30-L'istinto dei vegetali

L‘istinto, quindi, costituiva la sola espressione sensitiva di tutta la sfera psichica dei vegetali. Esso vi dominava in senso assoluto e con una efficienza tale, da garantire a simili esseri naturali quelle prerogative indispensabili per effettuare il proprio ciclo biologico e per assicurarsi la perpetuazione della propria specie. Perciò l'essenza istintiva si autoproponeva ai vegetali come il factotum della loro intera attività intrinseca ed estrinseca. Inoltre, li esonerava da qualsiasi mansione, fosse essa anche la più semplice, intesa a dare un contributo oppure un significato alla propria esistenza. Da parte loro, i vegetali non potevano che accettare l'interferenza altruistica dell’istinto, non avendo né i mezzi né i modi per opporsi al suo intervento. Infatti, la mancanza in loro della coscienza e l’assenza di una alternativa valida, essendo l’istinto il solo ad autoproporsi come loro guida, essi avrebbero precluso agli stessi ogni eventuale proposito di rinuncia alla sua indispensabile ed utile opera. Naturalmente, un’alternativa avrebbe avuto senso soltanto nel caso che i vegetali avessero potuto contare anche su una coscienza, che invece non avevano, siccome c'era l’istinto a funzionare al posto suo. Comunque, quest’ultimo, nei suoi rapporti con i vegetali, senza dubbio assolveva egregiamente i vari incarichi che gli erano stati demandati dall’energia psichica, dimostrando nel loro espletamento capacità e una sensibilità non comune.

Nello studio degli animali, avevo avuto modo di conoscere un istinto che era quasi sempre assente nell’esistenza di alcuni di loro, compreso l’essere umano, siccome esso vi indossava l’abito della saltuarietà e della occasionalità. Quel suo atteggiamento di discontinuità, però, lungi dal doversi giudicare una vera e propria defezione nei suoi rapporti con la loro vita, andava invece interpretato come una pura questione di competenza. Negli animali superiori, infatti, la coscienza risultava la sola competente designata a prendersi cura di loro e a fare la parte del leone in tutte le loro decisioni. Veniva fatta eccezione di quelle poche circostanze nelle quali essa si manifestava impotente a far fronte a certe situazioni straordinarie, essendo il loro contenuto ancora distante nello spazio e nel tempo. In tali momenti, l’istinto interveniva a sopperire all’impotenza in cui veniva a trovarsi la coscienza, convinto di non farle alcun torto, considerato che le nuove circostanze, per il loro carattere di eccezionalità, richiedevano esclusivamente la sua competenza. Perciò le subentrava e, nel pieno rispetto delle competenze, portava a termine il difficile compito che la coscienza si era ritrovata a fronteggiare inerme, non disponendo essa di mezzi che potessero risultare i più adeguati allo scopo.

Negli animali inferiori, invece, come pure nella totalità dei vegetali, dal momento che la coscienza era assente, l’istinto operava a tutto spiano. Così prendeva le redini del loro esistere e del loro evolversi, indirizzandoli verso la giusta meta. Agendo in quel modo, li aiutava a generarsi, a crescere e a perfezionarsi, attraverso una rigorosa selezione di sopravvivenza. Ma soprattutto li preservava da una distruzione a breve scadenza e li immetteva in un ciclo biologico, il quale era da considerarsi pressoché perpetuo. Insomma, in essi l’istinto poteva essere considerato l’artefice unico e sovrano del loro essere e del loro divenire, essendosi trovato a surrogare la coscienza fin dal loro primo esistere. Riaffermata la sovranità dell’istinto sulla genesi e sulla evoluzione dei vegetali, i quali venivano condizionati da esso solo a scopo protettivo e selettivo, a quel punto si fece pressante in me l’ansia di indagarlo sia nella sua essenza costitutiva sia nella sua capacità esplicativa sia nelle sue molteplici potenzialità.

Cominciai, dunque, col chiedermi che cosa fosse realmente l’istinto dei vegetali e in che maniera esso riuscisse a condizionare la loro esistenza, senza che le varie specie vegetali neppure se ne avvedessero. A mio parere, se non proprio la totale complessità dell’istinto animale, sicuramente l’elemento istintuale dei vegetali doveva possedere un suo modo di manifestarsi e di agire non del tutto semplice, ma molto bene organizzato. Ciò me lo faceva presupporre la vasta gamma dei vegetali, i quali evolvevano in piena sintonia con gli habitat climatici più disparati, fossero essi generosi oppure avari, visto che essi li facevano apparire rigogliosi in alcuni posti e sparuti in altri. Al riguardo, la mia supposizione si sarebbe rivelata esatta, non appena mi fossi addentrato nell’attività istintiva dei vegetali, allo scopo di averne la massima conoscenza possibile.

Nella specie animale, l’istinto si era presentato come uno dei modi di essere dell’energia psichica, precisamente il più raro e il più importante fra tutti. Infatti, grazie ad esso, l’equilibrio tra l’intimo e il corpo era assicurato anche nei momenti più critici della loro coesistenza. Si poteva affermare che l'istinto era apparso quasi il vero manovratore della loro esistenza, sebbene ad essa dovesse tutto sé stesso e, per conto e per merito di essa, compisse anche prodigi che risultavano vitali a chi ne beneficiava. La sua azione immunizzante, la quale si esplicava in tutte le forme viventi, ne era un esempio più che eloquente e garante della sua più ampia affidabilità. Nei vegetali, a parte l’assenza di certi suoi interventi straordinari, la funzione dell’istinto poteva ritenersi la stessa. Solo che la sua opera veniva elargita ai nuovi destinatari in forma più monopolizzata e più esclusiva, risultando perciò più completa, più appassionata e più armonizzante. La sua totale dedizione ad essa metteva l'istinto in condizione di sperimentare sui vegetali le strategie più rigorose e di attuarvi i progetti più ambiziosi. Come appreso da alcuni miei precedenti accenni, l'istinto nei vegetali risultava tutt’altro che un’attività saltuaria che fluiva dai soli sprazzi occasionali. Esso costituiva una realtà onnipresente, la quale vi era confluita quasi contemporaneamente all’energia psichica; anzi, vi era germinato per fare da coscienza a quest’ultima. Per tale motivo, immediatamente aveva cominciato a farle sia da mente programmatrice ed organizzatrice che da braccio esecutore e realizzatore. Agendo in quella maniera, l'istinto aveva voluto rappresentare soltanto la volontà, il consenso e il potere dell’energia psichica. La quale si era affidata ciecamente ad esso e aveva posto nelle sue mani i poteri più ampi e incondizionati che potessero esserci.

