nelle sue facoltà, in quell'istante senza meno essa l’avrebbe spinta a mettere il mondo sottosopra, apportandogli un tale sfacelo, come mai nessun fenomeno catastrofico lo aveva investito prima.

Quando poi si era presentata la notte, per la principessa le cose si erano ulteriormente aggravate. Oltre che trovarsi ad affrontare una situazione molto disagiata, dal punto di vista igienico e sanitario dell’ambiente, era stata bersagliata da un’insonnia molesta ed agghiacciante. La cella carceraria, dov'ella era stata relegata, non poteva essere paragonata al grazioso appartamentino che il generoso Sosimo aveva messo a disposizione di lei e di Madissa, risultando esso accogliente, comodo, confortevole ed intimo. Perciò anche tale fattore ambientale, insieme con quello psicologico, aveva contribuito in misura minore a renderle insonni le ore notturne. Le quali, per un fatto strano, tardavano a trascorrere. In verità, era stata l’ambascia interiore a frastornarle la nottata in modo preponderante, rendendogliela un terribile inferno, che la torturava senza fine. La figlia degli ex regnanti di Dorinda, già prima che giungesse la mezzanotte, aveva dovuto fronteggiare una situazione che non si sarebbe mai aspettata, giacché gli eventi all’inizio erano sembrati evolversi a suo favore. Invece la sorte, in un secondo momento, aveva deciso di fare andare le cose non conformemente alle sue aspettative, invertendo quella rotta che in mattinata non era piaciuta a Stiriana.

Così il silenzio più assoluto da parte del re Cotuldo aveva iniziato a preoccuparla oltre ogni immaginazione, poiché esso le faceva pensare che qualcosa si fosse inceppato nella vicenda che la stava coinvolgendo in prima persona. Per questo ella doveva rinunciare ad attendersi dalla vita, almeno a breve scadenza, la realizzazione di alcuni sogni che, fino a quel momento, le erano apparsi favolosi. Infatti, essi si erano appena affacciati stupendamente all’orizzonte della sua mente e nell’intimo del suo animo, infondendo nell’una e nell’altro un gaudio inesprimibile ed insperato. Logicamente, ci si sta riferendo al suo matrimonio con la persona da lei amata più della propria esistenza, che era il re Francide, e alla sua imminente incoronazione, la quale l’avrebbe resa legalmente la regina di Actina. Invece tali sogni erano cominciati a sfaldarsi sotto i suoi piedi, come se la furia di un fiume in piena se li stesse portando via con grande veemenza, quasi fossero diventati una inutile sterpaglia. Allora, certa di restare con la bocca asciutta, senza realizzare neppure uno di quei sogni stupendi, la principessa si era chiusa dentro di sé. Con quel suo silenzio accusatore, sembrava che ella volesse gridare in faccia al destino l'immane collera che le si gonfiava nell’animo e la vibrante protesta che scaturiva dal suo cuore irato. Ma qualche ora più tardi, la sua anima si era data anche ad un cupo presentimento. Allora esso l’aveva sbattuta in pasto ad una realtà frastornante ed angosciante, che in quella circostanza non smetteva di darle tregua.

A volere considerare meglio le cose, le tenebre notturne erano meno nere del pessimismo, il quale quella notte si era impadronito della principessa Rindella, divenendo il torturatore della sua sconvolta psiche. A tale riguardo, se una pena trascurabile le veniva infusa dal buio della sua esistenza tenebrosa, inteso come annebbiamento in lei di ogni facoltà intellettiva e psichica, ben altro le procurava la sua riflessione su di esso. Per questo passiamo a renderci conto del suo contenuto spietato, trattandolo nella sua assurda crudezza.

Ebbene, sorpresa all’improvviso da uno sconforto indicibile, la poveretta aveva visto la disperazione dilagare a cateratte nel suo animo, occupandone le parti più riposte e sconvolgendole con la massima disastrosità interiore. Il solo timore che i suoi sogni incantevoli potessero disfarsi e dileguarsi nel nulla aveva iniziato a scombussolarle l’esistenza da cima a fondo, rendendogliela una geenna di tribolazioni e di tormenti. Le era sembrato come se un cuneo trafittivo si fosse messo a penetrarle lancinante nel cuore e non volesse più arrestarsi. Esso era preso dall'unico desiderio di lacerarglielo nella maniera più intollerabile e demolitrice, allo scopo di arrecargli i peggiori danni. Rimanendo così in tale stato di sofferenza e di angoscia, ella era capace unicamente di gestire malissimo i vari rigurgiti di rammarico, d’indignazione, di livore e di forte repulsione, a causa del grande torto che adesso stava subendo, a dispetto di ogni logica e di ogni giustizia.


