407-IL RE FRANCIDE PUNISCE IL PRESUNTUOSO ERNOS
Non appena era entrato nell'edificio, il re Francide non ci aveva messo molto ad avvistare i corpi quasi morenti di Zipro e di Solcio: il primo era stato suo allievo, invece il secondo era stato addestrato dall'amico Iveonte. In quel momento, essi si trovavano supini per terra e con il capo appoggiato sopra le salme di due altri combattenti, che avevano trovato la morte nella furiosa battaglia. Alla loro compassionevole vista, egli si era sentito montare il sangue alla testa e si era affrettato a scendere da cavallo per sistemare per le feste chi li aveva ridotti in quello stato. Standosene dritto con la spada sguainata di fronte al suo avversario, il giovane sovrano aveva iniziato ad assalirlo con occhiate manifestamente torve. Dopo, sempre soggiogato da una stizza che era difficile da contenersi, alla fine egli gli si era rivolto, dicendo:
«Saresti tu lo spavaldo guerriero tricerchiato, che si crede il più forte di tutti, solo perché è stato addestrato nell'uso delle armi e nelle arti marziali? Ma presto saprai che il tuo peggiore errore è stato quello di metterti contro i miei amici e di avere arrecato del male ad alcuni di loro! Tra poco te ne farò pentire, come neppure immagini!»
«Ciò è ancora tutto da vedersi, sovrano di Actina! Se vieni a parlarmi con tale ardire, puoi essere solamente tu! Non dirmi che mi sono sbagliato! Se ci tieni a saperlo, stavo aspettando con ansia questo momento; anzi, temevo che esso non ci sarebbe mai stato in avvenire! Finalmente posso misurarmi con uno dei due guerrieri, che alcuni a Dorinda hanno osato stimare superiori al sottoscritto. Ma adesso appureremo, se la loro stima corrisponde al vero oppure al falso!»
«Certo che sono il re Francide, mio indegno avversario, come tu sei il tronfio Ernos, il guerriero che ha messo in dubbio la mia superiorità e quella del mio amico nei propri confronti! Sappi, invece, che la tua vanagloria sta per essere smorzata dalla mia spada, essendo essa giunta al suo tramonto. E su questo non ci piove! Ti giuro che, tra un attimo, cesserai di esistere per sempre in questo mondo!»
«Credi che il tuo giuramento ti dia anche la certezza della vittoria, sovrano di Actina? Se sei di tale parere, non posso che considerarti un ingenuo oppure un illuso, poiché non saresti il primo a rivolgermi delle minacce irrealizzabili, a mezzo solenne giuramento! Ho sentito già tanti miei avversari giurarmi che me l'avrebbero fatta pagare con la vita, senza immaginare minimamente che sarebbero poi stati loro a soccombere sotto i colpi della mia spada, come appunto è stato ogni volta! Per questo adesso lascio a te trarre le debite conclusioni, dopo quanto ci ho tenuto a farti presente!»
«Ti capisco, Ernos, e non ti do torto. Il tuo è soltanto un modo di fare, allo scopo di infonderti coraggio da te stesso, dal momento che non c'è nessun altro a poterlo fare al posto tuo! Ma esso non ti servirà a niente, poiché la tua fine è già stata da me decretata. Perciò smettiamola di perderci in chiacchiere e diamo inizio al nostro scontro, senza fare più spazientire la signora morte. Ella, che è abituata ad avvolgere nel suo manto esiziale i comuni mortali, se non te ne sei ancora accorto, è impaziente di farlo al più presto pure con te. Fra noi due, sei tu il suo preferito, essendo il destinato a perdere in questo scontro!»
A quel punto, le parole erano state messe al bando, per cui nessuno della coppia di contendenti vi era più ricorso, essendo iniziata tra loro due la fase di reciproco studio. Entrambi, infatti, volevano apprendere a quali mosse ricorrere all'inizio per scoprire i punti deboli dell'avversario e quali strategie adottare sul campo per neutralizzare le sue difese. Insomma, essi avevano badato a studiarsele, il più possibile e in modo inequivocabile, nelle loro reali possibilità offensive e difensive. In quel modo, avrebbero evitato di andare incontro ad intraprendenze, di cui poi si sarebbero potuti pentire; oppure a passi falsi, che avrebbero potuto condurli alla rovina. Ciò, a loro giudizio, equivaleva a rimetterci la pelle senza alternativa. Quindi, nessuno dei due avrebbe affrontato il combattimento con faciloneria. Invece vi si sarebbe impegnato con la massima applicazione e senza sottovalutare l'avversario, avendo egli già dimostrato di possedere delle doti di tutto rispetto nell'uso delle armi e nelle arti marziali.
