390-IL RAPIMENTO DI ERUSIA, LA FIGLIA DEL MANISCALCO FUSSO

Il giorno precedente, quando il crepuscolo aveva iniziato ad annerire ogni cosa, la giovane figlia del maniscalco già aveva percorso metà della strada dove era situata la sua abitazione. Ad un tratto, tre loschi individui a cavallo, dopo che le si erano avvicinati e ne erano scesi, l'avevano prima imbavagliata e poi legata, senza darle il tempo di emettere un solo urlo. Infine l'avevano caricata sopra la bestia di uno di loro e si erano allontanati rapidamente, cercando di non farsi notare. Invece, pur dimenandosi sulla groppa del cavallo di colui che precedeva gli altri due, alla ragazza riuscivano vani i ripetuti sforzi che tendevano a lasciarsi cadere da essa, al fine di sfuggire al rapitore che l'aveva presa in consegna. Costui, da parte sua, con una mano reggeva le redini e con l'altra cercava di tenere fermo sulla groppa del suo destriero il corpo di lei. Il quale, trovandosi in posizione prona, mostrava le braccia e le gambe che penzolavano e si agitavano lungo entrambi fianchi dell'animale.

Ma la poveretta rapita non poteva gridare in nessuna maniera per richiamare l'attenzione di qualcuno che si trovasse in strada per servizio o per passeggio. Difatti le sue urla risultavano soffocate dalla striscia di stoffa, che le tappava ermeticamente la bocca. Stando in quella posizione, che era piuttosto scomoda, in cuor suo Erusia si disperava, come non le era mai capitato. Più che i comprensibili disagi fisici, a cui in quel momento stava andando incontro, i due principali fattori della sua tremenda paura erano entrambi di natura psicologica. Da un lato, temeva per la propria incolumità, alla quale sarebbero potuti derivare dei danni irreparabili a breve termine; dall'altro, si spaventava per l'enorme trauma che il suo rapimento assai presto avrebbe procurato alla madre, la cui salute era già seriamente compromessa. In riferimento a sé, c'era nella ragazza il timore che quanto prima l'avrebbero potuta privare della sua integrità fisica, facendola smettere di essere illibata. Inoltre, si poteva pronosticare un epilogo ancora peggiore, nel caso che le fosse stata destinata anche la soppressione dell'esistenza, dopo averla lordata moralmente. Comunque, bisognava ancora vedere fin dove sarebbero arrivate le mire voluttuose dei suoi rapitori, dei quali ella era diventata la sicura vittima del momento. In merito alla genitrice, invece, il quadro prognostico si presentava ancora più temibile, poiché la sventurata donna già stava attraversando un periodo molto critico della sua esistenza. Difatti il suo stato di salute era da considerarsi assai compromesso, siccome nessuna cura era stata in grado di guarirla. La consorte del maniscalco Fusso, per intenderci meglio, era stata colpita da un oscuro male incurabile che, giorno dopo giorno, l'andava consumando sempre maggiormente. Per la quale ragione, secondo la preoccupata figlia, che ne era più che certa, non appena la madre fosse venuta a conoscenza della disgrazia che le era accaduta, senz'altro la brutta notizia avrebbe affrettato l'ora della sua morte, quella che i medici avevano prevista a medio termine.

Ritornando alla situazione drammatica di Erusia, la derelitta, più che avvertire i disagi che le procuravano la corsa del cavallo, a causa della sua posizione disagevole, aveva l'animo che navigava in un oceano di altro tipo di afflizioni. Esse non si rivelavano affatto materiali, ma originavano per la maggior parte dalla sua sfera sentimentale. Le riflessioni della sua coscienza non si appuntavano sul suo attuale presente, nonostante si mostrasse anch'esso alquanto molesto; bensì sulle future evenienze, le quali non si facevano prevedere per niente rosee. Esse, in un certo senso, non le promettevano un gran che di buono e la facevano soltanto rabbrividire prima del tempo. Come era ovvio, già la perdita della verginità, una volta che le fosse stata carpita con lo stupro, le sarebbe risultata un fatto terribilmente traumatico. In quegli istanti terribili, però, il massimo spavento le proveniva dal pensiero che i rapitori potessero avere premeditato anche un omicidio a sue spese. Per cui la ragazza ne soffriva immensamente, si sentiva torturare da sensazioni davvero affliggenti. Ma soprattutto aveva lo spirito, che gemeva nell'estremo abbattimento psichico e nella costernazione più insopportabile. La poveretta, a dire la verità, avendo la bocca conciata nella maniera che sappiamo, era impossibilitata a darsi ad un libero sfogo attraverso le grida, le quali le avrebbero senza dubbio mitigato in parte la sofferenza interiore. Al contrario, non potendo scaricarsi con l'aperta stizza della ribellione, Erusia era costretta ad avvertire la pena dentro di sé ingigantita fino all'inverosimile. Ed essa non conosceva alcun limite e le fracassava l'interiorità più nascosta. Anzi, vi deflagrava con una esplosione inusitata, che la riduceva in un coacervo di fitte parossistiche e di sensazioni struggenti, facendole avvertire il massimo della sofferenza.

