385°-LA SIMULATA UCCISIONE DI ZIPRO, DA PARTE DI POLEN

All’arrivo dei due giovani al campo, c’era stato un altro incontro tra le medesime persone che già avevano partecipato a quello precedente. Nel primo di essi, Solcio e Zipro avevano messo Lucebio e Croscione a conoscenza del colloquio avuto in città con l’artigiano Seliot. Nel secondo, invece, si era discusso su come si sarebbe dovuto attuare in città il suo marchingegno. A tale riguardo, tutti si erano trovati d’accordo sui seguenti quattro punti essenziali: 1) il teatro dell'avvenimento sarebbe dovuto essere Via della Precisione; 2) l’operazione ci sarebbe stata il giorno dopo; 3) essa sarebbe avvenuta nel tardo pomeriggio; 4) le modalità di esecuzione del finto assassinio si sarebbero decise in un secondo momento. Comunque, già si era stabilito insieme quanto riportato qui appresso. Polen avrebbe fatto scattare il suo tiro, solo dopo che Zipro, restandosene immobile, si fosse dato a toccarsi ripetutamente la fronte con una mano. Sulla casacca, invece, ci sarebbe stato disegnato un cerchio, il quale avrebbe indicato all'amico arciere la zona del petto da prendere di mira, senza fallire assolutamente il proprio colpo.

Quando pure il nuovo incontro aveva avuto termine, il tramonto si accingeva oramai a rendere i vari ingredienti naturali rosseggianti in alcune zone e giallognoli in altre. Allora il ricorrente fenomeno naturale aveva fatto ricordare a Lucebio che già era tempo di porre mano al pasto serale. Così, nel volgere di appena una mezzoretta, esso risultava già fumigante a tavola. Per cui il subentrato imbrunire aveva visto radunarsi nuovamente i quattro amici, che poco prima si erano separati. Ma questa volta essi si ritrovavano intorno al desco unicamente per dar sfogo al loro indiscusso appetito. A cena terminata, l'avanzante notte si era messa ad annerire ogni luogo circostante. Invece più tardi, quando non era trascorsa neppure un’ora, tutti quanti si erano sentiti molto stanchi ed affamati di sonno. Il quale, a quel punto, con il suo richiamo invitante, era intervenuto a sollecitare ciascuno di loro a concedersi una bella dormita ristoratrice nel rispettivo casolare.

La parte iniziale del mattino seguente era stata trascorsa da Solcio e da Zipro nell’addestramento di tutti quegli uomini che, con le loro famiglie, vivevano stabilmente nel nuovo campo. In seguito, fatta colazione ed abbandonato l’altopiano, i due giovani si erano diretti verso Dorinda, dove, a mezzogiorno in punto, avevano appuntamento con Polen. Ad ogni modo, prima di incontrarsi con lui, c’era stato anche il tempo di fare una capatina al palazzo del possidente Sosimo. Esso ospitava l’intera sua discendenza, che comprendeva figli, nuore, generi e nipoti. In seguito, però, lasciata la signorile abitazione dell’amico di Lucebio, essi avevano deciso di raggiungere Polen al posto stabilito. Durante l'abboccamento con l’amico, Solcio e Zipro lo avevano invitato a prendere nota di quanto era stato organizzato da loro in precedenza, compresi il giorno e la parte di esso in cui egli avrebbe dovuto fare da infallibile tiratore d'arco. Nel medesimo tempo, essi avevano rassicurato Polen che, se il colpo non avesse fallito il bersaglio, egli non si sarebbe dovuto preoccupare di alcunché. Chiarito così ogni particolare riguardante l'imminente vicenda, i tre amici avevano posto fine al loro breve colloquio. Allora, mentre Solcio e Zipro avevano raggiunto di nuovo il palazzo di Sosimo per pranzarvi, Polen se ne era ritornato subito presso Liciut, il quale, come al solito, lo attendeva sulla soglia di casa.

