402°-ANCHE FRANCIDE SOFFRE GLI SPASIMI DELL'ATTESA

Passiamo adesso ad effettuare un'indagine sulla vita vissuta da Francide, dalla sua incoronazione a re della Città Santa fino ai recenti avvenimenti, che ultimamente si stavano avendo a Dorinda. Ci riferiamo a quelli che abbiamo seguito fin dal principio con grande preoccupazione, temendo di continuo per l'incolumità della principessa Rindella. In questa maniera, sapremo se anch'egli, come la sua adorata ragazza, era stato afflitto dal mal d'amore, andando incontro a giornate così nere, da risultargli tutt'altro che splendide. Ebbene, addentrandoci nella vita che nel frattempo il re Francide aveva trascorsa ad Actina, non sempre lo troveremo pienamente pacato e sereno. La felicità non poteva essere stata riscontrata nel suo animo, per il semplice fatto che la sua innamorata si trovava lontana da lui moltissime miglia. Per cui, ogni volta che il sovrano non si era ritrovato ad interessarsi dei numerosi affari di stato, il suo tempo si era rivelato una fonte inesauribile di mestizia e di nostalgica attesa. Infatti, egli era venuto ad avvertire pungentemente in sé la mancanza della sua Rindella. Allora il sovrano poveretto non aveva visto l'ora di liberarsi dai gravosi impegni che gli procurava il governo della sua città, siccome c’era in lui un forte desiderio di andare a prenderla nella città di Dorinda per farla diventare sua sposa ed incoronare regina di Actina. Noi adesso, senz'altro indugio, ripercorreremo alcuni particolari momenti della sua vita privata. Anzi, seguendoli da vicino, rivisiteremo quelli che lo avevano visto coinvolto in talune situazioni, che avevano avuto come spunto i suoi rapporti con la sua adorabile ragazza.

Già una decina di giorni dopo la partenza d'Iveonte per Dorinda, al quale aveva consegnato una propria missiva carica d'intenso amore per la sua Rindella, il re Francide non si era più ritrovato ad essere il giovane giulivo e spensierato di sempre. Giorno dopo giorno, la sua indimenticabile fidanzata aveva iniziato a rappresentare la cosa più preziosa della sua vita. Per la qual cosa, ella gli mancava in modo spaventoso e si faceva bramare come nessun'altra persona al mondo. Per fortuna, egli poteva fruire del conforto che gli proveniva dall'amico Astoride. Il quale aveva smesso di essere il taciturno giovane di una volta, poiché la sua natura era cambiata. Il miracolo era stato operato soprattutto dalla sua relazione amorosa, che stava vivendo insieme con l'affascinante Godesia. Ella, buon per lui, era risultata la sorella ritrovata dell’amico re. Per questo ora il Terdibano si presentava con un carattere più aperto e più fiducioso nel prossimo, pronto a dare il suo contributo di soccorso e di consolazione a chi ne avesse avuto un gran bisogno, a cominciare dal sovrano. Quest'ultimo, infatti, essendo diventato da poco anche suo cognato, spesso veniva a trovarsi in una situazione alquanto critica. Essa gli veniva causata dall'immensa distanza esistente tra lui e la sua dolce Rindella. Allora Astoride si mostrava sempre disponibile a lenire le crudeli pene d'amore del fratello della sua ragazza. Naturalmente, la sua disponibilità poteva esserci fin dove gli era consentito.

Un giorno i due amici si erano allontanati dalla reggia ed anche dalla città, essendo intenzionati a godersi una boccata di libertà in aperta campagna, cioè lì dove gl'impegni di corte cessavano di asfissiarli con il tedio e con le rogne di vario tipo. A tale proposito, va fatto presente che entrambi, quando si davano a tali scorribande, indossavano altri abiti, cioè quelli che riuscivano a celare il più possibile le sembianze delle persone che effettivamente rappresentavano nella realtà. Camuffati in quel modo che li rendeva irriconoscibili, essi potevano andarsene in giro senza problemi, trascorrendo così indisturbati le poche ore di relax che si concedevano di tanto in tanto. In un certo senso, ricorrendo a tale travestimento, il figlio ricalcava le orme del padre Godian. Egli si comportava in quella maniera, poiché era convinto che quell'accorgimento paterno risultava molto efficiente per conoscere i veri problemi del suo popolo e per poterlo così governare con saggezza e secondo giustizia.

Ritornando all'escursione dei due giovani amici, dopo un paio di ore di galoppata attraverso la verdeggiante campagna, essi avevano deciso di fare una breve sosta. Stando poi seduti con la schiena contro il tronco di una coppia di alberi attigui, l’uno e l’altro si erano lasciati sorprendere dal ricordo del loro comune amico, che poteva essere soltanto Iveonte. Costui li aveva lasciati da dieci giorni, allo scopo d'intraprendere il suo lungo viaggio, il quale avrebbe avuto come destinazione prima la città di Dorinda e in seguito Tasmina, la remotissima Isola della Morte. Così, mentre venivano assaliti da un’abbondante pioggia di melodiosi gorgheggi, Astoride aveva domandato al futuro cognato:

«Cosa ne pensi, Francide, del viaggio che Iveonte sta affrontando insieme con Tionteo per raggiungere Tasmina? Credi davvero che essa sia un'isola molto pericolosa per tutti coloro che vi sbarcano, proprio come viene tramandato? O non è vero niente e si tratta unicamente di una voce inattendibile? Inoltre, ammesso che sia fondato ciò che si dice in merito all'isola, in questo caso il nostro amico riuscirà a cavarsela?»

«Se così dicono tutti, Astoride, qualcosa di vero ci sarà senz'altro. Se poi ne è convinta perfino la sacerdotessa Retinia, la grande amica di mia madre che viene inondata di spirito profetico dal dio Matarum, possiamo esserne certi! Ma perché me lo stai chiedendo, amico mio, se non c'è affatto motivo di allarmarsi? Per il nostro Iveonte, non esistono pericoli così grandi, che egli non possa superare con la massima facilità.»

«Se devo esserti sincero, Francide, invece sono assai preoccupato per lui! Iveonte potrebbe davvero trovarsi ad affrontare per la prima volta un'impresa superiore alle sue forze e alle sue capacità! Tu invece veramente non temi per niente qualcosa di questo tipo?»

