370 -TRISIPPO ASSISTE AD UN RITO SACRIFICALE DEI TRICERCHIATI

Un colpo di gong aveva avvisato i presenti che la cerimonia stava per iniziare. In contemporaneità, un numero esiguo di persone era venuto fuori da uno stanzino, il quale era situato nella parte retrostante l’altare. Esso aveva come porta un pezzo di stoffa bianca con sopra diversi ricami, in grande maggioranza floreali. Il piccolo gruppo era preceduto da un adepto, che indossava una tunica rossa e reggeva una specie di turibolo. Il turiferario, agitando il vaso contenente la speciale gommoresina, ne faceva sprigionare il fumo, che si espandeva tutt'intorno, misto ad un intenso odore di incenso. Avanzando invece alle spalle dell’incensiere, come se avesse la mente immersa in una estasi mistica, seguiva il sacerdote officiante: egli si mostrava riccamente impaludato di porpora. Si trattava di una persona che abbiamo già presentato un paio di volte. Ci si riferisce al calvo Olpun, che gli appartenenti alla setta solevano chiamare Prediletto, il quale è risultato essere pure l’amante della sciagurata Stiriana. Dietro di lui seguiva una coppia di muscolosi settari. Essi, tenendole ferme entrambe le braccia legate, si trascinavano appresso una giovane ragazza. La poveretta, stando tra i due aguzzini, seguitava ad agitarsi e ad opporsi a loro due, impuntandosi con le totali sue forze e facendo di tutto per non stargli dietro. Chiudevano il piccolo corteo altri due seguaci della setta. Essi reggevano un braciere colmo di tizzoni ardenti, in mezzo ai quali si intravedeva conficcata una barra di ferro già arroventata per buona parte. La cui estremità, una volta estratta dal braciere durante il sacrificio, sarebbe risultata acuminata.

Prima di andare avanti nello svolgimento della funzione religiosa, va fatto presente che tutti coloro che vi partecipavano riuscivano a vedere bene l’altare, senza essere ostacolati da niente e da nessuno, neppure da quelli che stavano davanti a loro, anche nel caso che essi fossero stati più alti. Ciò era dovuto al piano del pavimento interno. Esso, se all’inizio aveva la stessa altezza dell’ingresso, dopo, a mano a mano che proseguiva verso l’altare, andava digradando dolcemente. Per la qual cosa, dopo avere raggiunto la base della parete che era di fronte, l'impiantito si ritrovava ad essere un metro e mezzo più in basso, rispetto alla sua parte iniziale. Così permetteva un'ottima visione a tutti i seguaci che presenziavano il sacrificio.

Un secondo colpo di gong aveva dato avvio alla funzione religiosa. Essa, prima di ogni altra cosa, prevedeva il sermone del Prediletto ai fedeli, che seguiva l’apposizione indelebile dell’emblema della setta sulla fronte di quanti venivano iniziati. Si trattava di un disegno distintivo, costituito da tre cerchi concatenati tra loro, ciascuno dei quali era agganciato agli altri due, formando un tricerchio. Ebbene, dopo la propagazione sonora emessa dallo strumento metallico, Olpun si era rivolto agli iniziandi, che sedevano nelle prime due file, e agli adepti, che occupavano le restanti file, proferendo il seguente discorso:

"Miei devoti Tricerchiati, che portate sulla fronte l'emblema della nostra setta, in ogni nostra adunanza plenaria mi vedo costretto a ripetermi con il mio discorso che apre il nostro sacro rito, poiché ogni volta non manca l’iniziazione dei nuovi adepti. A costoro, che questa volta sono cinquanta, va il mio augurio che la loro adesione alla setta procuri a tutti benefici a non finire. Sono sicuro che il dio Kursut, sotto la cui egida si attiva e prospera la nostra gloriosa setta, si adopererà perché ciò avvenga ad ogni costo nei loro confronti. Tra breve essi verranno iniziati con il crisma della nostra divinità e verranno bollati sulla fronte con il contrassegno della nostra setta. Esso, come sapete, è il sacro tricerchio indivisibile, il quale contraddistingue tutti noi. In relazione ai tre cerchi inseparabili, i nostri iniziandi devono essere messi a conoscenza delle seguenti tre verità: quello superiore rappresenta la Terra; quello inferiore di sinistra simboleggia il Sole; quello inferiore di destra raffigura la Luna. Il destino del nostro pianeta, in un certo senso, è legato all’uno e all’altra. Il Sole, inondandolo con la sua luce feconda, gli regala i giorni luminosi; mentre la Luna, influenzandolo e rischiarandolo di notte, lo investe di apporti benefici di vario tipo. Quanto all’emblema della nostra setta, ossia il tricerchio, esso ci dà il diritto di prendere il nome di Tricerchiati.

