37-Il cosmo e i suoi elementi costitutivi

Conosciuto il perfetto meccanismo che dava origine alla moltitudine infinita delle stelle, la mia brama di ricerca si spostò sull’enorme sfera cava. Io volevo constatarvi la mirabile opera di architettura cosmica che era stata ricavata dalla prodigiosa psiche universale, servendosi delle miriadi di astri luminosi che vi erano piovuti per lungo tempo. Allora, assolutamente stupefatto ed allibito, mi ritrovai davanti ad un’opera stupenda, che dava luogo ad un meraviglioso spettacolo. Essa si presentava di una vastità e di una grandiosità tali, da produrre in me uno strano effetto, il quale suscitava nella mia mente un forte tentennamento. Difatti, stando di fronte ad un’opera di simile fattezza, non sapevo decidermi se sentirmi annientato da essa oppure esultare di gioia per suo merito. Ma ormai il mio intelletto si mostrava interamente proteso verso una nuova fiducia in me stesso e nel mio destino. Adesso mi trovavo al cospetto del primo cosmo che era fuoriuscito dal microcosmo, per cui assistevo esterrefatto al roteare e al caracollare delle miriadi di stelle, le quali si presentavano raggruppate in innumerevoli ed immense galassie. In verità, non avrei mai immaginato che si fosse potuto trasformare quel vuoto sterminato della grande sfera cava in un cosmo di tali proporzioni, di tale bellezza e di tale maestosità. Ora l’ordine e l’armonia conferivano ad essa una perfezione inverosimile e oltremodo strabiliante. In virtù dei loro vari movimenti, quegli infiniti corpi celesti, da cui si andavano sprigionando una vivida luce ed un intenso calore, si erano trasformati in una colossale e festosa girandola. Questa si mostrava intenta ad allietare i remoti spazi cosmici che erano rimasti ancora vuoti, tetri e gelidi. Dal profondo di quegli spazi, la variante tonalità policromatica dei numerosi ammassi galattici e stellari, realizzando in sé incomparabili scenari, senz’altro doveva apparire come un fenomeno irripetibile e mozzafiato!

Ma un cosmo, in effetti, che cos’era? Inoltre, come era stata ottenuta la sua costituzione sovrana? Davanti a quei due interrogativi, mi tuffai senza indugio nella nuova speculazione e cercai di rendermene conto prima e meglio possibile. Ebbene, l’attività della psiche universale non si era limitata soltanto a produrre le miriadi di stelle; invece aveva anche badato ad assegnare ad esse una collocazione stabile ed ordinata. Così le aveva raggruppate e seriate nelle circoscritte galassie, che erano costituite dalle buche galattiche e dal rispettivo quantitativo astrale. Tali buche, a loro volta, mostrando le stesse caratteristiche spaziali, erano contenute nei vari cosmi in continua crescita. Questi, a loro volta, si presentavano simili a delle enormi sfere cave concentriche ed avevano un volume differente. In precedenza avevo appreso le caratteristiche generali del primo cosmo, ma non quelle costitutive del medesimo. Per cui mi affrettai a conoscerle nella loro realtà. Comunque, entrambi i tipi non si sarebbero differenziati per niente, se rapportati a quelli omologhi degli altri infiniti cosmi in arrivo. I quali ben presto si sarebbero susseguiti con l'identica maestosità di quello creato prima di tutti gli altri.

