397-ALL'INDOMANI DEL DRAMMA DI ERUSIA

Il giorno dopo, la sveglia nel campo dei ribelli non c'era stata alla solita ora, da parte sia di coloro che avevano partecipato alla missione notturna sia di quelli che erano rimasti desti ad aspettarli, intanto che vivevano uno stato di forte tensione. Riguardo a questi ultimi, ci riferiamo ovviamente a Lucebio e a Croscione. Il primo era stato colto da una specie di malore, non appena aveva appreso da Solcio il fallimento, a cui erano andati incontro i tre formidabili giovani. Egli aveva anche compreso che esso c'era stato non per la loro incapacità, bensì a causa del ritardato intervento dei soldati, il quale era costato la vita all'innocente Erusia. Allora l'afflitto uomo, per la collera, se ne era andato immediatamente a dormire, senza neppure attendere il rientro di Zipro e di Polen. Dai quali avrebbero dovuto apprendere le restanti notizie sulla reazione dei familiari della ragazza brutalizzata. Comunque, neppure si poteva affermare che essi si erano svegliati molto tardi. Infatti, li si erano visti desti e già in piedi, quando il sole stava appena sorgendo e si preparava ad abbagliare il terso cielo azzurro.

Alla sua prima apertura di occhi, il pensiero di Lucebio era stato per la disgraziata famiglia del maniscalco. Egli era certo che, in quella sfortunata circostanza, i suoi due componenti erano alle prese con il dramma più terribile e disperato della loro esistenza. Per questo non bisognava assolutamente lasciarli soli. Anche perché erano da celebrarsi i funerali della ragazza ed essi necessitavano del conforto degli amici ribelli e della loro partecipazione allo svolgimento della funzione funebre. Così, intanto che il luminoso disco del sole si dava a dardeggiare con i propri raggi i campi sottostanti, che erano ancora bagnati dalla guazza, il savio uomo aveva pensato di radunare subito presso di sé Solcio, Zipro e Polen. Una volta che essi avevano raggiunto il suo alloggio, egli, continuando a manifestare sul volto una immensa ambascia, si era affrettato a domandare ad entrambi gli orfani:

«Allora, giovanotti, come è avvenuta la consegna della salma di Erusia ai suoi genitori? Immagino che il vostro compito non sarà stato affatto facile, considerata la tragica evenienza! Anche se nessuno avrebbe voluto trovarsi al vostro posto in una simile circostanza, non posso negare che sarei dovuto esserci anch'io con voi. Così la mia presenza sarebbe risultata di un immenso sollievo al mio amico Fusso. Ma purtroppo le circostanze non me lo hanno consentito, a causa della tarda ora della notte! Per tale motivo, ne sono molto dispiaciuto. Adesso, però, mi tocca rimediare al più presto alla mia forzata assenza di stanotte!»

«Non hai tutti i torti, Lucebio, a pensarla in questo modo.» gli aveva risposto Zipro «Non è stato né facile né gradevole, da parte mia e di Polen, assolvere tale compito. Per noi è stato davvero penoso assistere ai drammatici momenti vissuti dal padre della ragazza, dopo che egli è venuto a sapere dell'amara realtà. Alla tremenda notizia, prima lo abbiamo visto trascolorare e, qualche istante più tardi, egli si è immerso nell'ambascia più indescrivibile. Peggio che se gli fosse crollato il mondo addosso! Davanti alla salma della figlia, il disperato genitore sembrava come impazzito dal dolore!»

«Lucebio, è stato proprio come ha detto il mio amico.» aveva soggiunto Polen «Per noi due è stato come assistere alla fine dell'universo intero, siccome ci capitava per la prima volta di fare una esperienza del genere. Essa ci è apparsa tremenda oltre ogni limite. Abbiamo scorto l'intero dolore del mondo, che andava ad accumularsi in una sola persona, cioè in quella del povero maniscalco, esplodendovi con una ferocia inesprimibile. Avresti dovuto vederlo in che stato di sofferenza fisica e psichica egli si è ridotto, dopo che Zipro gli ha comunicato la miserevole disgrazia subita dalla figlia per colpa dei Tricerchiati, dietro istigazione della malvagia Stiriana. Il poveruomo è stramazzato in una lacerante afflizione, la quale si è data a costernargli l'animo e a torturargli la mente in un inasprimento senza fine, nuocendogli gravemente la psiche.»

«Bravo, Polen!» aveva voluto fargli presente Lucebio «Hai descritto in modo appropriato il doloroso quadro della situazione, il quale in questo momento seguita a regnare in casa di Fusso. Io stesso non avrei saputo esprimerlo meglio. Ma adesso vorrei che voi due mi metteste a conoscenza di ciò che è accaduto, dopo che il maniscalco ha trasportato il corpo esanime della figlia dentro casa e lo ha presentato alla moglie.»

«In verità, Lucebio, non sappiamo risponderti in merito, poiché non eravamo presenti, quando egli ha riportato il corpo ormai privo di vita della figlia alla sua consorte. La quale, come sappiamo, era già segnata da un ingiusto ed inumano destino. A mio avviso, di sicuro i due coniugi sventurati avranno vissuto insieme il loro dramma disperato, facendo congiungere i propri animi in una costernazione spasmodica e in una morsa di agghiacciante dolore. Tali cose, con il loro peso di tribolazione, probabilmente avranno messo in pericolo la vita e la sopravvivenza dei due iellati consorti! Ecco: questo è ciò che possiamo riferirti di loro due!»

