383-IL TRICERCHIATO LICIUT SI AFFEZIONA A POLEN
Dopo essere giunti nel tempio, Ernos aveva invitato i suoi due accompagnatori a predisporsi per ingaggiare uno scontro amichevole. Siccome ognuno di loro si era formato in una scuola che si rifaceva ad una tecnica differente, egli, con quel saggio schermistico da lui voluto, intendeva testare la preparazione di entrambi nell'uso delle armi e nelle arti marziali. Mentre il nipote di Stiriana era intento a mettersi in tenuta da combattimento in un canto della palestra, il maestro d'armi si era avvicinato al suo allievo Liciut, il quale stava portando a termine la stessa operazione in un altro suo angolo. In quel luogo, standogli molto vicino, nonché parlandogli sottovoce e furtivamente, egli lo aveva ammonito, adoperando il seguente linguaggio:
«Nel modo più assoluto, Liciut, non voglio che tu perda, poiché ne vanno di mezzo il mio prestigio e la mia reputazione. Per questo dovrai sconfiggere quel moccioso a qualunque costo, anche se tu dovessi essere costretto ad eliminarlo! Mi sono spiegato oppure devo ripetertelo ancora, affinché tu mi comprenda come desidero?»
«Mi dici, Ernos, perché lo temi tanto? Ad occhio e croce, Polen non avrà neppure venti anni! Pur con l'eccezionale fisico che si ritrova, che direi sia uguale al mio, egli non potrà mai competere con me, né tanto meno battermi! Inoltre, il nipote di Stiriana non è stato neppure preparato dalla tua alta professionalità, per potere essere temibile come mi fai pensare! Perciò stai tranquillo che da lui non potranno esserci per me sorprese di alcun genere!»
«Liciut, se non lo sai, a casa sua egli è stato in grado di eliminare cinque dei nostri Votati alla Morte. Cinque altri ne ha ammazzati il suo amico Zipro. Essi sono in possesso di una diversa tecnica di combattimento da me sconosciuta, la quale, devo ammetterlo, si rivela molto efficace. Per questo guàrdati bene da Polen e non abbassare la guardia! Anzi, farai proprio come ti ho consigliato, se alla fine non vuoi rimanere sconfitto da lui!»
«Ma io, Ernos, non me la sento di combattere in modo sleale contro Polen. La scorrettezza non fa parte del mio comportamento. Anzi, se ci tieni a saperlo, mi stupisce il fatto che un maestro d'armi del tuo calibro se ne faccia promotore e l'additi ai suoi allievi, come sotterfugio per sopraffare l'avversario e per salvare la pelle! Comunque, per come la penso io, non trovo affatto giusta una tale condotta da parte di tutti i veri guerrieri, che ci tengono a non perdere l'onore e la dignità!»
«Invece, Liciut, il mio è un ordine vero e proprio, per cui non ti è permesso discuterlo! Quindi, non osare contraddirmi, se vuoi continuare a restare nelle mie grazie! E tu sai cosa vuol dire non esserlo!»
Poco dopo, i due alteri combattenti si trovavano già l'uno di fronte all'altro, pronti a dare avvio al loro scontro, che Ernos aveva poi fatto iniziare con un fischio. Allora essi, muovendosi guardinghi in cerchio, avevano incominciato a scrutarsi a vicenda. Il primo attacco era stato sferrato da Liciut, il quale aveva cercato di procurare uno sbandamento nella difesa avversaria. Polen, però, aveva accusato il colpo, senza che gliene derivassero problemi di sorta. Ma dopo essersi ripreso dall'incisivo assalto del rivale, egli aveva reagito con altrettanto vigore alla sua aperta provocazione. Da parte sua, infatti, c'era stato un contrattacco violento contro il rivale Liciut. Per cui costui, a causa di esso, come risposta aveva dovuto impegnarsi su ampia scala, essendo stato costretto a difendersi dall'avversario sia con la sua arma che con vari movimenti strategici del proprio agilissimo corpo. A quell'azione offensiva del suo valido antagonista, il secondo di Ernos aveva preso finalmente coscienza che Polen sul serio era l'osso duro, che il suo capo non a torto temeva. La qual cosa lo aveva spinto a non darsi alla faciloneria e a non esagerare in temerarietà. Così agendo, intendeva evitare che le due cose, eccedendo in rischiosità, assumessero un carattere proibitivo per sé oppure finissero per scottarlo senza scampo alcuno.
