303-ANSOR NARRA DEL SUO TRAVAGLIATO POPOLO

Fino a cinquant'anni fa, c'erano delle ottime relazioni tra il nostro popolo e quello ectone, poiché lo desideravano fervidamente Kleot, l'autocrate di Ecton, e Fendos, il capo dei Cerdi. Il nostro villaggio si trovava a circa venti miglia dalla fortezza ectone e i due popoli avevano quasi lo stesso numero di abitanti; ma si dedicavano ad attività differenti. Gli Ectonidi prediligevano il commercio e l'artigianato; invece le attività preferite dai Cerdi erano la caccia, l'agricoltura e la pastorizia. Per cui smerciavamo nella fortezza di Ecton ciò che ricavavamo dalle attività da noi esercitate. Invece acquistavamo dagli artigiani ectoni arnesi agricoli e casalinghi. Soprattutto ci fornivamo delle varie suppellettili per la casa e di alcuni prodotti alimentari. Pur non potendosi dire che Kleot e a Fendos fossero degli amici per la pelle, di sicuro essi si stimavano e si rispettavano a vicenda, come pochi. Per questo non erano rare le volte che essi organizzavano tornei e gare di vario tipo, nei quali si cimentavano i guerrieri dell'uno e dell'altro popolo. Allora ogni combattente di entrambe le parti poteva dimostrare la propria perizia nelle diverse armi. Inoltre, aveva l'occasione di far mostra della propria abilità posseduta in altri cimenti agonistici, che non avevano nulla a che vedere con il valore militare, poiché si trattava esclusivamente di giochi.

I tornei e le gare avvenivano ogni semestre, cioè nei giorni degli equinozi. Così, avvalendosi di quella circostanza, i Cerdi e gli Ectonidi approfittavano per trascorrere insieme una giornata differente dalle altre, ossia all'insegna del divertimento e dell'allegria. Sia il torneo che le altre attività ad esso correlate, venivano svolte all'esterno della fortezza, di preciso a due miglia da essa, dove si trovava uno spiazzo di terra battuta. Esso aveva una estensione di tre miglia quadrate. Sopra tale spianata, già alcuni giorni prima, si procedeva all'allestimento delle singole opere, che erano richieste dall'evento tanto atteso dall'uno e dall'altro popolo. Al termine del torneo e delle varie gare aggiuntive, quel posto si trasformava in un luogo dove tutti si davano a banchettare e a danzare fino a notte fonda. Così procuravano ai loro animi momenti di brio e di giubilo. Era proprio in questo modo che i Cerdi e gli Ectonidi, da buoni popoli confinanti, facevano trascorrere gli anni, senza mai conoscere contrasti ed attriti di alcuna sorta. Ciò, almeno fino a quando i loro rispettivi capi restarono in vita. Invece, dopo la loro morte, le cose cambiarono radicalmente tra i due popoli. Ma il primo a lasciare i mortali fu il nostro capo Fendos, a cui successe il figlio Croed, il quale ci comanda tuttora. Anche con la sua dipartita, i rapporti tra i nostri due popoli continuarono a restare immutati, poiché Kleot aveva voluto che le cose continuassero ad andare allo stesso modo di prima. Tre anni dopo, però, con la morte dell'anziano capo ectone, ci fu una inversione di tendenza nelle relazioni diplomatiche che esistevano tra i Cerdi e gli Ectonidi. Essendogli succeduto il figlio Ormus, costui, dalla sera alla mattina, volle fare a pezzi la bella amicizia che c'era stata fino a quel giorno tra il suo popolo e il nostro. Essa, come pure lui sapeva, era stata costruita dal proprio genitore e da Fendos, i quali avevano impiegato tanti anni per riuscirci. Nonostante ciò, egli lo stesso se ne infischiò e stabilì di portare avanti il suo insano progetto, il quale era da definirsi il prodotto di una mente malata. Ma adesso conoscerete anche le ragioni che indussero il nostro popolo a rompere ogni legame di amicizia esistente da anni fra noi e gli Ectonidi.

Ormus deteneva lo scettro del comando presso il suo popolo da circa quattro mesi, quando il nostro capo Croed andò a fargli visita, allo scopo di concertare con lui il nuovo torneo semestrale, cioè quello previsto per l'equinozio d'autunno in arrivo. Così i loro due popoli avrebbero smesso di soffrire la noia, la quale durava già da cinque mesi; al contrario, si sarebbero svagati come tutte le altre volte in cui si erano tenute le gare. Già al suo arrivo alla fortezza, però, il capo ectone gli riservò un'accoglienza da definirsi quasi glaciale. Quando poi Ormus ebbe appreso da lui il motivo che lo aveva spinto ad andare a trovarlo, egli, molto seccatamente e con uno sgarbo indecente, si affrettò a rispondergli:

«Se lo vuoi sapere, Croed, i tornei, tanto decantati da entrambi i nostri genitori, non mi sono mai andati giù; né ti nascondo che ero costretto a sciropparmeli, solo per compiacere il mio genitore, il quale era un patito dei tornei. Adesso non sai quale sollievo provo, al pensiero che egli non c'è più ad organizzarli insieme con te e che posso farne benissimo a meno! Da oggi in poi, dunque, non ce ne saranno mai più tra le nostre popolazioni, siccome ho deciso di porre fine alla loro promozione. Perciò il mio popolo, tutte le volte che vorrà divertirsi, dovrà cercarsi un modo diverso per farlo; altrimenti, esso potrà anche farne a meno. La stessa cosa, come puoi comprendere, dovranno fare anche i tuoi Cerdi!»

