28-La telepatia e la precognizione

Finalmente era giunto il momento di condurre la mia investigazione sui due fenomeni extranormali, che prendevano il nome di telepatia e di precognizione. Nei confronti dei quali nel passato c’erano stati, da parte mia, sempre e solamente accenni, senza mai essere stato in grado di trattarli con il dovuto approfondimento. Ma, pur nella loro esigua scorta di particolari e nella loro frammentarietà, l’uno e l’altro fenomeno erano riusciti a mettermi addosso un certo quantitativo di eccitazione e di smania. Quel mio atteggiamento c'era stato nei loro confronti, siccome già allora avevo presentito che la loro effettuazione doveva per forza di cose poggiare sull’abbattimento e il superamento di ogni barriera sia spaziale che temporale: quest’ultima veniva intesa in senso tanto psichico quanto fisico. Ovviamente, come avevo potuto apprendere, fenomeni di quel genere erano possibili esclusivamente alle creature dell’Eternon, però quando le medesime si trovavano ad operare nel Caducon. Di conseguenza, l’anima, secondo quanto mi era consentito di sapere, era la sola abilitata a portare a termine simili miracoli, poiché essa risultava l'unica creatura eternoniana ad essere costretta a condurre un’esistenza caduconiana. Ma che cosa erano realmente la telepatia e la precognizione? Inoltre, come, quando e perché esse, anche se raramente, si effettuavano nella coscienza umana?

Per telepatia, si intendeva l’abbattimento e il superamento dell’insormontabile barriera dello spazio da parte della coscienza umana, in un suo slancio di sete di conoscenza. Anzi, essa esprimeva l’appianamento dello spazio fisico e psichico, in modo che la coscienza, durante il suo parziale o totale stato di trance attivato dal subcosciente, nello stesso tempo vi potesse spaziare ubiquitariamente. In quel modo, riusciva a cogliervi fatti, fenomeni e circostanze che vi esistevano o vi accadevano. Con il fenomeno telepatico, quindi, si aveva la diretta presa di conoscenza, da parte della coscienza, della realtà fisica e psichica ovunque presente, anche a distanze enormi. A ogni modo, un fatto tanto straordinario si verificava non ad opera dell’intimo, bensì per l’intervento estemporaneo e simultaneo del subconscio, della psiche e dell’anima. L'influenza di quest’ultima in tale fenomeno, però, avveniva in forma occulta e quanto mai misteriosa. Logicamente, alla base di una evenienza così strabiliante, c’era l’effettiva fusione di due entità psichiche. La prima aveva in essa un ruolo attivo e prendeva il nome di trasmigrante; la seconda, che aveva invece un ruolo passivo, era chiamata ospitante inconscia. Da parte sua, la trasmigrante era in grado di prendere possesso della realtà dell’ospitante, ma dopo essersi fusa e compenetrata con essa, realizzando una sorta di immedesimazione fra due coscienze, delle quali soltanto una era al corrente del loro amplesso psichico.

Così, grazie alla telepatia, la coscienza umana veniva ad infrangere e a sfondare qualunque barriera spaziale fisicamente intesa. Come conseguenza, ne annullava ogni tentativo ostativo derivante dalla distanza, anche da quella ritenuta superbamente considerevole. Perciò il suo occhio indagatore si trovava ad essere efficiente non solo nello spazio fisico, dove il suo corpo attuava la sua presenza concreta; ma anche in altri luoghi, che erano situati a grandissima distanza da esso. Per la coscienza umana, era come venire a trovarsi effettivamente presente in uno o più luoghi diversi da quello in cui il suo corpo si trovava realmente. Anzi, vi poteva perfino attingere i fatti e i fenomeni che vi accadevano, proprio come faceva con quelli che si svolgevano intorno a sé, direttamente sotto i propri occhi. Per questo motivo, si poteva affermare che essa, nei momenti di telepatia, entrava in possesso di uno sguardo lungimirante, il quale non conosceva né confini né distanze spaziali, siccome travalicava gli uni e superava le altre con lucidità incredibile. Del resto, oltre che riuscire a superare ogni barriera fisica nel modo appena descritto, la coscienza poteva anche infiltrarsi nella sfera coscienziale e in quella psichica di altre persone per immettervi dei propri contenuti oppure per prelevarvi quelli esistenti in tali sfere. Così facendo, essa era in grado di mettersi in comunicazione con altre forme di intelligenza del suo stesso tipo, trasmettendo ad esse i propri pensieri oppure eseguendo la lettura di quelli esistenti in loro.