Col trascorrere dei minuti, lo scontro tra i due contendenti si era andato infiammando sempre di più, siccome li aveva costretti a dimostrarsi sempre più attivi ed intraprendenti, nonché a dedicarsi ad esso con un impegno maggiore. Ciascuno, come si poteva notare, cercava di mettere a frutto ogni suo colpo e di sbilanciare la compatta e solida difesa nemica. Anche se non potevano ancora considerarsi due autentici titani nell'arte del combattere, ugualmente il loro animo guerresco riusciva a furoreggiare nell'acceso duello. Da parte di entrambi, ora esso si andava acuendo in ardimento e in assalti offensivi di una certa pericolosità. In particolar modo, faceva trasparire dalle loro efficaci azioni e reazioni una maledetta voglia di primeggiare sull'altro e di vincere l'incontro. Per il momento, però, non si riusciva ancora a fare previsioni di nessun tipo sull'esito di esso, poiché l'indubbia preparazione di ciascuno non lo consentiva e obbligava a lasciare in sospeso ogni pronostico. Per tale motivo, occorreva seguitare a pazientare, prima di avere qualche previsione affidabile, circa l'esito dello scontro in atto.
Ovviamente, il lettore si starà chiedendo se i suoi amici Solcio e Zipro, a quel punto dello scontro, lo avessero già concluso, battendo sonoramente il loro avversario. Ebbene, la risposta è senza meno affermativa, considerate la loro formazione più consistente e la loro tecnica più a regola d'arte. Esse erano provenute all'uno e all'altro direttamente da quelli che le possedevano e le esprimevano al massimo grado perfettivo. Dopo avere appagato la sua curiosità, adesso possiamo andare avanti a seguire l'amichevole tenzone fra i due combattenti.
Ritornando al combattimento individuale in atto, il quale faceva di tutto per mostrarsi più tenace ed aggressivo, ad un certo punto, Polen, mentre indietreggiava, aveva urtato contro un ciocco che si trovava sul pavimento. Perciò aveva perso l'equilibrio e si era rovesciato per terra, restando perfino disarmato. Infatti, nella caduta, la sua mano destra era stata costretta a lasciare la spada, al fine di sostenersi meglio sulla superficie dell'impiantito ed evitare così di farsi male. Allora Liciut, anche se non era stato merito suo, aveva voluto approfittare della difficoltà dell'avversario, anche se sarebbe stato suo dovere dimostrarsi un autentico guerriero ed attendere che egli si rialzasse e si riappropriasse della sua arma. Invece l'aiutante di Ernos, ignorando ogni regola di cavalleria, gli aveva allungato un colpo di spada dritto al petto, come per infilzarlo a morte. Polen, da parte sua, era riuscito a scansarlo con un rapido rotolamento del corpo, il quale gli aveva pure consentito di recuperare la propria spada, siccome l'arma si trovava a due passi da lui e sullo stesso lato dove si era voltolato. Comunque, eseguendo quel suo movimento difensivo, effettuato assai egregiamente, il giovane aveva riportato una leggera ferita al braccio sinistro, per cui essa si era perfino data a sanguinare. Naturalmente, in questo caso, possiamo anche ammettere che Liciut ci era stato costretto a comportarsi in quel modo ignobile. Infatti, egli lo aveva fatto, solo perché non aveva dimenticato le sgradite parole del suo capo Ernos. Esse, in verità, gli rimbombavano ancora imperative nella testa, quasi come una minaccia.
