406°-IL VIAGGIO DEL RE FRANCIDE DA ACTINA A DORINDA

Il sovrano di Actina aveva lasciato la sua città, il giorno dopo che aveva appreso i fatti di Dorinda dal cugino di Zipro, poiché Feun gli aveva fatto presente la gravità della situazione in cui versavano tanto la sua dolce Rindella quanto gli amici ribelli. Inoltre, secondo il Dorindano, la lotta di questi ultimi, nel difendere la sua amata dai loro nemici Tricerchiati, iniziava a vacillare. Ossia, dava segni d'instabilità e di cedimento, a causa della presenza tra i fanatici settari dell'invincibile Ernos. Prima di ogni altra cosa, perciò, egli si era proposto d'impartire una solenne lezione a quell'essere obbrobrioso, che aveva messo la sua indiscussa bravura a servizio del male e dell'ingiustizia. In quel modo, lo sconsiderato maestro d’armi dei Tricerchiati si sarebbe reso conto che, quando si tirava la corda troppo a lungo, alla fine finiva per spezzarsi.

I primi cinque giorni del loro viaggio, naturalmente considerandoli nelle sole ore di luce, erano stati trascorsi dagli Actinesi con l'assillo della velocità. Per questo si era proceduto a spron battuto, fino a sfiancare i loro cavalli in modo disastroso. Allora, per farli rimettere in sesto e recuperarli alla bell'e meglio, essi avevano dovuto permettergli di riposare per una giornata intera; ma anche era stato necessario abbiadarli ed abbeverarli sufficientemente. Infine il neo re Francide, per risolvere in parte il problema derivante dalla stanchezza delle bestie, era ricorso ad un intelligente espediente. Tutte le volte che avevano incontrato qualche uomo a cavallo, egli gli aveva proposto di cambiare la sua bestia con una delle loro, che non erano state ancora sostituite, essendo esse dei veri corsieri. Nello stesso tempo, dopo avergli spiegato il motivo del cambio, lo aveva ricompensato con un'integrazione in moneta sonante. A quelle condizioni vantaggiose, nessuno dei cavalieri incontrati sul loro percorso si era lasciato sfuggire la bella occasione ed aveva quindi accettato all'istante il prezioso scambio.

Riguardo al tragitto scelto dal re Francide nel loro interminabile viaggio, esso era stato quello che gli avrebbe fatto incontrare in successione le città di Cirza, di Casunna e di Dorinda. Comunque, quando gli Actinesi erano arrivati sotto le mura della prima città, era già notte fonda ed essi non avevano potuto accedervi e farvi le loro provviste alimentari. Allora avevano piantato il loro accampamento a pochi metri dalle sue porte. Al mattino, però, dopo essere entrati nella città del novello re Luvius, che era succeduto al padre Sirco, morto da appena un trimestre, il re Francide e i suoi uomini avevano potuto vettovagliarsi di tutto il necessario per il prosieguo del loro viaggio. Esso era stato poi ripreso, dopo aver consumato il pasto di mezzogiorno, all'insegna di un tempo pessimo.