Il secondo punto da chiarire ai nuovi adepti è quello relativo alla divinità, la quale, come accennato prima, è Kursut. Egli, essendo il dio della deflorazione infuocata, si fonde con lo spirito delle sue vittime, dopo che queste hanno subito la penetrazione da parte del suo membro arroventato. A tale riguardo, è importante che gli iniziandi sappiano che appena due anni fa il dio mi apparve ed iniziò a parlarmi in questo modo:

«Olpun, non spaventarti, a causa della mia invisibilità, poiché sono io a rivolgermi a te, ossia il divino Kursut. Sono venuto a dirti che ti ho scelto quale carismatico fondatore della mia setta, che un giorno farai prosperare in ogni luogo abitato. Perciò quest'oggi ti nomino mio Prediletto ed ognuno dei tuoi fedeli dovrà rivolgersi a te sempre con tale attributo, se non vogliono offendere la mia divinità.»

Siccome ignoravo da dove cominciare, perché la nuova religione venisse fondata da me, per esserne completamente all'oscuro, fui costretto a chiederlo a lui medesimo, dicendo:

«Come faccio a fondare una setta religiosa, o divino Kursut, se sono a digiuno di qualsiasi argomento concernente una religione? Anzi, se lo vuoi sapere, la mia vita spesso ha assunto una condotta blasfema ed ha collezionato i peggiori spergiuri nella sua esistenza! Ecco: adesso sai che ti sei rivolta alla persona sbagliata, potente dio!»

Egli senza badare a ciò che gli avevo fatto presente, mi rispose:

«Olpun, non fartene un problema, poiché da oggi ti redimo e ti rendo degno di diventare il mio diletto sacerdote. Ossia, ricevi da me il crisma della mia potenza, il quale ti farà diventare immortale. Inoltre, esso ti consentirà di sopprimere a distanza chiunque oserà abiurare il kursutesimo, dopo averlo abbracciato. Sappi che non ci vuole mica tanto a mettere in piedi una religione, specialmente dopo che avrai me come dio da pregare e da immolargli delle vittime! All’inizio, ti basterà disporre di un edificio decente, da adibire a tempio a me consacrato, e convincere almeno una decina di persone a seguirti nel tuo progetto religioso. In seguito, saranno loro stessi ad aiutarti, facendo accrescere la rosa dei proseliti e facendola diventare sempre più estesa. Per il resto, ti affiderai al tuo estro, al fine di creare in seno alla setta quelle funzioni e quelle cerimonie che riterrai più appropriate. È tutto qui quanto a cui dovrai interessarti, al fine di servirmi nel migliore dei modi!»

Le parole incoraggianti del dio, le quali mi apparivano semplicistiche ed approssimative, non mi avevano ancora convinto del tutto a fare mio il bel progetto. Mi riferisco a quello che egli era venuto a propormi in un modo da me considerato riduttivo. Per questo, volendo approfondirle nella maniera più adeguata possibile, non esitai a farmi spiegare ancora:

«Oltre ad essere adorato dai tuoi adepti, dio Kursut, mi faresti un grande favore, se tu mi palesassi anche cos’altro pretenderai in seguito dalla mia setta, dopo che essa si sarà costituita. A mio avviso, dalle tue pretese future dipenderà il tipo di esito che vorrai ottenere da questo nostro colloquio, cioè se positivo oppure negativo. Perciò, facendomele conoscere già oggi stesso, stanne certo che avrai contestualmente anche la mia risposta. La quale, ovviamente, potrà essere tanto assenziente quanto dissenziente!»