«Non ci penso affatto, Astoride! Non esiste al mondo un pericolo che possa mettere a rischio la vita del nostro Iveonte, dal momento che egli è pure protetto dalle divinità più potenti che esistono nell'universo. Perciò evita d'immaginare che per lui possa esserci qualche calamità capace di metterlo in grande difficoltà! Quanto a me, un timore del genere non mi passa nemmeno per l'anticamera del cervello e costituisce l'ultima cosa a cui sarei spinto a rivolgere la mia mente! Invece, mio prossimo cognato, la mia preoccupazione è per ben altro, che non ha nulla a che vedere con lui. Anzi, inizio a persuadermi che commisi uno sbaglio troppo grosso a non porvi rimedio, quando ne ebbi l'opportunità. Per questo adesso continuo a ripensarci con mio sommo rammarico!»

«Per la verità, Francide, adesso non ti seguo neppure un poco! Per favore, vuoi chiarirmi a cosa ti sei voluto riferire con le tue parole d'angoscia? Ebbene, anche se non so di cosa stai parlando, lo stesso mi hai privato della serenità, la quale poco fa aleggiava spensierata nel mio animo e lo faceva beare in modo meraviglioso!»

«A chi, se non alla mia Rindella, Astoride, posso rivolgere la mia mente? I miei pensieri sono tutti per lei; anzi, a causa sua, il mio cuore viene trafitto in continuazione da strali amorosi pungenti. Il vedermi separato da lei mi arreca l'angoscia più trafiggente. Invece, se soltanto avessi avuto la lucidità mentale, quando Iveonte ripartì per Casunna, avrei potuto porre fine al mio strazio d'amore parecchio tempo prima. Al contrario, con sommo dispiacere e con disperazione, adesso prevedo per me un lungo periodo di tribolazione e di sofferenza non indifferente, per non averlo fatto a quel tempo!»

«In che modo, Francide, avresti potuto affrettare la fine dell'attuale tuo tormento amoroso? Mi chiarisci che cosa non facesti, quando il nostro amico Iveonte stava per partire per Casunna? Avrebbe forse egli potuto fare qualcosa per te, allo scopo di evitarti l'attuale pena? Ti confesso che non riesco a raccapezzarci un bel niente!»

«Anziché inviare alla mia Rindella una lettera d'amore tramite lui, avrei dovuto chiedere al mio amico d'infanzia la cortesia di condurla da me al suo ritorno da Dorinda. Ossia, egli, lasciandola ancora a Casunna per tutto il tempo che avrebbe riportato Lerinda dal fratello Cotuldo, vi sarebbe poi ritornato per riprenderla ed accompagnarla qui da me. Perciò, se avessi invitato Iveonte a fare come ti ho detto, nel giro di un paio di mesi, dopo mi sarei goduta la compagnia della mia ragazza, mi sarei sentito il più felice della terra ed avrei cessato di penare terribilmente!»

«Francide, allora perché non lo facesti, quando potevi? Ora che mi ci hai fatto riflettere, mi sa che sul serio commettesti un grave errore, per non averci pensato in quella circostanza. Comunque, adesso non serve rimuginarci sopra e sferzarti l'animo con i tuoi sensi di colpa punitivi, i quali possono solo dissestarti l'esistenza. La qual cosa si ripercuote sulle persone a te care, poiché esse non desiderano vederti con l'angustia dell'animo, che porti dipinta sul tuo volto assai preoccupato!»

«Non posso darti torto, Astoride. Purtroppo il guaio, dopo essere stato fatto da me, non può essere barattato con un qualunque mio atto gradevole. Dunque, pur essendo consapevole che esso continuerà a rattristarmi lo spirito, dovrò fare di tutto perché la mia angustia non mi venga letta in viso. Ma adesso, amico mio, è giunto il tempo di ritornare sollecitamente a corte, dove tra non molto sarà già l'ora del pranzo. Per cui non è nostra intenzione fare attendere più del necessario mia madre, la tua Godesia e la sacerdotessa Retinia. Oggi, se non ne sei ancora al corrente, abbiamo alla nostra mensa pure la religiosa, quale ospite gradita, essendo ella venuta a far visita alla mamma di buon mattino!»


Un paio di giorni dopo, si erano ritrovati a conversare nel patio il re Francide e la madre Talinda. Nel luogo dov'essi si erano appartati, abbondavano alberi e piante di ogni genere, la cui vistosa fioritura si mostrava davvero esuberante; ma non mancavano vasche ricolme di limpida acqua, sulla cui superficie nuotavano con grazia e maestosità cigni, anatre ed altre specie di uccelli acquatici dalle piume variegate e sgargianti. Stando in quell'incantevole angolo della reggia, era stata l'abdicataria regina a prendere la parola per prima. Infatti, intanto che i due congiunti si davano a guardarli con occhi estasiati, all'improvviso la nobildonna si era messa a parlare al suo unigenito nel modo seguente:

«Figlio mio, sono certa che ti costa moltissimo startene lontano dalla tua adorata Rindella; però, per qualche mese ancora, non potrai metterti in viaggio per andare a prenderla a Dorinda e condurla qui per averla sempre accanto. Purtroppo la tua presenza a corte continua a risultare indispensabile! A sentire gli alti dignitari di corte, i quali si stanno adoperando al massimo per fare di te un esperto governante, tu apprendi rapidamente ciò che essi ti vanno insegnando. Come se l'arte del governare fosse una tua naturale disposizione, direi quasi una vocazione! Ma vedrai, Francide, che i sacrifici di oggi ti gioveranno nel futuro, come neppure immagini! Riguardo alla tua ragazza, la quale molto presto diventerà la tua regina, se in questi giorni ti sta facendo soffrire senza volere, quanto prima il suo amore ti ricompenserà di ogni sofferenza, che adesso stai patendo a causa della sua lontananza dalla nostra Actina. Vuoi riferirmi, mio caro figlio, quanto ella vale per te, anche se presumo di sapere già molto in merito? Ma voglio sentirtelo dire da te!»