Studiando la prima immensa sfera cava, cioè il primo cosmo, subito vi avevo notato numerose buche magnetiche che esercitavano sulle rispettive stelle un’attrazione di guida, la quale tendeva ad attrarle e a guidarle verso di loro. Per avere una idea chiara della grandezza di simili buche magnetiche, bisognava innanzitutto rendersi conto di quanto fosse immensa una stella, poi di quanto infinito fosse il numero di simili astri che vi prendevano posto, infine dello spazio di sicurezza tra loro esistente. Quest'ultimo di certo doveva risultare immensamente sconfinato e profondo, se riusciva a garantire a tutti loro una indubbia convivenza pacifica. A proposito della sicurezza di detta convivenza priva di contrasti, occorreva far presente che lo spazio galattico era regolato dalle rigorosissime leggi gravitazionali della dinamica celeste, le quali facevano evitare le catastrofiche collisioni tra le diverse stelle. Diversamente, la stessa sopravvivenza del loro cosmo poteva essere messa a repentaglio. Per ovvie ragioni, le distanze interstellari dovevano per forza risultare di una grandezza non indifferente. Anzi, esse non potevano non essere abbastanza considerevoli, a giudicarle dalle masse di quegli smisurati corpi celesti che potevano essere avvistati da distanze sbalorditive. Se poi si teneva conto anche delle distanze intergalattiche, le quali risultavano miliardi di volte maggiori di quelle interstellari, senz'altro si poteva avere una idea stupefacente dell'incommensurabilità di uno spazio cosmico, anche se approssimativa!

Dopo avere appreso la struttura fisica e costitutiva di un cosmo ed essermi fatto un sommario concetto della sua espansione, in seguito potei marciare più liberamente verso la conoscenza della dinamica evolutiva di una così portentosa opera cosmica. In essa, come andavo appurando, si notava l'assoluta assenza di ogni indizio di staticità, perfino di quello più vago, siccome ciascun corpo celeste presentava vari movimenti. I quali stavano a significare la loro risposta a degli impulsi provenienti non soltanto dalle profonde viscere del corpo ma anche da altre masse cosmiche, nonostante queste fossero ubicate a distanze enormi da esso.


Appena le stelle venivano espulse dal microcosmo, per merito della sostanza sempre satura dei gas circolanti nello spazio vestibolare, che le approvvigionava adeguatamente, cominciava ad attuarsi in loro una evoluzione di massa a livello sia espansivo che costitutivo. Essa perdurava, fino a quando le stelle non varcavano la soglia del cosmo loro assegnato. Comunque, in quel loro processo evolutivo, tali astri conservavano gli iniziali moti di rotazione e di spinta in avanti, che vi erano stati impressi dalla psiche universale. Ma, dopo che essi avevano fatto il loro ingresso nella grande sfera cava, il secondo moto, conservando il medesimo senso di marcia, si tramutava in moto di attrazione. Quest'ultimo veniva definitivamente meno nelle stelle, non appena esse giungevano a destinazione. Soltanto il moto rotatorio continuava a permanere in loro, anche dopo che avevano trovato stabile sistemazione nella rispettiva galassia. Anche ogni singola galassia aveva il suo moto di rotazione. Di conseguenza, tutte le stelle che ne facevano parte, occupandovi un posto fisso, erano costrette a seguire pure il suo moto. Invece l'unico moto di un cosmo era quello di espansione e veniva a coinvolgere sia le galassie che le stelle da loro ospitate. Il moto di espansione coinvolgeva in pari tempo i corpi celesti spenti che si ritrovavano ad orbitare intorno a tali stelle, formando così un proprio sistema.

In che cosa consisteva il movimento di espansione di un cosmo? Secondo quali criteri o leggi esso si effettuava nel vuoto caduconiano? Per riuscire a comprendere meglio il processo di espansione di uno spazio così enormemente grande, dovetti ridarmi allo studio del primo cosmo. In quel modo, potei trarne il massimo giovamento, al fine di ottenere un raggiungimento spedito dello scopo che mi ero prefisso. Quello studio, infatti, oltre a renderle più esaurienti, accelerò le risposte ai vari interrogativi che prima mi ero posto in merito. Allora avevo interrotto lo studio del primo cosmo, quando non lo avevo ancora portato a termine, per averlo tralasciato nello stesso tempo che esso si costituiva. Al contrario, sarebbe stata la sua fase di completamento, unitamente ai suoi postumi, ad enuclearmi qualunque questione e qualunque problema sulla sua espansione. L’identica cosa sarebbe avvenuta sulla proiezione dell’universo, considerato nella sua globalità. Quindi, la ripresa del discorso sul primo cosmo mi riportò alla pioggia di stelle, che era scaturita dal microcosmo e che era continuata ad affluire per lungo tempo nell'immensa sfera cava, nonché a quanto era seguito a tale afflusso stellare. Così appresi che in essa le buche magnetiche, a cominciare da quelle più esterne o più lontane, in virtù del loro ingente magnetismo, si erano impossessate delle stelle che erano state fatte pervenire nel primo spazio cosmico. Quando infine ognuna era entrata in possesso del quantitativo stellare di propria spettanza, anche la superficie interna della grande sfera cava si era trasformata in una barriera elettromagnetica impenetrabile.