Dopo che si era rialzato da terra senza difficoltà, il nipote di Stiriana, che in quel momento mostrava l'arto superiore sinistro visibilmente sanguinante, non riprese subito il combattimento con il suo avversario. Invece, essendo stato disgustato dal suo agire, aveva preferito darsi a rampognarlo con asprezza, come apprendiamo qui appresso:
«Liciut, se non avevo capito male, mi risulta che tra noi due l'incontro doveva essere amichevole, avendo deciso così il maestro Ernos. La sua disputa, da parte nostra, avrebbe dovuto permetterci esclusivamente di far mostra della nostra valentia davanti a lui, poiché egli aveva interesse a valutare in questa maniera le nostre differenti tecniche di combattimento. All'inverso, mi hai dimostrato che per te esso è all'ultimo sangue, pur prendendo atto che mi ci sto impegnando non a sufficienza! La tua, quindi, si è dimostrata una vera canagliata, degna del peggiore dei felloni. Stando così le cose, tra poco assaggerai la mia rabbia e la mia furia, quelle che ti faranno strisciare nella polvere e sputare sangue, anche a costo di fare innervosire qualcuno che è presente!»
Con la ripresa dello scontro, si era assistito alle azioni di un Polen imbestialito più di un toro inferocito. Ad un tratto, la sua aggressione si era rivelata un autentico fortunale, quello che è in grado di travolgere ogni cosa davanti a sé e di arrecare alle piante rovinio e distruzione di ogni tipo. Se ne era avveduto anche il suo rivale, il quale adesso a stento riusciva a resistergli e ad opporgli una difesa organica e fattiva. Mentre lo assaliva da tutte le parti con salti incredibili, che non smettevano di procurare disorientamento alla parte avversaria, il figlio di Trisippo gli assestava colpi potenti e demolitori. Essi finivano per creare nella ormai traballante difesa nemica un continuo frastornamento e qualche evidente cedimento, mettendo Liciut in una difficoltà che non si aspettava. Così alla fine, grazie ad un virtuosismo di arti marziali, che si era presentato ineccepibile ed era stato operato contro ogni previsione dell'avversario, Polen era riuscito ad atterrare il Tricerchiato, facendolo trovare lungo disteso per terra. Subito dopo, tenendolo sotto la minaccia della sua spada, la quale adesso gli rasentava pericolosamente la gola, egli si era espresso al suo sopraffatto antagonista con queste trionfanti parole:
«Con la mia vittoria, Liciut, ho dimostrato che il modo di combattere che mi hanno insegnato è superiore a quello appreso da te dal tuo maestro! A questo punto, come reazione al tuo scorretto comportamento usato prima nei miei confronti, potrei scannarti come un bue! Per tua fortuna, non è mia abitudine ammazzare a sangue freddo il mio nemico, anche se Ernos con il suo eloquente silenzio mi ha fatto capire che potrei farlo, senza mettermi in difetto. Ma io non me la sento neppure un poco di ucciderti. Vuoi conoscerne il motivo? Prima di ogni cosa, i miei istruttori mi hanno insegnato che bisogna sempre agire correttamente ed onestamente. Perciò ti faccio grazia della vita, sperando che il mio atto di generosità ti spinga ad emendarti e che, da oggi in avanti, in te il bene prevalga sempre sul male, spingendoti a preferire le azioni giuste a quelle inique! Detto questo, ho finito di insegnarti quanto dovevo!»
