56-Moto orbitale di un astro spento ed inclinazione del suo asse

Il moto orbitale di un astro spento non era dovuto né alla propria forza magnetica né alla stessa di qualche altro corpo celeste; bensì ad una spinta propulsiva centrale, la quale veniva erogata all’intera sua massa dalla forza polivalente della sua energia astrale. Quella propulsione proveniente dal centro faceva seguire a quest’ultima un percorso che non risultava affatto rettilineo; ma non era neppure svincolato da una qualsiasi legge cosmica. Per esattezza, esso, in osservanza alle leggi cosmiche interessate, si presentava curvilineo e più o meno equidistante da quella ellisse della barriera stellare che racchiudeva l’eclittica dell’orbita stessa dell’astro. Dunque, era la barriera stellare a tracciare l’orbita di un astro spento intorno alla rispettiva stella e ad obbligarlo a seguirla, anche se veniva variamente ostacolato dalle forze gravitazionali di altri corpi celesti vaganti all’interno di essa. Ma la forza gravitazionale di una stella sopra un proprio pianeta o sopra un altro genere di astro spento, pur non potendo essere quella più rilevante nei suoi riguardi, tendeva di continuo a rendere i due assi della sua orbita ellittica sempre più corti. Con tale tendenza, essa voleva costringerlo ad orbitare ad una distanza talmente ravvicinata rispetto alla sua, da condurlo alla fine all’impatto con la propria immensa massa divampante. Naturalmente una tendenza di quel tipo insita nella stella, la quale aveva come obiettivo l’inglobamento dell’astro nella propria massa e la conseguente dissoluzione dello stesso, non poteva essere accettata dalla barriera stellare. Questa, infatti, era preposta al mantenimento, fra tutti i propri astri, del pacifico rapporto preesistente e non allo scatenamento tra i medesimi di ostilità catastrofiche ed incontrollabili. Perciò essa, già molto tempo addietro, aveva affidato alla energia astrale il compito di neutralizzare quell'anomala tendenza della stella e di vigilare, affinché il tempo giammai riuscisse a scalzare i supporti di tale neutralizzazione.

Da parte sua, l’energia astrale, memore del fatto che doveva tutti i suoi prodigiosi poteri alla barriera stellare, aveva voluto cogliere quella opportunità per disobbligarsi con la sua benefattrice. Mostrandosi perciò disposta ad ubbidirle senza opposizione alcuna, immediatamente si era messa all’opera e si era data ad investire la forza magnetica di una singolare prerogativa. Mediante la quale, l’aveva messa in condizione di trasformarsi, di fronte ad un’altra della stessa specie, da forza attrattiva in forza repulsiva, perché essa se ne avvalesse efficacemente in tutti quei casi in cui ne ravvisava la necessità. In verità, la forza magnetica di un astro orbitante intorno ad una stella faceva uso di una tale prerogativa esclusivamente in un caso particolare. Ossia, quando si rendeva indispensabile correggere la curvatura della sua orbita, al fine di evitargli un impatto con la stella oppure con qualche altra entità siderea che vagabondava per lo spazio stellare. Al riguardo, bisognava far presente che una simile correzione non veniva fatta dipendere da una specifica eventualità, ma rappresentava una necessità reale sempre presente. Ciò, perché veniva esercitata una continua attrazione sia da parte di una stella nei confronti di un proprio astro, sia da parte di un pianeta nei confronti di un proprio satellite. Tale azione attrattiva tendeva a far sì che gli astri influenzati restringessero a tal punto la loro orbita intorno ai loro astri influenzanti, da vederli alla fine incappare in un impatto suicida con essi. Ecco perché la forza magnetica del corpo celeste influenzato era indotta ad effettuare una incessante azione correttiva sull’orbita del proprio astro, appunto per vedere vanificata ogni insidia della loro squilibrata attrazione. In tal modo, essa, oltre che garantire una stabilità durevole al moto orbitale di un qualsiasi astro spento influenzato, instaurava in seno alla propria natura un bipolarismo magnetico. Questo non restava un fenomeno circoscritto al solo obiettivo della correzione dell’orbita. Invece diveniva un fenomeno generalizzato coinvolgente gli elementi e le forze che in natura si dimostravano particolarmente compiacenti verso ogni forma di elettromagnetismo.