Il giorno seguente, cioè quello fissato per il suo tiro maestro contro il compagno, il nipote di Stiriana, dopo essersi svegliato, non appariva per nulla tranquillo e bastava un nonnulla per farlo irritare. Perfino Liciut, il Tricerchiato che era stato messo a far coppia con lui, subito se ne era accorto; ma aveva evitato di chiedergli la ragione del suo insolito nervosismo. Quel turbamento proveniva al figlio di Trisippo dal fatto che egli considerava di estrema pericolosità il compito ingrato, che i ribelli gli avevano affidato di prepotenza. Il giovane avrebbe preferito che Lucebio gli avesse ingiunto di tagliare la corda, facendolo defezionare dalla setta dei Tricerchiati e rientrare immediatamente al campo dei ribelli. In quel modo, egli non si sarebbe ritrovato a mettere a rischio la vita dell'amico Zipro. Ma purtroppo ciò non gli era stato consentito dal saggio capo dei ribelli. Egli aveva ritenuto di grande necessità la sua permanenza fra i Tricerchiati, per evitare spiacevoli sorprese da parte loro.

Più tardi, cioè mentre si recavano in città, Polen aveva seguitato a presentarsi di umore nero, a comportarsi allo stesso modo di una persona fredda e scostante, ad apparire come se una grande calamità stesse per investirlo. Avanzando verso Dorinda, si vedeva benissimo che il poveretto era psicologicamente distrutto e che il suo animo navigava in un mare tempestoso. Dove i marosi lo tormentavano senza sosta con i loro assalti travolgenti e devastanti. Il quale suo atteggiamento aveva spinto il suo commilitone a preoccuparsi per lui e a domandargli:

«Mi dici, Polen, come mai questa mattina sei di carattere davvero intrattabile? Se qualcosa ti opprime interiormente, fai meglio a parlarmene e a sfogarti con me. Se lo fai, ti assicuro che dopo ti sentirai meglio e recupererai un po’ della tua serenità perduta! Avanti, ti esorto a riferirmi il motivo, a causa del quale quest'oggi sei così irascibile, da non sopportare perfino la tua ombra! Sono certo che esso ti viene causato da qualcosa che ti angustia, se ti comporti in questa maniera!»

«La persona che mi hanno ordinato di uccidere, Liciut, è stata fino a pochi giorni fa uno dei miei due grandi amici. Se so maneggiare con destrezza la spada e me la cavo discretamente con le arti marziali, lo devo soltanto a loro due. Eppure essi sono soltanto gli allievi dei due guerrieri più forti del mondo, sebbene il nostro Ernos si vanti di essere lui il campione insuperabile nell’uso delle armi e nelle arti marziali. Da quando ho abbandonato i ribelli e sono entrato a far parte della nostra setta, ho dovuto rinunciare alla loro bella amicizia. Addirittura adesso mi si ordina di uccidere uno di loro con l’arco. Mi hanno proibito di farlo con la spada, poiché giustamente hanno temuto che io fossi potuto risultare perdente, pur essendo molto bravo. Allora ho delle valide ragioni per essere di umore nero? Tu come ti sentiresti, al posto mio?»

«Adesso comprendo la tua disperazione interiore, Polen: essa ti si legge perfino sul volto, ugualmente allo scritto che si trova sopra un rotolo di papiro! Ma proprio in questi giorni i due imbattibili assi dei ribelli dovevano assentarsi da Dorinda? Se ci fosse stato almeno uno di loro, egli avrebbe affrontato ed eliminato il nostro maestro, ponendo finalmente termine alla sua tracotanza e alla nostra paura! Inoltre, avrebbe fatto sparire l’intera setta dei Tricerchiati! Ne sono più che convinto!»