Prima dell'apertura delle ostilità da parte loro, era accaduto che un Votato alla Morte, non risultando ferito in modo grave, aveva avuto la forza di usare il suo arco e di scagliare una freccia contro il re Francide. Il quale, avendola intercettata in tempo, in un attimo e senza alcuna difficoltà, l'aveva afferrata in volo con la mano sinistra e l'aveva arrestata, non permettendo ad essa di trafiggerlo. Quanto al lancio di un secondo dardo, che il guerriero tricerchiato aveva cercato di porre in atto, esso non c'era stato per l'intervento di Liciut. Costui, sebbene fosse ferito ad una spalla, non aveva esitato a raggiungere subito il proprio commilitone e a trafiggerlo con la spada, stecchendolo di colpo, senza che egli neppure se ne accorgesse. L'arresto della saetta da parte del sovrano di Actina aveva stupito grandemente sia Ernos che Liciut, siccome entrambi non ritenevano possibile che qualcuno potesse essere così in gamba nelle armi, da dar luogo ad un fatto del genere. Il secondo dei due, però, ossia l'amico di Polen, dopo quella eclatante dimostrazione di straordinaria bravura, oltre a farsi prendere dallo stupore, aveva iniziato a nutrire meno sfiducia nel fidanzato della principessa Rindella e a sperare in una sua vittoria sul forte maestro d'armi dei Tricerchiati. Anche Ernos era stato costretto a ridimensionare l'eccessiva fiducia, che fino a quel momento aveva riposta in sé stesso. Il motivo? Egli si era convinto che il suo rivale proveniva da una scuola d'armi, la quale si dimostrava di essere più all'avanguardia, a paragone di quella frequentata da lui. Perciò si era preparato ad affrontare una lotta più dura e più ardua di quella che aveva previsto qualche attimo prima. Inoltre, si era persuaso che ogni sua azione andava condotta e gestita con una scrupolosità minuziosa. Altrimenti avrebbe regalato una facile vittoria al suo degno avversario, a causa di un banale errore di valutazione. Esso sarebbe potuto provenirgli da una scarsa oculatezza oppure da una lieve imprudenza, se non proprio da qualche intervento da valutarsi precipitoso e malaccorto.
Al termine delle osservazioni dei due Tricerchiati, le quali sono state appena riportate, Ernos era stato il primo a dare impulso alla contesa, volendo dare un saggio della sua preparazione schermistica. Ma in quel suo attacco iniziale, egli non si era limitato alla sola scherma, poiché aveva voluto esprimerla insieme con qualche speciale tecnica di arti marziali. All'improvviso, perciò, lo si era visto sollevarsi da terra di un paio di metri ed effettuare in pari tempo con la spada un affondo di tipo trasversale. Con il quale aveva cercato di penetrare il corpo dell'avversario con la lama tagliente della sua arma. Invece il re Francide non gli aveva consentito quel suo azzardato tentativo. Al contrario, aveva contrapposto alla sua strategica mossa una difesa, che era sembrata tanto una roccaforte inespugnabile, quanto un baluardo vaccinato contro qualunque assedio. Poco dopo, reagendo con un contrattacco tempestoso a chi aveva tentato di metterlo fuori combattimento, lo aveva fatto trovare in serie difficoltà. Anche se poi il destinatario della sua prodezza era riuscito a trovare in extremis il solo angolo di salvezza esistente.