«Madre mia, il suo valore per me è inestimabile; mentre la mia stima per lei è ineguagliabile. Potrebbe considerarsi esistente un fiume, senza avere acqua che scorra nel suo alveo? Potrebbe una donna considerarsi madre, senza vedersi assalita da una nidiata di allegri e discoli bambini, i quali la circondano e se l'abbracciano? Potrebbe una campagna ritenersi fertile, senza mostrare i suoi fruttiferi alberi e le sue messi dorate che l'arricchiscono? Potrebbero il sole e le stelle farsi scorgere nel cielo rispettivamente di giorno o di notte, senza essere provvisti della sua luce sovrabbondante il primo e dei loro ammicchi scintillanti le seconde, i quali fanno di loro le incomparabili bellezze che rappresentano? Potrebbe il mare presentarsi come una potenza distruttiva, senza avere al suo comando quei giganteschi marosi, i quali sono sempre pronti a scompigliare la costa e a fare strage di navigli? Potrebbero i monti incutere rispetto e suscitare stupore, senza avere l'imponente altezza che si ritrovano, la quale li fa ergere nel cielo come presuntuosi giganti, quasi a sfidarlo con molta fierezza? Ti garantisco, madre mia, che nessuno degli elementi naturali e celesti da me citati sarebbe in grado di perseguire il proprio scopo, quello che adesso riescono a realizzare in seno alla natura e nell'infinito firmamento!»

«Sono convinta anch'io, figlio mio, di quanto hai appena affermato con somma mestizia e con immensa malinconia!»

«Riportando il paragone sulla coppia rappresentata da me e da Rindella, ebbene, madre mia, se venissi privato della mia ragazza, pure io sarei incapace di raggiungere i vari miei obiettivi. Dovrei fare a meno della felicità del mio cuore, dovrei rinunciare alla serenità del mio animo, non dovrei più assaporare la gioiosa baldanza del mio spirito. Inoltre, i miei occhi dovrebbero privarsi della meraviglia più indescrivibile e alle mie orecchie verrebbe negato di ascoltare le note più ineffabili. Quanto alla mia mente, essa all'istante smetterebbe di generare i pensieri più rasserenanti e le idee più estasianti. Inoltre, la medesima cesserebbe di coltivare le speranze più incoraggianti e gli ideali più nobili, essendo destinata a stramazzare nel tenebroso pozzo delle delusioni e delle peggiori brutture! Comprendi ora l'immenso valore che la mia Rindella ha per me, per cui non posso starle lontano neppure per poco? Sono certo che mi capisci!»

«Invece, Francide, la tua Rindella per te è un essere esistente, per cui non devi temere le tante disgrazie, che mi hai testé descritte. Se in questo momento ella non sta al tuo fianco, tra non molto invece l'avrai vicina a te, dedita ad elargirti le sue premure e a renderti pago dei suoi baci e delle sue carezze! Perciò ti tocca avere pazienza.»

«Hai ragione, madre mia. Io, però, avendo paura che nel frattempo le possa succedere qualcosa di brutto, non so darmi pace e mi sento colpevole di averla lasciata a sé stessa! Temo di più per lei, soprattutto perché a Dorinda non c'è il mio amico Iveonte, l'unico che avrebbe potuto garantirle la massima sicurezza. Se non ho ancora deciso di correre da lei e condurla qui nella mia reggia di Actina, è perché la ritengo al sicuro nel palazzo del facoltoso Sosimo e la vedo anche protetta dagli uomini di Lucebio.»

«Ti comprendo, figlio mio, poiché la tua pena è diventata anche la mia. Se non te lo impedissero i tuoi doveri di re, i quali dall'inizio ti stanno mettendo a dura prova, sarei io stessa ad esortarti ad anticipare la tua partenza per Dorinda e a precipitarti fra le sue braccia. Ma non posso invitarti a stringere i tempi, poiché già ti stai impegnando al massimo nei tuoi compiti di sovrano, lavorando quasi come uno schiavo!»

«Grazie, madre, per come stai prendendo a cuore il nostro problema. Ti garantisco che pure la mia Rindella te ne sarà grata, dopo esserne stata informata. Inoltre, sono convinto che il vostro futuro rapporto di suocera-nuora sarà ottimo e niente affatto somigliante a quello che tradizionalmente viene descritto dalla credenza popolare. A questo punto, però, devo lasciarti, mia diletta genitrice, perché devo incontrarmi con certi dignitari di corte. Essi dovranno consigliarmi su alcune decisioni che dovrò prendere, circa le modalità di tassazione da adottare per talune categorie di artigiani e di liberi professionisti. Se ti capita d'incontrare Astoride, fammi il favore di mandarmelo subito nella sala del trono, dove starò ad attenderlo!»

«Stai tranquillo, Francide, che mi occuperò di lui e te lo cercherò dovunque si trovi! Chiederò pure a tua sorella Godesia se sa dirmi dov'egli è impegnato in questo preciso momento. Così faremo in modo che il tuo amico ti raggiunga al più presto dove mi hai detto, poiché ne hai un impellente bisogno, come mi hai fatto presente!»


Il Terdibano si era presentato al sovrano di Actina, giusto in tempo per vederlo congedare i tre dignitari, che egli stesso aveva convocati nella sala del trono per pareri non vincolanti su come tassare alcune categorie di lavoratori autonomi. L'incontro a quattro, in verità, si era svolto in un clima di massima pacatezza ed aveva trovato l'unanimità dei consensi dei partecipanti su ognuna delle decisioni che erano state prese. Perciò il re Francide ne era rimasto molto soddisfatto. Quando poi l'amico lo aveva raggiunto presso il trono, dopo essere sceso dal seggio regale, aveva iniziato a dirgli:

«Ieri sera, Astoride, di cosa volevi parlarmi? Scusami, se non ho potuto darti retta a causa di una maledetta cefalea, la quale si era messa a perseguitarmi da subito dopo aver cenato. Ma dal momento che sono libero, puoi farlo benissimo adesso!»

«Nel pomeriggio, Francide, era venuto a chiedermi udienza Embisto, l'attuale sovrintendente alle carceri. Egli mi aveva fatto presente un'emergenza, la quale era sorta nell'ambiente carcerario, per cui bisognava affrontarla al più presto. Secondo alcuni suoi subalterni, nelle celle e nei corridoi che le fiancheggiano, era esplosa un'infestazione da topi, per cui sovente capitava d'incontrarli nei luoghi citati. Da parte mia, ieri gli ho promesso che te ne avrei parlato ed avrei ottenuto da te una disposizione circa il provvedimento da adottare, il quale risultasse il più idoneo a derattizzare l’intera area infestata dai topi. Perciò, amico mio, mi dici come risolvere il problema che ti ho fatto appena presente? Così domani andrò a riferirglielo senza indugio! Attendo la tua risposta.»