La galoppata non era durata abbastanza a lungo; inoltre, non era avvenuta anche al di là della cerchia delle mura della città. Essa, invece, aveva riguardato una dozzina delle sue strade e stradine, terminando infine presso la ex palestra di nostra conoscenza. In quel luogo, i tre crudeli rapitori, dopo averla tirata giù dalla groppa del cavallo e rimessa in piedi, l'avevano trascinata con la forza nell'edificio. All'interno del quale, come gli era stato ordinato dai loro capi, l'avevano legata sopra un pagliericcio ed avevano atteso l'arrivo dei loro mandanti. I quali erano rappresentati dalle persone più potenti ed influenti della setta. Esse erano arrivate in quel luogo, un'ora dopo che vi erano giunti gli esecutori materiali del rapimento, non avendo potuto giungervi prima. Come il lettore già sa, tali persone non potevano essere che il Prediletto, la sua compagna Stiriana, Ernos e Ciron. Questa volta, però, essendo stati uccisi, mancavano Mesuop e Licisto. La zia di Polen era stata la prima a prendere l'iniziativa, raggiungendo la tremante ragazza, che l'aveva riconosciuta all'istante. Dopo averle tolto il bavaglio, ella si era data a dirle:

«Certo che sono io, Erusia, la tua ex vicina di casa! Se ti trovi nel luogo e nello stato odierno, devi ringraziare tuo padre, che tempo addietro ebbe a farmi un grave torto. Egli non osò mancarmi di rispetto; ma commise l'imprudenza di riferire ad altri dove mi ero trasferita. Anzi, addirittura ce li accompagnò perfino di persona, pur essendo al corrente che essi mi cercavano allo scopo di farmi del male. Perciò, ad iniziare da stasera, lo pagherò con egual moneta e mi vendicherò dell'offesa da lui subita! Adesso che sai come stanno realmente le cose, non devi avercela con me; invece devi imprecare contro il tuo colpevole genitore, per averti messa in questo bruttissimo pasticcio!»

«Non credo, Stiriana, che mio padre ti abbia voluto fare del male, poiché ti ha sempre stimata e rispettata! Se davvero egli mise al corrente altri della tua nuova abitazione, sono certa che lo fece senza alcuna intenzione di danneggiarti. Anzi, sono fermamente convinta che il mio genitore passò la notizia, solo perché gli era stata chiesta da qualcuno che considerava anche un tuo conoscente. Perciò non devi fargliene una colpa. Per pietà, Stiriana, permettimi di ritornare dalla mia mamma, la quale è gravemente ammalata e il mio rapimento potrebbe stroncarle l'esistenza prima del tempo!»

«Scordatelo, mia cara Erusia! Devi sapere che, indipendentemente dal motivo per cui Fusso rivelò a chi non doveva il mio nuovo domicilio, ho deciso di considerarlo colpevole per il semplice fatto che è un ribelle a servizio di Lucebio, la persona che non smetterò mai di odiare. Al fine di fargliela pagare a caro prezzo, mi sento legittimata a vendicarmi sulla unigenita sua figlia, che sei tu. Io ho intenzione di farlo soffrire con il tuo rapimento, come nessuna persona potrebbe mai immaginare!»

«Non essere così malvagia, Stiriana! Eppure sei stata una madre con una prole numerosa! Perciò come puoi non aver compassione di un'altra madre, cioè la mia, la quale morirebbe di crepacuore, se venisse a sapere di essermi capitato qualcosa di terribile? Dovresti sapere che, a causa della sua malattia, basta una piccola collera a spezzarle il tempo che le rimane ancora da vivere. Su, permetti al tuo amore materno di avere il sopravvento sul tuo cieco rancore e di predisporti al perdono!»