In seguito, lo scontro tra i due antagonisti non aveva conosciuto soste; esso era continuato senza respiro e con un accanimento tutt'altro che avventato. Anzi, da parte di ciascuno, il combattimento aveva iniziato ad esprimersi con la massima concentrazione e con la chiara intenzione di primeggiare sull'avversario. Così gli artifici tattici e gli atti di valore, che i due campioni belligeri andavano mettendo in campo, ad un certo momento, si erano rivelati qualcosa di incredibile ed avevano perfino rasentato il prodigio. Contemporaneamente, assalendo e difendendosi con varie tecniche, entrambi si erano rivelati assai pericolosi l'uno all'altro, nonché avevano fatto mostra della loro insuperabile bellicosità. Volendo essere obiettivi, in quello scambio ininterrotto di colpi e in quell'equilibrismo di movimenti, i quali si mostravano inconcepibili agli occhi di un profano, era stato il sovrano di Actina a padroneggiare il confronto, partecipandovi con più foga e dominando il rivale con più sicurezza. Soprattutto egli gli aveva imposto il proprio ritmo e la propria audacia, facendolo sentire in una difficoltà crescente. La quale cominciava a delineargli davanti un pronostico assolutamente negativo per lui e a precludergli ogni via di scampo. Invece Ernos, per una punta di orgoglio, seguitava a non volere prenderne atto.
Anche Liciut, il quale assisteva incredulo al titanico scontro tra i due illustri combattenti, aveva preso coscienza che la fama del re Francide era davvero meritata, per cui giustamente godeva tra i ribelli il grande prestigio che gli si attribuiva. Il sovrano lo stava dimostrando ampiamente contro colui che egli, fino a quel momento, aveva considerato un guerriero invincibile. Lo garantivano principalmente la sua sicurezza nel tener testa all'avversario, le sue magistrali parate dei colpi che gli venivano inferti da lui, il suo brillante modo di combattere, l'impeto focoso dei suoi assalti. Francide, insomma, aveva l'assoluto dominio della situazione, per cui, in ogni sua azione e in ogni circostanza, controllava lo scontro con facilità e lo padroneggiava, dimostrando di avere dei nervi di acciaio. Tali doti del re Francide, intanto che la lotta infuriava tremenda e burrascosa tra lui e il suo rivale, avevano spinto Liciut a scommettere che la vittoria sarebbe arrisa di sicuro al campione dei ribelli. Costui, secondo il suo parere, alla fine avrebbe umiliato il borioso Ernos e lo avrebbe anche punito per i suoi misfatti, vendicando degnamente la sua principessa e i suoi due amici ribelli. Quella convinzione era provenuta al Tricerchiato amico di Polen soprattutto dal fatto che il re di Actina riusciva ad incutere timore nel maestro d'armi dei defunti Votati alla Morte. Il quale, oramai, non aveva più la matematica certezza di essere il più forte fra tutti gli Edelcadi ed aveva anche smesso di mostrarsi come l'indubbio dominatore della contesa in atto. Anzi, era evidente che gli assalti dell'asso dei Tricerchiati erano scemati di ogni vigoria e sfumavano già nel vago, conseguendo ogni volta dei risultati inconsistenti, che non preoccupavano per niente il suo incrollabile antagonista.
Andando avanti la contesa nel modo in cui è stato appena illustrato, si era cominciato ad attendere che il sovrano di Actina ponesse fine ad essa con l'uccisione di Ernos, che si faceva prevedere imminente. Nel frattempo, però, lo scambio di colpi tra i due duellanti era continuato preponderante e senza sosta, estrinsecando l'intera loro furia scatenata, che non accennava a sbollire in nessun modo nell'uno e nell'altro combattente. Da una parte, c'era un sovrano che non smetteva di imporre all'avversario la propria supremazia, dimostrandolo con azioni ardite e possenti, le quali alcune volte si rivelavano sorprendenti a chi sfortunatamente era costretto a subirle. Egli, in quel duello all'ultimo sangue, si stava impegnando a fondo, mettendoci il meglio della sua stupenda arte del combattere, la quale lo presentava come un guerriero dalle doti eccezionali. Come non esistevano assalti del nemico che potessero preoccuparlo oppure arrecargli qualche danno, così quelli da lui condotti si mostravano efficaci e finivano per procurare al loro destinatario sbandamento e continuo calo di resistenza.