«Sappi, Astoride, che non intendo risolvere il problema con l'impiego di disinfestanti! Il carcere è un luogo chiuso e non possiamo trasferire i reclusi in un altro posto. Per questo, se ricorressimo agli antiparassitari per topi, facilmente si potrebbe provocare una generale intossicazione degli organismi di quelle persone che, per forza di cose, sarebbero costrette a restarvi. Ovviamente, mi riferisco alle guardie carcerarie e a coloro che vi vengono detenuti, dovendo scontare la loro giusta pena!»

«Francide, allora come suggerisci di superare l'emergenza che abbiamo nelle carceri, senza arrecare nocumento a quanti sono obbligati a soggiornarvi per tutta la giornata oppure per molte ore di essa? Io non vedo altro modo, per far fronte ad essa, a parte una provvisoria evacuazione dei reclusi e delle guardie carcerarie!»

«Dimentichi, Astoride, che esistono i nemici naturali dei topi? Se lo vuoi sapere, ci serviremo proprio di quelli! Chi, meglio dei gatti, potranno fare piazza pulita dei roditori, che infestano le nostre carceri? Nessuno, ti dico! Perciò domani mattina ti recherai da Embisto e lo metterai al corrente del mio suggerimento. Digli che egli ha la mia autorizzazione ad allevare dei gatti in tutta l'area carceraria e raccomandagli di fornire ad essi meno cibo possibile. I felini dovranno procacciarsi da sé stessi il loro pasto, se intendono sfamarsi e sopravvivere nel loro nuovo ambiente! Ti sono stato chiaro?»

«Amico mio, sono convinto anch'io che il tuo suggerimento darà nel carcere i frutti auspicati. Quindi, non vedo l'ora di andare a proporlo al sovrintendente Embisto, unitamente alla tua raccomandazione! Visto che mi trovo qui da te, volevo anche farti sapere che Godesia ieri mi ha domandato quando ci sarà possibile sposarci, per iniziare a vivere una nostra vita piena e gratificante. Da parte mia, non ho potuto darle una risposta precisa in merito, non avendo ancora parlato con te del nostro futuro matrimonio. Se ella dovesse chiedermelo ancora, quale risposta dovrò darle? Se me lo dici, le farò presente il tuo suggerimento.»

«Astoride, dille che per il momento è presto parlarne. Ad ogni modo, sappi che il vostro matrimonio dovrà seguire quello mio e di Rindella. Ti prego di riferirlo anche a mia sorella, la quale così si metterà finalmente l'animo in pace! Se non vi dispiace, innanzitutto dovrò pensare a come condurre la mia ragazza nella nostra Actina! Amico mio, non trovi giusta anche tu la mia decisione sui nostri due futuri matrimoni?»

«La penso anch'io come te, Francide. E poi, giusta o non giusta, ogni tua decisione diventa un ordine per tutti gli Actinesi e nessuno di loro deve azzardarsi a non essere d'accordo con essa, compresa tua sorella Godesia! Inoltre, se al nostro matrimonio sarà presente pure la regina Rindella, senz'altro esso sarà ancora più bello!»

«Invece, Astoride, non è così che la penso io! Un sovrano, nei confronti del suo popolo, deve cercare sempre di essere equanime nel governare e nell'amministrare la giustizia. Secondo me, è giusto che esso gli si ribelli, se egli non governa e non giudica con equità. Comunque, la vostra è una faccenda familiare e dovete scusarmi, se mi sono preso la libertà d'intromettermi nei vostri affari privati, stabilendo quando tu e mia sorella dovrete sposarvi. Io l'ho fatto unicamente perché, come giustamente hai osservato anche tu, vi farà un sacco di piacere avere al vostro matrimonio, oltre al re della Città Santa, pure la sua prestigiosa regina! Non è forse così, amico mio?»

«Certo che è come hai detto, Francide! Sono convinto che a tua sorella Godesia non è venuta proprio in mente una possibilità del genere. Ma ti garantisco che, quando le prospetterò tale evenienza, ella l'approverà senza meno; inoltre, ne sarà anche immensamente felice ed orgogliosa. Adesso corro subito a dirglielo. Così, dopo essersi tranquillizzata, comprenderà che ciò che hai pensato tu è conveniente ad entrambi!»

La discussione tra i due amici aveva avuto termine con l'ultimo intervento di Astoride. Costui poi, senza perdere tempo, si era recato dalla sua amata per riferirle l'opinione del re suo fratello circa il loro futuro matrimonio. Il mattino dopo, però, quando era ancora abbastanza presto, Astoride si era affrettato a condursi con la sua scorta nelle carceri, allo scopo d'incontrare il preposto alla loro sovrintendenza. Egli era ansioso di rapportargli l'espediente escogitato e suggerito dall'amico re Francide, trovandolo anche lui un rimedio vantaggioso per tutti coloro che erano obbligati a vivere in carcere per l'intera giornata oppure per una parte di essa.


Quando Astoride era giunto all'ingresso della casa penale, i due secondini, che vi erano di guardia, si erano fatti in quattro per mettersi a sua completa disposizione. Perciò, dopo avergli aperto per consentirgli l’accesso, essi, mostrandogli il massimo rispetto, non avevano perso tempo a fargli strada e ad accompagnarlo dal loro diretto superiore. Embisto non si era meravigliato del suo arrivo, poiché, dopo essere andato a parlargli due giorni prima, si attendeva la sua visita in tempi brevi. Così, dopo averlo ricevuto con riverenza, lo aveva invitato a mettersi a proprio agio nello stanzino, dove svolgeva il proprio ufficio.

Quando l'illustre ospite si era accomodato, rivolgendosi a lui con il dovuto riguardo, timidamente aveva incominciato a dirgli:

«Suppongo che l'eccellentissimo Astoride sia venuto da me, allo scopo di portarmi la risposta del nostro sovrano, a proposito del problema che abbiamo qui nelle carceri. Dunque, sono ansioso di apprendere da vossignoria quali sono le sue disposizioni in merito ad esso, sperando che le medesime siano quelle giuste per risolverlo!»