A conclusione del nostro discorso che si era dimostrato in un certo senso farraginoso, egli fu propenso a soddisfare la mia nuova richiesta. Per questo non esitò a rivelarmi quanto segue:

«Olpun, mio sacerdote prediletto, considerato che sei stato tu a chiedermelo, eccomi ad accontentarti. Essendo io il dio della deflorazione infuocata, in ciascun mese, precisamente nella notte di plenilunio, mi si dovrà immolare una vergine nel modo che sto per specificarti. Dopo averla legata nuda sull’altare, le si dovrà infilare nel canale vaginale, fino a fargli raggiungere l’utero, un ferro arroventato. Esso, in quella circostanza, verrà a rappresentare il mio membro virile. Ebbene, proprio in quell’istante, anche se il suo corpo risulterà già perito, essendo stato straziato dall'immane dolore, possederò lo spirito di lei e lo farò entrare nell’harem delle mie vergini sacrificate. Perché tu lo sappia e lo propaghi fra tutti gli appartenenti alla setta, la nostra sarà una copulazione che durerà fino al novilunio, quando la mia smania ingorda si placherà e permetterà alla mia partner di unirsi alle altre spose umane, ossia quelle che sono state già da me possedute nei sacrifici già avvenuti.»

Ricevute quelle dilucidazioni dal dio Kursut, ritenni la cosa fattibile, per cui non esitai ad accettare la sua proposta. Allora egli volle insignirmi dell’attributo di Prediletto, poiché io, fra tutti i suoi fedeli, sarei stato il suo preferito. Ossia sarei divenuto il prescelto tra i settari e il destinato a stare al vertice della nuova religione, della quale presto avrei gettato le basi nella nostra città di Dorinda, dandomi a fare molti proseliti, come funghi nei boschi. Per questo motivo, ad opera sua, mi ritrovai con la fronte che riportava nel suo centro l’indistruttibile emblema di capo. Esso, come ognuno di voi può rendersi conto, è diverso dal vostro, visto che il mio tricerchio si presenta all’interno di un sole radioso. Ma va chiarito che, se il mio emblema è stato prodotto dal dio Kursut; invece il vostro sarà fattura umana, siccome sarà il nostro Ciron ad eseguirne il tatuaggio sulla vostra fronte. L'esperto artigiano della setta, per eseguirlo, si serve di uno strumento di grande precisione, che egli stesso ha ideato, denominandolo tatuos. L’arnese, in breve tempo e con il minimo dolore per la persona che lo sperimenta, gli permette di incidere il nostro disegno emblematico al centro della fronte dei nuovi adepti.

Dopo questa mia breve prolusione, la quale è stata rivolta principalmente a coloro che stanno per votarsi con la massima dedizione alla nostra religione, adesso passo ad impartirvi le nuove direttive che concernono la nostra posizione politica in Dorinda. In un primo momento, avevo dato disposizione che la nostra setta sarebbe dovuta essere neutrale, ossia senza parteggiare né per il monarca Cotuldo né per i ribelli dorindani. Adesso, però, essendo venuto a conoscenza che il capo di questi ultimi, un tale di nome Lucebio, avversa acerrimamente la nostra setta, noi contraccambieremo il loro malanimo verso di noi, rendendo la loro vita assai difficile. Ma per fare ciò, in seno alla nostra setta, dobbiamo avere un corpo speciale che comprenda almeno cento uomini che sappiano destreggiarsi bene nelle armi e si dichiarino pronti ad immolarsi per la nostra religione. Essi saranno denominati Votati alla Morte e saranno posti al comando del nostro maestro d'armi, il quale è Ernos.

Costui, essendo un guerriero invincibile, non avrà difficoltà a perfezionare la loro preparazione combattentistica. Nella sua opera tesa ad impartire le sue lezioni militari, egli sarà coadiuvato dai nostri fedeli Tricerchiati Mesuop e Licisto. Per questo chiunque vorrà far parte di tale corpo è pregato di dare all’uscita il proprio nominativo a questi due loro correligionari. Essi sono le persone che vi hanno accolto all’ingresso del tempio, quando vi siete entrati. Li troverete all’uscita, poiché sono stati incaricati da me di prendere i nominativi di quanti vorranno dare la loro disponibilità ad arruolarsi nel nostro corpo militare, che sta per nascere.

