400°-L'ATTACCO DEI SOLDATI NON CONVINCE ERNOS

Restando ancora ad interessarci dei Tricerchiati, tra di loro c'era qualcuno che non riusciva a capacitarsi di come avessero fatto i gendarmi ad avere notizie della setta e del perché essi dopo avessero stabilito di prendere dei provvedimenti ostili nei loro confronti. Il lettore non avrà fatto fatica a comprendere che ci stiamo riferendo ad Ernos, il capo dei Votati alla Morte. Secondo lui, i soldati di Cotuldo non potevano aver saputo della loro esistenza senza la spiata di qualcuno. Perciò senz’altro c'erano stati dei delatori ad informarli su ciò che li riguardava. I medesimi, nello stesso tempo, li avrebbero anche sobillati ad attaccarli, magari facendo loro credere apposta una cosa per un'altra. Alla fine il maestro d’armi aveva concluso che la soffiata ai militari poteva essere stata fatta unicamente da alcuni uomini di Lucebio. Anzi, egli era certo che essa c'era stata da parte di persone che erano anche a conoscenza degli usi e dei costumi dei Tricerchiati, come i sacrifici delle giovani vergini, nonché il luogo e l'esatto periodo in cui essi venivano compiuti nel loro tempio. Riguardo alla loro identità, Ernos aveva già una propria idea; però voleva appurarla con fatti concreti. Inoltre, intendeva comprendere meglio come la loro mossa fosse venuta a concatenarsi con l'intervento armato dei soldati del re Cotuldo contro la loro setta. Riflettendoci bene, non c’era stata alcuna difficoltà da parte loro nel fare avere ad essa un rilevante successo, attraverso una tempistica perfetta. A suo parere, a prima vista, la circostanza appariva inconcepibile, poiché era come ammettere che i cani e i gatti si fossero alleati per dare la caccia alle astute volpi. Quindi, essendo di quello avviso, alla fine aveva deciso di approfondire lo strano caso e venirne a capo, a ogni costo e al più presto.

Così un bel mattino il campione delle armi e delle arti marziali si era presentato al corpo di guardia adiacente alla reggia, chiedendo del loro comandante. Egli c'era andato per arruolarsi nella Guardia Reale, essendo sicuro che sarebbe stato assunto facilmente, dopo la pesante batosta che i gendarmi avevano subito nel loro attacco ai suoi correligionari. A suo parere, non era possibile che uno come lui non li avrebbe impressionati in modo conveniente con la sua strabiliante perizia nella scherma e nelle arti marziali! Perciò, dopo che avesse dato un saggio della sua singolare bravura, egli sarebbe stato reclutato da Gerud, anche nel caso che il personale fosse risultato parecchio in esubero! Ernos ne era convinto, allo stesso modo che non poteva essere negato che l'acqua dei grandi fiumi scorreva sempre verso il mare, ad eccezione del solo caso in cui confluiva in un lago.

Il comandante dei gendarmi, che era stato chiamato dal soldato che stazionava nella garitta, una volta davanti al Tricerchiato, si era dato a scrutarlo da capo a piedi, come per farsene un giudizio sommario. Infine, con fare sostenuto ed altero, gli si era espresso con tali parole:

«Sono Morchio, colui che è a capo di questo reparto. Mi dici con chi ho l'onore di avere a che fare? Naturalmente, se sei venuto in questo posto, è perché un motivo ci sarà senza meno. Allora sei pregato di dirmi esso qual è, volendo rendermi conto di cosa si tratta!»

«Innanzitutto, comandante, tengo a farti conoscere il mio nome, il quale è Ernos, anche se esso di sicuro non ti dice niente di niente. Secondariamente, ti paleso che avrei intenzione di arruolarmi nella Guardia Reale del re Cotuldo. Sono certo che ci sarà un posto anche per me nel prestigioso corpo, del quale in Dorinda, a parte i pidocchiosi ribelli, tutti vorrebbero far parte! Dopo averti riferito ciò che m'interessava farti sapere, avrei finito. Allora qual è la tua risposta?»

«Non ti sembra di esagerare, Ernos, a volere essere assunto addirittura nella Guardia Reale, senza seguire la trafila, come di regola fa ognuno, a cominciare da me? Sappi che quanti vi sono ammessi vengono tutti dalla gavetta! Forse potrei pure trovare un posticino per te nell'esercito regolare, se tu dimostrassi di saper maneggiare almeno due delle armi bianche che vengono adoperate qui da noi! Che ne dici: te la senti di fare un provino e di darci il modo di valutarti?»