«Con me, Erusia, questi discorsi tendenti ad impietosirmi non funzionano; ma restano unicamente lettera morta. Visto poi che hai fatto menzione dei miei figli, ebbene, è proprio da loro che mi è provenuto questo mio carattere insensibile e coriaceo. Esso adesso mi spinge a non commuovermi di fronte a nessuno e a nessuna cosa. L'uccisione dei miei dieci figli, avvenuta davanti ai miei occhi scioccati, in un primo momento mi inebetì. Era stato il tremendo dolore a ridurmi in quello stato vegetativo, poiché mi ero sentita come se dei pezzi della mia carne, uno alla volta, fossero stati staccati dal mio corpo mediante grosse tenaglie. La perdita di ogni mio rampollo, mentre lo scorgevo riversarsi per terra con una emissione di sangue dalla bocca, mi causò uno strazio che non potresti mai immaginare, tanto nella sfera fisica quanto in quella psichica. Lo stesso mio animo parve schiantarsi, frantumarsi in mille agghiaccianti frammenti di angoscia e di dolore. Essi prima mi condussero sull'orlo della follia e successivamente mi causarono uno stato di totale incoscienza. Non riuscivo perfino a rendermi conto di quello che facevo e dicevo, durante quella tremenda circostanza. Ignoravo il mio presente, poiché era divenuto svuotato di ogni sensazione e di ogni realtà concreta, gettandomi in pasto alla più folle disperazione.»

«Allora, Stiriana, puoi comprendere benissimo mia madre, dal momento che sei consapevole dello strazio che le arrecherà il mio mancato ritorno a casa! Perciò ti prego di evitarglielo, se non vuoi avere il rimorso a vita, per averla fatta morire di crepacuore!»

La perfida donna, mostrandosi insensibile, non aveva dato ascolto all'implorazione della ragazza. Invece aveva preferito andare avanti con il racconto del suo lontano passato.

«Fu soltanto in un secondo momento, Erusia, che ripresi a connettermi con la mia coscienza, la quale mi riconsegnò così al mio mondo circostante; però esso ormai per me aveva perduto il senso della bellezza e della serenità. Mi ritrovavo a vivere la spietatezza dell'essere umano, l'odio per esso e la voglia di schiacciarlo sotto i miei piedi, come se fosse un pidocchio da sopprimersi nel peggiore dei modi. Con la perdita dei miei figli, avevo smarrito anche il senso della pietà e del perdono; con la loro morte prematura, che gli altri avevano decretato senza pietà, mi si era indurito il cuore, quasi fosse diventato un macigno. C'era rimasto in me unicamente il desiderio di vendicarmi degli uccisori dei miei figli e di quanti erano strettamente legati a loro, provocando in tutti la stessa catastrofe che era stata provocata nel mio animo.»

Nel pronunciare quelle sue livide parole, Stiriana era apparsa un'autentica forsennata, cioè una donna che aveva perso il senno per intero. I suoi occhi avevano lampeggiato per l'ira e per l'odio, poiché l'una e l'altro in lei adesso si mostravano in modo superlativo. Era sembrato che ella fosse posseduta da un demone, il quale la induceva a mettersi contro il mondo intero e le faceva sputare le congetture più assurde, mistificando perfino la verità dei fatti accaduti nel passato. L'adirata donna aveva dimostrato di non essere affatto disposta a cedere alla bontà e alla generosità, avendo deciso di non ospitarle mai più dentro il proprio cuore. Ammesso che prima ci fossero state in esso anche in minima parte! Invece ella sarebbe stata per sempre l'emblema del male, per cui non si sarebbe mai stancata di procurarlo a quanti considerava suoi nemici e ad altri, anche nel caso che non li conoscesse affatto.

Nonostante quella lapalissiana verità, che veniva a riscontrarsi nella donna in modo inequivocabile, lo stesso la ragazza aveva tentato di nuovo di commuoverla e di farla così muovere a compassione nei suoi confronti. Per questo ella aveva ripreso a dirle disperata:

«Tu non puoi, Stiriana, prendertela crudelmente con l'umanità intera, anche se da una piccolissima parte di essa hai ricevuto il peggiore dei torti! Per favore, cerca di ragionare nella maniera giusta e ritorna ad essere la donna che eri, prima che ti uccidessero i dieci figli. La vendetta non dà mai buoni frutti e finisce alla fine per rovinare chi ricorre ad essa. Dunque, compi un atto di magnanimità e di clemenza, permettendomi di ritornare dai miei genitori. Sono sicura che essi già stanno penando per il mio mancato rientro. Se accogli la mia supplica, te ne sarò infinitamente grata fino a quando vivrò!»

«Mai e poi mai, Erusia, ti lascerò libera e ti consentirò di raggiungere la tua famiglia! Tu andrai incontro alla stessa sorte, che già hanno subita le altre ragazze che ti hanno preceduta. Forse non ti sei ancora resa conto del motivo per cui sei stata rapita. Tu ci servi perché, nel prossimo plenilunio, dovrai fare da ennesima vittima sacrificale al nostro divino Kursut. Ma prima i tre miei amici, che sono qui con me, ti prepareranno per il solenne olocausto. Noi facciamo parte di una setta religiosa, la quale è quella dei Tricerchiati, il cui capo è il qui presente Prediletto. Egli sarà il primo a dispensarti le sue grazie. Sverginandoti, ti renderà pronta per il grande evento del plenilunio in arrivo. Dopo, però, saranno gli altri due maschi a stuprarti ancora, intanto che io farò sesso con il tuo defloratore, il quale è anche il mio dolcissimo amante!»