«Non ti sbagli, Liciut. Iveonte, del quale ho sentito narrare delle gesta inimmaginabili, come già ti avevo detto, ha dovuto lasciare l’Edelcadia per problemi personali. Siccome le previsioni fanno stimare sterminato il suo viaggio, il suo ritorno nella nostra città avverrà tra moltissimo tempo. C’è la sola speranza che potrebbe rifarsi vivo in Dorinda il valoroso Francide, il quale è divenuto da poco re di Actina. Egli è atteso da un momento all’altro nella nostra città, perché vi si trova la sua ragazza, che è la figlia del nostro ex re Cloronte. L’indomabile guerriero ha deciso di venire a prenderla per farla diventare sua sposa e regina della Città Santa. Ma i nostri capi, secondo quanto ho sentito dire, hanno decretato di volerla sacrificare al nostro divino Kursut, una volta che saranno riusciti a catturarla. Se ciò dovesse accadere, dovremmo prepararci a subire la sua ira tremebonda. Pensa che egli, da solo, sarebbe capace perfino di sterminare l’intera nostra setta, Ernos compreso. Perciò spero che la sua presenza in Dorinda avvenga al più presto e faccia completa pulizia fra i Votati alla Morte dei Tricerchiati, che si dimostrano unicamente dei guerrieri sanguinari!»

«Lo sai, Polen, che anch’io una volta feci pensiero di diventare uno dei ribelli, stimando la loro causa giusta e doverosa? Ma poi, dentro di me, l’egoismo ebbe il sopravvento sul patriottismo. Esso mi fece pensare che, anche con il ritorno del re Cloronte, per me le cose non sarebbero cambiate granché. Perciò, alla fine decisi di tenermi in disparte e di badare solo ai miei interessi. Comunque, non ti nascondo che spesso mi ha assalito il pentimento, siccome la mia insensibilità patriottica mi ha fatto ritenere un indegno cittadino di Dorinda. Rifacendomi poi al discorso sulla principessa, anche io credo che le cose per noi si metteranno male, se ella dovesse venire sacrificata al dio Kursut. Ma tu, Polen, sai dirmi perché il Prediletto ha messo l’occhio sulla ragazza, che forse neppure conosceva, senza curarsi di arrecare all’intera setta parecchi problemi seri? Vorrei che tu me lo spiegassi, se ne sei al corrente, poiché io lo ignoro del tutto!»

«In verità, Liciut, non è stata sua l’idea di tale sacrificio, ma di mia zia Stiriana. Facendola sacrificare al dio Kursut, ella intende vendicarsi di lei e del suo fidanzato. La storia è troppo lunga per raccontartela in questo momento. Te ne parlerò un’altra volta, ossia quando avremo più tempo a disposizione per mettertene al corrente. Hai la mia parola!»

Intanto che conversavano, Polen e Liciut avevano imboccato Via della Precisione, la quale era la strada dove si era stabilito che Zipro doveva essere colpito dall’amico. Per fortuna, grazie anche al suo scambio di frasi avuto con il compagno d’armi, Polen si sentiva meno stressato. Egli aveva perfino recuperato parte della sua calma smarrita, per cui adesso, infondendogli essa più sicurezza, si poteva confidare in un suo tiro senza il minimo errore. Anche perché la sua maggiore o minore precisione in tale circostanza diventava una questione di vita o di morte per il suo destinatario. Poco prima, il figlio di Trisippo aveva rivelato al suo accompagnatore che quasi di sicuro in quella via avrebbero incontrato il suo ex compagno che stavano ricercando, essendo essa uno dei luoghi più frequentati da lui. Quindi, egli doveva tenere gli occhi bene aperti, se intendeva avvistarlo e colpirlo senza il minimo indugio.