«Non ho intenzione di sottopormi a nessun provino, Morchio, poiché non sono fatto per indossare l'uniforme di un semplice soldato, come gli scagnozzi che sono alle tue dipendenze. Le mie aspirazioni te le ho già rivelate chiare e tonde poco fa! Perciò, unicamente se la mia prova dimostrativa dovrà avere come scopo la mia assunzione nella Guardia Reale, sono disposto ad esibirmi in essa. In questo modo, ti renderai conto dell'insuperabile talento che riesco a dimostrare nelle armi. Esso non può essermi conteso da nessuno nell'intera Edelcadia! Mi sono spiegato adesso nel modo giusto, comandante?»

«Se ho ben inteso, Ernos, davvero sei un bel presuntuoso! Come vorresti dimostrarci che sei degno di far parte della Guardia Reale? Comunque, adesso passo ad appurare se nel combattere hai il talento che dici di possedere! Ti avverto, però, che non mi piacciono quelli che amano fare gli sbruffoni, senza possedere le doti necessarie che comprovino la loro bravura! Tu non saresti mica uno di loro, amico, considerati i tuoi vanti, che considero esagerati?»

«Questa sì che è bella! Dare dello smargiasso ad un combattente del mio calibro! Ma ti sei reso conto, Morchio, della grande sciocchezza che ti è uscita dalla bocca, senza accorgertene? Tra poco vedrai con gli occhi basiti che sono un autentico talentoso nelle armi e nelle arti marziali!»

«Altroché, Ernos! Tu, però, prima di asserirmi che ho detto una stupidaggine, dovrai darmi la dimostrazione che sei davvero un asso nelle armi e nell’altra cosa che non ho capito bene, per essertene vantato! Ma per il momento, consentimi di dirtelo, continuerò a ritenerti un vero millantatore! A questo punto, mi dici quale eclatante dimostrazione vorresti darmi nelle armi? Spero solo che tu non voglia far partorire un topo dalla montagna! Se così fosse, qui tutti ti riderebbero addosso!»

«Ti propongo un combattimento tra me ed una cinquantina dei tuoi soldati. Esso dovrà risultare incruento da parte mia, siccome mi limiterò solamente a disarmarli. I tuoi uomini, invece, potranno anche colpirmi a morte, ammesso che ci riusciranno; ma ognuno di loro, una volta disarmato da me, dovrà tirarsi fuori dalla mischia. Quelli che invece si riapproprieranno delle loro armi e seguiteranno a combattere anche dopo essere stati disarmati, saranno ammazzati da me come cani senza alcuna pietà. Allora, Morchio, ti soddisfa la mia proposta? Oppure non la consideri abbastanza soddisfacente?»

«Tu, Ernos, saresti davvero capace di fare quanto hai detto?! Se lo vuoi sapere, ho i miei dubbi che tu possa farcela! Comunque, dal momento che nessun mio uomo potrà rimetterci la pelle, come hai promesso, accetto volentieri la sfida. Adesso vado a mettere i gendarmi che dovranno affrontarti al corrente delle regole del combattimento da te dettate. Così, quando ritornerò con loro, darete inizio allo scontro nel nostro cortile interno, dove di solito avvengono gli allenamenti sia dei miei uomini che dei gendarmi della Guardia Reale. Perciò abbi la compiacenza di attendere in questo posto!»

Mezzora dopo, c'era stato il ritorno di Morchio con i cinquanta soldati che dovevano combattere contro Ernos, i quali erano stati scelti personalmente da lui. Dopo, una volta che si erano trasferiti nel luogo del combattimento, vi aveva avuto inizio quella che si prevedeva una rissa rapida e a tutto vantaggio dei militari. Invece, a dispetto di ogni previsione del comandante del posto di guardia, essa si era svolta a favore dell'intrepido sfidante sconosciuto, nonostante egli non si fosse impegnato appieno con le sue straordinarie risorse in materia. Non appena si era visto circondato dagli avversati, alcuni dei quali si mostravano parecchio sicuri di sé ed intenzionati a sforacchiarlo come un colabrodo, Ernos aveva compreso che era giunto il tempo di agire. Allora, brandeggiando la sua spada in modo da creare un vortice tra sé e gli accerchianti aggressori, li aveva disorientati e costretti ad indietreggiare. Egli era sembrato un leone, che faceva la sua repentina comparsa in un ovile. Dove, dimostrandosi tremenda e famelica, aveva dato inizio alla sua strage con balzi mortali condotti in ogni sua parte. Perciò, ad un certo punto, le sue mosse e le sue acrobazie roteanti in mezzo a loro erano divenute invisibili ed impercettibili, mentre affondava e si ritraeva dal folto gruppo dei soldati. Costoro erano in grado soltanto di avvertire i segni devastatori delle sue frenetiche azioni dirompenti. Per cui accusavano materialmente lo sbandamento che esse producevano sui loro corpi e i risultati che si concretizzavano con scossoni, con perdita dell'equilibrio e con cadute per terra.