«Allora, giovanotti, visto che il quadro della situazione si presenta così fosco per i due coniugi perseguitati dall'avversa sorte, sbrighiamoci a fare colazione. Così dopo ci precipiteremo da loro e cercheremo di risollevarli con la nostra presenza e con il nostro sostegno morale. Ci accompagneranno una trentina dei nostri uomini fino ad un miglio dalle mura della città. Oltrepassate le quali, essi dovranno presentarsi alla casa del maniscalco senza farsi notare, ossia alla spicciolata e possibilmente in gruppi formati al massimo da tre persone. Ci penserà Solcio a sceglierli tra quelli che egli considera più in gamba di tutti.»

Si era a metà mattinata, quando il drappello dei trentaquattro ribelli aveva lasciato il campo, galoppando a spron battuto in direzione delle mura cittadine. Alla fine, quando si era a qualche ora prima di mezzogiorno, tutti erano pervenuti all'abitazione di Fusso, logicamente nel modo suggerito dal loro capo. In quel posto, però, essi erano venuti a conoscenza di un nuovo tragico evento, per cui ne erano rimasti scombussolati e distrutti psichicamente. Siccome la sua salute si trovava già in uno stato molto cagionevole, la moglie Attunia non aveva retto al duro colpo che era venuto ad infliggerle la morte di Erusia. Perciò ella era spirata all'improvviso, mentre, stando seduta, si teneva sul grembo la cara figliola morta. La sofferente donna era venuta meno, nel frattempo che se l'accarezzava dolcemente con tutto il suo amore materno. A causa di ciò, chiunque può immaginarsi in quale inferno si era trasformata la casa del maniscalco! Costui, nello stesso tempo, si era ritrovato a piangere la morte delle due persone a lui più care, pur non avendo la forza e la lucidità mentale per farlo. In quella circostanza insostenibile, egli pareva non essere più in sé stesso, quasi fosse annegato in una grave forma di ebetismo. La quale lo faceva estraniare totalmente dalla realtà circostante e gli apriva la porta al solo desiderio di annientarsi, con le sue due congiunte estinte, nell'inesistenza di sé medesimo.

Lo squallore, che gli intervenuti avevano trovato nell'abitazione, in un certo senso, li aveva scioccati sul serio; ma l'aria mefitica, la quale vi si respirava opprimente, li aveva indotti a spalancare l'unica porta dell'abitazione, allo scopo di arieggiarne l'ambiente interno. La loro opera, ad ogni modo, non si era limitata soltanto a purificare quest'ultimo, siccome dopo essa aveva badato a mettere ordine nel monovano situato a pianterreno. Difatti Lucebio e i tre giovani innanzitutto si erano dati a sistemare le due salme che si trovavano per terra, riverse l'una sull'altra ed interamente prede del loro livido pallore. Una volta che le avevano sollevate dal pavimento, essi le avevano aggiustate nel lettone matrimoniale. Questo, che era addossato alla parete situata frontalmente all'uscio, per la sua ampiezza, poteva accogliere anche tre persone adulte. Al termine di tali mansioni, mentre Lucebio e Solcio avevano impegnato il loro tempo a confortare e a rincuorare l'amico Fusso, Zipro e Polen si erano assunti l'incombenza di occuparsi dei due funerali, in special modo per quanto atteneva all'ordinazione dei feretri e all'arrivo dei necrofori alla casa del maniscalco con le due bare.

Dopo che le due salme erano state caricate sul carro adibito al trasporto dei morti, il corteo funebre aveva intrapreso il suo cammino verso la necropoli, che era distante appena un miglio. In quel luogo si sarebbe poi svolto il rito religioso in loro suffragio, prima dell'inumazione delle due familiari defunte, le quali erano andate incontro a delle morti differenti. In relazione alle esequie, va precisato che presso gli Edelcadi, quando si spegneva una persona, era consuetudine celebrarle nel cimitero cittadino ed era preposto all'ufficio della sepoltura un sacerdote del dio Matarum. In ogni città edelcadica, fatta eccezione di Actina, si trovavano infatti una decina di religiosi, chiamati Matarumidi. Essi svolgevano anche altre cerimonie sacrali, tra le quali quella del battesimo e quella del matrimonio. Tali sacerdoti vivevano in un monastero, nel quale c'era un piccolo tempio dedicato alla massima divinità dell'Edelcadia, che era il dio Matarum.

Avvenuta la celebrazione delle onoranze funebri, le quali si erano svolte in onore di Erusia e della sua genitrice Attunia, Lucebio, avendo stabilito di ospitarlo presso di sé per una decina di giorni, aveva voluto che Fusso li seguisse nel loro campo. Il maniscalco non si era opposto all'invito del capo dei ribelli, sia perché nutriva nei suoi confronti un grande rispetto sia perché non si sentiva ancora di fare ritorno nella sua casa. A suo parere, in essa senza dubbio sarebbe stato attanagliato da una ingente moltitudine di ricordi agghiaccianti e mordenti. Così mezzogiorno era passato da un'ora, quando Lucebio, Croscione, Fusso e i tre giovani si erano ritrovati a consumare il pasto principale della giornata. Da una parte del desco, sedevano le tre persone anziane, siccome adesso si era unito al gruppo anche il padre di Erusia. Di fronte a loro, invece, stavano seduti i tre giovani amici, i quali, quanto a fame, facevano a gara a chi ne tirasse fuori di più e divorasse più cibo. L'atmosfera che si respirava, però, in quella circostanza poteva essere solo triste.