La strada in questione, a metà del suo percorso, presentava uno slargo dove confluiva sul suo lato sinistro Via della Precisione, formando con esso un incrocio a T. Ebbene, era proprio da tale strada che dovevano apparire Zipro ed alcuni ribelli che lo accompagnavano. Essi vi avrebbero sostato, non appena avessero messo piede nello spiazzo. Inoltre, ad una decina di metri da quest’ultimo, sul suo lato destro, si trovava un vicolo cieco, dal quale poteva scorgersi perfino la confluenza di Via della Precisione in quella piazzetta. Quindi, giunti all’imbocco della stradina chiusa, Polen, con la scusa di sistemarsi la casacca e la faretra con le frecce, ad un tratto si era arrestato, costringendo anche Liciut a fare lo stesso. Nel frattempo che temporeggiava, cercando i motivi più futili per non abbandonare quel posto, il nipote di Stiriana non smetteva di tener d’occhio l’inizio della strada interessata. Da un istante all’altro, infatti, da essa si sarebbe fatto senz'altro vivo l’amico, quello che egli doveva prendere di mira e colpire a morte. Per sua fortuna, la snervante attesa di Polen non era durata molto. Prima di terminare di aggiustarsi le cose addosso, che egli aveva considerato per finta non perfettamente in ordine e sistemate al loro posto, da Via della Precisione era apparso il gruppo dei ribelli che stava aspettando. A quella apparizione improvvisa e tanto attesa, mostrandosi più esagitato del solito, il giovane arciere si era affrettato a gridare al suo commilitone tricerchiato:

«Sbrìgati, Liciut, a darmi la saetta che ti ha consegnato Ernos, poiché Zipro si trova proprio davanti a noi, essendo sbucato in quest’attimo da Via della Speranza! Speriamo che egli vi sosti almeno un poco per darmi il tempo di prenderlo di mira e di colpirlo!»

Allora il Tricerchiato, che lo accompagnava, lo aveva assecondato all'istante. Perciò Polen, un momento dopo, stava già prendendo di mira il compagno per colpirlo con il proprio arco; anzi, poco dopo egli era già pronto a far partire il suo colpo magistrale contro di lui. Così, non appena Zipro era sceso da cavallo e gli aveva esposto il torace, toccandosi la fronte, in un baleno Polen aveva fatto scattare l’arco, facendo partire il suo dardo. Il quale aveva colpito in pieno il bersaglio stabilito, ossia il cuore dell’amico. Quest’ultimo, da parte sua, mentre si rovesciava fintamente sopra un fianco, prima di cadere supino per terra, aveva schiacciato il pomodoro nascosto nel pugno della sua mano destra. Un istante dopo, con il succo di tale ortaggio si era imbrattato la casacca di rosso, facendola in quel modo apparire insanguinata a quanti si trovavano ad assistere all’episodio. Avvenuto l'infallibile tiro del nipote di Stiriana, Liciut e i due Tricerchiati che li sorvegliavano a distanza non avevano avuto dubbi sul suo operato, giudicando che egli aveva fatto un eccellente lavoro. Perciò avevano reputato che la cosa migliore, in quel momento, fosse quella di svignarsela al più presto. Simultaneamente, anche Solcio e gli altri cinque ribelli che facevano parte del gruppo, dopo aver caricato sul proprio cavallo il ferito Zipro, il quale faceva la parte del finto morto, si erano dati a trasportarlo con celerità al palazzo del possidente Sosimo.

Nel prosieguo del racconto, però, daremo la precedenza agli sviluppi della vicenda relativa all'unigenito della defunta fioraia, dal momento che il lettore, prima di ogni altra cosa, vorrà venire a sapere della salute di Zipro, dopo che era stato colpito. Perciò noi, essendo comprensivi verso di lui, eviteremo di scontentarlo in tale suo legittimo desiderio.