Parecchi soldati si ritrovavano così distesi al suolo anche senza armi in pugno, essendo stati disarmati dall'unico loro nemico, nel momento stesso che andavano incontro ai fenomeni sopradescritti. Invece i colpi sferrati dai soldati in tutte le direzioni, al fine di trafiggergli il corpo, erano parsi svanire nel nulla, non riuscendo a colpire nessuna parte del suo tronco e neppure qualche suo arto. Era sembrato che tali organi fossero invulnerabili o sfuggenti ad ogni loro aggressività. Per il qual motivo, il loro intento di renderli bersagli delle loro armi era stato frustrato in continuazione dall'esagerata mobilità e flessuosità di colui che gli teneva testa senza fatica. Egli li contrattaccava con una violenza e con una celerità tali, che mai essi avevano constatato in precedenza in altri avversari. Alla fine Ernos si era trovato senza più gendarmi intenti ad assalirlo, in quanto tutti, dopo essere rimasti privi delle loro armi, avevano cessato di combattere per non restarne uccisi, com'egli li aveva minacciati prima della sfida.

Al termine dello strabiliante combattimento, non credendo ai propri occhi, il comandante Morchio era rimasto quasi di pietra. Venuto poi meno lo stupore fulminante da cui era stato colto per alcuni attimi, egli aveva voluto fargli presente:

«Riconosco, Ernos, che sei davvero un fenomeno sia nell'uso delle armi che nella magica esternazione di quei volteggi acrobatici, i quali significavano per i tuoi assalitori esterrefatti soltanto disorientamento e smarrimento. Infatti, li hai privati di ogni facoltà di agire e di addivenire a conclusioni concrete e fattive sul tuo corpo. Tu meriti il mio rispetto e ti chiedo scusa di aver dubitato delle tue indiscusse capacità schermistiche e dell'altro tuo modo di combattere, al quale mai avevo assistito prima. Comunque, vorrei sapere perché mai porti quel tatuaggio sulla fronte. Ha forse esso per te un significato misterico?»

«Se ti riferisci al tricerchio indivisibile, Morchio, esso è l'emblema della nostra setta ed ogni suo cerchio sta ad indicare qualcosa. Quello superiore rappresenta la Terra, quello inferiore di sinistra simboleggia il Sole e quello inferiore di destra raffigura la Luna. Tale contrassegno fa dare anche il nome agli adepti della nostra setta religiosa, per cui ci fregiamo del nome di Tricerchiati. Riguardo poi alla mia tecnica di combattere e di destreggiarmi nelle armi, essa mi rende invincibile, non esistendo nell'Edelcadia chi possa battermi. Colui che mi precede per un pelo attualmente dovrebbe trovarsi nella Berieskania e il suo nome è Leruob. Adesso che ti ho dato la dimostrazione di valere moltissimo, dovrai adoperarti con ogni mezzo, perché io venga assunto nella Guardia Reale del re Cotuldo! Perciò corri dal tuo diretto superiore e fagli presente quanto è avvenuto in questo cortile, al solo scopo di farmi assumere nella prestigiosa guardia. Allora sei disposto a fare a mio favore quanto ti sto chiedendo?»

«Non preoccuparti, Ernos, che adesso vado subito a parlare con il mio superiore Gerud, il quale è il consigliere e il braccio destro del nostro sovrano. Nel frattempo che resto assente da questo luogo, ti prego cortesemente di aspettarmi qui, armandoti, almeno una volta, di grande pazienza, anziché di sole armi! Intesi?»

Dopo averlo fatto attendere una decina di minuti, Morchio aveva fatto ritorno da Ernos e, senza perdere un attimo di tempo, lo aveva invitato a seguirlo, dovendo presentarlo all'illustre suo superiore.