La nottata della principessa Rindella, comunque, se proprio non era trascorsa per intero in preda alla costernazione più avvilente, c’era mancato poco. Infatti, ella era riuscita a prendere qualche scampolo di sonno, soltanto quando l’ultimo luccichio delle stelle si affrettava a congedarsi dal tenebrore notturno, sparendo nel crescente chiarore del sopravvenuto giorno. Per tale ragione, il suo risveglio c'era stato nella tarda mattinata. Anzi, era stata obbligata a destarsi a causa di una visita imprevista, che era stata quella del comandante della Guardia Reale. Poco prima, Gerud si era presentato al sovrintendente alle carceri, che aveva appena ripreso servizio, e gli aveva detto:

«Merust, mettimi a disposizione un tuo subalterno, poiché dovrà accompagnarmi alla cella della ragazza, che è stata incarcerata nella giornata di ieri. Dopo egli dovrà anche liberarla e permetterle di venire via con me, poiché questo è l’ordine del re Cotuldo. Mi sono spiegato oppure devo ripetertelo una seconda volta?»

«Più chiaro di così, eccellenza, non potevi essere. Adesso incarico subito una guardia carceraria di mettersi a tua completa disposizione e di esaudire il tuo desiderio. Ma è tutto qui, quello di cui hai bisogno?»

«Certo, Merust! Non ci sono altre richieste, da parte mia, oltre a quella che hai ascoltata!»

«Allora, esimio Gerud, la ragazza aveva ragione a dire che aveva conoscenze nelle alte sfere e di essere l’amica della sorella del nostro sovrano! La tua venuta nelle carceri, con l’incarico di farla scarcerare e di condurla via con te, comprova tutto quanto la poveretta affermava! E noi che la credevamo completamente pazza!»

«Per il momento, sovrintendente alle carceri, non si sa ancora nulla su di lei e nessuno può confermare con certezza che quanto ella asserisce è vero al cento per cento. Perciò facciamo esprimere il re Cotuldo nei suoi confronti, senza che ci mettiamo noi due il becco. Intesi? Ti sconsiglio dall'interessarti a questo caso, se non vuoi poi pentirtene! Ogni cosa che riguarda la reclusa, sappilo, dovrà rimanere top-secret, essendo questa la volontà del nostro nobile sovrano!»

«Come potrei comportarmi altrimenti, illustre consigliere del nostro re? Per farlo, dovrei essere soltanto un matto! Adesso, però, chiamo all’istante un mio subalterno, perché egli ti accompagni alla cella della reclusa alla quale ti sei riferito e te la faccio scarcerare.»

Un attimo dopo, il sovrintendente Merust si era messo a chiamare ad alta voce uno dei secondini in servizio:

«Ferdum, vieni qui da me senza perdere tempo e mettiti a disposizione dell’eccellentissimo Gerud, il comandante della Guardia Reale! Egli ha molta fretta di lasciare il carcere!»

All’ordine del suo diretto superiore, il secondino che aveva quel nome, portando con sé il mazzo delle chiavi che teneva sempre appeso alla cintola, era corso come un fulmine a fare da guida all’autorevole personaggio di corte. Così, un attimo dopo, gli aveva permesso di trovarsi davanti alla cella della principessa Rindella. Ma poiché ella se la dormiva ancora, il carceriere, dopo averne aperto la porta d'ingresso, si era introdotto nell’angusto spazio cellare e le si era avvicinato. Dopo, intanto che la scuoteva con una certa moderazione per non farla spaventare, si era data a dirle:

«Ehi, tu, fanciulla addormentata, déstati dal tuo dolce sonno, poiché hai la visita di una persona illustre!»

Dopo averla svegliata del tutto, mentr'ella si stropicciava gli occhi, le aveva aggiunto:

«Prepàrati ad abbandonare la tua cella, ragazza, poiché tra poco il comandante della Guardia Reale ti condurrà via con sé! Egli ti aspetta qui fuori ed ha l’incarico di accompagnarti a corte presso il nostro sovrano. Fai presto, per favore, e non farlo attendere molto! Egli potrebbe spazientirsi e ripensarci!»