Dall'altra parte, invece, si assisteva ad un Ernos, che era obbligato a subire la potenza del suo avversario. Essa, variando nelle sue molteplici sfumature di aggressione invasiva e mirata, lo stava mettendo a dura prova. L'uomo, che in principio era parso voler ridurre alla propria obbedienza chiunque avesse osato intralciargli il cammino, lo si era visto poi fiaccato nello spirito e con la fiducia in una propria vittoria andata alla deriva. Ormai i suoi scarsi attacchi stentavano ad apparire tali, siccome essi, col trascorrere del tempo, avevano perduto ogni foga combattiva. Anzi, si arenavano in un tentativo di ripresa che l'avversario gli andava continuamente frustrando, oltre che privarlo di determinazione e di effetto. Nonostante ciò, non lo abbandonava la speranza che il suo dominatore potesse commettere un fortuito errore, di cui egli avrebbe potuto poi approfittare, allo scopo di capovolgere a suo favore le sorti dell'insidioso scontro. Suo malgrado, invece, il re Francide non era un guerriero da incappare in un errore fatale, data la sua esperienza e la sua indefettibile preparazione nelle armi e nelle arti marziali. Prima di essere condotti a destinazione, i suoi assalti venivano studiati nei minimi particolari, prevedendo perfino le risposte del nemico. Per cui, nella loro esecuzione, i suoi affondi e le sue contromosse da opporre alle reazioni della controparte seguivano in contemporaneità quattro iter di tipo diverso: quello esplorativo, quello organizzativo, quello preventivo e quello esecutivo. Essi, ciascuno nel proprio ambito, concorrevano all'effettuazione senza sorprese di azioni che miravano a destabilizzare le difese dell'avversario e ad ottenere il suo tracollo prima psichico e poi fisico. Ecco perché il campione dei Tricerchiati poteva unicamente sognarsela l'evenienza che il suo esperto avversario, a un certo punto, potesse perdere il controllo della situazione e lasciarsi cadere nell'errore da lui tanto auspicato. Allora gli restava soltanto da rassegnarsi al proprio infausto destino, preparandosi ad accettare la sorte che lo aveva segnato. Difatti non si prevedeva per lui spiraglio alcuno di scampo e di salvezza.
A dire il vero, il sovrano di Actina teneva in serbo per il Tricerchiato un trattamento speciale, poiché intendeva troncargli l'esistenza, dopo averlo messo nella condizione di non potere neppure avvistare l'arma, mentre lo investiva e lo trafiggeva. Cioè, aveva deciso di far uso della tecnica della trottola contro il suo rivale, anche se egli e l'amico Iveonte di solito vi ricorrevano, tutte le volte che si trovavano in mezzo ad un folto stuolo di combattenti nemici. Ma il re actinese aveva stabilito di agire in quel modo nei confronti di Ernos, per due motivi. Stando al primo, egli voleva dimostrargli che non esisteva al mondo una scuola d'armi e di arti marziali capace di dotare i suoi frequentatori di una preparazione e di una professionalità migliori di quelle che egli ed Iveonte avevano ricevuto dal loro insuperabile Babbomeo. Con il secondo, invece, era sua intenzione evitargli di essere ucciso combattendo e guardando in faccia chi lo ammazzava, dal momento che non era degno di un tale onore. Così, volendo tener fede alla sua decisione presa, il sovrano di Actina si era messo subito all'opera, perché ottenesse quanto si era proposto di fare nei confronti dello spregevole rivale. Ad un tratto, egli, impugnando l'elsa della sua spada con entrambe le mani e tenendola poi allungata davanti a sé, si era messo ad assumere un movimento rotatorio destrorso, imprimendogli una velocità sempre più crescente. Quando infine essa era risultata la massima possibile, il re Francide e la sua arma erano spariti alla vista degli altrui occhi. Ad attestarne la presenza, erano rimasti una moderata corrente d'aria ed un modico fruscio, il quale perveniva fastidioso agli orecchi di quanti si trovavano presenti.