Come già avevo anticipato, anche l’inclinazione dell’asse di un astro spento, nei confronti della propria stella, era dovuta all’intervento della forza di gravità. La qual cosa faceva già prevedere che essa non poteva essere un fatto accidentale a sé stante, bensì l’effetto di una causa che si proponeva uno scopo ben determinato. Grazie all’inclinazione, infatti, la stella non irradiava sempre allo stesso modo il corpo celeste spento, considerato durante una sua intera orbita. Per cui ogni parte di esso era soggetta all’alternanza di raggi che, avendo diversa obliquità, procuravano un differente apporto di calore alle varie parti della sua superficie. A ogni modo, l’avvicendamento di temperature differenti, sopra la superficie di alcuni astri e nell’arco di un anno, era motivo di imponenti trasformazioni superficiali, soprattutto in quei luoghi dove abbondavano le specie vegetali. In quel momento, però, mi importava conoscere non gli effetti dell’inclinazione dell’asse di un astro sulla propria natura, ma solo come essa veniva provocata dalla forza di gravità. Perciò evitai di dilungarmi in tali effetti e tesi a limitare il mio studio all’argomento, a cui ero più particolarmente interessato.

Fin dall’inizio del mio nuovo studio, fui portato a pensare che il bipolarismo magnetico fosse anche alla base dell’inclinazione dell’asse di un astro, essendo più di uno i motivi che mi inducevano a ritenere ciò un fatto più che probabile. Ma i più convincenti di loro mi si rivelavano: 1) la differenza di forza repulsiva, la quale era individuabile tra i magnetismi dei due emisferi di un astro; 2) un terzo strano movimento, che l'astro andava compiendo in un tempo abbastanza più lungo, rispetto ai primi due importantissimi movimenti già considerati, i quali erano quello orbitale e quello di rotazione. Così poco più tardi, una mia indagine più approfondita dell’asse di un astro, oltre a darmi la conferma di quanto già da me ipotizzato sulla sua inclinazione, mi chiarì anche il modo in cui il bipolarismo magnetico dava ad essa luogo, oltre alle modalità di effettuazione del nuovo movimento di un astro. Ovviamente, il chiarimento, allo stesso tempo, riguardò anche le relative finalità. Alla stessa maniera con cui essa riusciva ad ottenere un’apprezzabile stabilità orbitale per il proprio astro, la forza magnetica si serviva della doppia polarità per mettere in atto l’inclinazione del suo asse. Essa, accrescendosi positivamente a dismisura ad una estremità dell’asse, riusciva quasi a formare un ponte magnetico che la collegava alla superstella. Così facendo, costringeva l’asse dell’astro ad assumere e a conservare, nei riguardi della stella motrice, la medesima posizione, la quale risultava pressoché perpendicolare. Logicamente, tale perpendicolarità, massima o minima che fosse, dipendeva dagli elementi che costituivano l’astro. Una loro minore refrattarietà al fenomeno magnetico significava una obliquità minore; mentre una loro maggiore refrattarietà ad esso stava ad indicare una obliquità maggiore.