«Era ora che ciò avvenisse, secondino! Se la sono presa con comodo a corte!» si era sfogata la principessa, un po' innervosita.

Quando infine si era trovata faccia a faccia con il consigliere del tiranno, il quale non la convinceva neppure un poco, la ragazza si era affrettata a domandargli:

«Vorrei sapere, comandante, perché mai mi conduci a corte, anziché farmi scarcerare immediatamente e permettermi di ritornare dalle persone che mi sono molto care. Esse mi stanno cercando con ansia da alcuni giorni, dopo il sequestro operato sulla mia persona, da parte di Stiriana e del suo degno amante, il Tricerchiato Olpun!»

«La tua è una domanda a cui non so rispondere, incantevole ragazza. Io eseguo soltanto gli ordini del mio sovrano, il quale mi ha incaricato di condurti in sua presenza, senza parlarmi affatto della tua scarcerazione. Ed è quello che sto facendo adesso!»

Alla risposta di Gerud, la principessa non aveva obiettato; inoltre, divenuta taciturna, aveva smesso di fargli altre domande. Perciò si era lasciata condurre via, senza fare tante storie e senza aprire più bocca. La ragazza, infatti, per il momento ignorava come il monarca intendesse comportarsi nei suoi riguardi e se fosse disposto a lasciarla libera. Perciò bisognava ancora appurare se egli fosse intenzionato ad esimersi dal cavillare sulla recente vicenda, nella quale ella si era ritrovata a fare da vittima, restando tale fino a quel momento. Pervenuti infine alla reggia, come da disposizioni da lui ricevute, il comandante della Guardia Reale aveva fatto accomodare la ragazza nel salottino rosso del suo sovrano. In esso, infatti, egli era solito trattare in privato le sole questioni che esulavano dagli affari di stato. Poco dopo, invece, facendo piantonare l’uscio dell’alloggio da una sua guardia, era corso nella sala del trono ad avvertire il re Cotuldo che egli aveva già portato a termine la propria missione. Così, insieme, essi si erano precipitati verso il salottino, raggiungendolo in brevissimo tempo. Prima di entravi, l’usurpatore aveva fatto al suo consigliere la seguente raccomandazione:

«Gerud, mentre m’intrattengo con la reclusa, non voglio essere disturbato da nessuno. Ti sono stato chiaro oppure no?»

«Sire, putacaso dovesse venire la principessa Lerinda a cercarti proprio adesso, dovrei vietare pure a lei di raggiungerti all’interno del salottino? Se lo vuoi sapere, mi sentirei parecchio imbarazzato a mandarla via, senza consentirle di parlare con te!»

«Principalmente a lei, Gerud, dovrai impedire l’ingresso nel mio salottino rosso! Inventerai una scusa qualsiasi, purché credibile, per farmi lasciare in pace da mia sorella!»

«Se tu me l’ordini, mio illustre sovrano, mi comporterò di conseguenza. Ma preferirei proprio che ciò non accadesse! Perciò speriamo che non avremo la sua visita almeno adesso!»

Un istante dopo, il re Cotuldo, senza dare altra risposta al suo consigliere, aveva aperto e richiuso dietro di sé la porta del salottino, dove lo attendeva la principessa Rindella. Ella era ansiosa di apprendere da lui quale decisione aveva presa nei suoi confronti, augurandosi nello stesso tempo che essa fosse quella che si attendeva. Così, dopo che egli vi aveva fatto il suo ingresso, la ragazza subito gli aveva domandato:

«Allora, re Cotuldo, è stata finalmente chiarita la mia posizione, per cui posso ritornarmene a casa mia per tranquillizzare quanti mi sono vicini e stanno penando per la mia scomparsa? Oppure la mia sofferenza dovrà ancora prolungarsi, a causa d’inopportuni e ridicoli fraintendimenti? Dovrebbe essere evidente che essi sono scaturiti dalla diceria di una perfida donna, la quale mi ha sempre odiata a morte per il motivo che è stato da me chiarito!»