Nella casa dell’abbiente Dorindano, li stavano aspettando con trepidazione tutti quelli che vi dimoravano, insieme con il medico di fiducia di Sosimo, che era l'avveduto Steron. Costui si era presentato dal suo cliente con gli antidoti relativi ai tre veleni più comuni. Così, quando essi vi erano pervenuti in grande fretta, Zipro subito era sceso da cavallo; però, nel mettere piede a terra, aveva accusato una leggera fitta sul petto, in corrispondenza del dardo. Essa, a detta del medico, poteva essere una manifestazione sintomatica della perforazione operata dalla punta della saetta sul torace sottostante, probabilmente di lieve entità. Ma siccome si aveva una paura tremenda di una temibile tossicità da parte del pezzo di metallo acuminato, immediatamente si era proceduto a rimuovere dal corpo del giovane l’aggeggio salvavita, che Seliot gli aveva sistemato addosso con grande precisione. Dopo la sua rimozione, i presenti si erano resi conto che la freccia aveva perforato lo strato di stagno, penetrando per qualche millimetro nel costato, fino a dare luogo a qualche goccia di sangue. Allora la lieve trafittura aveva allarmato tutti gli astanti, compreso l'interessato, che era Zipro, temendo che essa avesse fatto da ingresso al potente veleno, facendolo così veicolare nel sangue. In quel caso, la venefica sostanza ben presto avrebbe intossicato l’intero organismo del colpito, procurandogli una morte rapidissima. Invece il medico, dopo avere estratto lo strale dal sughero ed averlo esaminato con attenzione, ne aveva dedotto che esso non era stato intinto in nessuno dei terribili tossici. Perciò non c’era alcun pericolo per il giovane, anche perché ne era rimasto leggermente trafitto. Per persuadere in modo sicuro quanti non gli credevano, egli aveva dovuto tirare fuori la propria lingua e passarci sopra più volte la punta del dardo. Solo a quel punto, ad iniziare da chi stava vivendo il dramma in prima persona, i presenti avevano dato credito all’uomo di medicina e si erano rallegrati della stupenda notizia da lui data. Invece Zipro, dopo essersi tranquillizzato, si era fatto medicare dal chirurgo. Dopo la medicazione, lui e Solcio erano volati al campo di Lucebio, desiderosi di comunicargli i vari eventi che c’erano stati poco prima in Dorinda.


Ritornando adesso a Polen e al suo camerata, essi, dopo essersi allontanati dal luogo dell’agguato, senza indugio avevano preso il largo, lasciandosi alle spalle le mura della città. Adesso i due giovani, cavalcando speditamente, avevano premura di fare ritorno al tempio, siccome desideravano far sapere alle tre persone più autorevoli della setta che la missione era stata conclusa con grande successo. Nel frattempo che avanzavano verso la loro meta, invece il nipote di Stiriana lo stesso non si dava pace e si mostrava terribilmente angosciato. Allora Liciut, con l’intenzione di risollevarlo, prima lo aveva invitato a rallentare la corsa del suo cavallo e poco dopo aveva incominciato a dirgli:

«Polen, comprendo il tuo dolore; ma oramai non ti serve più a niente stare a recriminare su ciò che è successo! Quindi, ti invito a cambiare umore, anche perché le tue lacrime non faranno ritornare in vita lo sventurato assassinato da te, il quale era stato un tuo grande amico. Da parte mia, posso solamente augurarti che la tua freccia non abbia colpito alcun suo organo vitale. In questo modo, Zipro potrà anche cavarsela e sopravvivere, a dispetto di chi voleva che egli morisse ad ogni costo!»

«Non hai pensato, Liciut, che potesse avere la punta avvelenata la freccia che ti era stata consegnata da Ernos prima del tiro? Altrimenti, perché egli ha preteso che io colpissi con essa il mio compagno? Perciò sarà bastato che la saetta abbia prodotto sul suo corpo anche una semplice escoriazione, per provocargli la morte in pochi minuti! Noi, anche se eravamo distanti, abbiamo visto quanto sangue è uscito dalla sua ferita! Perciò il tuo augurio, pur risultando sentito, viene ad essere fuori luogo e non mi reca alcun sollievo, siccome esso non potrà lenire la mia inconsolabile pena!»

