26-Il subconscio e la pazzia

Un paradosso unico appariva l’ingresso di una realtà fenomenica nella coscienza, senza che questa ne venisse tempestivamente informata oppure ne diventasse all'istante consapevole. Difatti, ammesso pure che dei reali fenomeni fossero in grado di varcare la soglia della coscienza attraverso un’altra via di accesso che non fosse la zona periferica dell’intimo, dopo essi con quale artificio riuscivano a sfuggire alla sua vigilanza? Inoltre, come poteva essa ignorare del tutto la loro permanenza all'interno del proprio campo di azione? La coscienza, che era preposta proprio alla registrazione di ciascuna modificazione sensoriale e di ogni attività intellettiva, le quali si manifestavano entrambe al di là del suo campo operativo, a maggior ragione doveva essere in grado di rendersi conto di ciò che era presente o si andava svolgendo all’interno di tale campo. Per cui essa non poteva essere all’oscuro dei propri contenuti e dei propri vissuti, qualunque fosse stata la loro via di accesso. Infatti, dopo essere penetrati nella coscienza, sia il fenomeno che l'atto intellettivo immediatamente venivano vissuti da essa, che se ne rendeva partecipe. A volte, facendo tesoro del prezioso contributo della memoria, essa riusciva anche a viverli di nuovo con una certa intensità, ignara di avere a che fare con dei meri ricordi.

Allora come giustificare certuni fenomeni, i quali potevano riscontrarsi ed effettuarsi nella coscienza soltanto in determinate circostanze, esattamente durante una normale dormita o un temporaneo deliquio, nonché durante un drammatico coma oppure un qualsiasi altro accidente cerebrale? In verità, se tali fenomeni venivano rilevati dalla coscienza dentro di sé unicamente nelle predette circostanze, ciò poteva significare una sola cosa, cioè che essi soltanto allora vi accedevano ovvero vi facevano la loro effettiva apparizione. In precedenza, come constatavo, non poteva esserci stato il loro ingresso nella coscienza a sua insaputa, perlomeno mentre essa era regolarmente attivata. Intanto, però, quei fenomeni risultavano davvero accaduti, se avevano trovato collocazione in una parte dell’intimo non ancora precisata. In caso contrario, l’energia psichica, dopo essersi trasformata in istinto, non li avrebbe ripescati sul proprio cammino e neppure ne avrebbe ricavato durante il sogno delle situazioni emotive. Le quali si rivelavano come frustrazioni, eccitazioni, incubi, visioni incantevoli o spettrali e altre sensazioni similari.

Adesso venivo a conoscenza che quei fenomeni e quelle impressioni vi piombavano direttamente, facendosi ignorare dalla coscienza fino a quando essa non viveva gli uni e le altre nelle particolari circostanze prese in esame. Per raggiungere tale obiettivo, quei fenomeni e quelle impressioni aggiravano il suo ingresso principale, il quale era costituito dall’intimo. Inoltre, la invadevano da una velocità così enorme, da sfuggire del tutto al suo rigoroso controllo. La coscienza, in quella maniera, pur vivendoli intensamente e pur lasciandosi impressionare parecchio da loro, prima che se ne fosse resa conto, aveva già subito la loro invasione. Perciò alla fine, quasi fosse incappata in un vero trauma amnestico, essa non rammentava in modo assoluto nulla di simili prodotti sensoriali, che erano apparsi assai sfuggenti e per niente captabili.

In realtà, perché un evento del genere potesse verificarsi, la coscienza doveva venire a trovarsi di fronte a fenomeni fortemente emotivi, cioè tali da arrecare un temporaneo shock nella propria personalità. Esso, perciò, prima l'azzerava energeticamente per appena un istante e un attimo dopo la rendeva amnesica di quei fenomeni che vi erano penetrati quasi come guizzi di lampo. Si trattava di un solo attimo, il quale racchiudeva in sé una intera tensione drammatica oppure un’ansia parossistica, considerato che l’una o l’altra vi rimaneva come inesplosa ed oscura. Comunque, ciascuna di loro era in attesa di esplodere e di manifestarsi di nuovo, quando aveva a sua disposizione più tempo e più fattori sensorio-ambientali. Ma una volta scaduto, quell’attimo era già saltato fulmineamente nella coscienza e vi aveva trovato posto, scegliendosi un rifugio che veniva ignorato anche dalla sua ospite. In seguito, nel momento stesso che le energie vitali ritornavano a riattivarsi nell’area coscienziale, esse non erano più in grado né di riacciuffare e controllare l’episodio emotivo da loro vissuto poco prima né di ricordarsene in qualche modo. Dunque, la porta secondaria, attraverso la quale certi fenomeni ed effetti emozionali penetravano nella coscienza e vi si stabilivano di soppiatto, era la perdita momentanea delle energie vitali da parte sua. A compromettere la sua esistenza, bastava il suo breve blocco energetico per il tempo necessario a non farle rilevare lì per lì l'ingresso di un vissuto. Il quale, dopo essersi allogato in essa, già un istante dopo veniva ignorato interamente dalla coscienza. Infatti, quel vissuto clandestino risultava alla medesima non solo inesistente, a causa della sua irreperibilità; ma figurava parimenti come mai esistito, per essere precipitato subito dopo nell’oblio più profondo.