Dopo un quarto d'ora di silenzio assoluto, la conversazione era subentrata ad esso. All'inizio i vari interventi si erano svolti tra i sei commensali in forma semplicistica e meccanica. Soltanto in seguito, cioè quando il pranzo stava quasi alla fine, era iniziato ad esserci tra di loro uno scambio di vedute rigorosamente dialettico. Allora alcune questioni di una certa rilevanza erano state arricchite dal confronto e dallo scambio di esperienze diverse. Esse avevano contribuito a valorizzarne le contraddizioni e i momenti di contrasto. Il discorso era stato aperto da Solcio, il quale principalmente si era voluto rivolgere all'affranto e silenzioso maniscalco. Così aveva incominciato a parlargli in questo modo:

«Devi perdonarci, Fusso, se i miei amici ed io non siamo riusciti a trarre in salvo la tua Erusia. Ti assicuro che non è stato per nostra negligenza oppure per colpa di un nostro piano malriuscito! Quello preparato da Croscione e da Lucebio era perfetto, per cui nessuno avrebbe potuto muovere ad esso alcuna critica. Invece la catastrofe è scaturita dall'assurda presa di posizione di Gerud, il consigliere di Cotuldo. Egli, mostrando una ostinazione incredibile in quel momento, ha voluto prendersela con comodo nell'attaccare i nostri nemici Tricerchiati. Perciò non abbiamo potuto fare niente, ad evitare di farlo insospettire! La qual cosa avrebbe anche potuto fargli interrompere l'assalto ai fanatici settari.»

Alle parole del giovane, il quale con esse aveva inteso giustificare il fallimento suo e degli amici, l'afflitto consorte di Attunia si era astenuto dall'esprimere sulla missione qualunque tipo di giudizio. Aveva evitato sia quello tendente ad assolvere coloro che vi avevano preso parte sia quello che li avrebbe accusati di negligenza nel perseguire il loro obiettivo. Persistendo egli nel suo muto atteggiamento, era intervenuto Croscione ad avvalorare la dichiarazione del nipote di Sosimo, dicendogli:

«Per come si erano messe le cose, Fusso, davvero Solcio e i suoi valorosi compagni non potevano fare più niente per la tua figliola. Essi avevano le mani legate e non potevano agire da soli per liberarla, basandosi la loro missione soprattutto sull'intervento dei soldati contro i nostri nemici. Purtroppo esso è potuto esserci, quando ormai era troppo tardi. Nessuno aveva previsto, nel nostro ingegnoso piano, il tentennamento del mio ex subalterno Gerud, per cui esso è costato la vita alla tua povera Erusia! Per tale ragione, ne siamo tutti oltremodo costernati e ci amareggiamo per la morte della tua innocente unigenita.»

Neppure questa volta l'esperto in mascalcia aveva posto fine al proprio silenzio, allo scopo di fare delle critiche o di muovere qualche obiezione per la mancata liberazione della figlia. Come pure aveva evitato di accusare qualcuno o di criticare il piano stesso, per una questione di merito. In pari tempo, da parte sua, erano continuate a mancare delle affermazioni volte a chiarire il suo pensiero sulla vicenda. Se lo avesse fatto, avrebbe affrancato con esso da ogni responsabilità tanto gli autori del piano non riuscito quanto gli esecutori materiali di esso. Allora Lucebio aveva ritenuto opportuno fare il proprio intervento nella conversazione, nella quale le valide giustificazioni dei suoi due amici non avevano sortito alcun effetto sul loro addolorato destinatario. Costui, invece, aveva preferito persistere nel suo irremovibile mutismo. Così si era dato a domandargli:

«Vuoi palesarci, Fusso, perché mai ti ostini a non rispondere ai tuoi interlocutori, i quali hanno cercato di farti comprendere che, se la nostra missione per salvare tua figlia è andata a rotoli, di certo non è stato per colpa loro, tanto meno del piano escogitato da Croscione e da me? Se hai da formulare qualche accusa nei nostri confronti, puoi farlo benissimo con animo sereno. In questo modo, ci darai la possibilità di difenderci, nonché ci permetterai di convincerti senza ombra di dubbio che da parte nostra è stato fatto tutto il possibile per trarre fuori dai guai la tua Erusia. Ecco perché si è trattato di una pura fatalità, se non ci siamo riusciti. Ci faresti un grande favore, se gentilmente ti esprimessi in merito a quanto è accaduto! Ti sono stato chiaro, amico mio?»

Sollecitato dal capo carismatico dei ribelli, per il quale egli nutriva una venerazione profonda, il maniscalco Fusso si era convinto che non poteva più continuare a tacere di fronte agli interventi dei suoi amici ribelli. Costoro, in fin dei conti, avevano soltanto voluto giustificare la mancata riuscita della loro recente missione, senza che ne avessero avuto qualche colpa. Allora aveva iniziato a dire:

«Se sono rimasto silenzioso fino adesso, Lucebio, non è stato perché non ero d'accordo con quanto mi si riferiva; anzi, è stato il contrario. Il mio silenzio, in linea con il detto "Chi tace acconsente", ha voluto proprio significare che la pensavo come voi. Per cui non vi ritenevo responsabili, per il fatto che tutto è andato a catafascio nel vostro tentativo di salvare mia figlia, mettendo a rischio perfino la vostra vita. Anch'io sono persuaso che il vostro progetto era ineccepibile, come pure sono convinto che vi siete gettati a capofitto nella vicenda della mia sventurata Erusia. Quindi, il vostro insuccesso non è dipeso né dal piano da voi elaborato né da una imperizia, della quale voi non avreste mai peccato. Ma prima che io smetta di parlare, desidero chiedervi un grande favore. Quel giorno che riuscirete a catturare la strega Stiriana, vorrei che la consegnaste nelle mie mani e lasciaste a me soltanto decidere quale destino assegnarle. Questo favore non potrete negarmelo, quando tale giorno arriverà, sperando che esso arrivi al più presto!»