Il nostro capo, che non si aspettava dal suo omologo ectone un parlare del genere, né tanto meno lo aveva gradito, per tutta risposta, tolse all'istante il disturbo e lo lasciò insalutato ospite. Raggiunto poi il suo villaggio, Croed mise a conoscenza il suo popolo di quanto gli era stato riferito da Ormus, circa i tornei e le gare da svolgersi durante i due equinozi dell'anno. Perciò, da quello autunnale in avanti, il quale sarebbe dovuto essere il prossimo, essi non ci sarebbero stati mai più. Quando all'autocrate di Ecton, da parte sua, si preoccupò di mettere al corrente i suoi sudditi che mai più ci sarebbero stati tornei e gare insieme con noi. Inoltre, presto i loro rapporti con il nostro popolo si sarebbero incrinati per motivi che essi avrebbero conosciuto molto presto. Com'era da aspettarselo, anche gli Ectonidi non appresero con favore quella notizia. Ad ogni modo, per quieto vivere, non poterono fare altro che adeguarsi ai voleri del loro sovrano, essendo egli colui che in Ecton dettava leggi. Alcuni giorni dopo, Ormus, che già aveva in mente un suo piano per averlo progettato da molto tempo, convocò nel suo palazzo le persone più rappresentative della sua fortezza. Quando esse gli furono al cospetto, per avere aderito al suo invito, né avrebbero potuto fare altrimenti, egli si diede a parlare a tutti loro in questo modo:

«Prima di morire, nobili Ectonidi, mio padre ci ha tenuto a farmi presente che le nostre terre vanno ben oltre gli attuali confini. Esse, a suo dire, abbracciano una fascia di territorio che si estende fino a cinquanta miglia intorno alla nostra fortezza. Quanto ai Cerdi, mi ha anche precisato, vi si stanziarono tanto tempo addietro con il beneplacito dei nostri progenitori. Ma esso sarebbe potuto essere revocato in ogni momento. Dopo avervi messo a conoscenza di questo particolare, adesso vi metto al corrente che intendo procedere a tale revoca. Infatti, sono intenzionato a non concedere più al popolo cerdico tale permesso, a meno che esso non voglia garantire a titolo gratuito alla nostra gente le derrate alimentari che presto gli imporrò. Se non saranno d'accordo, i Cerdi dovranno sgomberare il nostro territorio con le buone oppure con le cattive! Quindi, vi chiedo di rendere il popolo edotto di quanto vi ho riferito nella odierna convocazione. In questa maniera, le mie prossime disposizioni non lo troveranno impreparato e lo renderanno più propenso a farsene una ragione!»

La quasi totalità delle persone presenti accolse con compiacimento le false rivelazioni del loro sovrano e all'istante vollero caldeggiare perfino tutto quanto egli aveva intenzione di fare. Il solo anziano Freun, il quale era stato consigliere di suo padre per lunghi anni, si oppose alle parole di Ormus. Per questo, senza avere peli sulla lingua, decise di fare luce su quanto da lui dichiarato. Così con franchezza gli disse:

«Non trovo affatto saggi i tuoi propositi, Ormus! Tu non puoi trascinarci in una guerra contro i Cerdi, cagionando la morte di tanti nostri giovani senza un valido motivo. Se poi credi che essi si sottoporranno docilmente a quanto ti sei proposto nei loro confronti, vuol dire che non li conosci affatto. Il loro fiero capo Croed non è tipo da farsi intimidire da qualcuno, per cui non sarai tu ad intimorirlo con le tue minacce. Irresponsabilmente, così farai soltanto scoppiare una guerra interminabile e spietata tra noi e i nostri amici Cerdi. A causa della quale, inizieranno a scorrere in entrambi i popoli fiumi di sangue; mentre i morti si conteranno a migliaia, provocando un lutto enorme tra la nostra gente e quella cerdica! Perciò ti ammonisco a non prendere una tale iniziativa.»

«Invece, Freun, il capo dei Cerdi dovrà piegarsi alla mia volontà, se vorrà che il suo popolo sèguiti ad occupare una parte delle nostre terre! Sappi che io non mi arrenderò alla sua opposizione, dal momento che ho i mezzi necessari per indurlo con la forza all'obbedienza! Per tale motivo nessuno mai mi impedirà di prendere una simile decisione!»

«Ma i Cerdi, Ormus, sono sul loro territorio e non sul nostro, come tu hai attestato. Inoltre, essendo convinto che tuo padre Kleot non ne sapeva nulla di quanto ci hai riferito, anche perché non mi ha mai accennato qualcosa del genere, devo dedurre che egli non poteva rivelarti le cose che hai voluto farci credere in questa riunione!»

«Con le tue parole, intendi forse accusarmi di falsità, Freun, additandomi davanti agli altri miei sudditi come un autentico mentitore? Se davvero hai stabilito di farlo, ti avverto che non lo tollererò!»