«Il re Francide, Embisto, non ti propone niente di eccezionale per superare la difficoltà che avete qui nelle carceri. Secondo lui, per liberarvi dai topi che infestano questo luogo, non occorre altro da fare che allevare in esso un numero consistente di gatti, ai quali dovrete dare da mangiare il meno possibile. Vedrai che i piccoli felini, se tenuti a digiuno per lungo tempo, si cercheranno da soli il loro prelibato nutrimento, il quale potrà essere costituito dai soli topi che infestano l'ambiente carcerario! Perciò egli vi autorizza a crescere dei gatti nelle carceri, fino a quando essi non le avranno ripulite dai disgustosi roditori. Ecco, questa è la ricetta suggerita dal nostro sovrano!»

Il sovrintendente alle carceri stava per esprimere il suo giudizio in merito alla trovata del re Francide, naturalmente con l'intenzione di elogiarla, allorché erano provenute da una delle celle vicine le parole contestatrici di un detenuto. Egli, mostrandosi alquanto contrariato, si era dato a gridare fortemente: "Non sono un assassino! Mi hanno incolpato ingiustamente di un delitto che non ho affatto commesso! Ero appena arrivato nella Città Santa e non conoscevo affatto la persona che hanno pensato che io abbia uccisa! Vi ero giunto da poco da Dorinda e, tra l'altro, avevo urgenti comunicazioni per il re Francide! Fatemi parlare con lui, per favore! Si tratta di una cosa di primaria importanza!"

Nell'udire le lamentele dell'ignoto recluso dorindano, Astoride, facendosi scuro in volto, all’istante si era stizzito con il sovrintendente. Per questo, immediatamente dopo, al fine di approfondire meglio la cosa, egli gli aveva fatto le seguenti domande:

«Chi è il recluso che grida così, Embisto? Possibile che trattieni in cella una persona, la quale asserisce di avere delle comunicazioni per il tuo sovrano di una certa rilevanza? Mi dici anche da quando egli risulta un tuo carcerato? Potevi parlarmene l'altro ieri, quando sei venuto da me, se egli era già stato tradotto in carcere! Se lo vuoi sapere, la tua è stata una grave mancanza, che potrebbe costarti il posto! Specialmente se le sue informazioni per il sovrano sono davvero ragguardevoli!»

«Eccellentissimo Astoride, si tratta di uno sconosciuto, il quale vuole fare soltanto il furbo con noi. Dice di chiamarsi Feun e di provenire dalla città di Dorinda. Ma è mai possibile che una persona come lui possa avere delle comunicazioni da dare al nostro sovrano? Secondo me, egli è un mentecatto oppure finge di esserlo, per evitare la pena di morte, quella che si merita, avendo ammazzato una persona innocente!»

«Embisto, di quale reato l'uomo viene accusato, per cui si è proceduti al suo arresto? A mio avviso, secondo quanto afferma, egli può essere soltanto innocente!»

«I soldati lo hanno condotto qui da me tre giorni fa, quando mi hanno raccontato per filo e per segno ciò che era avvenuto nella nostra città, in una traversa laterale del corso principale che conduce al tempio. In quel luogo, era stato commesso un omicidio ai danni di un venditore di cianfrusaglie; ma non si sapeva se per derubarlo oppure per un regolamento di conti, da parte della malavita locale. Ebbene, una volta fuggito, l'assassino era stato inseguito immediatamente da un drappello dei nostri bravi soldati, che si trovava nelle vicinanze. Ad un certo punto, ad un canto della strada, il fuggitivo era riuscito a sparire alla vista dei gendarmi inseguitori e a dileguarsi di colpo. Allora essi avevano ritenuto che l'uomo da loro rincorso si fosse rifugiato nell'osteria adiacente al palazzo, che faceva angolo. Chi li comandava, dopo esservi entrato, aveva chiesto all'oste chi fosse stato ad entrare per ultimo nel suo locale. Da parte sua, il gestore della bettola aveva indicato il nostro recluso, quale ultimo avventore arrivato. Alla sua risposta, i soldati non avevano avuto dubbi che si trattasse proprio dell'omicida che stavano inseguendo. Così, dopo aver prelevato il sedicente forestiero dal pubblico locale, lo avevano tradotto nelle nostre carceri.»

Ascoltato il circostanziato resoconto del sovrintendente alle carceri, il quale a prima vista si mostrava abbastanza convincente almeno in apparenza, Astoride era rimasto parecchio perplesso circa la colpevolezza del giovane dorindano. Per tale motivo, replicando all'istante al suo anziano subalterno, gli aveva fatto osservare:

«I nostri soldati hanno commesso un errore madornale, Embisto, se si sono comportati, come mi hai riferito, siccome essi non avevano nessuna certezza che il vero assassino si era rifugiato proprio nell'osteria. Per cui la colpa è caduta sullo sfortunato Dorindano, solo perché vi era entrato poco prima del loro arrivo. Ma stanne certo che tra breve scoprirò la verità su Feun e saprò anche se egli è degno della nostra fiducia, quando afferma di avere importanti comunicazioni per il nostro sovrano! Perciò adesso accompagnami subito dal recluso, siccome intendo interrogarlo di persona!»

Quando infine si era trovato davanti al carcerato dorindano, il quale non smetteva di urlare le sue solite frasi, ripetendole con forza, Astoride aveva incominciato a dirgli:

«Dorindano, sono il comandante della Guardia Reale. Sono qui per approfondire il tuo caso e per darti una mano ad uscirne, se non sei colpevole di qualche reato. Ma prima di conoscere i particolari del tuo arresto, voglio sapere da parte di chi avresti delle importanti comunicazioni per il nostro re Francide! Sappi che mi basterà la tua giusta risposta, perché io ordini al qui presente sovrintendente di scarcerarti all'istante. Così dopo ti condurrò anche alla presenza del sovrano di Actina! Allora vuoi riferirmi ogni cosa, in merito alle tue importanti comunicazioni, perché io possa giudicarle vere o false?»

«Avendo saputo che mi trasferivo ad Actina, dove vivono da tempo tre dei miei zii materni, mio cugino Zipro, che è stato un ex allievo del re Francide, mi ha pregato di presentarmi al sovrano della città. Il motivo? Gli dovrò rapportare le difficoltà che stanno incontrando i ribelli, ad opera di una setta religiosa che li contrasta apertamente più del despota Cotuldo. Soprattutto dovrò riferirgli che la sua ragazza, la principessa Rindella, è minacciata da un grave pericolo, per cui egli potrebbe anche perderla per sempre nel peggiore dei modi, se non si precipiterà subito a Dorinda a salvarla! Questo è tutto, illustre comandante!»