Sia Liciut che Ernos, di fronte alla mirabolante sparizione del sovrano, erano rimasti di stucco e non sapevano spiegarsi a qual fine egli fosse ricorso a tale tecnica. Non si poteva pensare neppure che il re di Actina avesse voluto sottrarsi al suo rivale ed abbandonare il combattimento di soppiatto, siccome egli lo stava conducendo molto brillantemente, ossia gestendolo con padronanza di azioni. Comunque, il resto delle considerazioni erano state permesse al solo amico di Polen e non anche al suo maestro d'armi, poiché costui, alcuni attimi dopo, era andato incontro ad una fine orrenda. All'improvviso, mentre pareva che lo scontro fosse terminato in quell'attimo e che non dovesse accadere niente altro per quanto riguardava la tenzone, il corpo di Ernos era stato scorto venire tranciato orizzontalmente a metà da una forza misteriosa. La qual cosa aveva provocato il subitaneo riversamento all'esterno di tutti i visceri dal suo addome, oltre che un'abbondante fuoruscita di sangue dalla medesima cavità. Allora il liquido vermiglio si era messo a schizzare a fiotti ovunque, spandendosi in piccoli rivoli sul selciato. Al termine di quel cruento fenomeno, all'istante era riapparso il re Francide, soddisfatto di aver punito un essere immondo come il Tricerchiato Ernos, per non aver voluto mettere la sua preparazione d'armi e di arti marziali a disposizione dei deboli e degli oppressi. Al contrario, egli aveva scelto di servirsene per fini prettamente venali e nefandi, rifuggendo dalla nobiltà d'animo e dalla generosità.
A tale prodigio stupefacente e a quella visione orripilante, Liciut, se da un lato si era sentito venir meno, a causa del raccapricciante spettacolo a cui aveva assistito; dall'altro, aveva gioito infinitamente, a causa della terribile fine toccata all'odiato Ernos. Finalmente si era liberato di un grosso peso, il quale gli gravava come un macigno sullo stomaco e gli esulcerava l'animo in modo intollerabile. All'inizio, egli si era sentito rinascere e non sapeva come esplicitare l'intera sua commozione, la quale gli usciva perfino dai pori della pelle. Di lì a poco, però, una realtà ben diversa lo aveva assalito e gli aveva fatto smettere di darsi alla sua enfasi di giubilo. Il pensiero dell'infelice sorte toccata a Polen e ai suoi amici aveva travolto psichicamente il Tricerchiato, lo aveva immalinconito oltre ogni immaginazione, lo aveva reso vittima di un dolore esacerbante e gli aveva perfino distrutto l'intera serenità interiore, quella che poco prima lo tranquillizzava. Il poveretto non avrebbe voluto che dal fato fosse stato negato di assistere al crollo rovinoso di Ernos proprio a quelle persone che da poco gli erano diventate molto simpatiche. A suo parere, esse, non avendo mai smesso di fare l'apoteosi del re Francide, meritavano, più di qualunque altra persona e anche più di lui, di godersi un simile spettacolo eccezionale. Egli era sicurissimo che i tre amici, se lo avessero presenziato, avrebbero tributato un sacco di ringraziamenti alla provvidenziale sorte, per avergli permesso di assistere al portentoso evento. Dal quale, giustamente, sarebbero derivati ai medesimi dei doni inimmaginabili di natura interiore. Allora essi li avrebbero arricchiti della migliore consolazione, oltre che accenderli di una grandissima esaltazione euforica, fino a renderli in pari tempo immensamente orgogliosi di uno dei loro stimatissimi maestri. Anche perché li avevano esaltati parecchio in ogni circostanza senza mai smettere, intanto che si vantavano di averli avuti come insuperabili maestri.
Una volta che aveva posto fine a siffatte sue nuove considerazioni, le quali lo avevano tremendamente avvilito, Liciut non aveva perso tempo a raggiungere l'ottimo campione dei ribelli. Quando poi si era ritrovato a pochi passi da lui, mostrando un atteggiamento visibilmente timoroso e titubante, aveva incominciato a dirgli:
«Nobile sovrano di Actina, io non faccio più parte dei Tricerchiati, anche se il loro emblema tatuato sulla mia fronte potrebbe portarti a credere il contrario. Perciò ti esorto a correre immediatamente a liberare la principessa Rindella, la quale poco fa è stata rapita e portata via da alcuni Votati alla Morte della setta. Conoscendo il luogo dove essi potrebbero averla condotta, ti ci posso accompagnare di persona, se a te fa piacere. Come possiamo renderci conto, nel palazzo tanto i Tricerchiati quanto i ribelli oramai sono tutti morti, per cui per i tuoi amici non possiamo fare più niente!»
«Chi mi garantisce, Tricerchiato, che tu non mi stai mentendo? Secondo le informazioni ricevute, il fanatismo degli adepti della vostra setta non ha limiti e in nessun caso qualcuno di loro abiurerebbe la propria religione. Quindi, tu perché vorresti darmi ad intendere il contrario, come se facilmente io fossi disposto a sposare la tua tesi? A mio avviso, stai solo cercando di salvare la pelle con le tue menzogne; però non ci casco e ti punirò come ti meriti. Perciò tra poco avrai il giusto castigo!»