«Non me lo sono scordato affatto, Polen; però tu ignori quello che so io. Si tratta di un fatto che ti farà piacere apprendere, anche se relativamente, a causa del tuo tiro magistralmente mortale. Infatti, anche se per altro motivo, ho il timore che il colpo, avendo trafitto il cuore, ci lasci ben poco da sperare dal tragico evento!»

«Certo che è come dici, Liciut! Ma mi fai il favore di mettere pure me al corrente di ciò che tu sai ed io ignoro? Così i nostri ragionamenti smetteranno di intraprendere sentieri differenti. Al contrario, attenendosi essi alla medesima logica, finiranno per uniformarsi nel nostro discorso e verranno compresi meglio da noi due!»

«Ebbene, Polen, non appena mi sono accorto che Ernos mi aveva consegnato una freccia avvelenata, senza farlo accorgere, ho cambiato ad essa la punta, sostituendola con una nuova, la quale non era tossica. Adesso puoi comprendere meglio il mio precedente augurio! Comunque, secondo il mio parere, sempre con scarse speranze! Peccato che la cosa non debba permetterti di rallegrartene!»

«Ti ringrazio, Liciut, per le tue cure premurose a beneficio del mio amico, anche se poi la precisione del mio tiro le ha rese inutili. Mi dici perché ti sei esposto tanto rischiosamente per venire incontro ad una persona, che neppure conoscevi? Hai forse agito in questo modo, solo perché egli era un mio amico? Oppure puoi fornirmi un'altra spiegazione, che non riesco né a pensare né ad immaginare in qualche modo?»

«Devi sapere, Polen, che sono abituato ad essere riconoscente a chi mi reca del bene. Tu mi hai fatto grazia della vita, quando avevi tutto il diritto di ammazzarmi come un lurido cane, visto che eri all'oscuro della verità. Nel perdonarmi, hai sfidato perfino la contrarietà di Ernos, che avrebbe voluto che tu mi uccidessi. Come vedi, è stato il minimo che potessi fare per te, pur disperando che il mio provvedimento sarebbe servito a qualcosa! Devi sapere che è da un po’ di tempo che non tollero di vederti soffrire, sentendomi legato a te come ad un amico sincero!»

Alla notizia di Liciut, pur non dimostrandolo per evitare di tradirsi, dentro di sé il giovane Polen stava facendo una gran festa. Se prima lo assillava l’angoscioso pensiero che la punta venefica della sua freccia avesse potuto trafiggere Zipro anche minimamente ed avvelenarlo, dopo egli si era rasserenato. Perciò il suo animo adesso solcava ben altro mare, ossia dove regnavano il bel tempo e la bonaccia. Anche il suo commilitone si era reso conto del suo mutato stato d’animo, senza però riuscire a giustificarlo in qualche maniera. Secondo lui, un tipo di morte valeva l’altro, se ci fosse oppure no il veneficio. Infatti, entrambi causavano in un organismo vivente la fine dell’esistenza. Liciut, però, aveva evitato di approfondire quell’argomento con Polen, essendo stato del parere che era più giusto lasciarlo indisturbato nella sua serenità recuperata. Invece gliel’avrebbe rovinata senz’altro, se lo avesse indotto a guardare in faccia la realtà. Ma ammesso pure che egli avesse voluto discuterne, mancava il tempo per farlo. Infatti, essi avevano già raggiunto i loro pochi commilitoni, i quali si stavano addestrando nelle armi e nelle arti marziali nei pressi del tempio. A loro due, per la verità, interessava raggiungere le tre autorità della setta, ossia il Prediletto, la sua amante ed Ernos. I quali li stavano aspettando compiaciuti, avendo già appreso il risultato positivo conseguito dal nipote di Stiriana con il suo fenomenale tiro lanciato contro il suo ex amico da molto lontano.