Quanto alla precognizione, essa era la conoscenza anticipata di fatti e fenomeni che appartenevano ad una realtà futura, per cui nel presente essi non si presentavano ancora nel loro svolgimento. A un mio primo esame, essa si dimostrava come una qualità presciente, la quale, in uno stesso momento, era capace di dilagare nell’intera evoluzione temporale. Così la irraggiava di una propria effettiva visita e la padroneggiava in tutte le sue più disparate estrinsecazioni, fossero esse di tipo episodico oppure emozionale e circostanziale. Con la precognizione, si attuavano l’abbattimento e il superamento della barriera temporale. Perciò essa risultava un fenomeno molto più complesso della telepatia. Un conto era riuscire a coprire, con un solo sguardo orizzontale, distanze grandissime e ad affacciarsi su realtà geograficamente molto distanti. Un altro conto, invece, era mostrarsi in grado di abbracciare, con un solo sguardo verticale della mente, l’interminabile stillicidio di attimi che scaturivano dal tempo, il quale era di per sé già molto sfuggente, mutevole ed incostante.

Forse un giorno l’uomo, attraverso il suo progresso scientifico e tecnologico, sarebbe riuscito a superare e a dominare le distanze più impensabili, mediante apparecchi e strumenti molto sofisticati da lui stesso ideati, progettati e realizzati. Perciò essi lo avrebbero messo a diretto contatto con delle realtà infinitamente lontane. Ma giammai sarebbe stato capace di penetrare il suo futuro e di carpirne i contenuti, nonostante tutti i suoi sforzi compiuti e tutto l'ingegno impiegato. Infatti, una simile impresa gli sarebbe stata vietata per sempre e nella maniera più categorica, poiché così era stato stabilito dal Creatore. Per l’essere umano, volendo essere precisi, potere inoltrarsi nel futuro e ritornarne equivaleva a scrollarsi di dosso ogni peso che gli derivava dalla ricerca scientifica e tecnologica. Infatti, egli, disponendo di una facoltà simile, nulla gli vietava di andare a rifornirsi degli espedienti più ingegnosi e dei risultati più avanzati di tale ricerca direttamente nel suo futuro, dove li avrebbe trovati già tutti belli e pronti. Comunque, di fronte ad una eventualità del genere, non si poteva non fare le considerazioni che seguono, da me reputate intelligenti e logiche.

Tanto per cominciare, come avrebbe fatto l’uomo ad andare a raccogliere nel futuro dei prodotti finiti, che in precedenza l’ingegno umano non si era preoccupato di produrre, previa applicazione in tal senso? Invece, solamente se egli si dava a seminare nel presente, poteva anche sperare di raccogliere dei frutti in un futuro prossimo o remoto. Altrimenti, ciò che l'uomo possedeva nel presente lo avrebbe anche posseduto nel futuro, senza né una cosa in più né una cosa in meno. Il presente, dunque, preparava il futuro e si adoperava per esso; mentre il futuro diveniva fatto concreto e compiuto, solo dopo che il presente si era già attuato ed era diventato passato, esattamente come si era comportato il passato nei confronti dell’attuale presente. Perciò il passato e il futuro in pari tempo potevano considerarsi due presenti: il primo si era già attuato in funzione di sé-presente; il secondo, invece, si preparava ad attuarsi in funzione di sé-futuro. Considerato in quell’ottica, per tutto il tempo che era in vigore il presente, il futuro risultava svuotato di ogni contenuto reale, perdeva ogni espressione di qualsiasi forma esistenziale, finiva per contraddistinguersi per la sua indiscussa subordinazione ad un presente, che era il solo a tramandargli una esistenza autentica. Ogni sua pretesa ad essere, dunque, veniva inficiata dalla logica più rigorosa. Soltanto dopo avere ereditato dal presente la somma dei contenuti dell'intero proprio passato, alla fine esso si realizzava, divenendo il nuovo presente, il quale cominciava già ad adoperarsi in funzione del proprio futuro.