«Per carità, Stiriana, per i rapporti di buon vicinato che ci sono sempre stati tra le nostre due famiglie, evitami uno strazio così disumano! Esso travolgerà pure la mamma, quando verrà a conoscenza di tutto! Possibile che tu sia caduta in una tale abiezione, da farti ritrovare senza più una goccia di umanità, di dignità e di generosità? Non posso credere che un essere umano, tutto ad un tratto, possa cadere così in basso!»

Stiriana, restando interamente impassibile alle suppliche accorate della ragazza, le si era avvicinata e l'aveva imbavagliata di nuovo. Poi, rivolgendosi ai suoi tre amici, con grande indifferenza aveva esclamato: "Potete iniziare la vostra opera di preparazione!" Essi allora all'istante si erano dati ad appagare la loro libidine sulla figlia di Fusso. Ma il compito di deflorarla era stato ancora una volta di Olpun, che non l'aveva lasciata, fino a quando i suoi istinti lussuriosi non erano stati appagati appieno. In seguito, però, erano stati Ernos e Ciron a continuare la violenza sessuale sul corpo della ragazza, i quali non si erano comportati da meno nei riguardi di lei. Quando poi era toccato al maestro d'armi e all'incisore violentare la ragazza, il Prediletto, per espresso desiderio di lei, si era dovuto accoppiare anche con Stiriana, come le altre volte. Comunque, egli aveva smesso di possederla, soltanto quando la concupiscenza della sua accalorata amante non si era ritenuta soddisfatta del tutto, ossia dopo che ella si era manifestata particolarmente assatanata.

Mentre veniva violentata, anche se non aveva potuto far sentire le sue urla di sdegno e di opposizione contro coloro che le stavano insozzando l'onore, psicologicamente parlando, la ragazza aveva vissuto una esperienza inesprimibilmente traumatica. Dopo la lacerazione del suo imene, ella si era sentita un essere senza più alcun pregio, essendo stata privata della sua parte di donna che la rendeva speciale. Mentre la cui privazione in quella circostanza la mostrava intimamente sudicia agli occhi di ogni uomo. Essendole stata carpita la verginità contro la sua volontà, la ragazza si considerava una nullità, marchiata dall'infima abiezione morale. Anzi, appariva a sé stessa non più degna di alcuna considerazione da parte della sua famiglia e dell'uomo che un giorno le avrebbe messo gli occhi addosso. Quella sua amara e tormentata considerazione la spingeva a spegnersi totalmente nell'angoscia che l'andava divorando, simile a una fiamma che fa prima bruciare e poi incenerire un covone. Durante il tempo che era seguito, la persistenza dell'abuso sessuale sul suo corpo le aveva peggiorato il quadro sintomatologico della psiche. Il suo animo era stato costretto ad assoggettarsi alla morbosità di coloro che le avevano fatto avvertire la vergogna più lutulenta ed insostenibile fin nelle latebre del suo animo. Essa lo aveva immiserito nei suoi valori più integri e nelle sue idealità più pure. Perciò lo presentava come un sordido letamaio; anziché come un ostello di autentiche virtù, quale era stato sempre considerato da lei.

Alla fine anche la restante componente maschile del gruppo aveva terminato di fare i propri porci comodi sul corpo di Erusia, la quale, dimostrandosi impotente a reagire, non si era potuta ribellare al terzetto di violentatori. Costoro, dopo aver permesso al suo corpo di effettuare sia la funzione fisiologica che quella igienica, avevano legato alla ragazza le mani dietro la schiena, fermando poi le stesse ad un anello infisso nel muro di uno stanzino. Portate così a termine tali operazioni, essi l'avevano lasciata sola nell'edificio dove mensilmente erano soliti abusare della nuova ragazza vergine, che era stata appena rapita. Nel lasciarla in quel luogo semibuio, in balia della sua disperazione martoriante, la maligna Stiriana, dopo essersi avvicinata alla figlia del maniscalco Fusso a meno di un metro, le aveva detto con una punta di ironia:

«Non preoccuparti, Erusia, perché domani sera noi quattro staremo ancora qui da te. Allora riceverai dai miei amici il medesimo trattamento di stasera. Anch'io, insieme con te, prenderò parte al godimento che ci sanno procurare questi benedetti uomini! A mezzogiorno, invece, avrai la visita di quelli che ti hanno rapita e condotta in questo posto, poiché essi dovranno preoccuparsi di darti da mangiare e da bere. Ti raccomando di cibarti a sufficienza, poiché mi dispiacerebbe vederti sciupata e non in ottima forma, dovendo affrontare le nuove piacevoli ore d'amore, quelle che i miei tre accompagnatori vorranno ancora elargirti. Nel nostro incontro di domani, figlia del ribelle Fusso, vorrei che anche la tua partecipazione fosse totale, come si dimostra quella nostra!»