Contrariamente ad ogni previsione, quando c'erano state poche miglia di galoppata, all'improvviso i tuoni avevano cessato di rumoreggiare e di assordare; mentre i lampi non accecavano più nessuno con i loro sinistri bagliori. Infatti, le nubi avevano sgombrato la volta celeste quasi ovunque, facendovi ritornare il limpido cielo. Il quale, a notte inoltrata, si era fatto stellato; però, trattandosi di una notte illune, esso risultava privo del chiarore lunare. Ma se di giorno li aveva risparmiati il temporale venuto meno, nella nottata c'era stato un numeroso branco di lupi affamati a movimentare la loro esistenza. Allora, già ai primi ululi delle feroci bestie, il re Francide e la sua scorta avevano badato a difendere dai famelici canidi il campo in cui pernottavano. Così egli vi aveva fatto appiccare tutt'intorno dai suoi uomini il doppio dei fuochi, rispetto a quelli che erano stati accesi da loro durante le altre notti. Inoltre, aveva voluto che gli stessi vi rimanessero appostati nel mezzo e vi restassero celati dal buio della notte. In quel modo, quando la luce dispensata dalle fiamme aveva fatto scoprire la loro presenza, gli Actinesi si erano dati a riceverli con lanci di frecce, senza che nessuna di esse mancasse il bersaglio. Man mano che le feroci bestie avevano superato il cerchio disseminato di fuochi, intenzionate a tentare l'assalto, erano state intercettate e colpite a morte dai provetti arcieri actinesi. Invece quelle poche che prima erano rimaste ferite, dopo erano state raggiunte ed uccise con colpi di spada inferti al punto giusto. Alla fine, essendo stata eseguita la loro conta, i feroci cugini dei cani da loro ammazzati erano risultati circa una sessantina. La restante parte della notte era trascorsa senza alcun altro incidente, per cui ognuno di loro era andato incontro ad un placido sonno. Esso era stato di una durata maggiore, a causa dell'inconveniente che si era avuto nella movimentata nottata. Era stato il re Francide a dare tale disposizione, quando erano trascorse tre ore dopo la mezzanotte, avendo voluto essere comprensivo verso tutti.

Dopo la sveglia, la quale c’era stata a metà mattinata, il gruppo actinese si era rimesso in cammino celermente, sempre seguendo la strada maestra che conduceva a Casunna. Secondo il sovrano, l'approvvigionamento fatto in Cirza, che era stata lasciata da poco, sarebbe dovuto bastare fino alla città del viceré Raco. Ad ogni modo, ad evitare delle brutte sorprese, egli aveva invitato i suoi uomini a nutrirsi anche di carne fresca, procacciandosela con la caccia, essendo quei luoghi molto ricchi di selvaggina sia di penna che di pelo. È superfluo far presente che l'invito era stato accolto con favore da tutti i componenti del gruppo. Secondo loro, non c'era niente di più appetitoso di un petto di faraona oppure di un filetto di lepre, dopo che essi fossero stati rosolati per bene allo spiedo. Ma sarebbe stato meglio, se gli stessi fossero stati anche lardellati in precedenza, esattamente come prescriveva l'arte culinaria!

A metà strada, però, più che farsi sentire da loro la scarsità di viveri, gli Actinesi avevano dovuto vedersela con una banda di predoni, i quali li avevano scambiati con individui della loro stessa risma. Essi, avendo appurato di essere il doppio di quelli che credevano altri banditi, dopo averli accusati di concorrenza sleale, si erano dati a fare la voce grossa con i nuovi arrivati per ottenerne dei vantaggi. Perciò il loro capo aveva mandato a dire agli Actinesi che, se non volevano essere annientati, avevano da scegliere tra le seguenti due opzioni: entrare a far parte della loro banda, accettandone anche il capo attuale, il quale era Mopus; oppure invertire il senso di marcia entro un'ora, ritornandosene nella città di Cirza. Chi li comandava, per far conoscere le proprie condizioni ai nuovi arrivati, non si era esposto di persona; ma si era servito di un suo gregario, senza immaginare con chi stesse avendo a che fare. Quando poi il predone con funzioni di ambasciatore aveva lasciato il campo degli Actinesi, prima di andarsene, aveva inteso ammonirli con tono grave che sarebbe tornato poco prima che trascorresse l'ora per conoscere la loro risposta. Era stato a quel punto che Urimmo non aveva perso tempo a chiedere al sovrano:

«Sire, come la mettiamo con questi briganti, che vengono anche a dettarci le loro leggi? Non mi sarei mai aspettato che un giorno avrei assistito ad un fatto del genere, cioè che dei ladroni imponessero ad un sovrano le loro condizioni, senza mostrare un minimo di contegno! Dunque, essi dovranno pagarcela, per il loro comportamento!»