«Grazie, amico mio,» gli aveva risposto Lucebio «per la tua fiducia accordata a tutti noi! Almeno così ci sentiamo liberati dal rimorso di non aver fatto ogni cosa che si potesse nella liberazione di tua figlia, oltre che risollevati dal pensiero che anche tu sei del medesimo nostro avviso. Quanto poi alla tua richiesta attinente alla tua ex vicina di casa, stanne certo che nessuno di noi oserà contrariarti, quando avremo la fortuna di catturare la responsabile della morte di tua figlia. Te lo promettiamo!»

Accantonata la triste sorte che era toccata alla famiglia del maniscalco, Lucebio si era affrettato ad aprire una nuova discussione, dal momento che la riteneva di primaria importanza. Essa si ricollegava all'assedio condotto dai soldati contro il tempio dei Tricerchiati e riguardava i giovani che avevano fatto la spiata a Gerud. Perciò, rivolgendosi all'ex consigliere del re Cotuldo un po' preoccupato, gli aveva chiesto:

«Mi sai dire, Croscione, come evolverà adesso la vicenda dell'avvenuto scontro tra i soldati e i Tricerchiati? Credi che essa prenderà una brutta piega presso il tiranno per Zipro e per Polen, i quali adesso risultano tuoi figli naturali ai suoi occhi? È possibile che egli li incolperà dello scontro ingiustificato di questa notte, per avergli essi rifilato una notizia, la quale si è poi rivelata errata almeno sotto un certo aspetto?»

«Come posso rispondere alla tua domanda, Lucebio, se non si conoscono ancora gli esiti dello scontro? Molto sicuramente ci sarà difficile apprendere quali perdite avranno subito i seguaci di Olpun; invece possiamo accertarci senza difficoltà dell'entità di quelle dei soldati. Mi basta andare alla reggia e chiederlo direttamente al mio ex subalterno Gerud. Ammesso che egli sia uscito indenne dal conflitto di questa notte! In caso contrario, sarà il sovrano in persona a farmi un resoconto dell'intera vicenda, facendosi prendere in pari tempo da una rabbia feroce.»

«Lo sai anche tu, Croscione, che entrambi sono venuti a conoscenza che essi hanno condotto la loro lotta non contro i ribelli, come i tuoi figli gli hanno lasciato credere, bensì contro dei fanatici adepti di una setta religiosa. Non credi che ciò li farà prima insospettire e poi li indurrà a convincersi che la falsa notizia è stata loro propinata appositamente? Secondo me, non possiamo negare neppure un fatto del genere!»

«Anche se non posso oppormi a quanto affermi, Lucebio, non ne sono sicuro al cento per cento, dal momento che essi hanno ricevuto la soffiata dai miei figli. La cui affidabilità dovrebbe bastare ed avanzare, al fine di dissipare in loro ogni dubbio! Comunque, a parte una breve galoppata, non mi costerà niente andare oggi stesso alla reggia e sincerarmene di persona. Nella visita che farò a loro due, mi accompagneranno Zipro e Polen, che tutti alla reggia adesso considerano miei figli adulterini. La loro presenza a corte starà ad indicare a Gerud e al mio sovrano la loro indiscussa buonafede!»

«Al contrario, Croscione, sappi che né io né il mio amico Polen saremo con te nel pomeriggio, quando ti presenterai al tuo ex subalterno e al tuo sovrano!» subito lo aveva contraddetto Zipro con determinazione. «Anzi, non se ne parli nemmeno!»

«Mi spieghi, Zipro, la ragione di questa tua presa di posizione, che non riesco a comprendere per niente?»

«Non la capisco neppure io, amico mio Croscione, se ci tieni a saperlo! Perciò ci terrei a conoscerla da lui quanto te!» indispettito, aveva aggiunto Lucebio. Il quale, un istante dopo, si era rivolto al figlio della defunta fioraia e gli aveva domandato:

«Mi fai la cortesia, Zipro, di chiarirti meglio e spiegarci cosa ti ha preso? Mi accorgo che il tuo intervento ha messo in imbarazzo perfino il tuo amico Polen. Egli, come constato, mostrandosi contrariato, non si mostra d'accordo con te!»

«Ci credo, Lucebio, visto che nemmeno lui sa a cosa io abbia voluto riferirmi! Tra poco, dopo che vi avrò messi tutti e cinque a conoscenza del motivo che mi ha spinto a rispondere come sapete, prenderete atto della mia decisione e mi darete pure ragione! Adesso passo a chiarirvi le cose che vi sono sfuggite sull'attuale vicenda.»