«Invece lo farò, Ormus, per amore della verità, dal momento che tuo padre giammai sarebbe stato d'accordo con ciò che stai per deliberare di fare! Devi sapere che il tuo genitore era abituato a riferirmi ogni cosa e mi confidava anche ogni suo intimo segreto. Come tutti ebbero a convincersi, Kleot si compiaceva moltissimo della bella amicizia che si era instaurata con gli anni tra il nostro popolo e quello dei Cerdi. Ecco qual è la sacrosanta verità, anche se tu intendi calpestarla!»

«Freun, giuro che mio padre, mentre ero al suo capezzale, pochi attimi prima di morire, mi fece la rivelazione che ho riportata qui! Per cui non sopporto, da parte tua e di altri, alcuna insinuazione tendente a screditarla! Contro chi la fa sono disposto a prendere dei severi provvedimenti, non volendo essere tacciato di menzogna ingiustamente!»

«Ma io lo stesso mi rifiuto di crederti, Ormus! Sono stato il tuo precettore per tantissimi anni e ti conosco meglio di qualunque altra persona. Perciò con rammarico devo ammettere che non sono mai riuscito a guarirti della tua tendenza a dire bugie e a spergiurare. Per favore, figlio del nostro grande Kleot, ripensaci e rinuncia a spingere il tuo popolo in una guerra sanguinosa contro i Cerdi! Ti prego di farlo per il tuo genitore defunto, se non vuoi costringerlo a rivoltarsi nella tomba!»

«Invece, Freun, nessuno deve azzardarsi a darmi del mentitore e dello spergiuro senza ricevere una punizione adeguata. Chi si è permesso di farlo dovrà anche attendersi che essa gli giunga in tempi rapidi!»

Fatta tale affermazione, il capo ectone impugnò la spada e con essa trafisse a morte il suo accanito contestatore. Allora quanti erano presenti non batterono ciglio, a tale efferata e deprecabile esecuzione, che il loro sovrano aveva condotta a termine. Inoltre, poco dopo, mentre uscivano dal palazzo di Ormus, mostrando un ributtante cinismo, essi avevano soltanto in mente di preparare i loro concittadini alla fuorviante realtà politica, quella che il loro nuovo capo si preparava ad attuare in Ecton in tempi assai brevi. Predisposti poi gli animi degli Ectonidi all'avversione verso i Cerdi e ad un'azione di forza da avviare nei loro confronti il più presto possibile, Ormus ritenne maturi i tempi per attuare il suo progetto. Allora non indugiò a far pervenire al nostro capo una delegazione con la seguente ambasciata: "Poiché i miei territori si estendono intorno ad Ecton fino a cinquanta miglia e voi Cerdi ne occupate una parte abusivamente, vi intimo di abbandonarli all'istante, se volete evitare di esserne cacciati con la forza! Comunque, se siete disposti a cedere annualmente agli Ectonidi metà dei vostri raccolti agricoli, insieme a cento cavalli, cento buoi e duecento pecore, potete continuare a restarvi indisturbati. La risposta, con la quale intendete comunicarmi che accettate le mie condizioni, dovrà essermi data entro il termine perentorio di tre giorni. Trascorsi i quali, senza che mi sia pervenuta alcuna notizia in merito da parte vostra, demanderò ai miei armati il compito di fare rispettare la mia volontà al vostro popolo in difetto!" Allora Croed, dopo avere ascoltato ciò che Ormus gli aveva mandato a riferire, per prima cosa fece denudare gli ambasciatori ectoni da alcuni suoi uomini, i quali badarono anche a legarli sui propri cavalli. In seguito, invece, gli esclamò rabbiosamente contro: "Questa è la risposta che mando al vostro folle signore. Ditegli altresì che, se oserà farsi risentire con simili assurde pretese, verrò ad Ecton e riserverò pure a lui il medesimo trattamento! Parola di Croed!"

Non so se il nostro capo ne fosse all'oscuro o lo avesse fatto di proposito; ma prendendo una tale iniziativa, di fatto egli aveva mandato a fare ad Ormus un'autentica dichiarazione di guerra. In verità, per risolvere la questione, non ci fu tra i due popoli un conflitto unico e definitivo, cioè simile ad un fuoco che divampa improvviso e si consuma in brevissimo tempo. Da quel giorno, invece, iniziarono ad esserci tra noi e gli Ectonidi soltanto scontri di entità ora lieve ora più consistente, i quali vedevano vincitori alcune volte i nostri uomini altre volte i nostri nemici. Inoltre, se questi ultimi avevano il vantaggio di essere meglio armati; noi potevamo contare su provetti strateghi. I quali spesso, ricorrendo alle loro geniali trovate, riuscivano a capovolgere le sorti di un combattimento, il quale all'inizio ci era apparso decisamente sfavorevole. Perciò le sorti di esso finivano per trasformarsi a tutto nostro vantaggio, procurando invece ai nostri avversari delle perdite considerevoli. Permanendo poi tale situazione di stallo tra i nostri popoli, seguì un trentennio di attacchi e contrattacchi, di insidie e di imboscate, che davano luogo a piccole scaramucce occasionali. Comunque, con il tempo, esse finirono unicamente per togliere ad entrambi i popoli la pace e la serenità, senza che nessuno dei due riuscisse ad avere la piena supremazia sull'altro. La qual cosa fu solo causa di una nostra esistenza trascorsa nell'assenza nei due popoli di quella tranquillità che prima li faceva essere sereni.