Andati via i suoi tormentatori, la sventurata ragazza era sprofondata nell'angoscia più pazzesca, si era vista annegare in un mare di assilli, i quali venivano ad affliggerle l'animo e lo spirito. L'oscurità e la solitudine contribuivano a renderle le ore notturne ancora più travagliate. Anzi, anch'esse facevano la loro parte nell'infonderle una tetra malinconia ed un avvilimento inquietante. Ma ella era torturata soprattutto da un ricorrente pensiero, il quale la riportava tristemente ai suoi genitori, per cui non le dava pace e la costernava come non mai. Esso si insediava nella sua mente con un malessere terebrante, poiché risultava maggiore di quello che le inoculavano il coatto isolamento e il degradante disonore che ella si era vista gettare addosso forzatamente da uomini senza pudore e privi anche della più lieve pietà.


A proposito degli altri due componenti della famiglia, non si poteva asserire che nel frattempo essi se la stavano passando meglio di lei. Non appena era calata la notte ed avevano atteso invano il rientro della loro amata unigenita, il velo dell'oppressiva apprensione si era adagiato sopra di loro e li aveva fatti giustamente preoccupare in modo morboso. Più il tempo notturno trascorreva, più il macigno del tormento pesava sulle loro teste. Soprattutto la madre Attunia, che aveva già la sua malattia a farla tribolare enormemente, non si era data pace. Non cessava di pregare con fervore il dio Matarum, supplicandolo di rimandarle presto a casa la sua diletta Erusia. Sovente le lacrimavano gli occhi per il timore che le fosse successo qualcosa di brutto, per colpa di giovani scapestrati dal contegno discutibile, ma quasi sempre assai riprovevole.

La compassionevole donna, dunque, veniva vessata soprattutto dal pensiero che alcuni malintenzionati l'avessero assalita e rapita, al fine di usarle violenza e di rovinarle così l'esistenza a vita. Secondo lei, una volta disonorata, nessun uomo avrebbe più voluto sposarla, siccome egli non avrebbe mai creduto alla violenza carnale subita contro la propria volontà. Essendo durato a lungo il silenzio dell'attesa fra i due tribolati coniugi, alla fine la donna aveva voluto ad ogni costo sfogarsi con il proprio consorte, parlandogli così:

«Fusso, mi sai dire perché questa sera la nostra Erusia non è rincasata alla sua solita ora? Non temi anche tu che le sia successo qualcosa? In che modo possiamo accertarci che non le è capitato alcunché di brutto? Possibile che tu riesca a restartene in casa, senza far niente per lei? Le altre sere, per l'ora di cena, ella era già seduta a tavola a cenare insieme con noi! Tra un boccone e l'altro, nostra figlia si dava a parlarci dei fatti che le erano accaduti durante la giornata presso la bottega di mia cugina Ifidia, dove ogni giorno si reca ad apprendere il mestiere della sarta. Come mai c'è questo suo ingiustificato ritardo, il quale continua a martellarmi l'animo, come non puoi immaginare?»

«Non so proprio cosa risponderti, Attunia mia. Dall'alba al tramonto, non ho fatto altro che ferrare i cavalli e non potevo seguire i passi della nostra figliola! Anche se è anomalo il suo ritardo, ti invito a non preoccuparti più del dovuto, poiché il tuo potrebbe essere soltanto un falso allarme. Magari ella si sarà attardata presso la tua parente, la quale, avendo avuto bisogno di lei più del solito, l'avrà trattenuta a casa sua, senza rendersi conto che noi ci saremmo impensieriti. Quanto a me, pur volendo fare qualcosa, non saprei come risolvermi e a chi rivolgermi a quest'ora di notte, quando non è bello andare a disturbare le persone nelle loro case per chiedere un aiuto!»

«Allora, Fusso, te lo dico io cosa devi fare e dove devi andare, se proprio non lo sai! Per favore, corri da mia cugina e vai a sincerarti che nostra figlia si trova ancora da lei. Se questa è la verità, la farai ritornare a casa insieme con te. Così facendo, non mi farai patire per l'intera nottata! Altrimenti, senza avere la mia bambina accanto, trascorrerò una nottataccia e annegherò nella disperazione più amara che può esserci!»