A questo punto, colgo l’occasione per annunciarvi che la nostra setta ha raggiunto il numero di cinquecento proseliti. Nello stesso tempo, vi faccio solenne promessa che, quando i Tricerchiati saranno diventati un migliaio, festeggeremo l’evento con il sacrificio di una vittima illustre. Vi garantisco che, dopo averla portata via ai ribelli, sacrificheremo su questo altare una vera principessa, cioè la figlia del nostro ex re Cloronte. Ora, però, è tempo di passare all’iniziazione dei cinquanta neofiti, facendo apporre dal nostro esperto Ciron l’emblema della setta sulla loro fronte. Con tale tatuaggio, essi diventeranno per sempre dei Tricerchiati di fatto, per cui inizieranno a pensare e ad agire in funzione del nostro divino Kursut. Alla fine, così, sono sicuro che essi si mostreranno suoi leali devoti in ogni luogo e in ogni circostanza della loro esistenza!"

Al termine del convincente discorso fatto dal Prediletto a quanti erano presenti nel tempio, le cinque decine di iniziandi erano stati invitati a presentarsi davanti all’altare del sacrificio, intorno al quale essi erano stati fatti sistemare in posizione genuflessa. Poco dopo, Ciron, sedendo sopra un trespolo e servendosi del suo strumento di precisione, che era il tatuos, aveva iniziato ad incidere sulla loro fronte il noto tricerchio. L’operazione aveva avuto una durata superiore ad un'ora e mezza, siccome c'erano voluti per ognuna delle incisioni non meno di due minuti. In tale durata, era compreso il tempo occorso per la rapida immersione della parte terminale dello strumento nella viva fiamma del braciere. Dopo avere ricevuto sulla regione frontale l’emblema della setta, avvertendo il minimo dolore, i nuovi affiliati reclutati, tenendo le braccia protese verso la volta, si erano dati a recitare una preghiera. Essa, che era stata imparata a memoria da ciascuno di loro alcuni giorni prima della cerimonia, era stata la seguente:

"O Divino Kursut, siamo orgogliosi di essere tuoi fedeli e, già da questo momento, potrai disporre di noi come vorrai, considerato che la nostra vita, da oggi in poi, ti apparterrà fino alla morte. A tale riguardo, siamo consapevoli che, se dovesse esserci da parte nostra l'apostasia della tua religione, ci esporremmo alla tua maledizione e alla tua punizione. Quest’ultima ci verrebbe inflitta dal tuo Prediletto, anche nel caso che ci trovassimo lontani da lui, essendo egli in grado di punirci pure a distanza. Noi, con le nostre famiglie, adesso ci consideriamo benedetti sotto la tua egida e ci attendiamo da te benefici di ogni sorta. Preservaci, quindi, dalle malattie e dalle sventure, prodigandoti a nostro favore con grazie e benedizioni! Noi, allo scopo di esserti immensamente grati, osanneremo al tuo nome e faremo opera di proselitismo a vantaggio della religione, che da te ci è provenuta. Inoltre, osserveremo i precetti che vorrai dettarci e, nel caso che tu lo vorrai, ci mostreremo anche disposti a sacrificarci a difesa della tua potente ed insuperabile divinità. Gloria a te, magnificentissimo Kursut, che sei il padrone della Terra!"

Una volta recitata la solenne preghiera, la quale era stata pronunciata a fior di labbra anche da tutti gli altri adepti presenti che erano in ascolto, il Prediletto prima unse i cinquanta nuovi proseliti e poi li rimandò ai loro posti. Essi, mentre avanzavano tra la folla dei fedeli, ricevevano le congratulazioni di coloro che incontravano.