Ma come facevano certi vissuti, dopo che si erano magistralmente infiltrati nella coscienza mediante una procedura del tutto eterodossa, a rendersi irreperibili e non più rammentabili? Per risultarvi alla fine impercettibili, quale riposto angolino essi si andavano a cercare, per apparire invisibili allo stesso occhio della coscienza che li ospitava? Se non andavo errato, già mi era capitato di trovarmi a risolvere un rebus analogo, ossia quando mi ero interessato allo studio dell’anima, più esattamente mentre ero intento a cercare la sua dimora. In quella occasione, avevo appreso che la sua esistenza veniva svolta proprio nella coscienza, con la quale si trovava impegnata in un parallelismo del buonsenso, pur essendo totalmente ignorata da essa. Per la qual cosa, l’anima, nonostante fosse nella coscienza e partecipasse riflessivamente alla fitta rete di attività da essa abbracciate, finiva per apparire inesistente pure ai suoi occhi.

Fra i due casi, come notavo, vi intravedevo parecchie analogie. Per questo la chiave dell’enigma doveva essere la medesima che prima mi aveva fatto portare a soluzione il problema dell’immortale anima. A proposito di quest’ultima, io non mi ero preoccupato di conoscere la sua ubicazione esatta nell'ambito della coscienza, bensì mi ero dedicato al solo studio del suo rapporto con l’intimo. Ma adesso che avevo scoperto che nella coscienza altre entità coesistevano con l'anima, anche se questa volta di origine fenomenica, mi andavo chiedendo se l’una e le altre non vi occupassero l'identico posto. Il quale, del resto, in pratica risultava non percettibile e privo di esistenza. Almeno ad una mia prima istintiva valutazione, sembrava proprio che le cose stessero in quel modo e che quindi l’argomento andasse affrontato in tal senso e in quella direzione. A quel punto, feci basare la mia successiva indagine sull’unicità della loro ubicazione, siccome ero fermamente persuaso che l’anima e quegli attimi carichi di emotività impercettibili dagli occhi della coscienza dovevano per forza restarsene rintanati in un unico covo situato all’interno dell'area coscienziale. Quella mia persuasione era suffragata anche da alcuni effetti che, oltre a coinvolgere l’una e gli altri, si giustificavano soltanto nel caso che si potesse attribuirgli la medesima dimora. Essi, infatti, non potevano essere imputati alla loro natura, che si presentava abbastanza differente, dal punto di vista della qualità.

Così ben presto la mia ricerca attinente a quel problema mi rivelò che la sferetta centrale dell’intimo non comprendeva la sola coscienza oppure, in un certo senso, l'essenza di questa non vi dimorava in essa come unica cosa. Infatti, nel suo centro era individuabile una piccola zona fusiforme, la cui natura appariva talmente simile a quella della coscienza, da potersi quasi confondere con essa. Per la quale ragione, quest'ultima, non riuscendo a rilevarla neppure minimamente dentro di sé, finiva per ritenerla parte della propria essenza oppure inesistente sotto un certo aspetto. Ebbene, quell'invisibile zona a forma di fuso era rappresentata dal subconscio. Con tale nome, veniva indicata una zona misteriosa della coscienza, la quale sfuggiva alla stessa parte che la ospitava. Anzi, il subconscio si distingueva da essa per la sua capacità di prelevare direttamente all’esterno dell’intimo alcune situazioni e alcuni fenomeni. Le une e gli altri, per la loro particolare natura esplicativa, non si lasciavano né captare dal sentimento dell’intimo né decifrare dalla sua coscienza, a meno che non si ricorresse ad un artificio particolare. Al riguardo, bisognava sapere che la coscienza e il subconscio incameravano un vissuto fenomenico o emozionale molto diverso e che nella prima esso si traduceva in una continua elaborazione della realtà sia esterna che interna. Nel secondo, invece, il vissuto rimaneva qualcosa di inattivo e di impotente, fino a quando in esso non venivano a crearsi quelle condizioni adatte per farlo esplodere. Inoltre, c’era da far presente che lo sguardo attivo della coscienza non poteva penetrare l’area del subconscio ed influenzarla a suo piacere. Ma era permesso alle entità che occupavano il subconscio di passare nella coscienza e di manipolarne il contenuto reale e quello irreale.

