22-L'istinto animale

L'istinto animale era una forza inconscia ed oscura, la quale negli esseri viventi si identificava con il fenomeno dell’antidispersione dell’essenza vitale. Esso scattava, non appena un organismo vivente accusava una certa labilità nella propria essenza oppure ne varcava la soglia di rischio. Così lo faceva rientrare in un rassicurante livello di guardia e gli garantiva un’adeguata immunità. Per questo, grazie all'istinto, in simili esseri la vita e la sua sana protrazione nel tempo potevano ritenersi al sicuro da ogni minaccia e da ogni tragica interruzione. Ma oltre ad assicurare l’autodifesa e l’autoconservazione in ogni essere vivente, in alcuni di loro e in talune circostanze, l’istinto permetteva alcuni fenomeni parapsichici. I quali gli facevano prevedere o presentire fatti e fenomeni non ancora presenti spazialmente e temporalmente nel profondo del loro intimo. Ciò avveniva, anche quando essi si trovavano a grande distanza spaziale e temporale. Per logica, a quei fatti e fenomeni giammai sarebbero potuti pervenire i regolari cinque sensi messi a disposizione degli esseri viventi più evoluti. Questi erano in grado di captare soltanto esperienze e fenomeni che esistevano e si svolgevano nella sfera della loro diretta esperienza. Dunque, come mi andavo rendendo conto, l’istinto era un fenomeno insito negli stessi impulsi vitali, dai quali traeva la sua esistenza esclusivamente per assicurare ai medesimi la continuazione ad essere. Perciò un fenomeno del genere si aveva solo per consolidare quell'esistenza, da cui l’istinto stesso traeva origine e alla quale lo stesso doveva pure ogni sua manifestazione, compresa la propria esistenza.

L’istinto animale, in quanto puro fenomeno parapsichico, non poteva di certo trovare la sua collocazione nell’intimo di un qualunque essere vivente. Difatti esso non era una essenza che registrava; invece lo si doveva considerare una essenza che veniva registrata direttamente dalla coscienza dell’intimo, non riuscendo le altre parti di quest’ultimo a captarlo in nessun modo. Inoltre, quando in un essere vivente la coscienza risultava mancante oppure si assentava temporaneamente, fungeva esso stesso da coscienza: in modo permanente, nel primo caso; limitatamente alla durata dell’assenza della coscienza, nel secondo caso. Per la totalità degli animali, perciò, l’istinto rappresentava un campanello di allarme, poiché predisponeva il loro organismo ad una istantanea presa di coscienza di calamità prossime a manifestarsi. Nei loro riguardi, esso si dimostrava un vero faro luminoso, il quale faceva le sue improvvise apparizioni nelle notti più tetre, con l'intento di guidarli verso la luce della salvezza. In un certo senso, lo si poteva considerare il loro migliore amico, dal momento che consapevolmente li avviava verso quelle selezioni naturali e quegli accoppiamenti che erano così utili a garantirne la sopravvivenza e a perpetuarne la specie.

L’istinto, insomma, veniva a rappresentare per tutte le bestie la cosa più preziosa che ci potesse essere, essendo la sua azione rivolta prevalentemente al loro benessere e alla loro sopravvivenza. Inteso in questi termini, esso era da definirsi il bene supremo degli animali, il loro momento più suggestivo e sublime, il loro tesoro dal valore inestimabile. Eppure l'istinto non sarebbe mai stato compreso o ravvisato da loro come tale. Il motivo? Un fatto del genere avveniva, appunto perché la sua opera si svolgeva sotto forma di influsso criptogenetico e, per tale motivo, a loro insaputa. Gli animali, da parte loro, accettavano l'istinto incondizionatamente come loro unica guida, ponendo in esso la massima fiducia. Pur non avendone la benché minima idea e non potendone stimare l’esatto valore, tali creature erano convinte che l’istinto non le avrebbe mai tradite e le avrebbe sempre guidate là dove si intravedevano per loro i maggiori benefici.