«Ti assicuro, Urimmo, che i predoni non vedranno la luce del nuovo giorno, poiché stanotte essi saranno tutti spazzati via dalla faccia di questo mondo! Devi sapere che nessuno è degno di vivervi, se evita di agire rettamente! Ecco il principio, che farò valere tra gli uomini, fino a quando non smetterò di trascorrere la mia esistenza!»

«Bene, re Francide, è quanto mi aspettavo da te! Ora vado ad avvertire i nostri uomini, perché si preparino all'imminente combattimento. Dopo ci dirai tu quando attaccare i predoni e farli fuori totalmente. Io consiglierei di prenderli alla sprovvista, prima ancora che essi ricevano la nostra risposta. In questo modo, compenseremo con il vantaggio della sorpresa il divario esistente tra il nostro numero e quello loro!»

«Non c'è bisogno di scomodare i miei soldati, Urimmo, dal momento che ho deciso di affrontarli da solo. Siccome è da parecchio tempo che non mi alleno in tenzoni simili, sono felice di farlo adesso che mi si offre l'opportunità! Sappi che lo farò anche presente all'ambasciatore dei predoni, quando egli verrà a prendersi la nostra risposta. Sono convinto che l'esercitazione, alla quale mi sottoporrò tra poco, mi gioverà molto e permetterà pure alle mie membra di dirugginirsi abbastanza, dopo la lunga agiata vita di corte di questi ultimi tempi! Adesso sai come intendo agire con i predoni! Per questo non fartene un problema!»

«Sire, Astoride mi aveva già avvisato che da te dovevo aspettarmi di tutto, quanto a coraggio e a valore militare; però non credevo che ti saresti potuto spingere fino a tanto! Ad ogni modo, se mi asserisci di potercela fare da solo, ti credo senz’altro. Perciò il desiderio, che ci hai manifestato, per noi diventa un autentico ordine!»

Quando l'ora stava per scadere, il secondo di Mopus si era ripresentato al gruppo degli Actinesi, allo scopo di conoscere la decisione che essi avevano presa circa la precedente ambasciata del loro capo. Allora il sovrano della Città Santa, rivolgendosi al predone con la massima serietà, gli aveva fatto presente:

«Dì al tuo capo, brigante della malora, che la mia risposta è la seguente: Cominciate a scavarvi la fossa con le vostre stesse mani, visto che tra poco verrò da solo a recarvi la morte. Non vi servirà a niente il cercare di stare allerta e di evitarla! Ve lo garantisco!»

Un quarto d'ora dopo che il malavitoso aveva abbandonato il loro accampamento per portare la risposta al suo capo, il re Francide, dopo essersi armato di tutto punto, si era diretto nella presunta zona in cui riteneva che fossero appostati i loro nemici. In quel luogo, egli vi aveva iniziato una caccia spietata contro i predoni, i quali avevano creduto di potere aver ragione di lui, dopo avere osato imporgli delle condizioni. Invece a nulla erano valse le loro insidie, vani erano stati i loro assalti repentini, inefficienti erano risultati i loro inganni. Il giovane sovrano, mostrandosi all'altezza della situazione, aveva brillato per l'acume, per l'astuzia, per l’incredibile combattività e per l'intelligenza, dando in quel modo prova della sua altissima professionalità nell'arte del combattere.