L’entità primaria del subconscio era l’anima, la quale rifletteva dentro di sé tutta la varia attività della coscienza, dopo esservi confluita riflessivamente. All'anima era consentito anche di riflettersi nel settore dell’intelligenza, dove diveniva subito dopo il fattore primario ed insostituibile dell’evoluzione perfettiva dell'uomo. Infatti, essa riusciva a promuoverla inconsciamente mediante il suo inestimabile apporto soprannaturale, il quale veniva ignorato tanto da sé stessa quanto dalla coscienza. Le altre entità del subconscio, più o meno di un certo rilievo emotivo, erano rappresentate da attimi sfuggenti, ciascuno dei quali racchiudeva una propria particolare emozione. Quando essi si erano presentati per la prima volta alla coscienza, dopo averli fugacemente sperimentati, essa se ne era anche dimenticata all'istante, a causa della loro inafferrabile manifestazione altamente esplosiva. Tali attimi, che nella vita di un uomo potevano essere parecchi, via via che raggiungevano l’interno del subconscio attraverso la coscienza, si ammassavano gli uni accanto agli altri. Stando poi all'interno del subcosciente, essi formavano una costruzione somigliante al favo delle api, anche se queste si presentavano sotto forma più di teche che di celle. I piccoli vani cilindrici, che racchiudevano gli attimi emotivi, prendevano il nome di teche temporali. Esse erano di due tipi: quelle che tenevano incapsulato un trauma psichico e quelle che custodivano un momento di intensa gioia o di grande brama. Comunque, la circostanza bella e quella brutta si erano manifestate e consumate all’istante agli occhi della coscienza.

In effetti, sia per l’una che per l’altra circostanza, non c’erano state né esplosione né estinzione, come era apparso alla coscienza nel sorprenderle in quella loro fulminea e penetrante manifestazione, da essa per altro scordate in un attimo. Ma, da parte del subconscio, si erano avuti soltanto un subitaneo intercettamento della loro sintesi espressiva, nonché il simultaneo inglobamento di quest'ultima da parte delle sue teche temporali. Stando in quel suo stato sintetico, potenzialmente quiescente come il seme di una pianta, ciascun condensato esistenziale era stato attirato dallo stesso subcosciente nell’area di sua competenza. In quel luogo, poi, era rimasto intrappolato insieme con gli altri nell’inerzia e nell'oblio più assoluti, venendo obbligato a condurvi la propria esistenza silente. Allo stesso modo dei semi delle piante, che necessitavano di un terreno fertile e di un clima adatto per germogliare, così le teche temporali, per ridestarsi dalla loro inattiva quiescenza e per potere riversare il loro contenuto nella coscienza rimasta momentaneamente assente, avevano bisogno di una particolare energia. In merito alla quale, si sapeva che la sola psiche si mostrava in grado di produrla e di metterla a loro disposizione. Si trattava della medesima energia che essa, dopo averla trasformata in istinto, inviava alla coscienza. Una evenienza del genere si aveva, ogni volta che questa accusava uno stato di particolare momento aleatorio oppure veniva ad assentarsi.


L’energia psichica, che nei confronti dell’intimo si esprimeva sotto forma di un fascio di raggi luminosi, era composta da un insieme misto di particelle elettromagnetiche, risultando esse positive e negative. Le quali, dopo avere avvolto ed attraversato i vari scomparti dell’intimo e dopo averne memorizzato il contenuto, si insinuavano nella menomata coscienza che risultava provvisoriamente disattivata, fino a prendere possesso dello stesso subcosciente. Comunque, la loro azione era rivolta in maniera precipua ad attivare una situazione coscienziale che era rimasta più o meno minorata, in seguito a distrazioni del cervello oppure ad acciacchi dello stesso. Ma ciò poteva accadere, anche quando la stessa restava assente, a causa di taluni bisogni fisiologici, come il sonno, e di certi accidenti cerebrali, come lo svenimento. Per espletare tali mansioni già a me note, l’energia psichica non ricorreva per niente alla collaborazione del subconscio, in quanto essa già possedeva le forze e gli strumenti necessari per fare un ottimo lavoro durante la sua presa di comando dell’intimo. Così, con egregia bravura, gli subentrava e gli metteva a disposizione dei mondi immaginari, verosimilmente conformi a quello della sua realtà. Ciò era possibile, poiché essa li aveva minuziosamente fotografati in untempo precedente e impressi dentro di sé nel suo rapido attraversamento dell'intimo.