Così, sotto l’egida dell’energia psichica, prima ancora di investirla con la sua produzione polivalente e multiespressiva, l'istinto aveva fissato nella specie vegetale la sua impronta, costituendovi l’organigramma della totale sua attività. Ossia, vi aveva distribuito la sua essenza e l’aveva suddivisa in vari settori, i quali svolgevano ciascuno un proprio tipo di attività. Si trattava di quell’organigramma che mi apprestavo a conoscere nelle sue definizioni particolari, il quale non aveva nulla a che vedere con l’intimo animale. Questo era un complesso sferico che abbracciava le attività intellettive più alte e specializzate, per cui creavano la cultura, affinavano l’intelligenza ed agivano secondo i disegni della coscienza. Non la stessa cosa si poteva dire dell’organigramma istintivo dei vegetali, il quale non aveva obblighi morali di nessun tipo verso la specie, priva com’era in modo assoluto di ogni evoluzione psichico-intellettiva e di uno stato coscienziale che tendesse consapevolmente ad incrementarla. Perciò la sua funzione era circoscritta al semplice accrescimento biofisico della specie. Anche se quel "semplice accrescimento" veniva a significare tutta una gamma vastissima di estrinsecazioni e richiedeva una quantità non indifferente di interventi, a volte riparatori altre volte addirittura modificatori!

Senza dubbio si era di fronte ad un’opera, la quale si presentava enorme e molteplice, considerata l'infinita varietà del regno vegetale, che continuamente andava creando problemi di ogni sorta. Per fare fronte ad essi, non bastava la sola forza attivatrice dell’energia psichica; invece occorreva anche l’attività cosciente e mirata di una essenza, la quale avesse la capacità di analizzare e di sintetizzare, di progettare e di programmare. A tale scopo, nei vegetali esisteva appunto l’istinto. Esso si identificava con la stessa energia psichica, dopo essere divenuta cosciente di sé stessa per attuarsi nella materia e per ricavarne dei prodotti concreti e finiti. Comunque, anche l’istinto, a sua volta, per riuscire a cavalcare la difficile materia e a guidarla verso i modelli da sé stesso progettati, aveva dovuto impiantare in essa un centro di attività, ciascuna delle quali aveva un proprio ruolo specifico. Esso, logicamente, era costituito dall’organigramma citato, di cui ero sul punto di intraprendere lo studio. Infatti, ero consapevole che solamente la sua conoscenza mi avrebbe consentito di approfondire e di intendere nel modo migliore l’intero processo perfettivo della evoluzione vegetativa.

La perfezione vegetale, al pari di quella animale, non lasciava intravedere davanti a sé destini gloriosi. Cioè, il suo cammino storico mostrava l’assenza più assoluta di qualsiasi radicale rivoluzione tendente verso una sua evoluzione straordinaria. Essa, quindi, a giudicarla dalla sua storia, sarebbe rimasta pressoché sempre la stessa e mai avrebbe potuto percorrere i sentieri della perfettibilità all’infinito. Per tale motivo, era dispensata da qualsivoglia azione intesa a promuovere in sé l’autoperfezionamento perfettivo e anche da qualunque pensiero di preoccuparsene. Anzi, allo scopo di precisare meglio le cose, più che trattarsi di una sua personale decisione di dispensarsi dall’una e dall’altro, era stata proprio l’energia psichica universale a volere fin dall’inizio che la specie vegetale dimostrasse cecità e sordità per attenzioni di quel genere. Da parte di quel tipo di energia, un simile provvedimento era stato preso, unicamente perché il fine dell'esistenza della perfezione vegetale non sarebbe dovuto essere protagonistico, ma puramente strumentale. In ordine a quella prospettiva, l’istinto si era mosso, aveva agganciato i vegetali e si era compenetrato con loro per indirizzarli e guidarli il più possibile nei loro obblighi specifici. Per la quale ragione, adesso vigilava che in ogni momento essi ottemperassero alle norme immanenti al loro apparato cellulare, in quanto vi erano state predisposte anteriormente al loro esistere e divenire.

L’istinto, quindi, si era impegnato perché l’evoluzione vegetale procedesse nel pieno rispetto di quel gruppo di norme. Ciò, perché si era fatto garante in prima persona che esse giammai sarebbero state violate dalle creature del regno, in cui l’istinto era assurto al massimo degli onori, essendone divenuto il dominatore incontrastato e sovrano. Considerato in quell'ottica, l'istinto vegetale poteva essere ritenuto l’equivalente dell’intimo animale, anche se quest’ultimo non si presentava potenziato alla stessa maniera nei diversi animali. Comunque, dalla lettura del suo organigramma, l’istinto appariva come una superficie circolare piatta, suddivisa in tre scomparti circolari concentrici, i quali erano: il senso, quello esterno; il conscio, quello interno; l’ipersenso, quello mediano.

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