«Se non sei la figlia dell’ex re Cloronte, Rindella, mi dici perché mai Stiriana avrebbe dovuto inventarselo? Poco fa mi hai accennato a qualcosa che l’avrebbe spinta ad agire, come hai raccontato al comandante Morchio. Allora vuoi mettermi a conoscenza di questo piccolo particolare, il quale mi è del tutto ignoto? Io ci tengo a venirne a conoscenza.»

«Un tempo, re Cotuldo, Stiriana era nostra vicina di casa. Un giorno ella propose a mia zia Madissa di farmi sposare con l’ultimo dei suoi dieci figli; ma ricevette, come risposta, un secco no. Allora la megera decise di ricorrere alla forza, pur di obbligarmi ad accettare tale matrimonio. Ossia, con la complicità degli altri nove figli, pensò di farmi violentare dal suo ultimogenito nella nostra stessa abitazione. Per mia fortuna, proprio in quel momento, capitò dalle nostre parti il mio Francide, il quale, come sai, adesso è diventato re di Actina. Così egli non esitò ad intervenire in mio soccorso, ammazzando l’intera prole della perfida donna, la quale si era riproposta di farmi disonorare dal figlio, a cui voleva darmi in moglie. Come puoi constatare, Stiriana aveva un valido motivo di vendicarsi di me e del mio fidanzato! Anche tua sorella, la principessa Lerinda è a conoscenza di questo episodio, avendolo appreso dal suo amato Iveonte. Puoi mandarla a chiamare e chiederglielo, se ingiustamente non ti fidi della mia parola!»

«Ma ciò non prova che ella ha dichiarato il falso sul tuo conto, Rindella. Se prima, pur conoscendo la tua vera identità, ha evitato di denunciarti; dopo, invece, allo scopo di vendicarsi, non ha esitato a farlo. Perciò puoi essere sul serio l’ultimogenita degli ex regnanti di Dorinda. In questo caso, mi vedo costretto a non rilasciarti più, tenendoti ospite a vita delle mie carceri, come lo sono sempre stati i tuoi genitori!»

«Prendendo una simile decisione, re Cotuldo, commetteresti un grave errore per varie ragioni, le quali, alla fine, potrebbero farti pentire amaramente di averla presa. Per tale motivo, t’invito a ripensarci, se non vorrai rammaricartene in futuro. Adesso hai a che fare con persone che, se ti azzardassi a muovere un dito contro di me, non te la perdonerebbero e ti rovinerebbero l’esistenza, come neppure immagini. Te lo posso garantire che sarà così!»

«Sarebbero tali persone, Rindella, che dovrei temere, poiché non mi perdonerebbero il tuo arresto? Forse dimentichi che sono il sovrano di Dorinda e nel mio regno nessuno potrà mai nuocermi! Allora sentiamo quali sarebbero le persone a cui ti sei riferita.»

«Hai ragione ad asserire ciò, re Cotuldo; ma la tua affermazione è valida, solo quando quel "nessuno" non è rappresentato da un Iveonte e da un Francide, i soli che non potranno mai temere la tua autorità. Entrambi, se tu osassi arrecare loro un torto qualsiasi, ti renderebbero l'esistenza un vero inferno! Adesso conosci anche i loro nomi!»

«Quindi, Rindella, a loro due ti riferivi, a proposito delle persone disposte a difenderti! Ebbene, l’uno e l’altro oggi sono assenti da Dorinda, per cui non ho motivo di temerli. Inoltre, nessuno mai verrà a conoscenza del tuo arresto e la tua scomparsa sarà imputata ai soli Tricerchiati. Come vedi, invano hai chiamato in causa, quali tuoi difensori e protettori, il mio futuro cognato Iveonte e il sovrano di Actina. Ma può darsi pure che io decida di farti uccidere, senza che nessuno dei due venga mai a sapere della miserabile fine alla quale sei andata incontro! Non ti sembra che potrebbe avvenire ciò?»

«Solo i vigliacchi del tuo stampo possono comportarsi in questo modo, re Cotuldo. Mi domando solo quale pericolo costituirei per te, se tu mi dessi la possibilità di diventare sposa del mio Francide e regina della Città Santa. Personalmente, non riesco ad intravederlo! Me lo vuoi fare presente tu, perché così verrò a saperlo anch'io?»