Venti anni fa, però, le cose cominciarono a mutare a nostro favore. I Cerdi, i quali allora erano guidati dal venticinquenne Bison, dando filo da torcere ai bellicosi Ectonidi, non conobbero più la paura e la sconfitta. Al contrario, essi riuscivano ad avere ragione dei nostri nemici, per cui tra di loro iniziò a serpeggiare la sindrome di Bison. Ossia, il solo nome del nostro campione produceva nei soldati ectoni una specie di alterazione psichica, la quale immediatamente li spingeva ad averne una fobia ingestibile e a fare di tutto per evitarlo. Riguardo al nostro eroe, egli era salito alla ribalta nel nostro villaggio, durante uno dei tornei che il nostro capo indiceva ogni trimestre, al fine di non fare poltrire i maschi del villaggio e di mantenerli sempre avvezzi alle armi. Ebbene, lo sconosciuto Bison, sebbene fosse molto giovane, era riuscito a battere senza difficoltà anche i più veterani combattenti in tutte le competizioni, come la scherma, il tiro con l'arco, il lancio del giavellotto e la lotta libera. Oltre ad essere un prode guerriero, egli dimostrava di possedere uno scaltrito uso di ogni sorta di armi. In più, rivelava in sé la sagacia e la strategia, doti che gli consentivano di avere il sopravvento sul nemico. Ciò succedeva, anche quando esso veniva ad occupare una posizione avvantaggiata, mentre la nostra situazione si presentava praticamente precaria e molto disperata. Ecco perché, tra la nostra gente, si iniziò a parlare di lui come di un mitico eroe, che era degno della nostra massima considerazione. Da parte loro, invece, i nostri nemici lo vedevano come il guerriero, in cui coesistevano in sintonia la mordente aggressività del lupo e l'astuzia della volpe. Procedendo le cose in quel modo, per un decennio il nostro eroico Bison seppe tenere in scacco il bellicoso esercito degli Ectonidi, senza dargli in nessuna occasione la possibilità di riscattarsi dal disonore delle armi. In ogni circostanza, egli riuscì ad azzannarlo, a tendergli insidie, a vanificarne gli assalti, perfino quelli repentini. Soprattutto amò prendersi gioco della sua baldanza, umiliandolo nel modo peggiore in più di una occasione.

In seguito, il nostro imbattibile Cerdo aveva appena compiuto il suo settimo lustro, quando il destino venne a disporre della sua vita in modo contrario a come si era svolta fino a quel momento. Esso aveva stabilito che la sua esistenza si ritrovasse in un attimo al suo tramonto, poiché il sole, che rappresentava il suo gagliardo vigore, stava per inabissarsi nelle tenebre avvolgenti della sciagura. Naturalmente, l'imminente sua sventura, allo stesso tempo, sarebbe stata pure quella del nostro popolo. Esso, infatti, a causa della sua morte, non avrebbe più conosciuto il sorriso della vittoria contro il proprio irriducibile nemico. Così, da allora in avanti, gli Ectonidi iniziarono a non concedersi alcuna tregua, pur di vederci piegati alla loro legge ed assoggettati ai loro assurdi voleri. A questo punto, però, trovo giusto che vi riporti gli avversi fatti, i quali furono la causa dell'accoppamento del nostro benamato eroe, da parte di chi, dimostrandosi più forte di lui, gli procurò la morte.

Siccome il nostro villaggio si trovava a sud di Ecton, gli Ectonidi consideravano più sicuro il territorio che si estendeva a nord della loro fortezza. Giustamente essi erano convinti che in quei luoghi era improbabile imbattersi nel temibile nemico cerdico. Perciò non era raro che vi venissero effettuate battute di caccia da parte degli abitanti della fortezza e del contado. La stessa cosa valeva per le passeggiate all'aperto, alle quali si davano sovente le famiglie di casato gentilizio oppure alcuni dei loro membri. Esse, però, per maggiore sicurezza, ugualmente avvenivano sempre sotto la protezione di una congrua scorta di soldati armati fino ai denti.

Un pomeriggio di fine primavera, essendosi spinto in tali terre remote con un centinaio dei suoi uomini, capitò a Bison di intercettare sul suo cammino un nutrito drappello di soldati ectoni. I quali scortavano la figlia di Ormus e la sua compagna. Le due ragazze quel giorno avevano voluto fare una gita all'aria aperta. La figlia del despota di Ecton era la ventenne Elan e poteva essere considerata un'avvenente fanciulla in possesso di tutti gli attributi della bellezza; invece la sua intima amica aveva un anno più di lei e si chiamava Cultra. Ebbene, non appena ebbe avvistato i soldati ectoni, i quali potevano essere una cinquantina, Bison non perse tempo a raggiungerli con i suoi guerrieri, precludendo loro ogni possibilità di fuga. Allora i soldati ectoni, formato un cerchio e tenendoci nel mezzo le due tremanti fanciulle, badarono a difenderle strenuamente. Ma l'irrompente assalto dei fieri Cerdi travolse ogni barricata ed ogni difesa a loro favore. Così, dopo un rapido combattimento, alla fine tutti i soldati nemici furono visti soccombere, dal primo all'ultimo. Quanto alle spaurite ragazze, Bison ordinò ai suoi uomini di trattarle con riguardo e di condurle nel loro villaggio, volendo fare decidere al loro capo Croed la sorte di entrambe. Per una questione di cautela, egli, dopo averle fatte risalire sui rispettivi cavalli, a tutte e due fece legare le mani dietro la schiena dai suoi uomini. Volendo essere obiettivi, ricorrendo a tale esagerata accortezza, l'eroe cerdico non si mostrò per niente galante nei confronti delle due giovani ed inermi fanciulle ectoni.