«Sì, è meglio che ci spieghi tutto, Zipro. Io e gli altri nostri amici qui presenti stiamo aspettando che tu lo faccia al più presto, essendo sicuri che avrai avuto i tuoi buoni motivi per comportarti nella maniera che sappiamo. Noi però non li conosciamo. Perciò abbi la compiacenza di riferirceli, senza farci attendere molto tempo!»

«Difatti ce li ho, Lucebio! Secondo me, se Gerud ci vedesse insieme con Croscione sani e salvi, potrebbe sospettare qualcosa su di me e su Polen, fino a mettere in discussione la nostra buonafede. Di conseguenza, verrebbe a farsi le più strane idee su di noi, fino a prefigurarsi che, con la nostra delazione, intendevamo perseguire un secondo fine. Allora non esiterà a metterne al corrente il suo sovrano, le cui conclusioni, se collimassero con le sue, lo spingerebbero a spiccare un ordine di cattura contro di noi. Ciò, pur risultando noi i figli di colui che, essendosi sempre impegnato al massimo per il suo re, ha la loro immensa fiducia! Adesso mi avete capito?»

«Se la metti in questi termini, Zipro, poiché il tuo ragionamento in teoria potrebbe presentarsi assai persuasivo, ci dici allora cosa suggerisci, come alternativa a quanto ha deciso di fare Croscione? Secondo me, nessuno interviene a sfatare una teoria, senza averne già pronta un'altra, quella che dovrebbe rimpiazzarla! Non ti pare?»

«In questo caso non ti sbagli, Lucebio, siccome ho già una mia proposta da avanzarvi. A mio avviso, il nostro Croscione dovrà farsi accompagnare alla reggia da Solcio. In questo modo, egli potrà far presente a Gerud e al re Cotuldo che i suoi figli stanotte sono rincasati malconci dalla spedizione punitiva, essendo stati assaliti a valanga dai nemici. Inoltre, essi hanno avuto la sensazione di trovarsi di fronte a degli adepti di una setta religiosa, poiché essi tenevano tutti tatuato sulla fronte un tricerchio bianco. Per questo si è portati a credere che l'amico di Polen, il quale adesso si è reso irreperibile, molto probabilmente abbia voluto di proposito fargli credere una cosa per un'altra, essendo a conoscenza della identità del suo genitore. Il quale, come fedele servitore del monarca, non avrebbe perso tempo a rapportargli ciò che il figlio aveva appreso sui ribelli. Ecco il mio sensato suggerimento a tale riguardo, se siete anche voi d'accordo!»

Dopo che Zipro aveva terminato di spiegare la strategia che andava adottata presso Gerud, per non suscitare sospetti nei suoi confronti e in quelli di Polen, nessuno dei cinque ascoltatori presenti si era mostrato scettico su di essa. Al contrario, tutti l'avevano considerata brillante. Il primo a congratularsi con lui, a causa della sua stupenda trovata, era stato ovviamente Lucebio. Perciò gli si era rivolto, esprimendosi così:

«Il tuo piano, Zipro, è davvero magnifico, per cui lo attueremo senza meno. Sono convinto anch'io che, facendo apparire la cosa come hai tu consigliato, né Gerud prima né Cotuldo dopo sospetteranno qualcosa sul vostro comportamento. Inoltre, scagioneranno te e Polen da ogni imputazione, semmai ce ne dovessero essere sul vostro conto da parte loro. Per questa ragione, sempre che anche gli altri non siano contrari ad esso, metteremo in pratica il tuo suggerimento, avendolo trovato abbastanza prezioso!»

«Come non possiamo trovarci d'accordo con quanto consigliato da Zipro, mio caro Lucebio?» era intervenuto pure Croscione a caldeggiare la proposta del giovane «Siamo di fronte ad una idea illuminata, la quale va accolta e messa in pratica senza esitazione alcuna. Io stesso me ne compiaccio e l'accolgo a braccia aperte. Per cui non vedo l'ora di renderla concreta, quando mi condurrò alla reggia e mi presenterò al mio ex subalterno!»

«Stando le cose in questi termini,» aveva aggiunto il nipote di Sosimo «plaudo al mio amico Zipro e mi dichiaro disponibile ad accompagnare Croscione dal suo amico Gerud, avendo da svolgervi il nuovo delicato compito a vantaggio dei miei amici. Non è forse vero, Lucebio, che dovrò essere io ad accompagnare Croscione alla reggia?»

«Certamente, Solcio! Mica ci posso andare io!» gli aveva risposto il capo dei ribelli, mostrando un volto rasserenato. Ad ogni modo, adesso possiamo alzarci da tavola e sparecchiare!»

Dopo la breve siesta pomeridiana, i tre giovani amici e Croscione avevano abbandonato il campo dei ribelli e si erano messi in cammino verso la loro città. Ma era previsto che in Dorinda solamente Croscione e Solcio si sarebbero condotti da Gerud. Zipro e Polen, dal canto loro, una volta che si fossero trovati a percorrere le vie cittadine, si sarebbero dati ad altre faccende, la cui natura ci resta ancora sconosciuta. Magari il loro sarebbe stato solo un mero girovagare attraverso le strade di Dorinda, senza avere scopi precisi. Oppure forse si sarebbe trattato di una passeggiata, con la quale venivano occultati dei propositi esplorativi su quanto era avvenuto nella scorsa nottata tra i soldati e i Tricerchiati.