Quando l’ordine e il silenzio non erano ancora ritornati ad esserci nel tempio, un terzo colpo di gong aveva avvisato i presenti che stava per avere inizio il rito del sacrificio. Allora tutti quanti, smettendo all’istante di congratularsi con i neofiti, avevano assunto di nuovo il loro atteggiamento composto e silenzioso per due motivi. In primo luogo, essi non volevano disturbare la funzione, che stava per prendere l'avvio. In secondo luogo, invece, intendevano assistere ad essa con la massima attenzione, dal momento che la trovavano molto interessante, nonostante si presentasse contraria ad ogni logica umana. Il rito, infatti, risulterà ai lettori di una efferatezza così vomitevole, da farglielo ritenere il più ignominioso dei misfatti. Comunque, non sarà possibile sottacerlo per evitare lo scoramento del loro animo, il loro disgusto e la loro riprovazione.

In merito a tale ostico episodio, da considerarsi senz’altro condannabile al cento per cento, devo precisare che ho assunto l’impegno con me stesso che, in nessun caso e per nessun motivo, sarei stato evasivo. Come pure giammai avrei omesso certi fatti che, dal punto di vista della decenza oppure della morale, avrebbero potuto scombussolare la psiche dei lettori. Invece lasciatemi dirvelo con molta franchezza e senza alcun falso pudore, sono del parere, come lo sono sempre stato fino a questo momento, che i fatti reali non si possono né nascondere né travisare. Ma vanno ogni volta presentati od espressi come si sono effettivamente svolti nel loro tempo passato, senza preoccuparci che nella loro presentazione potrebbero risultarci belli o brutti, moraleggianti o disdicevoli, memorabili o scandalosi, religiosi o blasfemi. Inoltre, è risaputo che, se si cerca di estrapolare i fatti negativi da un’opera letteraria oppure si bada a manipolarli in modo da non fare gridare allo scandalo, si commette gratuitamente un reato ancora più grave, quello contro la sua purezza e a danno della verità. Entrambe le cose, per le persone normali ed esenti da pregiudizi, devono risultare sempre ed ovunque in primo piano. Anzi, è proprio la conoscenza di situazioni aberranti che ci porta ad escluderle dal nostro civile comportamento, facendoci apprezzare maggiormente e con il massimo orgoglio quelle che sono le opere lodevoli e degne della condotta umana.


Solo dopo esserci stata l’emissione sonora da parte della circolare piastra metallica, era venuta fuori dallo stanzino anche Stiriana, la quale indossava una tunica di colore indaco. Ella si era avvicinata alla ragazza con un trinciante, con il quale si era messa a strapparle di dosso le varie spoglie da lei indossate, fino a denudarla interamente. Ella non si era opposta in un modo qualsiasi all’azione disabbigliante della sua svestitrice, siccome in quel momento si mostrava in preda ad un vero ottenebramento mentale. Probabilmente, poco prima alla poveretta era stato fatto bere un infuso contenente degli oppiacei in quantità assai cospicua, dovendo essi tenerla sedata durante il suo sacrificio. Infatti, la sacrificanda aveva smesso di reagire disperatamente, come aveva fatto durante la sua comparsa nel tempio. Dopo aver portato a termine il denudamento del corpo della vittima sacrificale, la perfida donna aveva ordinato ai due forzuti Tricerchiati, che la tenevano per le braccia, di sollevarla di peso e di poggiarla per lungo sopra il grosso tronco, che fungeva da altare. Tenendola poi distesa sulla liscia e gibbosa superficie, essi l’avevano legata mediante due spezzoni di fune, che facevano da tiranti nella parte sottostante del fusto ligneo. L’uno era annodato ai polsi e l’altro alle caviglie, per cui costringevano i suoi quattro arti a cingerlo il più strettamente possibile. In seguito, stando la sventurata vittima in posizione supina e con le gambe divaricate al massimo, il suo sesso appariva seminascosto dalla nera e folta peluria, che copriva l’intera regione pubica. Perciò la sua vulva, situata com’era a meno di mezzo metro dall’estremità destra del tronco, veniva a trovarsi nella posizione ideale. Ciò, nel caso che qualcuno volesse intervenire su di essa con una qualunque manovra manuale o strumentale che avesse voluta.