Una volta che ebbero ripreso il cammino in direzione del loro villaggio, i Cerdi avevano percorso appena cinque miglia, allorquando si accorsero che qualcuno li stava seguendo, il quale però si teneva alla distanza di un miglio. Si trattava di un cavaliere solitario che, cavalcando un cavallo bianco, era completamente avvolto in un mantello nero. La sua sagoma appariva circospetta e confusa a causa della lontananza, per cui parve ai cavalieri cerdici che egli li stesse sorvegliando. Ma Bison, in un primo momento, ritenne opportuno non dargli alcuna importanza; ma si propose che, se lo sconosciuto avesse insistito a tenerli sott'occhio, gli sarebbe andato incontro e lo avrebbe raggiunto. Così, prendendolo di petto, lo avrebbe obbligato a giustificare il suo comportamento.

Poco dopo, invece, egli scomparve e, per qualche tempo, smise di rappresentare motivo di una certa preoccupazione per i nostri Cerdi. Costoro, però, se non dovettero più darsi dei pensieri, che prima gli procurava il misterioso cavaliere, furono obbligati a sorbirsi le lagnanze piagnucolose della figlia di Ormus. Ella, infatti, incominciò a lamentarsi, mettendosi a gridare forte: "Liberatemi e permettetemi di ritornare dalla mia mamma! Vi prego di non farla angosciare e soffrire a lungo, a causa della mia assenza da casa! Bison, credevo che almeno nei confronti delle donne tu mostrassi un po' di generosità e qualche pizzico di gentilezza! Al contrario, la tua zotichezza ti fa misconoscere ogni garbo e qualsiasi cortesia verso il gentil sesso, che invece avresti dovuto rispettare!" Ma sebbene continuassero i suoi pianti compassionevoli, i suoi lamenti accorati e i suoi rimproveri rivolti al campione cerdico, la ragazza non riceveva alcuna risposta da parte di quelli che l'avevano fatta prigioniera insieme con l'amica. Anzi, ignorandola del tutto, Bison e i suoi uomini la trattavano, come se ella non gli si esprimesse in nessun modo.

Quindi, la querula voce di Elan continuava a farsi sentire lungo il tragitto che conduceva dritto al villaggio di Cerd, allorché il bizzarro cavaliere nero, che li seguiva prima, apparve di nuovo. Questa volta, però, egli si trovava davanti a loro, immobile e con il suo alone di mistero. Addirittura pareva che volesse sbarrare il passo all'intero nostro drappello, che gli era di fronte. Ad un certo momento, infine, lo si vide esprimersi in questo modo ai nostri soldati:

«È così che voi, guerrieri da strapazzo, fate sfoggio della vostra baldanza e del vostro coraggio, ossia mettendovi ad inveire contro due donne inoffensive? Allora vi ingiungo di liberarle e di lasciarle andare subito, se non volete che me ne occupi io di persona! In quest'ultimo caso, però, devo farvi presente che ve ne pentirete assai amaramente! Perciò lascio a voi decidere come volete comportarvi!»

Dopo aver pronunciato quelle parole di chiaro sapore minatorio, il cavaliere solitario, assunto un atteggiamento serio, attese l'evolversi degli eventi tra i Cerdi. Il suo fiero volto incuteva terrore, mentre lo sguardo penetrante dei suoi occhi induceva alla soggezione. Continuando poi ad atteggiarsi in quella maniera, egli continuò ad attendere il rilascio delle ragazze da parte dei nostri uomini. Ma essi, siccome non gli arrivava un ordine del genere dal loro stimato eroe, seguitavano a non darsene per intesi, pur mostrandosi alquanto preoccupati. Bison, da parte sua, dopo essere rimasto pure lui interdetto per alcuni attimi, a causa del modo di fare del forestiero che appariva assai misterioso e determinato, di lì a poco gli si rivolse, dicendo:

«Chi sei, cavaliere? Perché ti impicci di cose che non ti riguardano? Non sai che sarai tu a pentirtene, se non ci ripensi in tempo e non sparisci immediatamente da questi paraggi?»

«Secondo te, dovrei forse temere qualcosa di brutto da voi? Lo escludo nella maniera più categorica! Inoltre, sappi che non mi sto immischiando nei fatti altrui; ma mi sto semplicemente occupando di cose che non mi sono affatto estranee! Io perseguo gli ideali di giustizia in ogni sua forma ed espressione, per questo passo ad eliminare le persone che li calpestano. A tale riguardo, devi sapere che la purezza del mio cavallo simboleggia la giustizia; mentre il mio abito nero è l'emblema della morte. Essa è sempre pronta ad uccidere chiunque si permetta iniquamente di maltrattarla in qualche modo!»

«Quindi, ignoto cavaliere, se ho inteso bene il tuo ragionamento, poiché noi stiamo deviando dalla giustizia, è tuo dovere intervenire contro di noi e sopprimerci, se non ripariamo subito al torto che stiamo facendo alle due ragazze. È proprio questo il succo del tuo discorso?»

