61-L'instaurarsi dei fenomeni vulcanici e sismici in una massa astrale

Siccome il vapore energetico si sprigionava dalle centonovantadue valvole di sicurezza del motorium, in un primo momento esso si era dato da fare su altrettanti fronti. Su ciascuno di loro, però, ogni sua parte si era armeggiata in modo autonomo, cioè senza tener conto dell'attività delle altre parti. Per questo il vapore energetico, che veniva emesso da ogni valvola, aveva iniziato la sua azione nel mantello dell'astro, attenendosi esclusivamente ai suoi bizzarri capricci. I quali si erano messi ad operare, venendo spinti solo dall'ansia di farlo pervenire alla superficie dell'astro con ogni mezzo e ad ogni costo. Così la prima operazione dei vapori energetici era stata la fusione delle formazioni litosferiche ad essi circostanti. Le aveva trasformate in magma, il quale, essendo una sorta di massa liquescente ad altissima temperatura, era capace di sgretolare anche la roccia più resistente.

Di regola la sostanza magmatica cercava di farsi strada attraverso quegli aggregati rocciosi che presentavano una maggiore friabilità. Per cui essa, quando gli era stato consentito, aveva diretto la sua attività all'interno di tali rocce. La sua spiccata preferenza, comunque, prima di averla per le rocce friabili, era andata alle fratture preesistenti fra due zolle contigue complanari o sovrapposte. Per cui quelle crepe del mantello, se all'inizio si erano presentate con pochi centimetri di larghezza, in seguito, con il continuo sfaldamento non uniforme delle loro pareti, si erano andate trasformando in forre tetre e spaventose. Quanto ai loro strati rocciosi laterali che si erano presentati con un enorme spessore, essi non erano risultati dei piani ben levigati. Al contrario, si erano mostrati butterati da profonde incavature, le quali a volte formavano dei veri budelli, che finivano per incunearsi nella roccia viva. Ma non tutti i magmi, che venivano prodotti ed alimentati di continuo dai vapori energetici, erano stati o erano così fortunati, da trovare davanti a loro una sequenza di fratture consecutive che fossero in grado di condurli direttamente alla superficie. In questo caso, esse, presentandosi ora orizzontali ora trasversali ora verticali rispetto alla superficie dell'astro, un tempo, come continuava ad avvenire tuttora, li avevano avviati in modo agevole all'esterno della massa astrale. Così avevano consentito loro di dare luogo ad un intenso e febbrile vulcanismo. Fin dall'inizio, però, doveva essere ben chiaro che, sopra un'area della superficie astrale, la nascita di un vulcano era da ritenersi limitata nel tempo. Infatti, in esso l'attività, lieve, modesta o parossistica che fosse, non andava avanti per sempre; ma durava fino a quando le circostanze le erano favorevoli. Inoltre, il lento e continuo accavallamento delle zolle, che si svolgeva nell'interno del mantello e della crosta senza mai smettere, si dava a cambiare l'intera ragnatela delle faglie. Agendo in quel modo, esso finiva per spegnere i vulcani esistenti in certe zone e attivarne altri in aree geografiche differenti.

Talune volte l'attività di un vulcano poteva subire un arresto temporaneo, in seguito al distacco dalla parete del suo camino di un blocco roccioso, che veniva ad ostruire il condotto e a bloccare l'avanzata lavica. Per la quale ragione, per un certo lasso di tempo, la lava era impedita ad affiorare dalla bocca del cratere. In quel caso, il vulcano restava quiescente, almeno fino a quando il magma non si liberava di quella specie di tappo, fondendolo, oppure non riusciva ad aggirarlo, seguendo un nuovo percorso. Ma poteva anche verificarsi che quel blocco ostruente, a causa di una irrefrenabile pressione che si era instaurata all'interno del condotto lavico sottostante, venisse prima frantumato dalla massa magmatica pressante e poi spinto all'esterno dalla stessa sotto forma di cenere e di lapilli. In certe occasioni, l'espulsione del blocco dal cratere avveniva persino con una violenza talmente inaudita, da essere sollevato fino a parecchi chilometri di altezza. Nella fattispecie, però, come sintomo concomitante, veniva osservata anche una intensa attività sismica, che provocava nelle regioni viciniori scosse telluriche assai distruttive e grandi catastrofi. Nella sua normale attività, comunque, ogni vulcano si limitava solamente a far mostra di sé, esibendosi in eruzioni fantasmagoriche, durante le quali venivano eiettati dalla sua bocca principale lapilli, ceneri, acque, vapori e gas di varia natura. Mentre, dalle sue bocche avventizie, venivano scaricate masse magmatiche che si riversavano lungo le pendici, dove finivano per solidificarsi e trasformarsi in rocce effusive. Senza meno, una tranquilla eruzione vulcanica, ossia quella che non dava luogo a fenomeni sismici, si mostrava qualcosa di suggestivo a vedersi. Essa si presentava ricca di ogni genere di spettacolarità affascinanti e offriva, specialmente nelle ore notturne, uno scenario stupendo ed inimitabile.