Quando infine la vittima era stata aggiustata sull’altare nella posizione che è stata appena descritta, il Prediletto le si era avvicinato e si era posto frontalmente a lei. Stando poi sulla parte terminale del tronco indicata, per esattezza di fronte alla ragazza che ora si trovava coricata in posizione supina, egli, facendolo con tono esclamativo, ad un tratto aveva incominciato a rivolgere alla loro divinità la seguente preghiera: "O divino Kursut, noi ti immoliamo questa vergine, affinché tu la penetri con il tuo turgido membro di fuoco. Se il suo corpo morirà sensitivamente, il suo spirito si unirà a te in un amplesso dal quale le deriverà il massimo piacere. Ma anche a te esso arrecherà un godimento ineffabile, quello che riesce a procurarti i momenti più inebrianti della tua esistenza spirituale. In cambio, ti chiediamo di volgere il tuo occhio benigno sul nostro destino e, se è il caso, di privarlo di ogni male, colmandolo dei migliori benefici e delle più grandi soddisfazioni. Tra poco daremo inizio al sacrificio, poiché non vedi l’ora di unirti alla tua vittima e possederla. Anzi, avverto che già stai fremendo e ti agiti come uno stallone impaziente di montare la sua giumenta in preda all’estro. Buon pro ti faccia!"

Terminata la preghiera del Prediletto, i colpi di gong erano iniziati a susseguirsi senza interruzione e in successione cadenzata. Nello stesso tempo, li accompagnavano gli incitamenti dei fedeli, i quali non smettevano di gridare alla loro divinità: "Possiedila e godi, divino Kursut! Il tuo godimento è anche il nostro! Noi tutti qui presenti ci sentiamo parte di te, mentre la deflori e ne fai l’oggetto del tuo sommo piacere!" Intanto che si andavano frammischiando le acute emissioni sonore e quelle vocali che gridavano, gli addetti al braciere non avevano perso tempo ad avvicinare all’altare il loro recipiente contenente la brace. Essi lo avevano poi deposto in prossimità del piede sinistro della vittima. Simultaneamente, pure Stiriana si era accostata all’altare. Ella, stando ritta accanto alla ragazza dall’altro lato del tronco, aveva avvicinato le sue mani al sesso della ragazza, allo scopo di tenerglielo slargato il più possibile, appunto per agevolare al Prediletto l’inumana perforazione. Difatti, intanto che la sua amante teneva afferrate con i pollici e gli indici le grandi labbra della vulva, per procurare ad essa la massima slargatura possibile, l’uomo si era infilata una muffola di cuoio alla mano destra a protezione della propria cute. Alcuni istanti dopo, calzando tale guanto, aveva estratto dalla brace l’arroventato ed appuntito tondino di ferro, il cui diametro non superava il centimetro e mezzo. Tenendolo poi ben saldo nel pugno della sua mano destra, il capo dei Tricerchiati ne aveva avvicinato l’estremità acuminata all’orifizio vaginale della vittima sacrificale. A quel punto, gridando forte "Deflorala e penetrala, divino Kursut!", lo aveva spinto con forza lungo il canale della vagina, cercando di farlo arrivare fino all’utero della sventurata ragazza.

Quell’atto insano e barbaro aveva rappresentato per la poveretta degli attimi tremendi di esistenza, oltre a costituire la rapida agonia della sua vita, la quale si era vista soffocare e spegnere in un indescrivibile martirio. Il ferro laceratore, affondando nel suo corpo, lungi dal seguire il percorso che gli era stato designato dal Prediletto, a partire dall’esterno, si era dato a bruciare in un solo attimo tutte le parti molli che aveva incontrato lungo il suo cieco percorso. Anzi, esse erano state trasformate dall'arnese di fuoco in ammassi bruciacchiati, dai quali si erano poi sprigionati delle emissioni vaporose ed un puzzo nauseabondo di carne bruciata, martoriando così la vittima sacrificale in modo orribile. La penetrazione del ferreo tondino infuocato, invece, aveva provocato ben altro nel corpo della ragazza, la quale, pur nel suo momentaneo stordimento, l’aveva vissuta in tutta la sua terribile e crudele drammaticità. Ella, a un tratto, aveva avvertito dentro di sé uno schianto atroce ed immane, che aveva interessato le parti basse dell’addome, dove era parso che fosse dilagato il dolore più acuto e lancinante. La disgraziata si era sentita come dilaniare internamente da una sensazione terebrante, la quale era stata da lei avvertita fino al parossismo. In pari tempo, le era uscito dalla gola un urlo prolungato e straziante: esso era durato, fino a quando la vita non si era spenta totalmente in lei. Un esame dolorimetrico in quel momento di sicuro ne avrebbe definito i sintomi e le reazioni fisiche al massimo della loro sensibilità dolorifica.