L'incontro tra Croscione e il suo ex subalterno non era stato caldo e cordiale, come le volte precedenti; ma non perché il secondo fosse arrabbiato con il primo, siccome non erano ancora venuti alla luce dei validi motivi per esserlo. Probabilmente, solo nel caso che non ci fosse stata l'opportuna visita del suo ex superiore, essi sarebbero sorti nell'alto gerarca, il quale li avrebbe anche esposti al suo re. Essa, come ben sappiamo, doveva servire appunto a dipanargli dubbi e sospetti sulla sincerità e sulla lealtà di coloro che adesso venivano considerati i figli legittimi del rispettato Croscione. Il motivo del nuovo visibile umore di Gerud, quindi, andava ricercato altrove, dove era più facile darsi una spiegazione plausibile. Noi, però, non ci daremo pensiero di farlo all'istante, poiché verremo a scoprirlo tra poco, quando tra i due ex commilitoni sarà avviata la loro discussione, quella che tutti attendiamo.

Il primo dei due a salutare verbalmente l'altro era stato Gerud, non potendo Croscione precederlo nel saluto a causa della sua cecità. Allora il non vedente glielo aveva ricambiato con grande stima; ma immediatamente dopo aveva subito aggiunto:

«Se non sbaglio, amico mio, oggi ti trovo di pessimo umore, come se qualcosa ti fosse andato storto! Per favore, vuoi dirmi perché mai lo sei? Da me puoi avere unicamente comprensione e conforto! Comunque, lo posso immaginare benissimo, dopo quanto è successo stanotte!»

«Anche tu, Croscione, avresti un animo abbacchiato, se ti fosse capitato di subire la mia stessa umiliazione. Non bastando ciò, mi sono dovuto sorbire anche un'aspra rampogna da parte del mio sovrano! Egli non ha lesinato nell'appiopparmi gli epiteti più ingiuriosi, definendomi un buono a nulla ed un inconcludente. Ma tu, amico mio, conosci meglio di me il suo carattere collerico, il quale è sempre pronto ad offendermi con insulti spregevoli!»

«Certo che lo conosco, Gerud! Io, però, sono riuscito sempre a tenerlo a freno, rintuzzandolo ogniqualvolta egli ha cercato di esplodere nei miei confronti ed ammansendolo come un agnellino, nei momenti che dopo sono seguiti! Comunque, di questo fatto, il quale è degli anni addietro, tu già sei a conoscenza: non è forse vero?»

«A te, Croscione, era consentito assumere un tale atteggiamento verso il nostro sovrano, avendo avuto sempre un grande ascendente su di lui. Invece, se lo facessi io, egli sarebbe capace di licenziarmi all'istante. Ma che dico? Probabilmente, mi condannerebbe perfino alla pena capitale, se quel giorno avesse con la luna storta!»

«Hai proprio ragione, Gerud, a pensarla in questo modo! Adesso, anche se presumo di avere qualche idea in merito, vuoi dirmi a che cosa è dovuta la tua attuale mortificazione, la quale non è da poco? Su, parlami con tutta franchezza, poiché sfogarti con un vero amico come me ti farà senz'altro molto bene!»

«Come mai, Croscione, hai affermato di conoscerne parzialmente la causa? Saranno stati forse i tuoi figli a metterti già al corrente di tutto? A proposito, durante l'intera battaglia ingaggiata stanotte contro i nostri nemici, non sono riuscito a scorgerli in nessuna parte della mischia! Vuoi dirmi perché mai, ad un tratto, sono spariti?»

«Anche se tu avessi avuto cento occhi, Gerud, non avresti potuto avvistarli in quel posto, siccome non c'erano più. Ma non pensare che essi siano scappati per vigliaccheria! I poveretti si sono trovati a fronteggiare dei nemici che sapevano il fatto loro, per cui essi non hanno avuto difficoltà a malmenarli e a ridurli in pessimo stato. Per loro fortuna, questo mio accompagnatore, che è un loro intimo amico, è riuscito a trarli da guai peggiori e a salvarli, consentendogli di fare ritorno a casa, anche se malconci e doloranti!»

«A proposito del giovane che ti ha accompagnato, Croscione, sono certo di averci avuto già a che fare con lui. Non si tratta del migliore allievo del grande Iveonte, il quale un giorno mi pregò di farlo scarcerare, per essere stato arrestato ingiustamente?»

«Non ti sei sbagliato, Gerud: si tratta proprio di lui! Ritornando al vecchio discorso, secondo Zipro e Polen, questa notte non vi siete trovati a combattere contro dei ribelli, come vi avevano erroneamente riferito. Invece avete ingaggiato una lotta furibonda con dei fanatici appartenenti ad una setta religiosa, siccome sulla loro fronte era tatuato un tricerchio. Sono sicuro che pure tu sarai giunto ad una conclusione del genere! Non può essere diversamente! Non è vero che è stato così? Comunque, non si sa se chi ha dato la notizia a mio figlio l'avrà falsata di proposito oppure avrà capito male nell'apprenderla da una terza persona di sua conoscenza.»

«Ne sono convinto anch'io, Croscione. Questo particolare, perciò, mi induce a pensare che l'amico di Polen l'abbia fatta apposta a farci credere una cosa per un'altra e ad ingannarci nel modo che sappiamo; anche se non ne ravviso il motivo. Poiché sei molto in gamba in materia, vuoi darmi tu una mano a scoprire la verità, amico mio, perché io dopo la trasmetterò al nostro sovrano per giustificarmi?»