La precognizione allora che senso aveva, se il futuro serbava di sé ben poco, per non dire niente? Inoltre, era o non era possibile lo sfondamento della barriera del tempo futuro, da parte della coscienza? Infine, in quale altro modo si poteva intendere la precognizione, dal momento che era vista come un fenomeno reale e non la si poteva ignorare, neanche per far piacere ad un nostro puro ghiribizzo? Assodata la questione del tempo futuro, del quale era stata dimostrata a rigor di logica la non-esistenza, a causa della sua deficienza di ogni tipo di realtà fenomenica, essendo in attesa di ereditarle dal proprio passato, ne conseguiva la logica deduzione, secondo la quale non era affatto possibile inoltrarsi nel nulla. Specialmente, poi, se quest'ultimo si presentava affetto da complicazioni temporali! Infatti, come si poteva raggiungere e visitare una parte di tempo, che doveva ancora rendersi esistente e si sarebbe reso tale, solo dopo che esso fosse diventato presente con tutti i crismi della logica pura? Quindi, non si trattava più di verificare se la coscienza avesse o meno i requisiti necessari per operare lo sfondamento del tempo futuro. Invece bisognava solamente rendersi conto che quel problema non poteva più sussistere, per l'inesistenza di un simile futuro, inteso come un fatto reale esistente nello stesso tempo nel suo passato.

Le precognizioni, però, esistevano; anzi, costituivano una verità assoluta ed incontrovertibile. Come, dunque, giustificarle? A questo scopo, mi andavo domandando quali fossero gli ambiti temporali, entro i quali delle forze occulte manovravano le indocili ansie provenienti dal subconscio. Inoltre, le convogliavano in un presente svigorito ed evanescente, in un certo senso già proiettato nel suo futuro e dimentico della sua reale natura. Per un certo aspetto, quel tipo di concetto non era abbastanza semplice da afferrarsi in quattro e quattr’otto, in quanto qualcosa di molto somigliante all’assurdo era alla base dell'intera attività precognitiva del subcosciente. Per me, in effetti, era come inseguire un qualcosa o un fatto, il quale non correva davanti a me, ma era dentro di me. Inoltre, vi restava non come già nato, bensì come ancora da nascere. Insomma, come potevo rendermi conto, ero alle prese con una realtà, che mi si rivelava più che un paradosso!

In seguito, però, uno studio delle precognizioni più approfondito e più analitico me le presentò non più come un qualcosa di paradossale. Difatti me le fece apparire come un fenomeno di ardua decifrazione, a causa della complessa evoluzione spazio-temporale, la quale interveniva ad invilupparlo e ad influenzarlo in modo davvero strano. Incredibile a credersi, ma si assisteva precisamente ad un abnorme comportamento del tempo, mentre manovrava il presente. Quasi si trattasse di un viscere, esso, a un certo punto, si evaginava in certi suoi settori e dava origine ad estroflessioni temporali. Queste erano cariche di vari ingredienti reali, che non formavano ancora alcuna realtà specifica, né attuale né avvenire. Essi, però, erano in attesa di dar corso a nuove realtà strane e fantasiose, perché queste, anche se investite del carattere della transitorietà, facessero parte in pari tempo sia del presente che del futuro. Tali estroflessioni non potevano non ritenersi appartenenti al presente, visto che in esso affondavano le loro radici e di esso vivevano i loro contenuti. Comunque, perché le stesse potessero allungarsi e proiettarsi in avanti, dovevano disporre di un’altra area temporale, che non fosse il presente, nuda di una propria fenomenologia. La quale area, inoltre, doveva mostrarsi in grado di soddisfare la voglia di essere e di realizzarsi in un tempo diverso dal loro, quella che andavano manifestando alcune ansie racchiuse nelle suddette estroflessioni.

Perciò nessun altro tempo, che non risultasse vuoto di reali esistenze, poteva accogliere simili evaginazioni temporali. Né poteva consentire alle teche da esse trasportate di fare sfogare le proprie pulsioni istintuali, le quali premevano a ritrovarsi come realtà non più accantonate e sopite, bensì unicamente dinamiche e scorrazzanti. Chi meglio del futuro, dunque, poteva assolvere tale funzione, assecondando la loro brama ed offrendo loro l’ospitalità che esse andavano cercando, al fine di servirsene per il raggiungimento dei propri scopi reconditi? Tali estroflessioni, quindi, si proiettavano nell'avvenire come spere di sole in un antro buio. Solo che i loro ingredienti vitalizzanti non erano costituiti dal pulviscolo atmosferico, ma dall’insieme delle teche temporali e dei loro contenuti reali appartenenti al presente.