Gerud, il quale era in attesa di conoscere colui che il suo subalterno gli aveva descritto come un combattente prodigioso, vedendoselo davanti, per prima cosa anche lui si era messo a squadrarlo da capo a piedi. Egli, però, aveva avuto la sensazione di averlo già visto, ma non ricordava ancora in quale posto e in quale occasione. Alla fine, si era messo a parlargli in questo modo:

«Saresti tu Ernos, l’uomo che si è vantato di essere il guerriero più forte dell’intera Edelcadia, con il quale tuo vanto non sono d'accordo? Se non erro, ho l'impressione di averti già conosciuto prima di questo momento, anche se mi sfugge dove e quando sia potuto succedere! Tu saresti in grado di rammentarmelo? Comunque, se la tua risposta dovesse risultare negativa, ti prego di non fartene un problema. Tanto sono sicuro che entrambe le cose su di te, ossia il luogo e la circostanza dove è possibile che io ti abbia incontrato, mi verranno in mente durante il nostro colloquio odierno!»

«Insigne Gerud, siccome è la prima volta che ho l'onore di essere al tuo cospetto e non ricordo di averti intravisto neppure da lontano in qualche altra occasione, sono portato a credere che tu mi abbia scorto durante il vostro assalto al nostro tempio in una delle scorse notti. Perciò approfitto per chiederti anche perché lo avete fatto, senza che ci fosse alcun bisogno da parte dei soldati, causando la morte ad oltre sei centinaia e mezzo dei vostri soldati e a poco più di quattro centinaia dei nostri correligionari. I Tricerchiati non sono contro il regime del re Cotuldo e mai si sono permessi di combatterlo! Perciò dovresti metterne al corrente pure il tuo sovrano, se vuoi fargli cosa molto gradita!»

«Invece devi sapere, Ernos, che noi ignoravamo perfino l'esistenza della vostra setta! Se vi abbiamo assaliti, è stato perché ci avevano fatto credere che voi foste dei ribelli e che nella riunione di quella nottata ci sarebbe stato anche il loro capo Lucebio. Ti sono chiare adesso le ragioni del nostro attacco ai seguaci della vostra setta? Da quanto ho potuto constatare quella notte, risultata infausta per tanti nostri e vostri uomini, senz'altro devo riconoscere che sei un guerriero eccezionale. È stato allora che mi hai stupito enormemente. Riguardo poi alla tua dichiarazione, secondo la quale detieni tra gli Edelcadi il primato nell'uso delle armi e delle arti marziali, come voi chiamate quelle diavolerie acrobatiche, devo invece smentirti. Quello spetta ad Iveonte, il fidanzato della sorella del re Cotuldo. Egli, è bene che tu lo sappia, non può avere rivali in nessuna parte del mondo. Ma dopo di lui viene il suo amico Francide, il quale, se non lo uguaglia, ci manca poco. Per questo motivo, tu dovrai accontentarti del terzo posto! Ti sta bene così?»

«Certo che no, illustre Gerud, poiché non ne sono convinto. Vedrai che, quando avrò di fronte l’uno e l’altro, ti dimostrerò che sono io il più forte tra noi tre. Ma adesso mi faresti il favore di riferirmi chi vi ha fatto la spiata fallace, allo scopo di procurare dei danni sia a voi che a noi? Essi oramai, avendovi passato appositamente una notizia che già sapevano che era falsa, non meritano più la tua fiducia e quella del tuo sovrano. Ecco come la vedo io, se ci tieni a conoscere il mio parere! Allora mi dici chi è stato a mentirvi?»

«Al contrario, Ernos, la notizia ci è stata fornita da persone che godono la nostra massima fiducia. Che colpa ne hanno esse, se sono state le prime ad essere ingannate con un raggiro perpetrato ad arte? Ad ogni modo, non posso rivelarti i loro nomi, trattandosi di notizie molto riservate. Io te li potrei far conoscere, solo se tu entrassi a far parte della Guardia Reale, per l'accesso alla quale per te non verrebbero poste condizioni pregiudiziali. Dunque, sei ancora intenzionato a far parte di tale corpo militare, come hai dichiarato al mio subalterno Morchio? Se hai deciso di diventare una guardia del corpo in questione, di cui detengo il comando, per me non ci sono problemi e ti concedo il nullaosta oggi stesso. Anzi, ti nomino anche mio vice, dal momento che il precedente, da me non ancora surrogato, è perito nello scontro che conosci. Magari sarà stata la tua stessa spada ad accopparlo! Attendo la tua risposta affermativa per procedere alla tua nomina ufficiale, mediante l'avallo del sigillo reale, che però dovrò richiedere al nostro sovrano subito dopo.»