«Allora ti esprimo il mio giudizio in merito, Gerud. Ma ti avverto di non prendere la mia versione dei fatti per oro colato, potendo essa nascondere delle crepe, le quali al momento non si ravvisano. Da tempo corre voce che è scoppiata una feroce lotta tra i ribelli e i Tricerchiati, senza alcuna causa apparente. Essa ogni giorno semina le strade della nostra città di un numero imprecisato di cadaveri. In relazione ai Tricerchiati, essi costituiscono una setta religiosa, i cui adepti adorano il dio Kursut. Nell'ultimo nostro incontro, il re Cotuldo mi mise al corrente di alcune ecatombi che si erano avute in città, senza che tu e lui riusciste a spiegarvele. Ebbene, entrambi oggi potete darvi una spiegazione della loro esistenza in Dorinda. Intanto vorrei sapere da te come è andato l'attacco di stanotte a quelli che credevate i vostri nemici ribelli. Da parte mia, sono persuaso che proprio da esso sono scaturiti il disappunto e l'amarezza che ho notato all'istante nelle tue fredde parole! Dimmi che non ho torto, a pensarla in questo modo!»

«Difatti hai ragione, Croscione! Adesso passo subito a raccontarti ogni cosa, esaudendo così il tuo desiderio. Prima, però, voglio farti presente che concordo con l'ipotesi azzardata dai tuoi figli, secondo la quale gli uomini da noi assaliti questa notte non erano ribelli, bensì si trattava di appartenenti ad una misteriosa setta religiosa, di cui avevamo sentito parlare poco o niente. In riferimento a ciò che è avvenuto durante il nostro attacco agli adepti in questione, invece te lo posso riassumere nel seguente succinto resoconto. Amico mio, non ci siamo trovati davanti dei religiosi tranquilli ed inoffensivi, pronti a farsi arrestare senza reagire. Al contrario, abbiamo dovuto combattere contro centinaia di guerrieri avvezzi alle armi, che sono stati capaci di mietere tra i miei soldati vittime a non finire, fino a ridurre ad un terzo il contingente di armati, che era al mio comando. Un fatto da considerarsi davvero incredibile! Chi l'avrebbe mai pensata una cosa del genere!»

«Dici sul serio, Gerud, che quei settari hanno fatto la grande strage che hai detto tra i tuoi soldati? Vuoi chiarirmi come sia potuto accadere un fatto del genere? Non ci posso proprio credere!»

«Fra i Tricerchiati, come tu li hai chiamati, Croscione, ce ne stava uno che si mostrava più temibile di una tigre ferita. Egli, mettendo in pratica un tipo di combattimento mai visto in vita mia, si mostrava imbattibile ed inattaccabile nella scherma, oltre a sfoggiare dei movimenti incredibili: sembrava che essi lo facessero volare! Insomma, in virtù delle sue tante prerogative di combattente straordinario, posso asserire che il numero dei miei uomini falcidiati dal solo invincibile guerriero è stato maggiore di quello dei soldati uccisi da tutti gli altri Tricerchiati messi insieme. Alla fine, salvando la pelle per puro miracolo e lasciando sul campo poco meno di sette centinaia dei miei armati, sono rientrato alla base con la coda tra le gambe e con un animo assai angustiato!»

«Se le cose sono andate così, Gerud, posso capirti benissimo! Non parliamo poi di ciò che hai dovuto subire dal nostro sovrano. Alla notizia, egli si sarà senz'altro inviperito!»

«Puoi dirlo forte, Croscione! Avresti dovuto vederlo come il re Cotuldo mi ha accolto, quando stamani ha appreso ciò che ci era capitato durante la notte! Ha sfogato l'intera sua stizza irosa contro di me, come non era mai avvenuto in passato. Ti garantisco che c'è mancato poco che non mi destituisse dal mio prestigioso incarico, licenziandomi in tronco! Dopo, venuto a conoscenza che quelli che avevamo attaccati non erano neppure ribelli ma degli appartenenti ad una setta religiosa, la sua collera si è alquanto ridimensionata. Per questo egli ha cambiato subito tono nei miei confronti, cercando perfino di scusarsi.»

Appresi dal suo ex subalterno i fatti che era interessato a conoscere e tranquillizzatosi che a corte non ci sarebbero stati sospetti su Zipro e su Polen, Croscione aveva fatto ritorno al loro campo accompagnato da Solcio. Egli era desideroso di recare al più presto le belle nuove a Lucebio, poiché costui le stava aspettando con ansia. Ma non sarebbero state altrettanto confortanti le notizie che Zipro e Polen stavano per recare alla terna di amici che li attendevano con Fusso sulla modesta altura. La quale era divenuta da poco il rifugio dei ribelli e delle loro famiglie. Perciò cerchiamo di conoscerne i motivi.


Come sappiamo, una volta in Dorinda, i due giovani, dopo essersi salutati con Croscione e il loro amico Solcio, se ne erano andati per conto loro per le vie della città. Strada facendo, casualmente essi si erano imbattuti in Liciut. Ebbene, l'incontro fra la coppia di amici e il seguace della setta era avvenuto fra sentiti abbracci e calorose strette di mano. Dopo tali dimostrazioni di affetto, il primo ad aprire bocca era stato il Tricerchiato. Egli si era affrettato a chiedere loro:

«Allora, amici, come è andata stanotte la vicenda di Erusia? Naturalmente, non avete potuto salvarla, essendo voi giunti troppo tardi! Ma ho visto che siete stati in grado di portarvela via senza farvi notare. Mi dite come siete riusciti a farla sparire così in fretta, senza dare nell'occhio? In quei momenti, ero preoccupato per voi e temevo che Ernos vi sorprendesse nel tempio e ve la facesse pagare cara! Invece, per vostra fortuna, ciò non è avvenuto, per cui ne ho gioito moltissimo!»