Anche l’intimo umano, però in misura alquanto ridotta, riusciva a trarre i suoi effetti benefici dall’istinto. Li otteneva specialmente in quei momenti, in cui la sua coscienza restava per breve tempo assente durante una determinata attività, siccome essa era intenta a svolgerne un’altra di tipo diverso. Ebbene, in quella precaria circostanza, l’istinto subentrava alla coscienza dell’intimo umano oppure lo affiancava. Così si prendeva cura dell’intero suo organismo e lo sottraeva a qualche spiacevole incidente. Esso poteva capitargli occasionalmente in quei momenti di assenza della sua coscienza. Una evenienza di quel tipo non mi appariva affatto contraria ai principi della logica. Essa, infatti, poteva benissimo verificarsi in un essere vivente, specialmente se provvisto di capacità riflessiva, potendo quest’ultima a un tempo dar luogo in esso a due attività intellettive protese verso indirizzi diversi. In questo caso, la coscienza era impossibilitata a sdoppiarsi, per farsi carico sia dell’una che dell’altra attività nel medesimo istante. Per questo occorreva che qualcuno, collaborando con essa, la integrasse e l’aiutasse a smaltire una parte del suo lavoro. Ecco allora intervenire l’istinto a darle manforte. Così la coadiuvava molto egregiamente nella sua opera di salvaguardia di quell’organismo vivente che era venuto a trovarsi temporaneamente in qualche difficoltà di piccola o grande entità.

Anch’io prendevo atto che un fenomeno di quel tipo non poteva e non doveva essere considerato un fatto tanto inusitato in un essere vivente, in particolar modo nell’uomo. Riflettendoci bene, anche a me capitava spesso di avere la mente intenta ad altro, mentre facevo una passeggiata. Nonostante ciò, inconsapevolmente riuscivo a superare i tanti ostacoli e le tante difficoltà che incontravo sul mio percorso. Perciò non era necessario che io scomodassi la mia mente distratta e la distogliessi per alcuni momenti dai suoi profondi pensieri. Dunque, che cosa, se non l’istinto, veniva prontamente in mio soccorso e preservava il mio organismo da quelle insidie che erano sempre in agguato? A volte l’istinto poteva suscitare nell’intimo umano delle strane facoltà telepatiche o precognitive, di solito del tutto abnormi per esso, le quali venivano ad arricchirlo di un potere fuori del comune. Anche durante il sonno la coscienza era assente nell’intimo dell’uomo e in quello degli animali che ne erano provvisti. Per cui neppure in quella circostanza l’istinto si faceva da parte. Anzi, era proprio allora che esso era in grado di esprimersi con maggiore efficacia e con un’abbondante ricchezza di immagini. Riusciva perfino a mescolare tra di loro i prodotti della realtà e quelli dell'irrealtà, mediante un artificio stupendo. Ossia, dava luogo al comune sogno, quello che non tutti e non sempre, al ridestarsi al mattino, riuscivano a ricordare, con l'intento di rallegrarsene oppure di spaventarsene, a seconda se il suo contenuto era stato bello o brutto.

Giunto a quel punto, lo studio del fenomeno dei sogni si fece largo in modo predominante nella mia intensa attività gnoseologica. Ad ogni costo, desideravo apprendere fin dove durante il sogno il mio io reale rimaneva qual era e da dove cominciava a subentragli la sua copia irreale, ossia l’io che era sempre alle prese con nuove irrealtà, anche se mai stanco della sua identità. Oltre a ciò, volevo conoscere come nella mia attività onirica avvenisse la presa di comando della macchina dell’intimo da parte dell’istinto. Ma soprattutto ero ansioso di venire a conoscenza di quale tecnica si serviva poi quest’ultimo per azionarlo in maniera tale, da fargli creare tante irrealtà fisiche e psichiche intorno a sé. Mi riferivo a quelle che apparivano prodigiosamente reali durante l'intero mio sogno.

Ovviamente, non intendevo passare subito a rendermi conto di come facesse l’istinto ad effettuare durante il sogno la sua sovrapposizione all’intimo. Con la quale lo rimpiazzava ed incominciava ad imitarlo molto fedelmente in tutte le sue facoltà e potenzialità, sia pure in modo irreale. Prima, infatti, pretendevo di comprendere bene il perché dell’esistenza del sogno e se esso si presentava come una necessità inderogabile in determinati momenti della vita degli esseri animali, compreso l’animale uomo. Tale pretesa mi portò, senza volerlo, ad approfondire un aspetto nuovo dell’intimo umano e di quello animale, che prima mi era sfuggito e non era stato affatto considerato da me. Esso riguardava la sua forzatura ad estraniarsi dalla realtà, la quale veniva operata da altri.

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