«Certo che accetto, mio prossimo illustre superiore! Ma ti faccio subito presente che, almeno per il mio primo mese di servizio, ho bisogno di avere un margine di libertà, dovendo sistemare alcune mie faccende private. La cui condizione d'improcrastinabilità non mi permette di tralasciarle. Allora sei d'accordo ad accettarla senza problemi, in maniera che io possa muovermi in piena libertà?»

«Ti prometto che avrai tutta la libertà che ti occorre, Ernos, siccome in questi ultimi tempi i ribelli stanno facendo la cura del sonno. Difatti è da parecchio che non si sente più parlare di loro. Non conosciamo neppure il motivo della loro fase di bonaccia. Anzi, spero proprio che essa continui a lungo in questa città, poiché così non avremo più problemi!»

Dal canto suo, Ernos lo conosceva benissimo il motivo, ma non aveva voluto parlarne con Gerud, ad evitare che l'alto gerarca venisse a conoscenza di certe magagne che avvenivano in casa loro, come i rapimenti e i sacrifici di giovani vergini. Perciò aveva preferito non pronunciarsi su quel particolare, non volendo aprire una parentesi dagl'imprevedibili risvolti. Al tramonto, essendo diventato a tutti gli effetti il suo vice, egli aveva incalzato colui che era divenuto da poco il suo diretto superiore.

«Adesso che sono diventato vicecomandante, esimio Gerud,» gli aveva rammentato «mi devi fare i nomi dei bari che ti hanno imbrogliato, facendoti giocare una partita sporca, che non era stata desiderata da te. Anzi, alla fine ti hanno obbligato a subire la sonora batosta, la quale non è stata roba di poco conto per i tuoi gendarmi. Non è forse vero che ho ragione a pensarla così?»

«Ti ripeto, Ernos, i miei delatori non c'entrano affatto, siccome hanno agito in buona fede. Semmai chi ha rifilato loro la falsa notizia, il quale non può essere che un ribelle, ha agito in malafede! Comunque, non ho difficoltà a farti i loro nomi. Si tratta di due giovani ammodo, i quali meritano la nostra incondizionata fiducia. Si chiamano Zipro e Polen. Sei soddisfatto adesso, dopo avere appreso i loro nomi?»

Sentendo pronunciare quei due nomi, per un attimo Ernos era stato tentato di fargli presente che quei due giovani erano soltanto dei ribelli, che lo stavano gabbando come un babbeo. Poi, sempre per non fare immischiare i gendarmi nella lotta segreta che si stava combattendo tra i Tricerchiati e i ribelli, si era controllato in tempo. Ma lo stesso aveva voluto approfondire ulteriormente il tipo di rapporto che si era instaurato da poco tra i due giovani e il suo superiore. Egli, che non riusciva a comprenderci un bel niente, cercava di capacitarsene in qualche modo. Così gli aveva domandato:

«Se non sono indiscreto, mio onorevole superiore, mi chiarisci perché mai Zipro e Polen godono a corte della massima considerazione? C'è forse qualcosa che devo ancora sapere sul loro conto? In caso affermativo, sarebbe meglio che tu me ne parlassi. In questo modo, se un giorno in tua assenza i due giovani mi si dovessero presentare, io saprei come comportarmi nei loro confronti!»

«Hai ragione, Ernos; anche tu devi sapere chi sono i due giovani. Essi sono i figli di Croscione, che un tempo è stato il mio diretto superiore, perché era lui a detenere la carica che oggi ricopro io. Mio vice, senza esagerazione egli era un tipo in gamba e sapeva anche imporsi al suo sovrano! Non immagini neppure quanti ribelli sono stati uccisi dalla sua spada, prima di venire sostituito dal sottoscritto! Adesso ti rendi conto di chi sono figli quei benedetti giovani? Come essi non potrebbero godere della nostra massima fiducia qui nella reggia? Ora che lo hai saputo, dovrai accoglierli con la dovuta considerazione, quando loro due si presentano nella reggia per qualche motivo qualsiasi!»

«Mi dici allora, egregio Gerud, perché il re Cotuldo ha esautorato il loro genitore e lo ha privato dell'importante incarico, se era davvero in gamba, come mi hai affermato? Trovo illogica la cosa, se posso esprimerti il mio modesto parere, a tale riguardo!»