«Se è questo che vuoi che io faccia, Attunia, ti accontento immediatamente. Volo da tua cugina e ti riporterò indietro la nostra Erusia, poiché ella può stare solamente presso di lei, a quest'ora della notte! Vedrai che sarò a casa in un attimo insieme con nostra figlia, poiché sarò un fulmine nell'andare da tua cugina Ifidia e ritornarne! Nel frattempo, però, tu cerca di conservare l'intera calma, senza agitarti troppo!»

Montato sul primo cavallo trovato nella sua mascalcia, il preoccupato Fusso si era precipitato a casa della parente della moglie, la quale vendeva abiti femminili, che ella stessa confezionava. La donna, però, si dedicava anche ad impartire nel retrobottega alcune lezioni di taglio e cucito a mezza dozzina di ragazze, dietro un modico compenso. Inoltre, quando c'era la necessità, ella era solita servirsi delle apprendiste sarte anche come commesse nel proprio negozio, facendosi aiutare da loro nella vendita dei vari capi di vestiario. Ebbene, non essendo molto lontana la dimora della parente della moglie, che era in Via della Serenità, l'uomo vi era giunto in circa dieci minuti di galoppata. Naturalmente, la porta di casa era risultata già chiusa e sprangata dall'interno, essendoci il pericolo che qualcuno potesse introdursi nell'abitazione con cattive intenzioni. Perciò la donna voleva evitare di subire rapine da parte di malintenzionati, che avrebbero potuto perfino violentarla ed ucciderla, oltre che derubarla, come già era successo ad altre donne della sua età.

Allora Fusso, bussando con tocchi ripetuti e facendosi riconoscere da lei, si era fatto aprire la porta dalla sarta. Mentre lo accoglieva nella propria casa, la parente, che era una matura zitella, mostrandosi agitata, gli aveva chiesto:

«Come mai, Fusso, sei venuto a casa mia a quest'ora? Si è forse aggravato lo stato di salute della mia povera cugina Attunia? Oppure sei venuto addirittura ad annunciarmi che ella si è spenta per sempre?! Che il buon Matarum non lo voglia, per carità! Ella mi è tanto cara ed affezionata, per cui la sua morte mi farebbe soffrire moltissimo!»

«La mia venuta, Ifidia, non riguarda mia moglie, la cui malattia, comunque, sèguita a consumarla inesorabilmente, senza che nessuno possa fare niente per essa. Invece sono qui per la nostra figliola Erusia, che questa sera non è rientrata! Tu sai dirmi qualcosa sul suo ritardo, il quale, come anche tu devi ammettere, non sarebbe dovuto esserci?»

«Davvero dici, Fusso?! Mi chiedo cosa mai le sarà accaduto; ma spero proprio nulla di brutto! Sono due ore che ella mi ha lasciata, dopo avermi salutata con il solito bacio! Poveretta!»

«Se lo vuoi sapere, Ifidia, non avendo Erusia fatto ritorno a casa, abbiamo pensato che tu l'avessi trattenuta più a lungo del solito presso la tua dimora per motivo di lavoro. Perciò, credendo di trovarla ancora presso di te, ero venuto a prenderla e ad accompagnarla a casa per evitarle di rincasare da sola a quest'ora! Ma se tu mi asserisci che ella non si trova più qui, mi domando anch'io cosa mai le sia accaduto per strada. Speriamo nulla di brutto!»

«Invece, Fusso, come già ti ho detto, Erusia ha lasciato la mia bottega alla medesima ora di sempre, insieme con le altre ragazze apprendiste. Lo sai che ci tengo a farle smettere, non appena il tramonto si affaccia sulla nostra città. Così, all'imbrunire, esse sono già presso il loro focolare domestico. Riguardo a tua figlia, mi sta dispiacendo che ella non abbia fatto ritorno a casa! Ma dove si sarà mai cacciata, la poveretta?! Sento già tremarmi le gambe per la paura!»

«Se ne fossi stato a conoscenza, Ifidia, credi che ora starei qui? Non sai neppure dirmi se la mia Erusia frequentasse qualche ragazzo? Magari con te ella si sarà confidata e te lo avrà detto!»

«Sono sicura di no, Fusso. Le altre ragazze, che vengono ad apprendere da me il mestiere della sarta, sì che ce l'hanno tutte il ragazzo! Ma scommetto che la tua Erusia non ne ha mai avuto qualcuno. Proprio oggi, durante il desinare, le sue compagne parlavano dei loro fidanzati nascosti. Invece ella ha dichiarato che, nel caso si dovesse fidanzare con qualcuno, ne avrebbe messo al corrente anche i suoi genitori. Così ella avrebbe vissuto e si sarebbe gustato il suo amore alla luce del sole. Ecco cosa posso dirti al riguardo!»