Chiunque poteva scorgere la sua lava incandescente rigurgitare a scoppi dal cratere del vulcano oppure riversarsi ribollente e pastosa dalle sue bocche avventizie. Inoltre, si assisteva alle miriadi di faville e di gas fosforescenti che venivano vomitati dallo stesso, tra cromatismi eccezionali ed impressionanti. Di conseguenza, sia l'uno che l'altro fenomeno, suscitavano nell'osservatore un estasiante stupore. Ma l'eruzione non era l'unica espressione dell'attività vulcanica, visto che ve ne erano altre meno appariscenti e meno importanti, come le mofete, le solfatare, i geyser ed altre. Tali fenomeni legati al vulcanismo stavano ad indicare la fase quiescente di un vulcano ancora attivo, la quale poteva ritenersi preparatoria di una nuova violenta attività eiettiva del vulcano, oppure anticipatrice del suo definitivo spegnimento. Non tutti i corsi magmatici, però, riuscivano ad incanalarsi in faglie favorevoli con contiguità saliente, capaci di metterli senza difficoltà in comunicazione con la superficie dell'astro per diventarvi vulcani. Un fatto del genere dipendeva dalla posizione delle varie faglie del mantello e, non necessariamente, della crosta. Esse, per favorire il fenomeno vulcanico, dovevano risultare sovrapposte oppure intersecarsi in modo tale, da avere dei tratti disposti tutti su una medesima linea ortogonale oppure nelle sue vicinanze. Ovviamente, anche la posizione del braccio del motorium, il quale dava origine a tali corsi lavici, non doveva trovarsi abbastanza distante dalla suddetta linea.


I magmi che non riuscivano a raggiungere l'esterno dell'astro, erano costretti a seguire percorsi alternativi e a cimentarsi in attività endogene di tutt'altro genere. Queste, nei confronti dell'astro, a volte risultavano più dannose di quelle vulcaniche. Si trattava di attività sismogenetiche, che finivano col dare origine ai terremoti, pur manifestandosi con segni esteriori differenti. Cioè, a seconda del luogo in cui si trovavano le due zolle e i magmi che venivano a frapporsi fra di loro. Quando un fiume magmatico si ritrovava bloccato fra due zolle del mantello, specialmente se il posto di blocco corrispondeva al loro punto centrale, allora esso iniziava a ricavarne il suo bacino. Perciò si dava a corrodere e a fondere la roccia di entrambi gli strati che lo comprimevano e gli vietavano ogni ulteriore avanzata.

Col passare dei millenni, mentre il bacino magmatico andava accrescendo la sua massa volumetrica, sopra di esso si andava costituendo uno spazio somigliante ad una caverna dalle dimensioni spropositate. Il suo aumento di espansione era dovuto a due cause principali, ambedue imputabili all'altissima temperatura. Il cui grado, raggiungendo valori impossibili ed impressionanti, da una parte, riusciva a sfaldare e a fondere la volta rocciosa; dall'altra, invece, portava ad un incremento di pressione tale, da obbligare le elastiche placche sovrastanti ad incurvarsi in direzione della superficie. Allora ne derivavano delle cavità e dei piani sinclinali che si riflettevano perfino nella crosta dell'astro. Nella parte crostale, perciò, a causa della eterogeneità degli aggregati rocciosi, si assisteva ad una fagliazione della litosfera. Essa, nello strato litosferico, metteva in evidenza un innalzamento in un posto e un abbassamento in un altro, dando origine a vaste catene montuose intercalate ad avvallamenti profondi. Tale fenomeno orogenetico non era immune da scosse sismiche di assestamento, le quali coinvolgevano soltanto zone molto ristrette della superficie astrale.

A volte succedeva che, grazie alla subduzione, il fiume di magma rimasto intrappolato per lungo tempo riusciva ad avere il suo varco per uscire all'esterno dell'astro. In quel caso, anche l'immenso bacino magmatico, che nel frattempo si era formato sotto la cavità sinclinale, si svuotava del suo materiale incandescente e faceva ampliare di più lo spazio cavernoso che era preesistente in quel luogo. In seguito, essendo venuta meno la pressione interna ed accresciuta quella esterna, per i noti accavallamenti degli strati superiori, sotto l'azione delle forze tettoniche, la parte sinclinale veniva a superare il limite della deformazione elastica e si fratturava lungo la sua linea mediano-verticale. A quel punto, si andava incontro al crollo della volta decompressa della caverna, la qual cosa scatenava nella crosta astrale delle scosse telluriche impegnate su larga scala. Esse riuscivano a coprire vaste aree geografiche, sconvolgendole con catastrofi e danni incalcolabili al patrimonio faunistico e a quello forestale.

Chiarita anche l'origine dei vulcani e dei terremoti, prima ancora di sottrarmi ad un simile studio, fui assalito dal seguente interrogativo: L'uomo sarebbe riuscito in un tempo lontano a prevedere l'accadimento dei fenomeni sismici, prevenendoli e proteggendosi da essi? A mio avviso, pur conseguendo le migliori strategie di carattere scientifico-tecnologico, data la complessità del fenomeno, giammai egli avrebbe potuto prevedere, prevenire e, a maggior ragione, dominare i terremoti. Molti ostacoli si sarebbero frapposti fra tale suo obiettivo e la sua riuscita, primi fra tutti la sua impossibilità ad effettuare in termini quantitativi la valutazione del rischio sismico e la mancanza dell'assoluta certezza che l'evento sismico si sarebbe verificato in una data area sismogenetica ed entro un certo tempo. Inoltre, i soli dati probabilistici e statistici in suo possesso, che gli sarebbero derivati dalla storia sismica del territorio e dall'osservazione di taluni fenomeni precursori, si sarebbero rivelati insufficienti a fargli prevedere e prevenire i terremoti con un largo ed utile anticipo. Al massimo, l'uomo sarebbe riuscito a difendersi da loro con un forte margine di sicurezza per la sua specie, soltanto ricorrendo a strutture abitative in grado di contrastare efficacemente la loro capacità distruttiva. Soltanto ricorrendo a tali strutture, egli avrebbe ottenuto un certo successo, nella sua lotta contro i terremoti, riducendo in maniera consistente i danni alle proprie cose e limitando considerevolmente le vittime tra le future popolazioni.

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