«Perché egli adesso è cieco, Ernos. Dirti come lo è diventato è una storia assai lunga; ma non conviene ad entrambi restarcene qui, io a raccontarla e tu ad ascoltarla. Ad ogni modo, le sue relazioni con il sovrano e con il sottoscritto sono rimaste ugualmente ottime, se ci tieni a saperlo, senza subire alcun calo! La sua presenza a corte è sempre benaccetta, quando uno dei due figli ve lo accompagna.»

«Se mi permetti un'ultima domanda, eccellentissimo mio superiore, potrei venire anche a sapere dov'egli è andato a vivere la sua vita da cieco? Per fortuna ci sono i suoi due figli a badare a lui! Essi, risultandogli di grande aiuto e di conforto interiore, sono sicuro che gli rendono l'esistenza più sopportabile, che se vivesse da solo!»

«Lo puoi ben dire forte, Ernos! In verità, fino a poco fa, essi non vivevano con lui. All'inizio il poveretto trascorreva la sua solitudine a corte. Dopo, invece, aveva chiesto al fidanzato della principessa Lerinda se poteva trasferirsi nel loro campo, dove vivevano anche i suoi amici Francide, Astoride e l'anziano Celubio. Così il suo desiderio era stato appagato dall'eroico Iveonte e dai suoi amici. Da questo momento, mio vice, se ti fa piacere, puoi andartene dove vuoi, poiché sei completamente libero! Invece io ho parecchie cose da sbrigare.»

L'invito, che Gerud gli aveva fatto e che gli suggeriva di godersi la sua libertà come voleva, essendo risultato anche una forma di congedo inusuale, aveva sollecitato Ernos a lasciare all'istante la reggia, con l'intenzione di raggiungere i suoi amici settari, Olpun e Stiriana. Egli intendeva incontrarli per raccontare ad entrambi ciò che aveva combinato e scoperto, durante la giornata in corso. Allo stesso tempo, gli avrebbe fatto presente quanto si era proposto di concludere in seguito, sempre avendo come obiettivo la sua vendetta nei confronti di Polen e dei suoi amici. Intanto che si dirigeva verso Via della Prudenza, egli non riusciva a fare a meno di talune considerazioni, secondo cui il quadro della situazione che aveva davanti si presentava ancora tutt'altro che nitido. A suo parere, esso metteva in rilievo degli scorci confusi in una prospettiva che presentava in lontananza larve di figure indistinte. Le quali, a loro volta, apparivano immerse in tinte chiaroscurali nebulose e circondate da fosche sfumature, le quali tendevano esageratamente al nerofumo. Quindi, com'era possibile che i due campioni Iveonte e Francide, dei quali venivano tanto strombazzate le qualità d'insuperabili guerrieri, nello stesso tempo si ritrovavano ad essere ribelli e a riscuotere un'immensa simpatia nell'ambiente di corte? Inoltre, mentre il primo di loro risultava il fidanzato della sorella del re Cotuldo, il secondo era l'innamorato della figlia dell'ex re Cloronte! Non bastando ciò, Croscione, il carnefice numero uno degli oppositori al nuovo regime, ad un certo punto, aveva dato a credere che i ribelli Zipro e Polen fossero suoi figli adulterini. Il qual fatto veniva ancor più a creare un tale ginepraio, da far mancare il respiro a chi volesse districarsi da esso. C'era infine quel misterioso Celubio, che neppure appariva un tipo convincente! Perfino il suo nome non lo persuadeva; anzi, esso gliene rammentava un altro di sua conoscenza. Che non fosse esso l'anagramma di Lucebio, da lui usato per non farsi riconoscere dai soldati del re Cotuldo?

Come si rendeva conto, con quel pasticciaccio di ambigue situazioni e di falsi nomi, i ribelli, ai quali si era immancabilmente unito anche Croscione, stavano giocando la loro partita con astuzia e doppiezza a spese del monarca. Se le cose stavano davvero come immaginava, quale sarebbe dovuto essere il suo ruolo in quel rapporto esistente tra i ribelli e le alte sfere di corte? Gli conveniva scoprire gli altarini dei nemici dei Tricerchiati, rivelando a Gerud i loro indisturbati intrallazzi a corte, oppure era meglio lasciare le cose come stavano procedendo? Nel secondo caso, avrebbe avuto la possibilità d'imbattersi in Polen e nei suoi due amici e di regolare per sempre i conti con loro. Infine Ernos aveva deciso di far passare ogni cosa sotto silenzio per poter conseguire i suoi intenti senza alcuna difficoltà.