Avevano accompagnato il suo acuto grido di dolore continue convulsioni ed abbondanti sudorazioni. Tali sintomi esteriori avevano messo in evidenza un corpo completamente allo sfascio sia nel fisico che nella sua psiche. Comunque, era bastato un solo minuto a dare origine nella misera ragazza alla conflagrazione parossistica di una sofferenza, la quale si era rivelata assurda e bestiale nella sua concertazione e nel suo obiettivo. Nel contempo, vi aveva provocato una morte, la quale si era dimostrata inconcepibile nella sua attuazione martirizzante, mettendo in evidenza una barbarie che poteva solo disonorare l'intera razza umana. Perciò non c’era dubbio che si era assistito ad un atto incivile, che era da qualificarsi una vera ignominia e a cui doveva andare soprattutto l’esecrazione di ogni persona dotata di buonsenso e di ragionevolezza. Era quanto, di cui si andava convincendo anche il costernato Trisippo. Nell’assistere ad un episodio così crudele ed esecrando, il poveretto si era sentito scioccare così forte psichicamente e spiritualmente, che quasi stava per svenire. Inoltre, c’era mancato poco che egli non si desse nel tempio ad un vomito incoercibile.

Dopo che la vittima era spirata, erano seguiti nel tempio ancora dieci minuti di frastuoni, quelli che già sappiamo da cosa venivano originati. Al termine dei quali, l’infame Prediletto, tenendo le braccia sollevate, si era rivolto verso la folla dei fedeli per farli tacere. Allora essi subito avevano posto fine ad ogni trambusto da loro originato. Con il ritorno del silenzio, Olpun aveva loro annunciato:

"La vergine vittima è spirata e il nostro dio ha goduto appieno, cioè secondo la sua ingorda lussuria. Anche questa volta la nostra funzione sacrificale può considerarsi conclusa. Perciò, miei cari fedeli, potete cominciare a lasciare questo tempio nel modo che conoscete, ossia con calma e pregando, perché soltanto così eviterete di ostacolarvi a vicenda l’uscita dal tempio. Mentre vi recate fuori, non dimenticatevi di continuare a gridare le parole che inneggiano al nostro divino Kursut."

Allora la folla degli adepti, lungi dall'originarvi il caos, si era data ad abbandonare il tempio con ordine. Essa, mentre avanzava stipata verso l'ingresso, non smetteva di esclamare: "Kursut è un dio grande! Kursut è un dio potente! Kursut è un dio invincibile!" Quanto allo scioccato Trisippo, accompagnandosi con i settari nell’uscire dal tempo, egli non si era astenuto dall’imitarli, siccome voleva evitare di destare sospetti nei Tricerchiati, che procedevano su entrambi i suoi lati verso l’uscita. Ma poi, una volta fuori, aveva seguito tutt’altro percorso per raggiungere il proprio cavallo e per ritornarsene con esso alla propria abitazione. Egli non vedeva l'ora di rincasare e di raggiungere la consorte, poiché intendeva raccontarle i diversi fatti terribili, dei quali era stato testimone oculare durante la trascorsa notte. Era sua convinzione che la moglie Auleda lo stava aspettando con grande ansia, essendo desiderosa al massimo di apprendere da lui lo svolgimento dell'intera cerimonia religiosa della setta, della quale faceva parte anche la cognata Stiriana. Invece l'uomo non avrebbe potuto farlo subito, poiché le porte della città si sarebbero aperte soltanto all’alba.