Avvenuto il completamento del primo cosmo, il quale si presentava interamente circondato da un campo di forza elettromagnetica, la quale impediva a qualsiasi massa e a qualsiasi forza di entrarvi o di uscirne, esso aveva cominciato ad assumere un movimento che gli faceva conseguire un doppio effetto. Contemporaneamente, lo faceva sganciare dallo spazio vestibolare e lo rendeva più voluminoso, pur facendogli conservare la concentricità con il vestibolo. Uno sganciamento simile era avvenuto con un ampliamento obbligato sia della superficie interna che di quella esterna del cosmo. Ma mentre la superficie esterna si era andata espandendo sempre di più nell’infinito vuoto caduconiano; quella interna, dopo aver abbandonato la sua posizione iniziale, appunto per permettere la formazione di un nuovo cosmo, l’aveva seguita nella medesima direzione. Quando poi la superficie interna era diventata grande quanto era risultata quella esterna al suo inizio, dietro di essa si era scorto già bell’e pronto un secondo cosmo confinante con essa, dalle caratteristiche e dalle prerogative identiche a quelle sue. Logicamente, anche esso risultava concentrico allo spazio vestibolare. Da parte sua, la superficie esterna aveva raddoppiato la distanza che la separava da quella interna, consentendo al primo cosmo di diventare otto volte più grande del secondo che stava per nascere.

Le stesse leggi fisiche, meccaniche e matematiche avevano presieduto la formazione di tutti i successivi cosmi che ne erano derivati, come pure avrebbero continuato a governare il processo evolutivo degli altri che via via sarebbero germinati dal microcosmo. In virtù di tali leggi, ad ogni nascita di un nuovo cosmo, veniva a raddoppiare la distanza esistente fra le due superfici di ciascuno di quelli già formati e in via di espansione. Per questo rimaneva costante il rapporto volumetrico esistente tra ognuno di loro e quello ad esso immediatamente successivo o precedente. Essi, cioè, si svolgevano secondo una rigorosa progressione geometrica.


Venuto a sapere che cosa era il movimento espansivo di un cosmo e come esso si attuava in seno all’infinità del Caducon, subito dopo cercai di rendermi conto dell’effetto che venivano a subire le varie galassie e le rispettive stelle, a causa di un simile movimento. Ma ero convinto che esso non poteva risultare cosa da poco nella realtà cosmica delle medesime. All’interno delle galassie, a dire il vero, non si constatava alcun effetto di rilievo, considerato che non una di loro andava incontro a qualche specie di dilatazione spaziale, interessando magari pure le stelle in essa contenute ed operanti. Le buche galattiche, contrariamente a ciò che era plausibile ipotizzare, non erano soggette ad alcuna variazione del loro volume e neppure alla minima stortura del loro spazio interno, come possibili conseguenze del suddetto movimento cosmico. Anzi, esse vigilavano che le masse stellari e l’equilibrio esistente fra di loro non venissero minimamente scalfiti né per quel motivo né per nessun altro. Il solo a subire un mutamento di rilievo era lo spazio intergalattico, il quale si andava accrescendo di volume in ragione dell’espansione del relativo cosmo. Tale accrescimento, però, se per un verso permetteva il continuo raddoppio della distanza presente tra le galassie; per l’altro verso, lasciava invariato il rapporto esistente tra le rispettive distanze.