Soltanto quando venivano attivate anche determinate zone del subconscio, l’istinto riusciva ad assicurare all’intimo quei mondi ad esso più congeniali e più consoni alla sua realtà. In quel caso, infatti, degli squarci di esistenza, del tutto falsati e che mai esso si sarebbe sognati, finivano per invadere l'intimo in lungo e in largo, quasi come se fossero in preda a scorribande. Così lo tempestavano di situazioni e di circostanze esistenziali illusorie ed inverosimili, le quali si mostravano a volte estasianti ed esaltanti, altre volte demotivanti e deprimenti. Ad ogni modo, perché una circostanza del genere si verificasse, non era sufficiente la sola forza psichica per attivare e rimuovere il contenuto delle teche temporali, nonché per impegnarlo all’esterno di esse. Oltre a tale forza, occorreva un forte impulso che, nascendo in seno alle medesime, facesse avvertire l'intera sua ansia di venire fuori e di manifestarsi, fino a contattare telepaticamente le stesse particelle elettromagnetiche dell’energia psichica. Ma i vari contenuti-vissuti del subconscio, i quali si presentavano incapsulati ognuno in una propria teca temporale, non potevano passare tutti insieme dal loro stato virtuale e quiescente a quello reale e dinamico. Il loro passaggio nell’intimo era regolato dall’intensità del loro impulso ad essere e dalla loro maggiore o minore capacità di attrarre a sé le particelle della forza elettromagnetica della psiche. Perciò il contenuto, che presentava in maggiore misura l’uno o l’altra, poteva vantare la priorità nell'usufruire di tale passaggio. Infine, dopo che la sua azione si era esaurita, sempre in base al criterio precedentemente menzionato, vi subentrava il nuovo vissuto più meritevole, ossia quello che risultava insignito della prerogativa prioritaria.

Un fatto, che andava ancora chiarito, era il comportamento che assumevano le particelle elettromagnetiche dell’energia psichica. Difatti quelle positive avevano effetto solo sulle teche con contenuto roseo o bello, cioè improntato all'ottimismo; invece le particelle negative avevano effetto su quelle con contenuto fosco o brutto, cioè improntato al pessimismo. Inoltre, non poteva capitare cosa peggiore all’intimo che quella di restare invaso dal contenuto di una teca temporale eterogenea, ossia attivata da entrambi i tipi di particelle energetiche. Un contenuto di quel genere, rimanendo preda del loro rapporto conflittuale che si originava all’interno di esso, veniva a subire enormi distorsioni della realtà. Le quali avevano due grossi difetti: il primo era quello di volere ignorare che esse erano soggette ad esaurimento e che questo, prima o poi, ci sarebbe stato. Il secondo, invece, era quello che le spingeva a generare di continuo realtà sempre nuove e distorte come loro, fino a quando un caso analogo non fosse riuscito a neutralizzarne ogni effetto allucinogeno. L’intimo, allora, abbandonato alla coscienza, si immetteva nei meandri della pura pazzia e gli stessi suoi restanti settori cominciavano a registrare e ad elaborare fenomeni e situazioni in funzione di essa. Specialmente lo scomparto della ragione ne subiva le conseguenze più disastrose, venendo ad aversi in esso la totale perdita dell’equilibrio interiore. Quest’ultimo, soprattutto a cervello sveglio, finiva per cagionarvi fatti e fenomeni interamente avulsi dalla realtà quotidiana, intesa essa sia in senso spaziale che temporale. Per quanto riguardava il vissuto di tale follia, esso poteva risultare di tre tipi: quello in preda all’esaltazione o all’euforia o all’ottimismo, quello in preda alla frustrazione o all’escandescenza o al pessimismo, quello in preda all’alternarsi dell’uno e dell’altro. Ovviamente, la matrice del primo era una teca temporale positiva, quella del secondo era una teca temporale negativa e quella del terzo era data dalla sovrapposizione di entrambe le teche. Infatti, si poteva verificare che i contenuti di due differenti teche, sovrapponendosi ed amalgamandosi, aggredissero insieme l’intimo, attivando in seno ad esso un avvicendamento di effetti contrapposti, i quali potevano soltanto condurre alla pura follia.

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