Per parlargli in quel modo, Polen non sapeva che il suo avversario non era come gli era apparso in quel combattimento. Anzi, egli era di stampo senza dubbio opposto e la pensava come lui. Essendo stato il suo capo a costringerlo a comportarsi contrariamente ai suoi principi morali, adesso che le cose erano andate all'inverso di come erano state progettate, Liciut in cuor suo si sentiva liberato di un peso terribile, che non riusciva più a sopportare. Di tutt'altro umore, invece, si era presentato Ernos, visto che la vittoria di Polen lo aveva reso livido dalla stizza. Gli accresceva la rabbia la sua considerazione che la donna, la quale era stimata dal Prediletto ed era avversata da lui nel proprio intimo, aveva avuto di nuovo ragione. Egli, però, cercando di nascondere il grande disappunto che covava dentro di sé, aveva gridato al vincitore:
«Da oggi, Polen, sarai tu il mio nuovo aiutante e surrogherai Liciut in tale carica. Inoltre, ti faccio presente che dovrai darti da fare ad eseguire la delicata commissione, che ti è stata affidata dal Prediletto, affinché tu la porti a termine in maniera ineccepibile. Ti raccomando di non deluderlo e di fare un lavoretto ammodo, riguardo al tuo ex amico. Nel compierla, ti avvarrai della cooperazione di chi oggi hai umiliato in questa palestra. Egli, fino a quando non conseguirai l'obiettivo che conosci, ti starà sempre accosto e rappresenterà la tua ombra!»
Dopo essere stati lasciati liberi da Ernos, i due giovani, che pochi attimi prima si erano dovuti affrontare nel combattimento, al quale abbiamo assistito, avevano intrapreso la strada che conduceva alla città. Questa volta, però, Polen non galoppava più con gli occhi bendati. A dire la verità, essi non erano i soli a percorrerla, siccome, ad una certa distanza, li seguivano altri due guerrieri Tricerchiati. Costoro erano stati incaricati dal loro maestro d'armi di sorvegliarli in tutto il loro viaggio di andata a Dorinda e di ritorno da essa. Ad ogni modo, il capo dei Votati alla Morte aveva anche preteso che, quando fosse giunta l'ora, sarebbe stato Liciut a porgere a Polen la freccia da scagliare contro l'ex amico Zipro. Quel particolare era dovuto alla seguente ragione: egli aveva fatto subire alla sua punta un bagno di curaro. Così il potente veleno avrebbe completato l'opera, se il dardo non avesse colpito un organo vitale del giovane ribelle e non si fosse quindi dimostrato mortale. Procedendo poi entrambi nel silenzio più assoluto lungo il tragitto che li conduceva in città, a causa del precedente duello che si era svolto in maniera per niente cavalleresca, Liciut si era rivolto a colui con cui si accompagnava e si era messo a parlargli in questo modo:
«Polen, in primo luogo, voglio mostrarti la mia grande riconoscenza per avermi graziato, anche se Ernos avrebbe voluto che tu mi giustiziassi senza pietà. In secondo luogo, vorrei convincerti che io non sono quello che ti sono apparso durante il nostro combattimento, poiché la penso allo stesso modo tuo. Ti giuro che mai la mia condotta si è macchiata di una infamia simile. Invece devo confessarti che è stato Ernos ad ordinarmelo, benché io mi sia fermamente opposto a lui. Infatti, il mio animo si è rivoltato di fronte ad una carognata del genere. Te lo ha dimostrato anche il fatto che Ernos non ha esitato a disfarsi di un guerriero in gamba come me, avendo temuto che dopo avrei potuto raccontarti ogni cosa, ossia che l'infamia era provenuta da lui e non era stata una mia scelta volontaria. Adesso che te l'ho fatto presente, Polen, anche nel caso che tu non dovessi credermi, lo stesso mi sento la coscienza a posto, liberata da ogni macchia che me la opprimeva!»