Anche la stella, la quale poteva considerarsi la cellula del tessuto cosmico, doveva essere ulteriormente approfondita da me. Infatti, era proprio un simile astro a rifornire il cosmo della sua vera efficienza, dotandolo della sua prodigiosa e suggestiva spettacolarità. Senza il calore e lo splendore delle stelle, il cosmo sarebbe rimasto cosa morta ed imperscrutabile; anzi, sarebbe stato come se non ci fosse, poiché mai alcun occhio avrebbe potuto scorgerlo e rendersene conto in qualche maniera. Perciò mi conveniva prendere in considerazione l’esame della stella con il dovuto rispetto.

Ebbene, a grandissima distanza, una stella appariva una tenue e tremolante fiammella; mentre, accorciando di molto la sua distanza dalla nostra Terra, fino a farle raggiungere quella del nostro Sole, già essa faceva dare di sé una idea alquanto diversa. Con quel suo bel disco radioso, il quale durante le ore diurne faceva variare l’intensità del suo colore, passando da un bianco vivido ad un rosso acceso, la stella si mostrava a volte incontaminata e rigogliosa, altre volte paziente e quieta, altre ancora superba e dominatrice. Eppure, bastava avvicinarsi un po’ di più ad essa, fino a raggiungere una distanza cinque volte maggiore di quella esistente tra la nostra Terra e il suo satellite lunare, per restarne sommamente terrorizzati. Un motivo di sgomento sarebbe stata la gigantesca e spaventosa turbolenza dei suoi gas, i quali bruciavano e si agitavano all’interno di essa, producendo sulla sua totale superficie fiammate colossali. Sovente queste arrivavano fino a metà tragitto dal punto di osservazione suindicato. Dunque, era la distanza a conferire alla stella i vari aspetti esteriori, facendola apparire all’occhio umano a volte un debole baluginio oppure un sole sfolgorante di luce; altre volte la presentava come l’ispiratrice e la caldeggiatrice di una romantica passione amorosa oppure come una fonte inesauribile di ricchezza; altre ancora vi faceva intravedere una terribile minaccia di morte. A quest’ultimo aspetto, per sfortuna, si sarebbe interessato il folle genio umano. Esso avrebbe fatto di tutto per riprodurlo come arma offensiva, nonché per verificarne i letali effetti sulla propria specie.

Così una massa stellare, osservata molto da vicino, non si presentava più come una superficie sferica ben levigata e dall’aspetto pacifico, proprio come il nostro Sole, anche se a volte si dimostrava accecante, nell'atto di fissarla senza un’adeguata protezione degli occhi. Anzi, essa era tutta un ergersi intorno a sé di gigantesche e disintegranti lingue di fuoco, le quali si avventavano in ogni direzione tra frenetiche convulsioni. Per fortuna tutte quelle fiammate in preda ad un'agitazione parossistica non potevano staccarsi dalla loro massa stellare ed andarsene in giro per proprio conto, siccome anche le stelle erano sottoposte ad una forza magnetica situata al centro della loro massa. Altrimenti, si sarebbe potuto dire addio all’armonia di tanti cosmi senza fine! In seno alla sua massa, infatti, la stella era una fornace incandescente, la quale rigurgitava ininterrottamente di esplosioni a catena uguali a quelle che le avevano dato vita nel microcosmo. Come potevo osservare, lo scatenamento di simili energie belligeranti contrapposte, che era stato l’artefice dell'origine di un simile astro e lo aveva anche scagliato fuori dal microcosmo, si era poi autoriprodotto in quest'ultimo. Anzi, la sua terribile conflittualità costituiva adesso la sua naturale fonte di energia, oltre che il presupposto della sua esistenza.

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