Non appena il Dorindano aveva finito di accennargli le informazioni che aveva da dare al sovrano da parte del cugino, Astoride aveva ordinato al sovrintendente:

«Embisto, fai immediatamente uscire dalla sua cella il recluso Feun, siccome una persona degna della massima fiducia del sovrano di Actina non può essersi macchiata di qualche reato e non può venirne incolpata ingiustamente. Adesso egli verrà via con me, poiché dovrò condurlo in sua presenza nel più breve tempo possibile!»

«Se questo è il volere di sua eccellenza, non ho nulla da obiettare; ma lo faccio scarcerare senza perdere tempo. Così egli potrà ritornare ad essere un uomo libero.»

Avvenuta la scarcerazione del cugino di Zipro, poco dopo Astoride già galoppava insieme con lui alla volta della reggia, essendo stato pure restituito all'imputato discolpato il cavallo, che in precedenza gli era stato requisito all'atto della reclusione.


Una volta a corte, il Terdibano aveva voluto prima incontrare da solo l'amico Francide, al fine di anticipargli quanto di cui si era trovato ad essere testimone nelle carceri. Solo in un secondo momento, egli aveva fatto incontrare nella sala del trono il sovrano di Actina e il dorindano Feun. L'incontro, il quale si era svolto alla presenza di Astoride e della nobildonna Talinda, aveva dato luogo ad un serrato interrogatorio da parte del re al parente di Zipro, avendo voluto egli apprendere ogni dettaglio sulla vicenda riguardante la sua ragazza.

«Quindi, tu saresti il cugino di Zipro, il quale è stato il mio migliore allievo, quando impartivo lezioni di scherma e di arti marziali nel campo dei ribelli.» aveva esordito Francide «Vuoi chiarirmi meglio il motivo per cui il tuo consanguineo, nell'apprendere che ti trasferivi ad Actina, ha voluto che tu mi contattassi di persona? Come mai non è partita dal savio Lucebio una iniziativa del genere, considerandola la cosa più logica che mi sarei aspettata? Oppure egli ha incaricato il mio provetto allievo, perché t'invitasse a farlo a nome suo? Mi dici, inoltre, perché la mia ragazza adesso viene considerata una principessa? Da quando ella lo è diventata? Su, Feun, affréttati a darmi tutte queste notizie, dal momento che esse m'interessano in modo particolare!»

«Re Francide, comincio a rispondere prima a quelle tue domande, le quali non hanno bisogno di una risposta lunga, ossia alle ultime tre. La tua ragazza, cioè la principessa Rindella, è la quartogenita degli ex regnanti di Dorinda, ossia del re Cloronte e della regina Elinnia. Ne erano già al corrente la nobildonna Madissa, la quale l'ha allevata dal suo terzo mese di vita, e il saggio Lucebio. Costui se n'era convinto, dopo che tu gli avevi fatto il nome della donna, che si prendeva cura della tua ragazza. In seguito ne ha avuto anche la conferma dalla sua attuale compagna, ossia la nobildonna Madissa, nel loro primo incontro, quando è esploso anche il loro folle amore.»

«Mi spieghi, Feun, perché mai, a un dato momento, essi hanno deciso di rendere pubblica una notizia segreta, la quale doveva continuare a restare riservata, senza che nessuno venisse a saperlo? Tuo cugino, spigliato e in gamba come l'ho sempre considerato, di sicuro ti avrà informato anche di questo particolare!»

«Ti ringrazio del concetto positivo che hai del mio parente, illustre sovrano della Città Santa! Del resto, anch'io la penso come te. Comunque, la risposta a quest'altra tua domanda verrà da sé, non appena passerò a risponderti alla prima. Perciò ascolta con attenzione e comprenderai meglio ogni cosa senza alcuna difficoltà!»

Nell'apprendere che la ragazza del figlio era una principessa, addirittura la figlia del più prestigioso re dell'Edelcadia, siccome aveva avuto come padre l'eroico Kodrun, la nobildonna aveva esultato:

«Che il dio Matarum sia benedetto, per essersi mostrato benigno verso mio figlio! Egli non poteva destinargli una moglie migliore!»

Un istante dopo, però, si era rivolta al suo unigenito, osservando:

«Come possiamo renderci conto, figlio mio, in passato potevamo anche risparmiarci di fare tanto rumore per nulla, visto che la tua Rindella non era una donna qualunque. Al contrario, ella era una vera principessa, in quanto nipote di un re che, insieme con tuo nonno Nortano, erano gli unici galantuomini nell’Edelcadia!»

«Certo, madre, che è come hai affermato! Ma non lo devi dire a me, che non c'entravo per niente! Siete stati tu e la classe sacerdotale ad opporvi al mio matrimonio con la figlia del re Cloronte e della regina Elinnia. Ma adesso lasciamo parlare soltanto Feun, poiché le sue parole sono molto importanti per me. Dovresti già saperlo!»

«Rieccomi a rispondere ancora alle tue domande, nobile sovrano.» il Dorindano lo aveva accontentato all'istante «In riferimento alle due domande che riguardano Lucebio, le due risposte sono entrambe negative. Il capo dei ribelli non ha incaricato Zipro d'invitarmi a fare ciò che sto facendo in questo momento; ma è stata una iniziativa di mio cugino. Egli è preoccupato per la brutta piega, che stanno prendendo le cose tra gli oppositori al governo dispotico del nostro tiranno. Il mio consanguineo, vedendo che la situazione sta precipitando tra i ribelli e che il loro capo vuole evitare di scomodare un re, cioè l'uomo che tu rappresenti oggi, si è deciso a farlo lui tramite me, essendo convinto che è di capitale importanza. Così stanno le cose in Dorinda!»

«Ma adesso, Feun, vuoi spiegarmi perché a Dorinda la situazione sta sfuggendo di mano agli uomini di Lucebio? Eppure dalla loro parte oggi ci sono Solcio e Zipro, i quali sono da considerarsi due combattenti validissimi, essendo stati preparati rispettivamente dal mio amico Iveonte e da me in modo ottimale! Vuoi chiarirmi anche questo particolare, che non riesco a comprendere?»