«Liciut, invece io ti credo, siccome avevo già compreso appieno la natura perversa di Ernos ed avevo anche previsto ciò, di cui egli sarebbe stato capace. Comunque, egli è un tipo molto pericoloso e dobbiamo stare attenti a non cadere in sua disgrazia, se vogliamo campare a lungo. Non bisogna mai sottovalutarlo in niente ed occorre ubbidire pedissequamente a tutti i suoi ordini, se desideriamo dormire sonni tranquilli! Inoltre, se lo vuoi sapere, le mie parole offensive lanciate contro la tua persona, al contrario esse erano rivolte al tuo maestro, per dargli una lezione di vita integra. Peccato che in Dorinda non ci siano i due imbattibili maestri d'armi dei ribelli, i quali, come mi hanno assicurato, sono i soli in grado di sconfiggerlo senza alcuna difficoltà! Io non li ho mai conosciuti; però gli altri ribelli affermano che sono due autentici eroi.»
«Lo credo anch'io, Polen. Ribellarsi ad Ernos significa andare incontro alla morte, non essendo egli il tipo che perdona. I suoi occhi iniettati di sangue fanno ben presagire in quale guaio uno si metterebbe, se osasse recargli uno sgarbo! Ma davvero credi che i due maestri da te menzionati poco fa siano più forti del nostro Ernos? Comunque, se penso che la tua preparazione combattentistica ti proviene da un allievo di uno di loro, potrei anche essere spinto a crederci sul serio! Rammentalo!»
«Certo che Iveonte e Francide sono molto più bravi di Ernos, mio caro Liciut! Spero proprio che un giorno essi facciano ritorno a Dorinda e ce lo dimostrino, facendo abbassare la cresta al nostro superbo maestro. Egli, facendo mostra della sua supponenza, si considera un guerriero invincibile e il più forte dell'intera Edelcadia!»
Discorrendo poi amichevolmente, senza neppure accorgersene, i due giovani avevano messo piede in Dorinda. Allora Polen aveva espresso al suo accompagnatore il desiderio di recarsi a casa sua, dovendo prendersi cura del suo canarino, il quale era rimasto da molto tempo privo di cibo e di acqua. Parlandogli poi del suo volatile, a cui si era molto affezionato, quasi commosso, egli aveva voluto fargli presente:
«Non sai, Liciut, quanto adoro il mio piccolo pennuto giallo! Se mi morisse, soffrirei moltissimo. Non mi vergogno a palesarti che sarei capace anche di uccidere chi osasse fargli del male! Sai che ho preso l'abitudine di parlargli come ad un amico? A volte sembra che esso mi ascolti e mi comprenda; altre volte ho la netta sensazione che mi ignori completamente. Forse sono io che esagero nel pretendere dalla mia bestiolina quelle cose che si possono ottenere soltanto da persone come noi!»
Continuando poi la conversazione tra i due, ben presto essi si erano ritrovati sulla soglia di casa di Polen. Allora egli, invitato Liciut a sorvegliare l'ingresso della sua abitazione, vi era entrato di corsa, raggiungendo immediatamente il suo cortiletto. Lì si era affrettato a sistemare la frasca sulla palizzata, come convenuto con Lucebio e con i suoi amici. Poi aveva fornito la gabbia del suo canarino del mangime e dell'acqua che gli occorrevano, senza astenersi dal rivolgergli alcune frasi con modi leziosi. Liciut lo aveva sorpreso, mentre egli parlava al suo piccolo volatile, proprio come ad un bambino. Il Tricerchiato non si era affatto meravigliato, poiché il suo camerata lo aveva già messo al corrente dell'affettuoso rapporto che egli aveva allacciato con il suo piccolo pennuto. Invece, manifestando una certa sorpresa, gli aveva soltanto riferito:
«Polen, ho notato che veniamo sorvegliati da due dei Votati alla Morte! Sai dirmi perché mai Ernos ce li ha messi alle calcagna? Da parte mia, non me lo sarei mai aspettato!»