«Credi che ciò mi tranquillizzi, Ifidia? Se escludiamo che ella possa essersi trattenuta con il suo ragazzo, non ci resta che prendere in considerazione un'amara realtà. Se non si è fatta viva a casa fino a questo momento, bisogna ammettere che davvero le è capitato qualcosa di male, da parte di persone malintenzionate! Per questo mi dici come farò adesso a dirlo ad Attunia, la quale ha già i suoi gravi problemi di salute? Devi sapere che mi sento già preoccupato che neppure immagini, a tale disastroso pensiero!»

«Posso comprenderti benissimo, Fusso! Prima di fare ritorno dalla tua Ifidia, cerca di dare coraggio a te stesso! Solo dopo correrai a rasserenarla con una scusa qualsiasi. Ma non farle apparire tragica la mancanza di Erusia, quando non si conosce ancora la verità sul suo ritardo. Fai in modo che la speranza non muoia dentro di lei e rassicurala che presto vostra figlia tornerà a casa e vi riabbraccerà come le altre volte!»

Quando il maniscalco aveva fatto ritorno alla sua dimora, aveva dovuto prendere atto che la figlia non vi aveva ancora fatto ritorno. In compenso, però, si era accorto che durante la sua assenza la moglie aveva goduto di una parziale calma. Ciò, perché ella si era convinta che il marito sarebbe ritornato dalla cugina in compagnia della figlia. Invece, scorgendolo rincasare ancora solo, la poveretta era ripiombata nel suo precedente struggimento interiore, il quale aveva ricominciato a farla tribolare in maniera indicibile. Si era pure chiusa in uno strano mutismo, che sembrava esprimere il suo intimo travaglio nella sua pienezza. Ora esso si dava a strapazzarle a tappeto l'afflitto animo, scuotendoglielo con fitte lancinanti e con pensieri paurosamente ossessivi. Allora il marito, volendo porre riparo al suo patema angosciante e cercare di alleviarglielo il più possibile, la teneva stretta a sé. In pari tempo, la riempiva di baci e le sussurrava parole dolci, promettendole che la figlia, al massimo entro la giornata successiva, sarebbe stata di nuovo con loro. Ma Attunia, che si mostrava incredula alle promesse del marito, pur di smorzare in parte il suo profondo scetticismo, gli faceva un sacco di domande, che non erano differenti da quelle che si riportano di seguito.

«Mi dici, Fusso, chi sarà in grado di condurci a casa la nostra Erusia, facendoci così il più grande regalo? Forse sai già chi lo farà al posto tuo e ci permetterà di gioire ancora con la nostra figliola? Se è come ho pensato, voglio sapere chi sarà a farci questo bellissimo regalo!»

«Adesso non ti posso dire niente, Attunia. Ma domani qualcuno ci riporterà in famiglia nostra figlia e ci spiegherà ogni cosa sulla sua assenza da casa. Per il tuo bene, ti consiglio di darti al sonno ristoratore, poiché è di esso che adesso hai bisogno! Così, vedendoti addormentata, potrò dormire anch'io! Allora, mi dai ascolto, per favore?»

«Credi, Fusso, che io sia così ingenua, da prenderti sul serio? Colui che non le ha permesso di rincasare stasera, le negherà anche domani il rientro a casa. Perciò non possiamo restare senza far niente ed aspettare invano che ella rientri a casa con le proprie gambe. Se non l'ha fatto fino adesso, non lo farà più, poiché qualcuno la trattiene in qualche posto e non la lascia libera di raggiungerci. Ecco perché bisogna ricercarla in ogni angolo della città, prima che le facciano fare una fine miserevole! Se per domani non mi rivedrò accanto mia figlia, di sicuro morirò per la grande disperazione!»

«Ammesso pure che sia come affermi, Attunia, a quest'ora di notte non ci è permesso di fare un bel niente; né possiamo ricorrere a qualche nostro amico ribelle, perché ci aiuti a ritrovarla. Essendo ormai tardi, tutti dormono e malvolentieri si metterebbero con me sulle tracce della nostra Erusia! Te ne devi convincere anche tu!»

«A proposito di amici, Fusso, noi abbiamo la persona a cui rivolgerci: nevvero? Qui ci occorre proprio l'aiuto del tuo amico Lucebio. Sono sicura che egli non ci rifiuterà il suo soccorso. Quell'eccezionale uomo sì che potrà darci una mano a rintracciare nostra figlia! Dopo aver fatto scovare dai suoi uomini i presunti rapitori della nostra ragazza, le permetterà anche di unirsi a noi ancora una volta. Dunque, è a lui che dovrai rivolgerti, se vogliamo riavere indietro la nostra Erusia! Più di lui, nessun altro potrà fare niente per lei e saprà operare un tale miracolo! Non può essere altrimenti!»