Aveva appena finito di fare le sue considerazioni sui ribelli, prendendo anche la suddetta decisione nei loro confronti, quando l'accorto capo dei Votati alla Morte era giunto alla vecchia palestra, quella che costituiva il luogo d'incontro con i suoi amici. Vedendolo sbucare per prima dall'ingresso, siccome il suo amante aveva gli occhi occupati altrove, un poco, Stiriana non si era astenuta dall’esclamargli:

«Finalmente ti sei rifatto vivo, Ernos! Cosa hai fatto durante l'intera giornata? Da parte mia, ti davo già per disperso! Olpun invece ha temuto che tu avessi defezionato dalla nostra setta, dimentico che in nessun'altra parte avresti trovato la cuccagna che ti si mette a disposizione tra i Tricerchiati! Allora vuoi metterci al corrente del motivo del tuo imprevisto ritardo, che trovo assai considerevole?»

«Sono stato impegnato a fare grandi cose, Stiriana, che tu neppure immagini! Altro che non posso trovare altrove una cuccagna migliore! Se lo vuoi proprio sapere, ho gettato la rete che presto tenderà un'insidia a tuo nipote e ai suoi due amici ribelli! Inoltre, con un po' di fortuna, anche il loro capo cadrà nella mia trappola! Oppure credevi che soltanto a te vengono quei lampi di genio, che il Prediletto tanto esalta?»

«Ammesso il caso che sia vero quanto hai affermato, Ernos, però prima voglio che tu mi dica cosa sei riuscito ad apprendere sulla principessa Rindella, alla quale non ti ho sentito neppure accennare. Eppure dovresti saperlo che tale notizia interessa al nostro Prediletto più di ogni altra cosa! Allora cos'hai da riferirci riguardo a lei oppure non hai scoperto un bel niente, come immagino?»

«In merito alla principessa, Stiriana, per il momento non ho da dirvi alcunché; però posso assicurarti che quanto ho da comunicarvi la riguarda indirettamente. Tu stessa mi darai ragione, dopo avermi ascoltato con la massima attenzione! Vedrai che sono notizie davvero stupefacenti ed esplosive quelle che sono in mio possesso!»

«Se è come Ernos afferma,» era intervenuto nella conversazione anche il Prediletto «allora lasciamolo parlare, mia cara Stiriana! In questo modo, conosceremo le rivelazioni fenomenali che egli ha da farci. Perciò, abbi un po' di pazienza, dolce tesoro mio!»

Una volta che il maestro d'armi della setta aveva terminato di fare un resoconto dettagliato sui fatti che lo avevano coinvolto durante la giornata in corso, grazie alla sua originale iniziativa, Olpun era rimasto immensamente soddisfatto. Per cui, incurante di rendere gelosa Stiriana, all’istante aveva ritenuto suo dovere esclamargli:

«Sei stato grandioso, Ernos! Adesso, con te come vice di Gerud negli ambienti della reggia, possiamo perseguire i vari nostri scopi, sia per colpire i ribelli sia per ingraziarci il favore dell'alto gerarca del re Cotuldo. Sono sicuro che esso potrebbe tornarci molto utile, se un domani dovessimo averne bisogno. Ne sono convinto!»

«Adesso, però, amato mio,» lo aveva ripreso la donna «conviene non pensare al futuro e cercare di approfondire alcune questioni presenti, le quali non si lasciano interpretare con chiarezza! Quindi, cerchiamo di capirci qualcosa di più insieme. Non c'è dubbio che Celubio e Lucebio sono la stessa persona, per cui Croscione si ritrova a vivere nello stesso posto in cui dimora il capo dei ribelli. A tale proposito, mi domando se la sua presenza in quel luogo miri ad uno scopo, nel qual caso egli andrebbe considerato una spia del re Cotuldo. Ma essa potrebbe essere anche disinteressata, senza che da parte sua ci sia alcuna attività spionistica. Inoltre, potremmo prendere in considerazione una terza ipotesi, cioè che egli si sia addirittura schierato dalla parte dei ribelli. Comunque, per esserne certi senza andare incontro a nessun errore, ci occorrerà apprendere cosa causò a suo tempo la cecità all'ex consigliere del sovrano. In quel caso, si verrà a delineare meglio la figura di Croscione.»

«Invece, Stiriana,» l'aveva contraddetta Ernos «la certezza che Croscione è diventato uno dei ribelli ci è data dal fatto che egli si è prestato a fare da padre a Zipro e a Polen. Altrimenti non si spiega questa sua paternità fittizia, la quale, se non mi sbaglio, è rivolta unicamente ad ingannare il suo re e i suoi ex subalterni, come ha già fatto!»