Dopo un poco, Mopus si era reso conto che quel loro atteggiamento nei confronti del giovane avversario li conduceva a fare ripetutamente buchi nell'acqua; anzi, esso gli aveva solo fatto perdere la metà dei suoi uomini. Allora, in seguito a quella prima esperienza negativa, egli si era proposto di cambiare tattica, per cui questa volta lo avrebbe fatto assalire da tutti gli uomini che gli restavano. Ma lo scontro, che era infuriato di lì a poco tra il solitario cavaliere e i numerosi componenti della sua banda, per questi ultimi aveva preso una piega ancora più catastrofica. Infatti, essi si erano ritrovati a fronteggiare un combattente incredibile, che in continuazione li strabiliava e li sgomentava nel medesimo tempo. I predoni non avevano mai incontrato nessun guerriero che sapesse destreggiarsi in una maniera così impossibile nell'uso delle armi e nella messa in atto di taluni movimenti acrobatici che li sbalordivano. Per loro sfortuna, essi erano proprio coloro che ne facevano le spese, le quali risultavano anche molto salate, siccome li costringevano a pagare con la morte la loro arroganza, nonché le loro inique e tracotanti intenzioni. Quando anche l'ultimo dei briganti era barcollato nella polvere sgozzato, il quale questa volta poteva essere solo il capobandito Mopus, il re Francide aveva fatto immediatamente ritorno al suo vicino accampamento.

Raggiunto quel posto, egli aveva annunciato ai suoi uomini che la banda dei predoni aveva smesso di esistere per sempre, invitandoli a sostituire i loro cavalli con quelli dei delinquenti da lui uccisi. Ad avvenuta sostituzione delle bestie, gli stessi erano stati sollecitati dal loro re a riprendere il cammino senza ulteriore indugio, dal momento che era da recuperarsi il discreto tempo perduto. Fra tutti i soldati actinesi, era stato Urimmo a sbigottirsi di più, sebbene il suo superiore Astoride già lo avesse messo al corrente delle incredibili potenzialità combattentistiche del suo sovrano. Egli adesso si andava chiedendo dentro di sé come avesse fatto il re Francide a risolvere la sua contesa così rapidamente contro la numerosa banda dei predoni. Ma pur avendo tentato in vari modi di darsi una spiegazione, alla fine aveva dovuto arrendersi, senza riuscire a spiegarselo in qualche modo!


Nel frattempo erano trascorsi altri lunghi giorni e gli Actinesi si andavano avvicinando sempre di più alla città di Casunna, dove poteva essere presa in considerazione l’eventualità di effettuarvi una breve sosta, essendo essa nei propositi del sovrano di Actina. A lui, come all'amico fraterno Iveonte, il viceré Raco non risultava per niente antipatico, come avveniva con il fratello re Cotuldo. Egli manifestava un'indole mite ed accondiscendente; né approvava la condotta del germano sovrano. Per questo era anche il fratello preferito della principessa Lerinda, siccome lo trovava più buono e più giusto dell’altro. Ma se durante il viaggio il re Francide si era dibattuto tra il visitare oppure no il cognato dell'amico Iveonte, una volta presso le mura della città, egli aveva sciolto le ultime riserve e si era schierato dalla parte del sì, come poi aveva fatto. Comunque, erano sorti subito dei problemi, prima di riuscire a farsi introdurre a corte dai soldati casunnani, avendo essi messo in dubbio la sua regalità e la sua amicizia con il loro viceré. Invece dopo si era chiarita ogni cosa, per cui i due nobili personaggi alla fine avevano potuto incontrarsi, stringersi la mano e salutarsi calorosamente. Essi avevano anche stabilito di chiamarsi nella conversazione con i propri nomi, senza farli precedere da alcun titolo nobiliare, considerata l'amicizia che li legava dal loro ultimo incontro.

Quando poi il viceré di Casunna si era liberato un po' dei suoi affari di stato, si era messo completamente a disposizione dell'illustre ospite, non volendo fare un torto alla sua attuale dignità regale e alla sua amicizia con lui. Quando poi si erano appartati nel patio del palazzo reale, egli si era dato a dirgli:

«Così, Francide, all'improvviso ti sei ritrovato ad essere il re di una prestigiosa città, qual è appunto la Città Santa. Quasi t'invidio, poiché io non sono re di nessuna città! Mio fratello si è sempre opposto alla mia incoronazione a re di Casunna, preferendo tenersi entrambi gli scettri: quello di Dorinda e quello della sua città natale. Ti sembra giusta, amico mio, la sua assurda opposizione a ciò che sarebbe più giusto comprendere ed ammettere?»