«Hai senz'altro ragione, Attunia! Il carismatico Lucebio è la persona giusta che fa al caso nostro. Solo da lui possiamo ottenere l'aiuto necessario per ritrovare nostra figlia. Perciò domani, non appena si sarà fatto giorno, lo raggiungerò presso il suo campo e lo metterò al corrente della nostra disgrazia; inoltre, gli chiederò di aiutarci. A questo punto, però, cerchiamo di coricarci e di riposarci un poco con il sonno! Intesi?»

Come era da attenderselo, la notte non era risultata ad entrambi la consueta dispensatrice di ristoro e di oblio di ogni inquietudine; al contrario, aveva assunto lo stesso atteggiamento della serata. I pensieri più cupi avevano seguitato a bersagliare i due coniugi, senza concedere a nessuno dei due un minuto di quiete. Alcuni sogni, poi, all'una e all'altro avevano dato già per morta la figlia, per la qual cosa c'era stato in loro un crescendo di sensazioni sgradevoli. Queste ultime avevano contribuito a scombussolare la loro psiche ed avevano messo in ginocchio il loro stato d'animo, stremandolo fino all'inverosimile. Nel frattempo che trascorrevano le ore notturne, in Fusso e nella sua consorte c'era stato un alternarsi di incubi e di dormiveglia, mettendo a dura prova il loro equilibrio interiore. Esso, alcune volte, si era ritrovato a fare i conti con una realtà opprimente ed ossessiva, avversa in tutti i sensi ad una sua ripresa positiva tanto nei contenuti quanto nelle espressioni.

Quando infine il mattino si era ripresentato ad augurare ad ambedue il buongiorno, il suo si era dimostrato un augurio di pessimo gusto. Prima di ogni altra cosa, sadicamente esso si era preoccupato di metterli davanti alla medesima dura realtà della sera precedente, con tutto il suo carico di stati emozionali sconfortanti e costrittivi. Inoltre, li aveva lasciati a vivere la stessa situazione ingarbugliata e gravosa della sera precedente, da cui non potevano che provenire agli scalognati consorti il massacro della mente e l'abbattimento dello spirito. Per fortuna, insieme con tali sbandamenti fisici, psichici e spirituali, nella donna era rimasta ancora una flebile speranza. Secondo la sua visione speranzosa, era da considerarsi probabile che Lucebio, in qualità di uomo retto, si sarebbe interessato alla loro sventura, occupandosi generosamente della vicenda della loro figlia. Al suo risveglio, perciò, il suo primo pensiero era stato rivolto al saggio e potente uomo, l'unico che poteva essere il loro soccorritore. Così, quando il marito non si era ancora seduto a tavola per fare colazione, lo aveva sollecitato ad andare a trovarlo e a fargli presente quanto era accaduto alla loro giovane figlia.

Il consorte non si era opposto al suo invito premuroso, poiché anch'egli ci teneva a chiarire al più presto il difficile caso di Erusia. Il quale li stava struggendo fisicamente e psichicamente, senza alcuna compassione per loro due; ma facendoli soltanto soffrire in un modo che essi non auguravano a nessun'altra anima viva. Prima di partire, Fusso, tenendosi abbracciata la moglie, le aveva assicurato che le cose avrebbero preso la loro piega giusta molto presto, ossia non appena il pupillo del defunto re Kodrun ne fosse venuto a conoscenza. Egli non avrebbe esitato a sguinzagliare sulle tracce della figlia i suoi uomini, i quali in breve tempo avrebbero stanato i carcerieri della loro Erusia. Così avrebbero liberato la ragazza e gli avrebbero inflitto la meritata punizione.

Dopo essersi congedato dalla moglie, il maniscalco si era messo a cavalcare in direzione delle mura, volendo raggiungerle senza perdere tempo, per poi lanciarsi di corsa per l'aperta campagna. Ma avendo trovato chiuse le porte della città, egli era stato obbligato ad attendere quasi una mezzora, prima che le scorgesse spalancarsi e permettere il transito delle persone. In seguito, di gran carriera, Fusso si era messo a galoppare come un ossesso verso l'altopiano, il cui pianoro ospitava il nuovo campo dei ribelli. Pervenuto poi alle sue falde, il poveretto non aveva avuto difficoltà a raggiungerne la sommità pianeggiante, poiché era stato subito riconosciuto da quelli che erano di guardia al suo accesso. Infatti, grazie alla sua attività di maniscalco, non c'era ribelle la cui bestia non avesse avuto bisogno di lui almeno una volta durante l'anno. Perciò, superata anche l'acclività del percorso, egli si era diretto alla dimora di Lucebio, che aveva trovato a fare colazione in compagnia dei tre ospiti che conosciamo.