«Esatto! Lo stato di prigionia delle due fanciulle comprova l'ingiustizia del vostro comportamento, per cui esso va punito come si deve. A meno che voi non vogliate rimediare alla vostra ingiustizia, slegando e liberando le vostre prigioniere. Solo agendo così, voi tutti eviterete la mia punizione e continuerete a vivere in pace! Perciò riferitemi in breve come intendete agire, perché io mi adegui di conseguenza!»

Alle ultime parole pronunciate dal misterioso cavaliere, la cui età doveva aggirarsi intorno ai trent'anni o poco meno, da parte dei guerrieri cerdici ci fu un susseguirsi di sghignazzate, le quali non finivano più, come per deriderlo. Queste ultime cessarono, soltanto quando Bison, rivolgendosi di nuovo al suo interlocutore, si ridiede a dirgli:

«Allora, cavaliere giustiziere, puoi cominciare a punire me per primo, visto che a qualunque costo non intendiamo liberare le due ragazze! Devi sapere che un simile atto di clemenza spetterà esclusivamente al nostro capo Croed, dopo che le avrò consegnate nelle sue mani! Ti sono stato chiaro? Adesso règolati come vuoi, forestiero!»

«Dal momento che non mi lasci altra scelta, ti accontento subito, mio caro presuntuoso! Così, dopo che ci saranno state la tua morte e quella dei tuoi uomini, che vi avrò procurato senza volere, il tuo capo non avrà modo di giudicare le due prigioniere!»

Alla risposta del rivale, in un attimo, Bison brandì la sua spada e si scagliò contro chi gli aveva manifestato l'intenzione di punirlo con la morte. Oltre ad avvicinarsi all'avversario, però, egli non ebbe il tempo di fare nient'altro. Ad un tratto, fu vista la sua testa, la quale era stata tagliata di netto, staccarsi dal suo tronco e cadere a terra, mettendosi a rotolare nella polvere. In verità, nessuno dei presenti era riuscito a rendersi conto di come avesse fatto il misterioso cavaliere a spiccargli il capo dal busto. La decapitazione era avvenuta, in seguito ad un colpo magistrale della sua spada, il quale era apparso impercettibile, a causa della fulmineità della sua esecuzione. Invece, pochi attimi dopo, il tronco acefalo del nostro eccezionale eroe, rimasto oramai senza vita, giaceva riverso in avanti. Pur restando sulla groppa del cavallo che era rimasto fermo, esso mostrava il collo mutilato, dal quale veniva fuori ancora qualche fiotto di sangue vivo.

In un primo momento, il truculento spettacolo offerto dal corpo mutilo di Bison fece illividire per l'orrore gli uomini della sua scorta. Ma poi esso li riempì anche di sdegno e li accese di odio, facendoli scagliare con furia forsennata contro colui che aveva ucciso il loro campione. Per cui ne originò un'aspra lotta, nella quale l'enigmatico forestiero seppe mostrarsi all'altezza della situazione. Prima oppose ai suoi assalitori una difesa inespugnabile ed in seguito passò a farne una grandissima strage. Combattendo, i suoi colpi tremendi guizzavano simili a lampi in ogni direzione, fulminando tutti quegli avversari che venivano a trovarsi sulla loro traiettoria. Egli sembrava la morte diventata persona, mentre andava mietendo tra i nostri uomini decine di vittime, che le sue imparabili stoccate facevano crollare ogni volta tronche di qualche loro parte, però sempre senza vita. Alla fine risultavano vivi ancora una decina di Cerdi, quando lo straordinario cavaliere si decise ad interrompere il massacro in mezzo a loro. Poi ritenne giusto gridare ai superstiti:

«Adesso sono stufo di continuare a fare strage di voi, che non sapete maneggiare un'arma come si deve. Perciò, se non siete anche stupidi, cercate di approfittarne e di svignarvela alla svelta, prima che io ci ripensi e mi proponga di farvi fuori! Allora mi date retta all'istante oppure avete deciso di farvi uccidere pure voi?»

All'invito del generoso avversario, i dieci Cerdi risparmiati abbandonarono di corsa quel luogo di morte e se ne ritornarono al loro villaggio. Dove essi raccontarono al loro capo quanto era capitato ai loro commilitoni e la fine orribile toccata al loro eroico Bison, alla quale avevano assistito allibiti. Alla notizia della morte del loro leggendario eroe, gli abitanti di Cerd piombarono in un'ambascia inesprimibile, poiché egli aveva rappresentato fino a quel momento l'indomito difensore della loro libertà e l'inattaccabile baluardo della loro sovranità territoriale. Perciò, adesso che egli era stato ucciso da un guerriero forestiero, chi li avrebbe difesi validamente dagli armati dell'infame autocrate di Ecton?

A dire il vero, la preoccupazione maggiore del nostro capo Croed era un'altra. Egli temeva che Ormus, somministrando al liberatore della figlia tutt'altra verità e facendo leva sulle doti di seduzione di lei, potesse persuaderlo a combattere, stando dalla loro parte. In base a quanto gli avevano riferito i suoi uomini superstiti, anche se il misterioso cavaliere gli aveva dato modo di farsi giudicare una persona incorruttibile, però restava sempre forte in lui il timore che Ormus alla fine sarebbe riuscito a fare di lui un alfiere dei suoi malvagi progetti. Ma a quale espediente, secondo lui, sarebbe ricorso per riuscirci? Il capo Croed era convinto che egli avrebbe messo in atto la sua grande capacità di falsare la verità, facendola suffragare poi dalla connivenza della figlia, nel caso che in lui fosse sorto qualche dubbio in proposito. Le cose, infatti, andarono esattamente secondo le sue previsioni. Perciò, fin da quel giorno funesto, si prospettavano per il nostro popolo tempi durissimi e dagli sbocchi che si facevano prevedere più che negativi.