«Se devo esserti sincero, Raco, lo trovo giusto; ma non perché tuo fratello mi è più simpatico di te. A mio giudizio, lo scettro della Città Invitta, detenendolo abusivamente, non può appartenergli. Per questo, prima o poi, finirà per perderlo. Invece l'unico, a cui egli ha diritto, è quello di Casunna, avendolo ereditato dal padre Amereto.»

«Sai cosa ti dico, Francide? Se la pensi così, è meglio cambiare discorso, anche se so che mia sorella Lerinda è d'accordo con questa tua tesi ed immagino che lo sia anche mio cognato Iveonte, il tuo amico fraterno. Come suddito fedele di mio fratello, non vorrei ritrovarmi schierato dalla parte dei suoi nemici. Tu mi capisci: nevvero? Ma adesso desidero sapere ben altro da te. Scommetto che il motivo di questo tuo viaggio a Dorinda può essere uno solo: Rindella. Non è forse vero che vai a prenderla per condurla ad Actina e per farla incoronare la prestigiosa regina della Città Santa?»

«Esatto, Raco! Non sai quanto ho dovuto lottare nella mia città per difendere il mio grande amore e costringere gli oppositori alla nostra unione ad accettarla come loro regina, dal momento che le leggi di Actina non consentivano il matrimonio morganatico. Alla fine, però, sono riuscito a spuntarla io, anche se poi è risultato che non ce n'era assolutamente bisogno! Ma come avrei potuto immaginare che potevo anche risparmiarmi la mia lotta?»

«Davvero, Francide, hai dovuto lottare tanto, per avere campo libero di sposare Rindella? Vorresti essere così gentile, da raccontami dall'inizio alla fine ogni cosa che ha riguardato la tua lotta contro la casta sacerdotale actinese? Come pure vorrei apprendere perché non c'era bisogno che tu la intraprendessi per sposare Rindella.»

Dopo che il re Francide aveva terminato di raccontargli proprio tutto sulla vicenda travagliata a cui era andato incontro, il viceré Raco si era stupito moltissimo e non voleva crederci! Poi, convincendosene, non aveva potuto fare a meno di affermargli:

«Tu ami davvero la tua Rindella, Francide! Nessun altro principe avrebbe fatto quanto è stato compiuto da te, pur di averla sul trono al tuo fianco. La tua ragazza è stata fortunata a trovare un giovane come te, che in seguito si è ritrovato ad essere un principe e un re in poco tempo! Quando siederà accanto a te sul trono, come sovrana di Actina, vorrei stare nei suoi panni per sentirla gioire nell'intero suo corpo. Vedendosi assurgere alla dignità di regina, da umile donna qual era, verrà invasa da una emozione così forte, che riuscirà a malapena a contenerla! Ne sono convintissimo!»

«Beh, adesso le cose sono alquanto cambiate, mio caro Raco. Per cui, se lo avessi saputo prima come stavano realmente le cose, potevo anche risparmiarmi l'intera lotta che ho dovuto affrontare contro i puntigliosi sacerdoti del tempio, al fine di continuare a tenere Rindella al mio fianco! Nella mia Actina, mi sono giunte due notizie riguardo alla mia ragazza: una bella e l'altra brutta. La bella è che Rindella si è riscoperta principessa; mentre la brutta è che ella, in questo momento, si trova in grave pericolo. Potrei anche perderla, se non arriverò in tempo a Dorinda a trarla fuori dai guai! La qual cosa non mi permetterà di restare più del necessario come tuo ospite in Casunna, dovendo riprendere il mio viaggio al più presto possibile.»

«Perché mai, Francide, Rindella adesso sarebbe diventata una principessa? Mi pare molto strano!»