«Se lo vuoi sapere, re Francide, a loro se n'è aggiunto anche un terzo, di nome Polen, il quale ha imparato dai suoi due maestri tutto quanto era da apprendersi nella scherma, diventando un combattente di raro valore. Ebbene, benché militi con loro la straordinaria terna di guerrieri, i ribelli fanno davvero molta fatica a portare avanti la loro lotta contro i loro nuovi nemici, i quali attualmente non risultano più i soldati.»

«Chi sarebbero costoro, Feun?! E da quando è incominciata ad esserci questa novità in Dorinda? Non mi dire che essa già c'era, quando Iveonte è venuto a riaccompagnare alle rispettive dimore la sua Lerinda e la mia Rindella. Ritengo la cosa del tutto improbabile! Altrimenti Lucebio ne avrebbe parlato al mio amico, il quale non avrebbe lasciato la città, senza prima aver dato una lezione a coloro che minacciavano i suoi amici ribelli. Perciò apprèstati a parlami di questi altri loro nemici e a riferirmi pure perché essi si presentano tanto pericolosi. Io devo saperlo a qualunque costo!»

«Difatti, re Francide, si è avuto sentore di loro, solo una decina di giorni dopo che c'è stata la partenza dell’eroico Iveonte dalla nostra città. E visto che non l'ho fatto ancora, mi affretto a dichiararti che gli accaniti nemici dei ribelli dorindani sono diventati i Tricerchiati. Essi, a quanto pare, si mostrano molto più temibili dei soldati.»

«Chi sarebbero questi individui, Feun? E perché si dimostrano più pericolosi dei gendarmi di Cotuldo? Mi dici anche come mai essi hanno iniziato ad avercela con i dissidenti del regime autoritario dell'usurpatore casunnano? Questi Tricerchiati non costituiscono mica un'organizzazione paramilitare, la quale opera d'intesa con il tiranno di Dorinda? Secondo me, dopo averla istituita in piena segretezza, adesso egli se ne sta servendo per combattere Lucebio e i suoi fedeli ribelli! Sbaglio?»

«Niente di tutto questo, sovrano di Actina. I Tricerchiati, i quali adorano il dio Kursut, costituiscono una setta religiosa, il cui capo è Olpun ed è considerato il prediletto della loro divinità. Il nome di tali fanatici religiosi è dovuto al loro emblema. Si tratta di un tricerchio bianco che essi portano inciso sulla fronte, a mo' di tatuaggio. Per cui non è difficile individuarli, quando li s'incontrano per strada. Riguardo al loro numero raggiunto alla mia partenza da Dorinda, secondo una voce accreditata, esso sfiorava quasi settecento neofiti. È stato mio cugino Zipro a rendermi edotto di tutto quanto riguarda la loro setta. Mi ha anche messo al corrente che essi praticano sacrifici umani, ma le loro vittime sono soltanto vergini donne che essi sottopongono ad un supplizio atroce. Non ne riferisco i particolari ignobili ed innominabili, essendoci ad ascoltarmi anche la tua nobildonna genitrice. Comunque, esse, già prima di subire l'orrenda pena, a cui vengono sottoposte durante la funzione religiosa, vengono stuprate in altra sede dai tre personaggi maschi più rappresentativi della setta, a cominciare dal Prediletto e finendo con gli altri due, che sono Ciron ed Ernos.»

«Ciò che non capisco, Feun, è il fatto che i ribelli si lascino intimorire dai Tricerchiati, nonostante essi siano di numero superiore e militino nelle loro file dei valorosi combattenti, come Solcio, Zipro e il loro nuovo amico Polen. Il quale, secondo quanto mi hai affermato, ha raggiunto quasi il medesimo livello dei compagni nel destreggiarsi con le armi e con le arti marziali. Allora vuoi farmi comprendere quale difficoltà hanno gli uomini di Lucebio ad avere ragione dell'esiguo numero dei settari Tricerchiati? Non riesco proprio a comprenderlo!»

«Mi faresti la stessa domanda, nobile sire, se tu sapessi che alla guida degli adepti della setta ci fosse un guerriero in gamba, con uno stile schermistico che fosse alla portata tua oppure di quella d'Iveonte? In un caso simile, riterresti gli attuali tre campioni dei ribelli capaci di creare qualche tipo di problema ai nemici Tricerchiati? Allora che risposta mi dai, dopo averti fatto una simile domanda? Di certo, non incoraggiante!»

«Infatti, Feun! Ma chi sarebbe questo sconosciuto campione, il quale si mostra così provetto nelle armi e nelle arti marziali, da uguagliare perfino me e il mio amico Iveonte? Ti garantisco, Feun, che un fatto del genere è da considerarsi del tutto assurdo! Esperti come noi nelle armi e nelle arti marziali, nel mondo non ce ne possono essere. Al massimo, possono aver raggiunto in tali specialità un livello che, anche se altissimo, non potrà mai paragonarsi a quello nostro. Puoi esserne certo!»

«La pensano allo stesso modo anche Solcio e Zipro, re Francide, insieme con Lucebio e Croscione. Perciò il mio parente ritiene indispensabile la tua presenza in Dorinda. Allora si sentirà tranquillo, dopo che sarai di nuovo al loro fianco ed avrai fatto abbassare la cresta al protervo Ernos. È questo il nome dell'imbattibile Tricerchiato. Egli ha anche fondato in seno alla setta un corpo speciale di guerrieri battaglieri, chiamandoli Votati alla Morte, addestrandoli in maniera eccezionale nelle armi e nelle arti marziali. Se ti fa piacere apprenderlo, durante la sua breve permanenza fra i Tricerchiati, Polen è riuscito a battere il migliore di loro, ossia Liciut, al quale Ernos aveva affidato le mansioni di suo vice. Adesso il Tricerchiato battuto, pur restando ancora nella setta, è diventato amico di Polen e dei suoi due compagni, per averlo il giovane ribelle risparmiato, contrariamente a quanto Ernos gli aveva ordinato di fare. Il maestro d'armi avrebbe voluto che egli venisse ucciso dal suo vincitore, che era stato Polen, per avergli fatta fare una magra figura!»

«Feun, però non mi hai fatto ancora intendere come mai i Tricerchiati, dopo che è stata fondata la loro setta, di punto in bianco e a bella posta, si sono dichiarati nemici dei ribelli, incominciando a perseguitarli con ostinazione e senza tregua! Io vedo la cosa piuttosto illogica! Essi se ne sarebbero dovuti restare tranquilli per conto loro, senza immischiarsi nelle faccende di quelli che odiavano il regime.»

