64-L’attività della materia e i relativismi di positività

Per attività della materia, non si intendeva un atto cosciente da essa voluto, programmato e guidato, come poteva apparire ad una sua prima sommaria valutazione. Essa non era da ritenersi tale, anche quando veniva considerata in relazione a certi suoi aspetti, che si dimostravano promotori efficienti della vita sopra un corpo celeste spento, oppure risultasse particolarmente disponibile nei confronti dell'essenza vitale. La materia, quindi, non poteva avere né una coscienza né una volontà, per cui non erano concepibili in essa alcuna facoltà di intendimento e alcuna forma di volere. Se le cose stavano così, nell'elemento materiale allora non poteva che esserci l’assoluta ignoranza di sé stesso e anche di tutto quanto veniva a coinvolgerlo. Invece l'esistenza della materia assumeva un significato, soltanto perché era in attesa di essere manovrata e plasmata da chi aveva il potere di farlo. Naturalmente, attenendosi a forme e a modi ora intenzionali della psiche universale ora casuali di taluni esiti, che conseguivano dallo scatenamento di forze in contrasto tra di loro!

Anche l'energia primigenia in essa contenuta si dimostrava una forza inconscia e priva totalmente di una qualunque forma di intelligenza. I suoi impulsi, quando riuscivano ad esprimersi in qualche maniera, non seguivano alcun tipo di programmazione preesistente; ma obbedivano ad una particolare forma di cieco istinto, che poteva essere rinvenuto esclusivamente nella materia. Di regola, però, tali impulsi venivano repressi da quelle leggi che sovrastavano la materia e ne controllavano i moti e gli eventuali capricci. Questi erano intesi quasi sempre a livello astrale, siccome interessavano la globalità dell’astro oppure vaste sue aree. Per questo l’attività della materia in generale non poteva più essere definita una propria sentita preoccupazione per qualcosa che si identificava con l’ordine e con il coordinamento dei vari dinamismi che venivano ad investirla. Al contrario, essa andava intesa essenzialmente come il risultato di una fortuita combinazione di forze e di situazioni estranee alla suddetta materia. Perciò andava vista come una volontà trascendente, che la costringeva a reazioni passive miranti a fini predeterminati.

Il problema vitale era quello che procurava all’attività della materia in generale, in questo caso sempre guidata, le maggiori difficoltà e i problemi dalle soluzioni più assurde. Comunque, non bisognava meravigliarsene, siccome la vita si presentava veramente qualcosa di molto complesso che non ammetteva errori di sorta sia nella sua parte costitutiva ed evolutiva sia nell’ambiente naturale, dove essa veniva sollecitata a crescere e ad evolversi. Era appunto il fattore ambientale che riguardava in particolar modo l’attività della materia in generale, siccome esso era stato prescelto ad ospitare la vita nei suoi vari stadi e nelle sue molteplici manifestazioni. Mentre, per ciò che riguardava il fattore costitutivo e quello evolutivo della stessa vita, essi si riferivano più direttamente ad una specifica materia in particolare, denominata materia organica. Ma mi sarei occupato di essa più avanti, di preciso dopo esserci stato da parte mia lo studio dell’altra specie di materia in particolare meno importante, detta materia inorganica. Mi rendevo conto che la vita nella materia non si presentava affatto semplice. Anzi, specialmente in quella particolare, essa si dimostrava così complessa ed esigente, da richiedere per sé una materia speciale che risultasse ab origine con una propria natura composita ed altamente organizzata. Vale a dire, una materia che fosse in grado di organizzarsi e di riprodursi autonomamente, subito dopo che le fossero state fornite le energie e le direttive a tale scopo e le fosse stato pure somministrato l’aire della vita. Riguardo al fattore ambientale, anch’esso era chiamato ufficialmente in causa, visto che doveva adoperarsi per assicurare alla vita le migliori condizioni possibili, cioè quelle che agevolavano ogni crescita ed ogni relativa evoluzione, dovendo farla evolvere ed esprimere in una vastissima varietà di modi. Anzi, era proprio quel particolare e multiforme aspetto della sua esistenza, la quale comprendeva forme dalle più elementari a quelle più complesse, che coartava la materia in generale a non predisporsi secondo un modello unitario, cioè garante di una sola specie vivente.

Così il meraviglioso fenomeno della vita pretendeva dalla materia in generale l’attuazione in sé di tutta una pluralità di modelli. I quali, in ottemperanza a talune leggi particolari, dovevano favorire la molteplicità evolutiva ed espressiva che era propria dell’essenza vitale. Ma, a causa della natura della materia, che si presentava instabile e alcune volte anche ribelle, non sempre corrispondevano altrettante risposte esaurienti e conseguenti alle varie leggi generali che concernevano la vita. Per cui un determinato habitat poteva risultare idoneo a garantire la crescita e la sopravvivenza non a tutti gli organismi viventi, bensì solo ad una parte di loro. La qual cosa mi faceva prendere atto che non sempre ad una legge di ordine generale corrispondeva per obbligo una positività assoluta nelle risposte offerte dalla materia, in particolar modo nel campo della vita. Nella questione vitale, poi, non era raro che la complessità si presentasse talmente insuperabile, da indurre la materia a ripiegare su risposte con positività relativa, dando così luogo a dei relativismi di positività. Era in quel modo che si sopperiva alla mancanza di assolutezza nelle varie risposte che la materia veniva stimolata a fornire nelle diverse circostanze della sua esistenza. I relativismi di positività, quindi, costituivano la dimostrazione che la materia era impossibilitata a disporre di risposte, le quali risultassero positive in senso assoluto per tutti i problemi che le venivano proposti dall'essenza vitale.