«Rindella è stata sempre una vera principessa, per un motivo molto semplice, Raco! La mia ragazza è la quarta e ultima figlia del re Cloronte e della regina Elinnia. I quali furono iniquamente detronizzati e spogliati di tutti i loro averi da sovrani senza dignità, compreso tuo fratello! A dire il vero, fu proprio lui a convincere gli altri regnanti ad allearsi contro il figlio dell’eroico re Kodrun, ricorrendo ad un infame tradimento.»

«Allora, Francide, devo dedurre che è per colpa di mio fratello Cotuldo e degli altri re edelcadici, se la fortuna non arride alla poveretta! Ma visto che tra poco diventerà regina di Actina, ella può pure infischiarsi della sua situazione in Dorinda! Ecco come la vedo io, senza andare troppo per il sottile! Oppure mi sto sbagliando?»

«Almeno per adesso, Raco, tuo fratello non c'entra con la sua disgrazia. Ad ogni modo, la mia ragazza, a parte il pericolo attuale, potrebbe diventare una sicura sua perseguitata, esattamente come Lucebio, se non la portassi via con me nella Città Santa prima possibile! Ciò dovresti saperlo benissimo anche tu, amico mio!»

«Quanto hai affermato, Francide, è giustissimo. Ecco perché ti esorto a darti da fare a condurla via da Dorinda al più presto! Adesso voglio sapere per colpa di chi allora la principessa Rindella sta rischiando la vita. Avanti, sbrìgati a riferirmelo!»

«In Dorinda, Raco, è sorta da poco tempo la setta religiosa dei Tricerchiati, la quale pratica dei sacrifici umani, uno al mese. I suoi adepti sono così chiamati, per il fatto che portano tatuato sulla fronte un tricerchio. Ebbene, tali fanatici stanno facendo di tutto per scovare la mia Rindella, rapirla e sacrificarla al loro dio nella notte del prossimo plenilunio. Perciò spero di giungere in tempo, poiché sono desideroso di punire come si deve tali persone malvagie e salvare la mia ragazza!»

«Ciò che non capisco, Francide, è perché essi, con tutte le ragazze che ci sono in Dorinda, hanno preso di mira proprio la figlia dell'ex re Cloronte, ossia la tua ragazza! Si tratta di un caso fortuito oppure la loro scelta è stata determinata da motivazioni che fanno escludere ogni casualità nella vicenda in atto? Me lo vuoi spiegare?»

«Invece una ragione c'è, Raco. L'amante del capo della setta è Stiriana, che è una donna di nostra conoscenza, la quale un tempo decise di combinare il matrimonio tra Rindella e il minore dei suoi figli. Facendo intervenire anche gli altri nove fratelli, ella tentò perfino di fare abusare di lei dall'ultimo suo rampollo. Invece il mio tempestivo arrivo presso la casa della mia ragazza non solo le mandò a monte il piano perverso, ma anche le causò l'uccisione dell'intera prole. Ella, avendo quel giorno giurato di vendicarsi, ha voluto cogliere l'ottima occasione che le si è presentata con la setta religiosa per portare a termine la sua vendetta. Difatti, divenuta amante del capo dei Tricerchiati, che si fa chiamare Prediletto, lo ha convinto ad abbracciare la sua causa e a metterlo sulle tracce della mia Rindella. Adesso comprendi perché i Tricerchiati hanno deciso d'immolarla al loro dio? La cosa più brutta è che la principessa Rindella e la sua tutrice hanno le mani legate, non potendo rivolgersi ai gendarmi di tuo fratello, convinte che in quel caso Stiriana le denuncerebbe e le farebbe arrestare. Quindi, esse sono costrette a vedersela da sole, prive dell'aiuto di qualcuno!»