«Forse nessuno, Rindella; ma preferisco non correre rischi di nessun tipo. Per la quale ragione, non ti rimetterò in libertà ed eviterò a chiunque di venire a sapere della tua cattura! Quanto alla pena capitale, che potrei decretare contro la tua persona fisica in ogni momento, ti premetto che essa dipenderà esclusivamente da te.»

«In che senso, re Cotuldo, dipenderà da me? Dovrei forse ammettere che sono la figlia del re Cloronte, per cui avresti ancora di più il pretesto per condannarmi alla pena capitale? Oppure c’è qualcos’altro che dovrei fare per te, per venire così liberata?»

«Non si tratta di nessuna ammissione, Rindella, da parte tua, siccome sono pienamente convinto che Stiriana ha detto la verità su di te! Ed anche tu lo sai benissimo!»

«Allora non riesco a seguirti, re Cotuldo, visto che il tuo pensiero ha evitato di manifestarsi, come ti è balenato nella mente. Ma se ritieni che esso possa interessarmi sul serio, rendimelo palese, perché io lo prenda in seria considerazione!»

«Come sai, Rindella, io non sono ancora sposato e non ho una regina al mio fianco sul trono di Dorinda. Ma accettando tu di diventare la mia regale consorte, ti sottrarresti alla condanna a morte. Secondo me, solamente il nostro matrimonio indurrebbe il popolo di Dorinda a rinunciare a farmi guerra senza tregua. Non ti pare?»

«Mai e poi mai, re Cotuldo, sarò disposta a sposarti! Ho già un re come fidanzato, il quale è l’uomo da me amato. Egli molto presto mi farà diventare sua regina nella città di Actina, dove regna con saggezza e senza approfittare del suo potere, come fai tu!»

«Hai scordato, Rindella, che quanto hai asserito si avvererebbe, solo se acconsentissi a scarcerarti e a renderti libera cittadina. Ma poiché non è nelle mie intenzioni che ciò accada, puoi sognarti di diventare la sposa del re Francide! Allora come hai deciso di considerare la mia proposta, alla luce del mio ulteriore chiarimento?»

«Dimentichi, re Cotuldo, che il mio fidanzato non ti permetterà d’impedire il nostro matrimonio. Se ci sarà costretto, non si asterrà dal fare una carneficina dei tuoi soldati e giungere fino a te. Tienilo bene in mente! Egli è in grado di farlo, similmente ad Iveonte, per cui non si fermerà, fino a quando non ti avrà punito con la morte!»

«I miei soldati sono migliaia e migliaia, Rindella. Perciò, se egli osasse sfidarmi, avrebbe di che pentirsi: te lo garantisco! Per il momento, però, non serve pensare ad alcun contrasto a breve scadenza tra me e il tuo fidanzato, poiché egli è all’oscuro del fatto che sei mia prigioniera. Anzi, considerato che hai rifiutato la mia generosa offerta, adesso ti rimando nella cella da dove il mio consigliere Gerud ti ha prelevata. Così ti farò pentire di non avere accettato la mia proposta di matrimonio! Comunque, se dovessi ripensarci, ti basterà mandare a chiamare il mio braccio destro da uno dei carcerieri. Essi, come da mio ordine che riceveranno tra poco, ti ubbidiranno all’istante, nel caso che tu esprimessi un tale desiderio. Una volta nella cella, fatti consigliare dal buonsenso, principessa Rindella!»

«Tiranno di Dorinda, ciò non accadrà mai! Invece aspetterò che Francide venga a liberarmi. Egli non tarderà a raggiungere Dorinda e a condurmi in salvo ad Actina!»

Alla nuova risposta di Rindella, il re Cotuldo si era infuriato e si era diretto alla porta del salottino. Dopo averla aperta, aveva gridato al suo consigliere, che aspettava fuori:

«Gerud, riconducila nella cella da dove l’hai prelevata prima! Che ella ci resti senza alcun trattamento di favore, da parte delle guardie carcerarie; ma si goda la reclusione, alla stessa stregua di tutti gli altri carcerati! Penserò in seguito a come guarirla della sua impertinenza con provvedimenti adeguati alla sua faccia tosta!»

Così la principessa Rindella era stata riaccompagnata dall’autorevole gendarme nella stessa cella, dove aveva iniziato a gestire una situazione abbastanza precaria. La quale, naturalmente, poteva risultarle solo sfavorevole sotto qualsiasi punto di vista. Ma ella non poteva farne a meno, considerate le brutte circostanze!