«Perché egli è così diffidente nei confronti di tutti, Liciut, che non si fiderebbe neppure di sua madre! Ecco perché è ricorso alla doppia sorveglianza. Da una parte, ha posto te a sorvegliare me; dall'altra, temendo che tu possa venir meno al tuo dovere nel tenermi a bada, è voluto ricorrere ad altri due Tricerchiati. Essi dovranno accertarsi che tu non sgarri, favorendomi in qualcosa! Il gioco di Ernos è tutto qui!»
«Polen, perché mai tu dovresti essere un sorvegliato speciale, a differenza di me? Questo non lo capisco!»
«Per il momento lasciamo perdere, Liciut! Un giorno forse, se ne avrò voglia e tempo, ti racconterò ogni cosa. Adesso invece conviene allontanarci dalla mia casa, se vogliamo cercare di incontrare il mio bersaglio mobile. Altrimenti, quei due se la prenderanno a male, se non andiamo in giro in cerca della persona che dovrei fare fuori con il mio arco! Inoltre, andranno a spiattellare tutto al nostro maestro.»
Siccome mancava circa un'ora a mezzogiorno, Polen sperava che i suoi amici si accorgessero del segnale e si facessero trovare al posto convenuto. Al più presto possibile, egli doveva metterli al corrente dell'incarico che gli avevano affidato le persone autorevoli della setta dei Tricerchiati. Così, quando il sole aveva reso corte al massimo le ombre delle persone, essendo mezzogiorno, il nipote di Stiriana, con la scusa che intendeva effettuare il cambio di biancheria, aveva voluto passare di nuovo da casa sua. Per sua fortuna, Solcio e Zipro stavano ad aspettarlo dall'altra parte della palizzata. Allora egli, stando in posa come se si stesse rivolgendo al suo canarino, in fretta e furia li aveva ragguagliati di ogni cosa che dovevano sapere, perfino del suo angelo custode che era Liciut. Infine si era rivolto ai suoi compagni, dicendo:
«Adesso che avete appreso come stanno le cose, fatemi sapere al più presto se dovrò tagliare la corda alla mia prima occasione. In caso contrario, in merito a Zipro, fatevi venire in mente qualche ottima idea che possa sottrarmi dall'attuale imbarazzo e permettermi di restare nella setta dei Tricerchiati. Arrisentirci a presto!»
Avuta assicurazione da Solcio e da Zipro che si sarebbero fatti risentire non più tardi del giorno successivo, Polen si era congedato da loro ed aveva raggiunto di nuovo Liciut, il quale lo stava sempre aspettando sulla soglia di casa. Dopo, insieme con lui, aveva ripreso il giro per la città; però, non appena avevano incontrato la prima bettola, essi, essendo digiuni, vi si erano fermati per mettere qualcosa sotto i denti. Messo a tacere il languore dei loro stomachi vuoti, facendoli saziare in quantità sufficiente, Polen e Liciut, dopo aver girato ancora per un'oretta per Dorinda, avevano deciso di ritornarsene presso la loro palestra, che durante il plenilunio diventava il tempio dei sacrifici umani al dio Kursut.
Strada facendo, essi non si erano dati a discorrere per nulla, siccome ognuno di loro aveva preferito tenere occupato la propria mente in quelle cose che più lo avevano interessato. Ma se il nipote di Stiriana aveva rivolto i suoi pensieri ai suoi cari genitori assassinati barbaramente, il Tricerchiato si era soffermato a meditare sul suo compagno di viaggio. Egli iniziava ad essergli molto simpatico e lo giudicava un giovane veramente ammodo. A suo avviso, avere un amico come Polen non gli sarebbe dispiaciuto, siccome lo trovava onesto, sincero e di sani principi morali. Probabilmente, anche i suoi amici ribelli erano come lui, se lo avevano modellato secondo i principi del guerriero impavido, quello che era avverso ad ogni compromesso e ad ogni infamia. Perciò sarebbe stato ben lieto, se un domani lui e Polen fossero diventati amici nel vero senso della parola.