Adesso, prima di procedere oltre, bisognava chiarire un particolare sul tempo futuro, il quale, a parere mio, risultava di estrema importanza. Se era vero che esso rimaneva privo di qualsiasi realtà oggettiva o apparente, però era altrettanto vero che lo stesso non era una copia perfetta del niente assoluto. Un tempo simile non smetteva mai di far parte di quel disegno universale divino, che già lo aveva compreso fin dalla sua genesi. Anzi, la totalità del tempo aveva avuto alla sua origine una unica caratteristica, cioè quella che gli permetteva di riflettersi nel solo avvenire. Soltanto più tardi, cioè quando esso era cominciato a fluire dalla psiche universale e si era messo a scandire i suoi infiniti attimi fuggenti, una sua parte sempre maggiore si era data ad indossare stabilmente l’abito del passato, con un'avanzata inarrestabile ed incontrollabile. Al presente, invece, data la sua inafferrabile fugacità, era sempre toccato di indossare un abito molto effimero, il quale era cominciato a logorarsi simultaneamente, già al sorgere della sua esistenza. Ciò avveniva, siccome il presente esisteva solo per mediare tra un passato fuggito o fuggente e un futuro incalzante. Per cui si frapponeva in mezzo a loro come ponte di collegamento e consegnava al secondo quanto esso stesso aveva ereditato dal primo. Inteso in questi termini, il tempo futuro davvero non poteva essere più considerato inesistente, anche se totalmente privo di proprie realtà fenomeniche, per il semplice motivo che la vuotaggine di un luogo non equivaleva anche alla sua non-esistenza. Anzi, viceversa, era l’inesistenza di un luogo a fare escludere a priori l'eventualità che qualcosa potesse occuparlo in qualche modo prima o poi.

Così, alla luce delle mie più recenti acquisizioni in materia di tempo, fui costretto ad ammettere e ad accettare il tempo futuro come una entità realmente esistente, contrariamente a quanto già era scaturito da una mia precedente sillogizzazione in merito allo stesso argomento. In più, ora venivo a conoscenza che esso, oltre che della caratteristica di riversarsi incessantemente nel tempo passato, attraverso una breve e suggestiva anticamera nel tempo presente, era stato investito anche di altre due importanti prerogative. Si trattava della sua miscibilità con i contenuti delle varie estroflessioni temporali provenienti dal presente e della sua capacità di influenzare le mescolanze che ne derivavano, da cui riuscivano a ricavare realtà esistenziali miste. Si definivano realtà miste quelle caratterizzate dalla presenza in esse sia del tempo presente sia di quello futuro. Nel senso che, se i loro ingredienti facevano parte del presente, le circostanze e i fatti, che venivano determinati da loro, risultavano essere proprio del futuro. Venivano a crearsi, cioè, le comuni precognizioni e premonizioni. Le quali, a loro volta, si rivelavano trasferibili all’istante nel tempo presente mediante un balzo a ritroso, pur avendo preso consistenza in quello futuro. A considerare meglio il fenomeno precognitivo, mi trovavo di fronte ad una vera osmosi tra due tempi di natura diversa, ossia tra un futuro meno concentrato e un presente più concentrato. Il primo, grazie alla semipermeabilità della parete delle estroflessioni temporali, poteva liberamente penetrarvi ed amalgamarsi con il secondo. Più esattamente, lo strano contatto e la bizzarra fusione tra il tempo presente e quello futuro si avevano in virtù del suddetto fenomeno osmotico, che veniva ad interessare due aree temporali differenti. Dai quali fenomeni, che erano il contatto e la fusione, conseguiva l'evolversi fortunato della situazione in direzione del prodigioso evento precognitivo oppure premonitorio.

A quel punto, potevo affermare di aver raggiunto un mio primo traguardo nello studio da me intrapreso sulla telepatia e sulla precognizione, anche se le circostanze mi avevano indotto a risolvere i due problemi, procedendo a ritroso. Infatti, mi ero trovato a conoscere le fasi finali della loro attuazione, ancor prima di essermi reso conto del come facevano l’anima e il subconscio a dare origine ad entrambe e di quali meccanismi si servivano per attuarle, senza incorrere in grosse difficoltà. Per questo adesso mi sentivo maggiormente pressato dalla voglia di giungere anche all’altro traguardo, il quale già era nel mirino della mia speculazione. Esso mi avrebbe portato alla conoscenza pure di quelle situazioni che facevano scattare la serie di fenomeni, che alla fine evolvevano verso la telepatia e la precognizione. Solo in questa maniera, mi sarei potuto ritenere pago di aver intrapreso e portato a termine lo studio di tali argomenti. Infatti, li avrei sviscerati secondo i canoni e il rigore propri della ricerca scientifica e filosofica.