Ritornando all'invincibile cavaliere, egli, una volta che i dieci Cerdi se la furono data a gambe levate per raggiungere il loro villaggio, si offrì di riaccompagnare le due ragazze alla fortezza di Ecton. Durante il viaggio, Elan non ebbe difficoltà a sedurre l'impareggiabile guerriero, che aveva salvato lei e l'amica dalla prigionia dei Cerdi. Allo stesso tempo, ella riuscì anche ad aizzare contro di noi il suo salvatore, dipingendoci come dei veri barbari che infestavamo le terre circostanti alla fortezza; inoltre, senza alcun motivo, vi compivamo senza interruzioni razzie di ogni sorta. Il resto lo fece il padre Ormus, quando la figlia e il suo liberatore raggiunsero il suo palazzo. Il viscido serpente si rallegrò tantissimo, non appena fu messo al corrente dell'accaduto. Più di ogni altra cosa, fu l'uccisione del nostro Bison a riempirlo di gioia malvagia. Inoltre, pur di avere dalla sua parte il formidabile cavaliere, ci descrisse come aguzzini della sua gente, come iene assetate di sangue e come chissà cos'altro di terribile, che soltanto la sua mente malata poteva partorire.

Alla fine, il suo prezioso ospite, di sua spontanea volontà, promise ad Ormus che ci avrebbe sterminati tutti ed avrebbe perfino fatto del nostro villaggio terra bruciata. Anzi, lo avrebbe ridotto in un cumulo di cenere, se ciò fosse servito a tranquillizzare la popolazione di Ecton e a rendere serena la sua graziosa Elan, la quale, per qualche ora, era divenuta infelice a causa dei Cerdi.


Da allora, per noi è seguito un decennio traviato e senza pace. Per sopravvivere, abbiamo dovuto evitare ogni volta il confronto diretto con l'invincibile cavaliere giunto da fuori, di cui in seguito venimmo a conoscere pure il nome, il quale era Touk. In verità, non lo abbiamo mai ritenuto un soggetto perfido e degno della nostra disistima. Invece lo abbiamo sempre considerato tutt'altro, specialmente dopo averci dato un esempio della sua nobiltà d'animo e della sua sete di giustizia. Si tratta di un episodio che ci ha convinti della sua magnanimità ed è accaduto alla qui presente Tillia, la quale, come già avete appreso, è la figlia naturale del nostro capo Croed.

Un giorno una ventina di Cerdi si dirigeva verso il bosco che si trovava a cinque miglia dal nostro villaggio, con l'intenzione di cacciarvi la selvaggina sia da penna, cioè quella aviaria, sia da pelo, ossia quella costituita da mammiferi. Si era unita a loro anche Tillia, poiché ella voleva farsi una provvista di frutti di bosco, come fragole, lamponi, mirtilli, more e ribes. Ai margini della selva, però, essi furono assaliti ed annientati da un drappello di cento soldati ectoni. I quali risparmiarono la sola Tillia, ma unicamente per farla loro prigioniera e trattarla come preda di guerra, con diritto di usarle violenza carnale a loro piacimento. Tali soldati rappresentavano un distaccamento del grosso dell'esercito nemico. Esso, in quella circostanza, contava quasi un migliaio di armati ed era comandato dall'invincibile e nobile Touk. Così, già la ragazza stava per essere stuprata da cinque dei suoi catturatori, allorché li fermò una voce dal tono imperioso. Infatti, all'improvviso, essi si sentirono minacciare da essa alle spalle, mentre gli gridava:

«Lasciate all'istante la ragazza, se non volete pentirvene per il resto della vostra esistenza! Sappiate che non tollero da parte dei miei soldati abusi di tal genere!»

Per fortuna di Tillia, l'irreprensibile cavaliere era arrivato giusto in tempo a trarla fuori dai guai. Egli, essendo nemico di ogni azione pretestuosa e perfida, a maggior ragione lo era dell'ignobile stupro. Perciò ne aveva ordinato l'interruzione. Invece, al grido categorico del loro comandante, sebbene esso gli fosse giunto minaccioso, il più duro di loro, non volendo mollare la ragazza, osò ribellarglisi, rispondendogli:

«Come preda di guerra, Touk, ella ci appartiene di diritto. Lo approverebbe anche Ormus! Quindi, possiamo farle ogni cosa che vogliamo, senza che nessuno ce lo possa impedire, compreso il nostro capo supremo! La legge ce lo consente; perciò noi non vogliamo rinunciarci! Né tu potrai vietarcelo in qualche modo!»

«Legge o non legge, invece vi consiglio di non torcerle neppure un capello, se volete evitare di subire la mia punizione, la quale non vi darebbe neppure il tempo di pentirvene! Chi si trova sotto il mio comando deve ubbidire alla mia legge, se non vuole passare dei brutti guai! Neppure il vostro monarca potrebbe farmi agire altrimenti! Allora volete darmi retta di vostra volontà oppure dovrò pensarci io a farvelo comprendere con la forza?»