A mio parere, anche se la più o meno inclinazione dell’asse di un astro rispetto alla propria stella era motivata dalla sua coatta perpendicolarità alla superstella, del resto mai espressa al cento per cento, non bisognava dimenticare che la stessa posizione iniziale dell’astro nello spazio aveva contribuito a suo tempo a tale inclinazione. Essa, fin dal principio, si era potuta trovare ad esprimersi più o meno d’accordo con tale perpendicolarità, la quale si presentava come un fatto del tutto impositivo. Perciò era impossibile stabilire, pur con un calcolo approssimativo, a chi delle due, cioè alla perpendicolarità dell'astro oppure alla sua posizione iniziale, riconoscere il maggior peso o il maggior contributo, perché il progetto dell’inclinazione dello stesso asse divenisse una realtà. Tenendolo nella sua giusta considerazione, il problema si presentava alquanto ostico, per essere risolto in quattro e quattr'otto, in quanto i vari dati in mio possesso erano del tutto insufficienti a definire con precisione la posizione iniziale dell’astro nello spazio. Al riguardo, mi chiesi se ne valesse la pena risalire alla sua origine, allo scopo di acquisirvi i dati che mi mancavano sul suo conto. Ma fui dell’avviso contrario, poiché una simile indagine avrebbe dovuto condurmi a constatare da vicino un fatto di secondaria importanza per ciò che era attinente al mio attuale studio. Allora decisi di sorvolare su quel particolare irrilevante e di proseguire nei miei già predisposti disegni speculativi. La prima tappa dei quali concerneva il suaccennato terzo movimento di un corpo celeste spento all’interno del proprio sistema.

Appena un momento prima, avevo appreso che in ogni astro la forza magnetica si era autoriprodotta in gran quantità a quella estremità del suo asse più vicina alla superstella, allo scopo di orientarla maggiormente verso quest’ultima, mediante un collegamento-ponte che la unisse ad essa. Ma una esuberanza di tale forza magnetica in diretto contatto con la stella motrice avrebbe potuto stravolgere l’intera orbita astrale, se non ci fosse stata un’altra forza magnetica di uguale intensità, la quale facesse da contrappeso nella estremità opposta del medesimo asse. Allora la forza magnetica aveva eseguito la stessa operazione di autoaccrescimento pure all’altra estremità dell’asse. Questa volta, però, essa si era autoriprodotta negativamente, appunto per non creare nell’ambito dell’astro uno squilibrio di polarità. Quest'ultimo, infatti, in seno alla intera natura dell’astro spento, avrebbe comportato uno squilibrio di interazioni sia tra i suoi elementi inorganici sia fra quelli organici. Un fatto del genere ci sarebbe stato, qualora questi ultimi lo avessero arricchito della loro vivificante presenza.

Diversamente dalla volta precedente, il quantitativo di forza magnetica negativa, sprigionandosi dall’altra estremità dell’asse, non era andata a collegarsi con nessun’altra massa. Esso aveva costituito una nuova forza di attrazione che non risultava più una verticale rispetto all’equatore dell’astro, bensì un moto conico intorno alla sua altezza. La quale era formata dal semiasse e da parte del suo immaginario prolungamento esterno pari allo stesso. Perciò il cono, che era formato dalla sua rotazione, aveva per vertice il centro dell’astro e per base un cerchio parallelo a quello del suo equatore. Invece il suo angolo di apertura dipendeva dalla grandezza dell’astro e dalla refrattarietà dei suoi elementi al fenomeno magnetico. La nuova forza magnetica, quindi, costringeva la stessa estremità dell’asse a seguirla in quella sua rotazione, la quale, per altro, si dimostrava di una lentezza impercettibile. Così agendo, la parte esterna della forza magnetica disegnava nello spazio una circonferenza avente il diametro uguale a quello della sfera che conteneva l’energia astrale. Per questo anche l’estremità opposta dell’asse, sebbene congiunta magneticamente alla superstella, era obbligata ad assumere il medesimo movimento, conservando così l'uguale ampiezza.

Quanto agli altri punti dell’asse, dall'estremità verso il comune centro, essi tracciavano dei circoli sempre più piccoli, fino a far coincidere il minore di loro con il circolo puntiforme che era rappresentato dal punto medio dell'asse. Tale punto, nel moto assiale con funzione di contrappeso, risultava anche il perno dello stesso asse. Invece, in relazione al suddetto moto, esso andava descrivendo una coppia simmetrica di figure coniche in seno all’astro, i cui vertici erano entrambi situati in quel suo punto centrale che non era soggetto ad alcuno spostamento. Tale sua tenuta permaneva, se lo si considerava nel moto conico dei due semiassi che facevano capo ad esso.

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