«Se le cose stanno come mi hai detto, Francide, occorre badare subito al rifornimento degli alimenti, di cui abbisognate tu e i tuoi uomini per affrontare al meglio il resto del viaggio. Dunque, adesso do disposizione alle persone addette, perché vi vettovaglino a sufficienza e al più presto. Ma dopo non perdete un attimo di tempo e correte filato a Dorinda. Così eviterete che i Tricerchiati facciano del male alla tua Rindella, la quale adesso deve essere considerata a tutti gli effetti una regina! È superfluo dirti che mi dispiace che tu non possa trattenerti presso la mia corte alcuni giorni, anche perché mi sarebbe piaciuto averti mio ospite più a lungo ed apprendere più notizie possibili di te, essendo l'amico intimo di mio cognato Iveonte. Ma ti prometto che, non appena ne avrò la possibilità, verrò io a trovarti ad Actina e sarò lietissimo di trovarvi pure la tua adorata consorte, la regina Rindella. Adesso non ci resta che salutarci alla svelta, augurandoci di rivederci quanto prima!»

Dopo che gli Actinesi avevano lasciato la città di Casunna, erano trascorsi ancora vari giorni, prima che essi avvistassero le superbe e rosseggianti mura di Dorinda, che un rosso tramonto aveva già iniziato ad avvolgere nella sua luce fantastica. Ma il re Francide non aveva puntato direttamente sulla città, avendo deciso di raggiungere il campo di Lucebio, quando non era ancora notte. Essendovi poi pervenuto con i suoi uomini, aveva avuto la sgradevole sorpresa di non trovarvi più nessuno. Anzi, si era reso conto che il campo era stato abbandonato da tempo da quelli che vi dimoravano e lo frequentavano. Allora si era chiesto dove potessero essere finiti Lucebio, Croscione e i ribelli che egli conosceva benissimo, per essere stati addestrati da lui e dal suo amico Iveonte. Infine, valutata la situazione, il giovane sovrano si era convinto che poteva apprendere la verità, soltanto andando al palazzo del facoltoso Sosimo, che era diventato il domicilio di Rindella e di Madissa. Egli si augurava di trovare almeno in quel luogo le cose come ve le aveva lasciate.

Così, ripresa la galoppata con i suoi soldati camuffati, quando ormai la volta del cielo stava per annerirsi totalmente a causa dell'avanzare di un imbrunire sempre più persistente, in poco tempo erano pervenuti a Dorinda, prima che le sue porte venissero chiuse per l'approssimarsi della notte. Dopo esservi entrati in ordine sparso, per non destare sospetti nei soldati che vigilavano alle porte, i venti soldati actinesi si erano ricongiunti all'interno delle mura. Dove poi essi erano stati guidati dal loro sovrano alla casa dell'amico di Lucebio, senza che si perdesse un minuto di tempo.

Fatta la cronistoria del viaggio del re Francide, dalla Città Santa fino al palazzo del possidente Sosimo, è nostro dovere ricondurci in tale luogo, dove i due straordinari combattenti erano sul punto di affrontarsi. Perciò, stando l'uno di fronte all'altro, ognuno di loro, spinto da una propria convinzione, si mostrava persuaso di essere lui il più forte e che quasi di sicuro avrebbe avuto ragione dell'altro. Ma quale dei due formidabili guerrieri era nel torto e, viceversa, quale nel giusto?

Certamente il lettore si sarà già fatta la sua idea in proposito e aspetta solo di averne la conferma dall'imminente scontro, il quale oramai stava per esplodere con tutta la sua incontrollabile virulenza. Ma come già appreso alla fine del precedente titolo, il gruppo degli Actinesi vi aveva fatto ingresso, quando Ernos si accingeva a decapitare i corpi gravemente feriti di Solcio, di Zipro e di Polen. Mentre stava per farlo, a cominciare da Polen, il maestro d'armi dei Tricerchiati si mostrava incurante delle vive suppliche di Liciut. Costui, infatti, a costo d'inimicarsi il suo crudele e malvagio capo, non smetteva d'implorarlo perché non facesse scempio delle salme dei tre valorosi giovani ribelli.