Ogni embrione, sia animale che vegetale, era dotato di un proprio modo di nascere e di svilupparsi. Esso poteva anche avere delle caratteristiche comuni a quello di altri embrioni, ma non tutte e non necessariamente alcune. C’erano degli embrioni che non avevano in comune tra di loro neppure una sola caratteristica, per cui essi si presentavano con dei propri modus vivendi totalmente differenti l’uno dall’altro e in nessuna maniera ravvicinabili oppure confrontabili. Perciò l’embriogenesi finiva col tipizzare gli svariati prodotti della vita, ai quali la materia in generale doveva cercare di uniformarsi, ovviamente nelle sue possibilità. Tale materia, da parte sua, doveva provvedere a sistemarli in ambienti naturali idonei, scelti mediante criteri diversificati e possibilmente individualizzati. In certi casi, infatti, si era di fronte a delle specie viventi con caratteristiche diametralmente opposte, per cui essa non riusciva a farle convivere, neppure ricorrendo ad una pluralità di validi criteri. Allora si vedeva costretta a collocarle in ambienti assai dissimili, pena l’estinzione di una delle specie. L’esistenza dei relativismi di positività per la vita scaturiva dalle due seguenti ragioni: 1) l'impotenza della materia ad attuare un ambiente naturale unico per tutte le specie viventi, poiché esse comportavano davvero una infinità di problemi non sempre conciliabili gli uni con gli altri; 2) la sua conseguente impotenza a disporre di una unica risposta positiva per tutte le forme di richiesta che provenivano dalle stesse. Simili relativismi, quindi, non volevano significare né principi né alcuna sorta di schematismi; anzi, stavano a rappresentare una constatazione di fatti. Questi, a loro volta, esprimevano una più o meno positività, che un ambiente naturale metteva a disposizione di una determinata forma di vita. In certe circostanze, la positività dell'ambiente poteva risultare anche nulla.

I relativismi di positività, quindi, si differenziavano nella loro disponibilità ad accettare la vita, per il fatto che essa non era uguale per tutti; ma si presentava con una certa gradazione, la quale variava da un grado minimo o nullo ad un grado massimo. Il solo grado nullo di tale disponibilità poteva assumere un atteggiamento relativo ed un altro assoluto. Così, se il relativismo di positività di un ambiente era di grado nullo relativo, esso si dimostrava completamente indisponibile per una particolare specie vivente o per alcune di esse. Se invece il suo relativismo di positività era di grado nullo assoluto, l'ambiente estendeva la sua indisponibilità a tutte le specie viventi. Nel primo caso, c’erano da far presenti l’indisponibilità del mare verso ogni forma vivente terrestre non anfibia e, viceversa, quella della terra verso ogni forma vivente marina non anfibia. Nel secondo caso, c’erano da fare presenti l’indisponibilità degli astri non compatibili con la vita e quella degli spazi sia intergalattici che interstellari verso ogni forma vivente, dalla più complessa a quella più semplice.

Alla fine i relativismi di positività esistenti in seno all’ambiente naturale mi indussero a pormi la seguente domanda: Perché mai la psiche universale, pur non risultando ad essa impossibile, non aveva voluto che ci fosse un ambiente della natura unico ed ugualmente positivo per tutte le specie animali e vegetali? Oppure, qualora la parziale o totale negatività della risposta dell’ambiente naturale fosse da imputarsi ad un differente modo di attuarsi dell’embriogenesi nelle varie specie viventi, perché mai essa aveva permesso che si autogenerassero organismi viventi che reagivano così diversamente l'uno dall'altro ad uno stesso stimolo ambientale? In verità, non ero propenso a scommettere per la seconda ipotesi, in quanto essa mi appariva decisamente la meno probabile. A ogni modo, prima di procedere nella ricerca dell’esatta risposta, dovevo sapere innanzitutto qual era il quesito a cui ero maggiormente interessato a rispondere. Per ora nessuno dei due mi si proponeva nella mente con chiarezza e con il diritto di credito dalla sua parte. Anche perché continuavano a mancarmi quegli utili elementi idonei ad indirizzarmi con certezza verso l’uno o l’altro senso. Infatti, non mi si era ancora delineato lucidamente chi dovevo ritenere colpevole della varia negatività che si era instaurata nel rapporto esistente tra ambiente e specie vivente, che non sempre si presentava perfetto. Per il momento, sia il primo che la seconda potevano essere considerati i veri responsabili della mancanza di positività nel loro rapporto.

Fino allora, avevo avuto l'impressione che fosse la complessità dell’essenza vitale a creare, tra sé e l’ambiente fisico di un astro spento, quei disaccordi che in determinate situazioni apparivano fin troppo evidenti. Ma ero poi sicuro che quella mia impressione avesse un fondamento? Riflettendoci meglio, anche l’ambiente, con i suoi svariati habitat, poteva essere la causa di quei contrasti, influendo in modo determinante sull’evoluzione delle specie animali e vegetali. Con il suo intervento, esso promuoveva in tali specie quelle caratteristiche peculiari che le contraddistinguevano, suddividendole in tipi o divisioni, classi, ordini, famiglie e generi, oltre che in intersezioni fra di loro. In seguito l’accurato studio, che ne seguì più approfonditamente, mi diede modo di venire a capo della situazione inerente al rapporto ambiente-materia, il quale si presentava molto difficile. Infatti, sovente l’uno e l’altra finivano per rendere la loro interazione difettosa o non interamente gratificante per i vari organismi viventi. Ciò avveniva, in special modo, quando questi venivano costretti a trascorrere la loro esistenza al di fuori del loro habitat naturale!

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