Le teche temporali costituivano senza dubbio l’oggetto reale di qualunque proiezione spaziale e temporale del subcosciente, avviandolo ai processi di telepatia e di precognizione. Ma ognuna di esse, per dimostrarsi capace di tale singolarità, aveva bisogno di essere prima influenzata dall’anima e poi elettromagnetizzata dalla psiche. L’arcano influsso della prima, però, era quello che maggiormente contribuiva al verificarsi dei fenomeni telepatici e precognitivi. L’anima, cioè, si rivelava il solo elemento in grado di scatenare la forza impulsiva esistente in ogni teca in forma virtuale ed inconscia. La quale forza, in seguito, finiva per calamitare le particelle elettromagnetiche, allo scopo di vitalizzare la propria teca temporale, in modo da liberarla dal suo stato potenziale e da permetterle di essere sé stessa emotivamente ed attivamente. Ciò, anche grazie ai contenuti di quel suo patrimonio rimasto a lungo congelato. Dall’anima, dunque, partiva la scintilla stimolatrice ad essere, la quale, fin dal suo primo accendersi, andava ad incorporarsi subito in una teca. Qui essa si tramutava in impulso a realizzarsi in un ambiente che non risultasse angusto, oppressivo e letargizzante. Al contrario, doveva rispettare al massimo quei principi più consoni alle varie forme di spazialità, di dinamismo e di autonomia. Per tale ragione, la stessa scintilla non perdeva tempo e, ipso facto, concertava con l’energia psichica il programma e l’effettuazione di ansie e di desideri, i quali erano stati riscattati dalla loro latenza e dalla loro inconsapevolezza di possedere una esistenza. Una volta ridestata dalla forza impulsiva dell’anima e attivata da quella elettromagnetica della psiche, una teca temporale non seguiva la prassi istintuale e neanche ne perseguiva gli effetti puramente irreali; ma trascendeva i medesimi. Anzi, alla fine li combinava con una realtà spaziale e temporale del tutto incerta. Ad ogni modo, si presentava ipoteticamente possibile ed accettabile, con un pronostico decisamente favorevole.

L’attività proiettiva delle teche temporali, dunque, poteva evolversi nello spazio e nel tempo, attuando nel primo caso la telepatia e nel secondo caso la precognizione. Ma come e quando essa dava luogo all’una e all’altra? Circa il quando, si escludeva qualsiasi forma circostanziale dell’evento, in quanto esso non dipendeva da alcuna circostanza, bensì da un certo tipo di teca. Infatti, c’erano teche che potevano esprimersi solo nello spazio e altre solo nel tempo. Circa il come, era chiaro che, alla base di tali straordinari fenomeni, c’era l’effetto prodigioso dell’anima, la quale, sempre e solamente, agiva nella piena incoscienza del suo provvidenziale operato. Per l'esattezza, essa, senza rendersene conto, emanava il suo fluido misterioso che, oltre ad avere la caratteristica ubiquitaria, possedeva pure la caratteristica onnitemporale, cioè quella che lo rendeva presente in tempi differenti. Per questo, una volta attivate dalla forza elettromagnetica della psiche, le teche temporali si giovavano di quelle sue due caratteristiche. Difatti esse, fluitando sull’onda del fluido dell’anima, si ritrovavano, al pari di esso, a vivere simultaneamente delle realtà che appartenevano a luoghi e a tempi diversi. In realtà, per una teca temporale non si presentava difficile superare le barriere dello spazio, per cui riusciva a trovarsi facilmente in luoghi diversi che facevano parte del medesimo tempo. Non altrettanto semplice, al contrario, risultava ad essa il superamento della barriera del tempo sia passato che avvenire, poiché nessuna realtà fenomenica del presente era in grado di sfondarla. Allora tale teca ovviava ad un simile ostacolo, esercitando una forte spinta sulla parete del presente, la quale era molto flessibile, fino ad ottenere da essa un canale estroflesso e proteso nel futuro, dove poteva così avanzare liberamente e senza difficoltà alcuna. Al resto pensava il tempo futuro, come già avevo avuto modo di conoscerne le fasi conclusive nelle mie recentissime osservazioni.

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