«Sono del medesimo avviso di Ernos,» Olpun aveva condiviso la convinzione del capo dei suoi Votati alla Morte «dal momento che non c'è nessun'altra spiegazione, che possa dare un senso ad una decisione del genere da parte di Croscione. Piuttosto cerchiamo di comprendere le altre circostanze che ci sfuggono ancora, non avendo esse un nesso logico che possa giustificarle! Quali? Eccone alcune! Perché mai frequentavano la reggia, proprio come se fosse casa loro, quelli che, prima della loro partenza, rappresentavano i campioni dei ribelli? Mi sto riferendo ad Iveonte e a Francide, perché è così che essi vengono definiti anche dai nemici dei ribelli. Il primo dei due poi era addirittura, anzi lo risulta tuttora, il fidanzato della sorella del sovrano! Mentre meno sbalorditivo dovrebbe apparirci il fidanzamento del secondo con la principessa Rindella. Ma un altro punto importante da chiarire è perché i ribelli all'improvviso hanno voluto che Polen e l'amico Zipro risultassero figli adulterini di Croscione. A mio avviso, ci sarà stato un valido motivo!»

«Certo che c'è stato, amato mio, e ha già dato anche i suoi buoni frutti! Facendoli risultare figli di un simile genitore, i ribelli hanno fatto in modo che essi avessero delle ottime credenziali alla corte del re Cotuldo e presso il suo consigliere Gerud. La qual cosa ha permesso a mio nipote e all'amico di fare intervenire senza esitazione i soldati contro la nostra setta, cagionandoci il sacco di vittime che abbiamo avuto nella notte del plenilunio!»

«Ne sono persuaso anch'io.» aveva approvato Ernos «Il loro intento è stato quello di additarci ai soldati come ribelli e farci assalire da loro! Ma sono certo che il loro obiettivo principale era la liberazione di Erusia, che però non sono riusciti ad ottenere, rimediando soltanto il suo corpo senza vita. Ciò, al solo scopo di farle celebrare il rito funebre, da parte dei suoi afflitti genitori, com’è avvenuto!»

«Anch'io avevo sospettato ciò che hai voluto evidenziare, Ernos.» Stiriana gli aveva dichiarato «Anzi, sono convinta che i ribelli miravano anche ad uccidere me e il mio amato Olpun, se fossero stati fortunati a trovarci soli nel tempio! Ma ora sorvoliamo anche su questo argomento ed occupiamoci invece dell'uccisore dei miei figli e del suo amico per disporre di maggiori particolari su di loro. Può darsi che alla fine una loro conoscenza più approfondita ci permetterà di comprendere fino a che punto il sovrano e il suo braccio destro sarebbero disposti a compromettere il loro rapporto con entrambi, mettendosi apertamente contro i due ribelli. A meno che il re Cotuldo non li tema sul serio, per qualche ragione particolare!»

«Ma non possiamo approfondirli, se ce ne restiamo qui ad arzigogolare su di loro. La qual cosa non ci porterebbe ad alcun dato di fatto!» aveva precisato Ernos «Invece occorre che io mi dia da fare presso i reparti militari contigui alla reggia e faccia sbottonare più soldati possibili sul conto d'Iveonte e di Francide. Soltanto in questo modo, otterremo dei risultati concreti sui due assi dei ribelli, anche se per il momento essi sono assenti dalla nostra Dorinda!»

«Ben detto, Ernos!» aveva approvato Stiriana «Te lo stavo appunto proponendo, quando mi hai preceduta! Nel frattempo che ce la metterai tutta nell'attivarti in questo senso, io m'incaricherò di scoprire in quale rifugio i ribelli tengono nascosta la loro principessa. Perciò noi due mettiamoci subito all'opera con grande zelo, evitando di perdere altro tempo. Il quale, come sappiamo, è tesoro, per cui non bisogna sciuparlo!»

Era stato con le ultime parole di Stiriana che si era chiuso l'ennesimo abboccamento fra i tre autorevoli Tricerchiati. Al termine del quale, essi avevano lasciato il luogo abituale dei loro incontri per andarsene ciascuno per la propria strada. In verità, mentre Ernos, dopo aver superata Via della Prudenza, aveva preso un'altra direzione, andandosene tutto solo; Stiriana ed Olpun avevano proseguito insieme per un buon tratto della strada appena imboccata. Ad un certo punto, però, anch'essi si erano dovuti separare, siccome ognuno aveva delle proprie faccende da sbrigare in città.