«Eppure il motivo è molto semplice, re Francide, e tu lo capirai all’istante, dopo che ti avrò svelato chi è la donna del Prediletto. Difatti è stata proprio lei a metterli pervicacemente contro i ribelli di Lucebio, con l'unico scopo di vendicarsi dei torti che afferma di aver subito per mano tua! Adesso ti sei capacitato, nobile sire?»

«Vuoi dire, Feun, che ti stai riferendo a Stiriana, la malvagia donna che aveva architettato un piano infame contro la mia Rindella? Invece, grazie al mio intervento, ella si ritrovò con l'intera prole ammazzata da me, a parte il suo ultimogenito Partros, al quale, in quella circostanza, ci pensò il qui presente Astoride ad arrecare la morte!»

«Mi riferisco proprio a lei, sovrano di Actina! Ella ha fatto già ammazzare dai suoi Tricerchiati mia zia Feura, ossia la madre di Zipro, e i genitori di Polen. Questi ultimi erano l'uno suo fratello e l'altra sua cognata. Pensa un poco dove arriva la sua indole perversa! Mi dispiace dirtelo, re Francide, ma il suo obiettivo principale adesso è la principessa Rindella. Ella sta cercando in tutti i modi di venire a sapere dove i ribelli la tengono nascosta, appunto per farla rapire dai suoi Tricerchiati e costringerla a subire l'onta e il martirio che solitamente infliggono ogni mese alle giovani vergini sventurate rapite. Incalzato da questo continuo pericolo, Lucebio ha ritenuto cosa saggia mettere al corrente dei suoi uomini l'identità della principessa, al fine di vederli più accaniti e solerti nel difenderla dai nemici. Quanto ai tre campioni dei ribelli, essi sono stati tentati di affrontare insieme Ernos; ma poi ci hanno rinunciato, temendo di venirne uccisi e di non poter essere utili alla tua fidanzata.»

«Non capisco, Feun, perché mai essi si sono tirati indietro, quasi fossero dei vigliacchi!»

«Il loro ripensamento, sire, non è stato per viltà, siccome essi intendono mettere a repentaglio la loro vita, soltanto se sarà a richiederlo la minacciata incolumità della loro principessa. Almeno così ne varrebbe la pena, se toccasse a loro tre sacrificarsi per lei, perché così il loro sacrificio avrebbe un nobile scopo. Per questo mio cugino Zipro ti manda a dire di non perdere più un attimo di tempo e di correre immediatamente sia in loro soccorso che in quello della loro principessa, se non vuoi vedere la tua futura sposa prima stuprata dai capoccioni della setta e poi sacrificata al loro dio Kursut. A questo punto, sono certo di averti riferito ogni cosa che avevo da comunicarti tanto sui tuoi amici ribelli quanto sui loro nuovi acerrimi nemici, i quali sono i Tricerchiati.»

Appena Feun aveva terminato di riportare quelle cose tremende che sarebbero potute capitare alla principessa Rindella da un momento all'altro, se il fidanzato non fosse arrivato in tempo a Dorinda ad evitargliele, la nobildonna Talinda si sbiancò in viso. Poi, facendosi prendere da fortissimi tremori, aveva gridato al figlio:

«Al diavolo tutti i tuoi impegni di corte, Francide mio, perché essi adesso dovranno passare obbligatoriamente in secondo piano! Io t’invito a metterti all’istante in viaggio e a precipitarti alla remota città del detronizzato re Cloronte. Altrimenti, rischierai di perdere la tua adorata Rindella, senza permettermi di fare la conoscenza con la tua amabile ragazza, che ti sei scelta come futura compagna fedele della tua vita!»

«Stanne certa, madre, che lo farò senza meno! Domani, prima del sorgere del sole, sarò già in viaggio alla volta di Dorinda. Mi accompagnerà una scorta composta da non più di venti soldati. Essi viaggeranno con me in incognito e privi di uniformi, proprio come se fossero delle persone comuni, ad evitare di dare nell’occhio durante il viaggio.»

«Ovviamente, Francide, anch'io verrò con te!» ci aveva tenuto a precisare Astoride «Se ti lasciassi andare a Dorinda senza di me, la mia vita qui ad Actina mi diverrebbe intollerabile e non riuscirei a stare tranquillo neppure un attimo della mia esistenza! Ma certo che verrò con te, non potendo essere altrimenti! Vero, amico mio?»

«Invece, Astoride, ti vieto assolutamente anche di pensarlo! Vorresti abbandonare qui da sole le uniche due donne di famiglia? Inoltre, ho deciso di affidarti la reggenza del regno, durante l'intera mia assenza da Actina. Perciò non te lo devi neanche sognare di accompagnarmi a Dorinda, visto che lì non avrò bisogno del tuo aiuto; mentre qui ti attendono dei compiti ben più importanti! Al posto tuo, sarà il bravo Urimmo ad accompagnarmi nella città dorindana; invece a te do l'incarico di scegliere oggi stesso gli uomini che dovranno far parte della mia scorta personale durante l’intero mio viaggio!»

«Gli ordini di un sovrano non si discutono, cognato mio! Dunque, ti ubbidirò come un qualunque tuo suddito. Ti chiedo solo di ritornare presto con la nostra regina! Anzi, mi dici pure come dovrò comportarmi in tua assenza con il qui presente Feun? Non possiamo non tener conto che egli ti è stato molto utile e prezioso, dopo aver scampato ad una ingiusta galera! Sto aspettando la tua risposta.»

«Adesso non so cosa risponderti, Astoride. Ti suggerisco di chiedere a lui in quale modo intende essere ricompensato per le preziose notizie che mi ha recato. Anzi, se egli è d'accordo, potrai reclutarlo nella Guardia Reale, da te comandata! Comunque, veditela tu con lui su questo fatto, cercando di accontentarlo come meglio potrai!»

Nella sala del trono, si era così conclusa la riunione che si stava avendo tra il re Francide, sua madre, Astoride e Feun. Quest'ultimo, dopo avere ascoltato le parole del sovrano actinese, già sognava d'indossare la sua fiammeggiante uniforme di guardia reale, siccome avrebbe accettato una proposta di quel tipo, se gli fosse stata fatta.