Vedendo poi che i cinque suoi subalterni seguitavano a non intendere ragione alle sue imposizioni, in quanto consideravano legittimo il loro operato, Touk sguainò la spada e si scagliò contro di loro. Subito dopo, egli li fulminò in men che non si dica, quasi si fosse trattato di miserabili e viscidi vermi, i quali, a parer suo, andavano schiacciati al suolo senza pietà. Giustiziati che ebbe i suoi uomini, Touk si rivolse a Tillia, dicendo:

«Adesso sei libera, ragazza! Puoi ritornartene al tuo villaggio, senza temere alcuna violenza da parte di nessuno dei soldati da me comandati! Chiunque proverà a maltrattarti dovrà poi vedersela con me personalmente! E non credo che gli converrà!»

Allora il suo secondo, intervenendo con una certa moderazione, ingenuamente gli fece presente:

«Touk, hai dimenticato che andiamo a distruggere proprio il suo villaggio? Come puoi invitarla a raggiungerlo, dopo che l'hai liberata? Non vorrai mica fare bruciare pure lei tra le fiamme delle capanne, dopo averla sottratta alla violenza carnale!»

All'osservazione del soldato mossa al suo comandante, Tillia in un attimo si impadronì del pugnale di uno dei soldati uccisi da Touk. Poi, impugnandolo in modo da sfiorare con la sua punta il proprio petto, si diede a minacciarli con determinazione. Emettendo delle forti urla, ella si mise a chiarire loro:

«Se avete deciso di mettere a ferro e a fuoco il mio villaggio, per cui adesso vi affrettate a farlo, non mi resta che suicidarmi!»

Touk, mosso a pietà della ragazza, cercò di rassicurarla come poteva:

«Per favore, dolce fanciulla, non ammazzarti con il tuo insano gesto! Devi sapere che il mio soldato non diceva sul serio poco fa, quando si è riferito al tuo villaggio; invece stava semplicemente scherzando, allo scopo di impaurirti! Questa è la pura verità!»

«Io rinuncerò ad uccidermi, Touk, soltanto dopo che mi avrai giurato che non verrai a distruggere il mio villaggio, quando lo avrò raggiunto. Invece un tuo diniego immancabilmente decreterà la mia fine! Adesso ti sono stata abbastanza chiara?»

«Ti accontento subito, fanciulla. Ebbene, te lo giuro! A tale riguardo, devi convincerti che per me il giuramento è qualcosa di sacro! Per favore, continua a godere del bene prezioso che è la vita, senza più temere almeno per oggi la distruzione del tuo villaggio da parte degli Ectonidi! Adesso sei contenta, dopo avertelo giurato?»

Allora, pur di non infrangere il suo giuramento, quel giorno il generoso Touk dovette rinunciare alla distruzione del nostro villaggio. Così poco dopo fu costretto a dare l'immediata disposizione al suo esercito di fare rientro nella loro Ecton. Agendo in quel modo, egli venne meno agli impegni che in mattinata aveva assunto con il padre della sua amata Elan. Quella sua decisione, però, non si sarebbe rivelata un atto da far valere all'infinito, poiché Ormus e sua figlia fecero in modo che essa risultasse solamente un rinvio a nuova data da destinarsi.

A distanza di un settennio, essi riuscirono a capacitarlo che la distruzione di Cerd si presentava come un provvedimento imprescindibile e non più procrastinabile. A quel punto, il nostro villaggio non poté evitare la distruzione per mano dei soldati ectoni, i quali furono ben lieti di saccheggiarlo e di incendiarlo. Per questo, da quando ciò si compì, siamo stati sempre costretti a vivere nella Selva Intricata, dove gli Ectonidi non hanno mai avuto l'ardire di venire a scovarci e di passarci per le armi, come era nella loro intenzione. Essi temono le pericolose insidie che vi abbiamo preparate dappertutto.

Qui ha termine il mio racconto, magnanimi forestieri, e non saprei cos'altro dirvi in riferimento alla storia del mio braccato popolo. Inoltre, non posso mettermi a parlarvi di Touk, poiché le sue origini e la sua vita affondano nel mistero più assoluto.

Apprese da Ansor le traversie dei Cerdi, le quali si erano avute a causa della follia di Ormus, specialmente dopo che l'invincibile cavaliere apparso dal nulla si era messo al suo servizio, non ci conviene affatto ricollegarci subito al presente dell'attuale vicenda, la quale sta per coinvolgere il nostro eroe. Invece sarà più utile per noi approfondire innanzitutto il nuovo personaggio apparso sulla scena della nostra epopea, del quale nessuno sapeva dire alcunché di certo, a parte Tillia. Ella aveva appreso la sua vita direttamente da lui, dopo esserci stato un altro loro fortuito incontro, quando entrambi si trovavano da soli. Perciò, grazie a lei, che la illustrerà ai suoi conterranei e ai forestieri, avremo modo di scandagliarne la vita dalle sue origini fino ai giorni che lo hanno visto implicato negli scontri tra i Cerdi e gli Ectonidi. Ci dispiacerà soltanto prendere atto che alla fine egli, come già abbiamo visto, si metterà a parteggiare erroneamente per questi ultimi, pur rappresentando essi in quel momento i cattivi di turno.