«Ti prego di non farlo, re Francide! Se tu mi uccidessi, faresti solo morire un innocente! È un vero peccato che Solcio e Zipro siano morti! Ti assicuro che, se essi fossero ancora vivi, ti confermerebbero che ti sto dicendo il vero, senza averti mentito neppure un poco! Mi devi credere, se vuoi fare una cosa giusta!»
Alle parole imploranti del Tricerchiato ferito si erano aggiunte poco dopo anche quelle della nobildonna Madissa, la quale era appena giunta sul posto, dopo aver lasciato il suo ambiente riservato. La donna, intervenendo a difesa di Liciut con forza e decisione, si era precipitata a far presente al fidanzato della sua cara Rindella:
«Per amor del cielo, re Francide, non ammazzare quell'innocente! Se sono ancora viva, lo devo a lui, nonostante i capi della sua setta, prima fra tutti Stiriana, gli avessero ordinato di ammazzarmi! Ti posso dare per certo che egli era amico dei tre campioni dei ribelli, ossia di Solcio, di Zipro e di Polen. Quest'uomo, il cui nome è Liciut, era rimasto con i Tricerchiati con l'unico scopo di recepire nella setta delle importanti informazioni concernenti i ribelli, per poi trasmetterle ai suoi amici.»
«Se le cose stanno così, Liciut, sono felice di non aver ucciso chi non lo meritava. Perciò non mi resta che accogliere il tuo precedente invito, con il quale mi incitavi a non perdere tempo e a correre a salvare la mia ragazza. Per fortuna, se ho inteso bene le tue parole, sei a conoscenza del posto dove potrebbero tenerla nascosta.»
Il sovrano di Actina aveva appena finito di parlare, allorché dei flebili lamenti erano provenuti dal corpo gravemente ferito di Polen. Allora tutti e tre erano accorsi presso di lui, volendo accertarsi che essi davvero ci fossero stati e che nessuno di loro avesse traudito. Ma era stato il re Francide a piegarsi sul suo corpo e a prendere atto che il poveretto, anche se sommessamente, si stava lamentando a causa della dolorosa ferita che aveva ricevuta sul petto. Dopo quella constatazione, il sovrano di Actina si era affrettato a controllare anche i corpi di Solcio e di Zipro, augurandosi che anch'essi fossero vivi. Così, essendosi reso conto che la vita non aveva ancora abbandonato neppure il loro organismo, siccome il sangue continuava a pulsare nelle loro vene, si era rallegrato immensamente e si era messo ad esclamare:
«Menomale che nessuno dei tre è morto; ma essi necessitano di urgenti cure! Perciò, se non vogliamo perderli per sempre, bisogna tamponare le loro ferite, senza perdere un attimo di tempo! Comunque, anche la profonda ferita di Liciut ha bisogno di essere curata da me con urgenza! Perciò, Madissa, sbrìgati a procurarti delle fasce di stoffa sterile e a ricavare da essa dei tamponi! Tra poco ci penserò io ad intervenire sui profondi tagli che essi hanno riportato sul petto. Prima di tamponarli, li impregnerò con un unguento speciale, che ho ricavato da erbe officinali e porto sempre con me. Esse, avendo delle proprietà emostatiche, antisettiche e rimarginative, accelereranno la guarigione della terna di giovani. Probabilmente, se la caveranno tutti e tre, se non mi sbaglio!»
All'invito del sovrano, la donna di Lucebio era volata via in cerca di altre persone, che avrebbero dovuto aiutarla a procurarsi della stoffa pulita, la quale doveva essere adoperata per disinfettare e medicare le ferite. Invece il re Francide, sebbene lo facesse a malincuore, non potendo dispensarsene, si era rivolto all'ex Tricerchiato ferito, dicendogli:
«Purtroppo, Liciut, dobbiamo rimandare ulteriormente la nostra partenza, poiché è nostro dovere soccorrere in primo luogo quelli che rappresentano i miei e i tuoi amici. Se non lo facessimo, li condanneremmo a morte certa! Sono erto che anche tu correrai un serio pericolo, se non mi affretto a curarti la ferita alla spalla, suturandola e medicandola come essa richiede! Voglia il giusto Matarum che alla mia Rindella non succeda nulla di grave, fino a quando non sarò in grado di raggiungerla e di salvarla dalle grinfie di quei maledetti farabutti! Altrimenti giammai riuscirei a perdonarmelo!»