«Infatti, non è stato così, Liciut.» gli aveva risposto Polen «Perciò eccoci ancora qui vivi e vegeti! Se lo vuoi sapere, dobbiamo il nostro scampato pericolo ad un passaggio segreto, che abbiamo scoperto nello stanzino dove avvengono i preparativi per la cerimonia religiosa. Per di lì, poco prima, se l'erano già svignata anche Olpun e la miserabile mia zia, sfuggendo in tempo alla nostra vendetta.»

«Sono contento per voi e per Solcio, per esservi salvati; ma non esprimo altrettanta contentezza, nell'apprendere che il nostro Prediletto e la sua compagna vi sono sfuggiti. Così essi hanno evitato la punizione che si meritavano, a causa delle nefandezze e dei delitti che commissionano a danno di sventurate ragazze innocenti!»

«Stanne certo, Liciut, che quanto prima ci capiteranno tra le mani e allora non ci sfuggiranno, come è successo questa volta! Adesso il mio amico ed io vorremmo apprendere come si è conclusa stanotte la partita tra i soldati del re Cotuldo e i Tricerchiati. Spero assai catastrofica per questi ultimi, poiché ciò ci farebbe molto piacere!»

«In verità, mio caro Polen, lo scontro è stato un disastro per gli uni e per gli altri combattenti che si sono affrontati. In entrambi gli schieramenti armati, ci sono state considerevoli perdite di vite umane. Non so dirvi il numero esatto dei soldati morti; ma quello dei Tricerchiati uccisi ha raggiunto il mezzo migliaio. Ad ogni modo, avevo capito che l'attacco dei soldati al nostro tempio era stato una vostra mossa tattica e l'ho anche apprezzata tantissimo. Perfino Olpun ne avrà avuto sentore, per cui adesso sta cercando il modo di ricambiarvi il favore! Ma ignoro come intende farlo!»

«A noi ribelli, Liciut, giungono gradite sia la strage subita dai seguaci del Prediletto sia quella delle milizie del re Cotuldo. Con i nostri tre obiettivi, oltre alla liberazione di Erusia, miravamo altresì ad una reciproca carneficina tra coloro che ci combattono e vorrebbero la nostra rovina. Se il primo obiettivo non è stato raggiunto per niente da noi ribelli, almeno possiamo consolarci per essere riusciti a conseguire brillantemente gli altri due, senza che neppure uno solo dei nostri ci rimettesse le penne. Quindi, possiamo rallegrarcene con orgoglio! Non la pensi anche tu allo stesso modo?»

«Al posto vostro, Polen, non canterei vittoria così presto. Siatene certi che, appena possibile, i Tricerchiati cercheranno di vendicarsi in un modo o in un altro! Dopo l'ultimo abboccamento avvenuto tra Olpun, Stiriana ed Ernos, sono trapelate delle indiscrezioni. Secondo le quali, essi hanno stabilito di immolare al dio Kursut la principessa Rindella, ritenendo il suo sacrificio la loro migliore vendetta nei vostri confronti. Perciò rafforzate il vostro stato di allerta, se non volete che la poveretta diventi la loro prossima vittima. Anche a me dispiacerebbe moltissimo, se ciò avvenisse!»

«Grazie, Liciut, per averci messi al corrente di una notizia così importante per noi ribelli. Ma ti assicuriamo che da domani Solcio, Zipro ed io non le staccheremo mai gli occhi di dosso e saremo in continuazione i suoi tre sorveglianti speciali a tempo pieno. Vedremo se i Tricerchiati saranno capaci di rapircela! In verità, saremmo più tranquilli, se ci fosse a proteggerla il suo fidanzato, cioè il re Francide, il quale porrebbe fine una volta per sempre all'arroganza di Ernos! Comunque, sarà nostro dovere difendere la principessa con le unghie e con i denti, anche nel caso che venisse il campione dei Tricerchiati a portarcela via! Né sarà facile da parte sua combatterci insieme, rappresentando noi tre per lui dei nemici ostici difficilmente debellabili e disposti per lei anche al supremo sacrificio! Perciò egli lo tenga in mente che in futuro, se ciò dovesse capitare, dovrà vedersela con tre ossi duri per niente sgranocchiabili! Non lo credi?»

«Certo che è come dici, Polen! Ma consentimi di dubitare che ce la possiate spuntare contro Ernos, pur affrontandolo tutti e tre insieme. Per questo con sommo dispiacere, prevedo che la vostra fine è imminente, non essendoci nessun modo di evitarlo. Mi dispiace molto per voi, poiché adesso vi considero dei miei grandi amici!»

«Probabilmente, non ti sbagli, Liciut. Con la nostra morte immatura, però, siamo certi che alla fine avremo dato un senso alla nostra breve esistenza! Giunti a questo punto, dobbiamo lasciarti in fretta, amico nostro. Infatti, abbiamo premura di andare ad organizzarci nella maniera migliore, al fine di permettere al re Francide di sposare la sua amata, assicurandole la nostra migliore protezione!»