«Illustre re Francide, posso immaginare la tua immensa pena, poiché la pietà verso i tuoi amici ti ha costretto a rinunciare alla tua indispensabile corsa. Essa avrebbe dovuto condurti a liberare il tuo grande amore, potendo ella trovarsi in serio pericolo. Ti auguro che tu non abbia a pentirtene, a causa della tua immensa generosità!»
Poco dopo, Madissa era ritornata con tutta la stoffa occorrente per le medicazioni. Essa faceva parte di un bucato, il quale era stato messo a sciorinare dopo mezzogiorno. Insieme con lei, erano arrivati anche Sosimo e la sua consorte. Entrambi erano accompagnati dalla loro totale progenie che dimorava nel palazzo, ossia dai figli, dalle nuore e dai tantissimi nipoti. L'intera famiglia si era mostrata particolarmente preoccupata per il loro carissimo congiunto, che era Solcio. Ma aveva espresso il suo accorato interessamento anche per gli amici di lui e, in misura minore, per il Tricerchiato Liciut. Al loro arrivo, il re Francide, pur comprendendo la loro giustificata preoccupazione, aveva ordinato a tutti di non accalcarsi intorno ai corpi dei tre feriti gravi e a quello di Liciut, il quale ugualmente aveva bisogno di cure urgenti, a causa della ferita riportata in prossimità della spalla. Egli aveva permesso al solo suo luogotenente Urimmo di aiutarlo nel difficile compito, al quale si stava applicando con grande zelo. Il subalterno di Astoride, infatti, standogli al fianco assai impressionato, reggeva il miracoloso unguento che il suo sovrano gli aveva consegnato, dopo averlo tratto fuori dalla sua scarsella che era appesa alla sella del suo cavallo.
Terminate le operazioni di medicatura, di tamponamento e di fasciatura delle ferite, il sovrano di Actina aveva consigliato i presenti di trasportare i tre giovani mediante barelle in un locale arioso e di adagiarli sopra dei comodi letti. In pari tempo, aveva invitato i suoi soldati a dare una mano ai domiciliati del palazzo nel loro trasporto. Ma soprattutto aveva raccomandato, a quanti si erano proposti come barellieri, di usare la massima accortezza e di essere prudenti in ciascuna delle operazioni relative al trasferimento dei feriti.
Nello stesso tempo, però, c'era anche la necessità di svuotare il cortile del palazzo dalle decine di cadaveri, che adesso giacevano sul selciato. A tale riguardo, il re Francide e Sosimo avevano convenuto che quel lavoro andava fatto durante l'intera nottata, siccome bisognava tener lontano da quella carneficina i soldati di Cotuldo. Essi avrebbero potuto creare un sacco di problemi, se ne fossero venuti a conoscenza. Ma siccome non era possibile trasportare le salme all'esterno delle mura, entrambi, volendo fare un lavoro pulito, avevano deciso di traslarle nella necropoli. In quel luogo, esse sarebbero state gettate nella profondissima fossa comune, dove di regola finivano i cadaveri di coloro che non avevano un sepolcro di famiglia. Agendo in quel modo, l'ecatombe di tanti uomini sarebbe passata sotto silenzio, senza che nessuno se ne sarebbe accorto né l'indomani né mai.
Comunque, registrandosi in quel momento una penuria di uomini in casa di Sosimo, il re Francide aveva messo a sua disposizione la propria scorta. Essa avrebbe coadiuvato i familiari del possidente Dorindano nell'espletamento di tale opera, la quale indubbiamente avrebbe comportato non poca fatica, considerata la quantità delle salme esistenti nel palazzo. Infine, lasciando le cose come stavano, parte delle quali ancora da sistemare, il sovrano actinese aveva evitato di perdere altro tempo. Così si era lanciato, con il malconcio Liciut, alla ricerca della sua Rindella, non vedendo l'ora di condurla nella città di Actina e di farla diventare la propria regina.